IL TRIBUNALE

    Letti gli atti e l'istanza di fissazione di udienza;

                    O s s e r v a  i n  f a t t o

    Con  citazione  regolarmente  notifcata  l'attrice  ha  agito nei
confronti  della San Paolo Banco di Napoli S.p.A. per ottenere: 1) la
dichiarazione   di   nullita'   o  annullabilita'  dei  documenti  di
investimento  in titoli Bond Parmalat; 2) la restituzione della somma
di Euro 102.000,0; 3) il risarcimento dei danni in via equitativa.
    La  convenuta  si  e' costituita contestando la domanda eccependo
l'infondatezza nel merito delle pretese di parte attrice.
    A  seguito  di  scambio  di  note  l'attrice  ha  successivamente
depositato istanza di fissazione dell'udienza.

                         I n  d i r i t t o

    L'articolo  1  del  decreto  legislativo n. 5 del 2003 recita: si
osservano  le  disposizioni del presente decreto legislativo in tutte
le  controversie,  incluse quelle connesse a norma degli articoli 31,
32, 33, 34, 35 e 36 del codice di procedura civile, relative a:
    ........
        d)  rapporti  in  materia  di  intermediazione  mobiliare  da
chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi i
servizi  accessori,  fondi  di  investimento, gestione collettiva del
risparmio  e  gestione accentrata di strumenti finanziari, vendita di
rapporti  finanziari,  ivi compresa la cartolarizzazione dei crediti,
offerte pubbliche di acquisto e di scambio, contratti di borsa.
    La  controversia  pertanto,  concernendo al responsabilita' delle
convenute  quali  intermediatori  finanziari,  e' stata correttamente
instaurata   secondo   le   forme   previste   dal  suddetto  decreto
legislativo.
    L'art. 12  del  decreto legislativo n. 5 del 2003 prevede inoltre
che:
        1. -  Decorsi  dieci  giorni  dal  deposito  dell'istanza  di
fissazione  dell'udienza,  il cancelliere, nei tre giorni successivi,
forma  il  fascicolo contenente tutti gli atti e documenti depositati
dalle parti e lo presenta senza indugio al Presidente.
        2.  -  Il Presidente, entro il secondo giorno successivo alla
presentazione  del  fascicolo,  designa  il giudice relatore. Questi,
entro  cinquanta  giorni dalla designazione, ottoscrive e deposita in
cancelleria il decreto di fissazione dell'udienza, da comunicare alle
parti   costituite.   Per  comprovate  ragioni,  il  Presidente  puo'
prorogare  il  termine  a  norma  dell'articolo  154  del  codice  di
procedura civile.
    Preliminare  all'applicazione  di  tale norma e all'emissione del
decreto di fissazione dell'udienza, pero', va affrontata la questione
di costituzionalita' del decreto legislativo n. 5 del 2003 che questo
giudice  quale  relatore  in  fase  collegiale  ha  gia' sollevato in
precedenti giudizi.
    L'art. 12 della legge di delega n. 366/2001 prevede che:
        «1.  -  Il  Governo e' inoltre delegato ad emanare norme che,
senza  modifiche della competenza per territorio e per materia, siano
dirette  ad  assicurare  una  piu'  rapida ed efficace definizione di
procedimenti nelle seguenti materie:
          a) diritto societario, comprese le controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
          b)  materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni
in   materia  di  intermediazione  finanziaria,  di  cui  al  decreto
legislativo  24  febbraio  1998, n. 58, e successive modificazioni, e
dal  testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui
al  decreto  legislativo  1°  settembre  l993,  n. 385,  e successive
modificazioni.
        2.  - Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di
cui  al comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali,
che in particolare possano prevedere:
          a)  la  concentrazione  del procedimento e la riduzione dei
termini processuali;
          b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
          c)  la  mera  facoltativita' della successiva instaurazione
della  causa  di  merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso
all'esito  di  un  procedimento  sommario cautelare in relazione alle
controversie  nelle  materie  di  cui  al comma 1, con la conseguente
definitivita'   degli   effetti   prodotti  da  detti  provvedimenti,
ancorche'  gli  stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse;
          d)   un  giudizio  sommario  non  cautelare,  improntato  a
particolare   celerita'   ma   con  il  rispetto  del  principio  del
contraddittorio,  che  conduca  alla  emanazione  di un provvedimento
esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato;
          e)  la  possibilita' per il giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite;
          f)  uno  o  piu'  procedimenti carnerali, anche mediante la
modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile
ed  in  estensione  delle  ipotesi  attualmente  previste  che, senza
compromettere  la  rapidita'  di  tali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo;
          g)  forme  di  comunicazione  periodica  dei  tempi medi di
durata   dei  diversi  tipi  di  procedimento  di  cui  alle  lettere
precedenti  trattati  dai  tribunali,  dalle corti di appello e dalla
Corte di cassazione.
    In  relazione alla struttura che il legislatore delegato e' stato
chiamato a delineare per il processo ordinario - e con esclusione del
riferimento  ai  principi  dettati  in tema di giudizio cautelare che
concernono  profili  non  rilevanti in questo giudizio - dal disposto
dell'art. 12  della  legge  n. 366  del  2001  sono  estrapolabili  i
seguenti   principi:   1)   divieto   di  modifica  della  competenza
territoriale  e  per  materia;  2)  necessita' di assicurare una piu'
rapida  ed  efficace  definizione di procedimenti; 3) possibilita' di
dettare  regole processuali, che in particolare possano prevedere: a)
la  concentrazione  del  procedimento  e  la  riduzione  dei  termini
processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie
di  cui  al  comma  1  al tribunale in composizione collegiale, salvo
ipotesi  eccezionali  di giudizio monocratico in considerazione della
natura  degli  interessi coinvolti; c) la possibilita' per il giudice
di  operare  un  tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone
espressamente  gli  elementi  essenziali, assegnando eventualmente un
termine  per  la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su
cui  verte  la  causa  e,  in  caso di mancata conciliazione, tenendo
successivamente  conto  dell'atteggiamento  al riguardo assunto dalle
parti ai fini della decisione sulle spese di lite.
    Nella legge n. 366/2001 il legislatore, dunque, si e' limitato ad
indicare  le  materie  nelle  quali  il  Governo  poteva intervenire,
l'obiettivo  di  rendere  piu'  rapida ed efficace la definizione dei
procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e
materia,   la   tendenziale   collegialita'   del   procedimento,  la
possibilita'  di  valutare  l'atteggiamento  delle  parti  in sede di
tentativo  di  conciliazione  e la possibilita' di dettare regole che
favorissero   la  riduzione  dei  termini  e  la  concentrazione  del
procedimento.
    L'assoluta  genericita'  e  parzialita' dell'indicazione relativa
alle  modalita'  da  seguire,  per  la  realizzazione  dell'obiettivo
dichiarato   di   voler   assicurare  una  piu'  rapida  ed  efficace
definizione  di  procedimenti  nelle materie individuate, ha di fatto
lasciato  libero  il  legislatore delegato di creare un nuovo modello
processuale  che  esula  completamente  dallo schema del procedimento
ordinario disciplinato dal codice di procedura civile.
    A  fronte della situazione di fatto venutasi a creare che vede da
un lato una legge delega che nulla o quasi dice in ordine ai principi
direttivi  che  avrebbero  dovuto  ispirare il legislatore delegato e
dall'altro   un   decreto   legislativo  che  cra  un  nuovo  modello
processuale,  sovvertendo,  nelle  materie  indicate  dalla  legge di
delega,  i  tradizionali  canoni  che governano il processo civile, a
questo giudice si pongono due opzioni interpretative che in ogni caso
conducono ad un dubbio di costituzionalita' in relazione all' art. 76
della Costituzione.
    La  prima  opzione  interpretativa,  sia  in ordine logico sia di
scelta  che  questo  giudice  reputa  piu'  consona  allo spirito del
complesso  normativo  costituito  dalla  legge  delega  e dal decreto
legislativo,  e'  quella di ritenere che il legislatore delegante non
abbia  indicato  con  sufficiente determinazione i principi e criteri
normativi  che  avrebbero  dovuto  guidare  l'operato del legislatore
delegato  e che quindi l'art. 12 della legge n. 366/2001 non soddisfi
il  precetto  dell'art. 76  della Costituzione che consente la delega
dell'esercizio  della  funzione  legislativa  al  Governo solo previa
determinazione di principi e criteri direttivi.
    Non ignora questo giudice come, per giurisprudenza costante della
Corte  costituzionale,  i  principi  direttivi  che  l'art. 76  Cost.
richiede  alla legge delega non esciudono la possibilita' di lasciare
al   legis1atore   delegato  un  ampio  margine  di  discrezionalita'
nell'individuazione  delle  modalita'  attraverso le quali realizzare
gli  obiettivi prefissati dalla legge delega. Il potere attribuito al
legislatore   delegato,   pero',  per  quanto  ampio,  non  puo'  mai
travalicare  il  limite della discrezionalita' nel senso che, come la
Corte  costituzionale  insegna, sin da risalenti pronunzie, «la legge
delegante   va   considerata   con   riferimento   all'art. 76  della
Costituzione,  per  accertare se sia stato rispettato il precetto che
ne  legittima  il processo formativo. L'art. 76 indica i limiti entro
cui  puo'  essere  conferito  al  Governo  l'esercizio della funzione
legislativa.  Per quanto la legge delegante sia a carattere normativo
generale, ma sempre vincolante per l'organo delegato, essa si pone in
funzione   di   limite   per  lo  sviluppo  dell'ulteriore  attivita'
legislativa  del  Governo. I limiti dei principi e criteri direttivi,
del  tempo  entro  il quale puo' essere emanata la legge delegata, di
oggetti  definiti,  servono da un lato a circoscrivere il campo della
delegazione  si'  da  evitare  che la delega venga esercitata in modo
divergente  dalle  finalita'  che la determinarono; devono dall'altro
consentire   al  potere  delegato  la  possibilita'  di  valutare  le
particolari  situazioni giuridiche della legislazione precedente, che
nella  legge  delegata deve trovare una nuova regolamentazione. Se la
legge  delegante  non  contiene, anche in parte, i cennati requisiti,
sorge   il  contrasto  tra  nonna  dell'art. 76  e  norma  delegante,
denunciabile  al sindacato della Corte costituzionale, s'intende dopo
l'emanazione della legge delegata» (cfr. Corte cost. 26 gennaio 1957,
n. 3).
    In  particolare,  per  quel  che  rileva in questa sede, nulla ha
detto  la legge delega in ordine allo schema processuale da adottare,
lasciato  non  piu'  alla  scelta  discrezionale, ma all'arbitrio del
legislatore  delegato,  come  emerge  chiaramente  dal  contenuto del
decreto  legislativo che ha creato un nuovo modello di processo al di
fuori delle regole dettate dal codice di procedura civile.
    Il  nuovo  rito societario previsto per il processo di cognizione
davanti  al tribunale costituisce infatti, come indicato dalla stessa
relazione  della  commissione  ministeriale,  un vero e proprio nuovo
modello  processuale,  che  si  distacca  volutamente sia dal modello
processuale  del 1942, sia da quello del processo del lavoro del 1973
ed  infine  anche  da  quello delineatosi con la riforma del 1990. Il
nuovo  rito  di  cognizione  di  primo  grado davanti al tribunale in
materia  societaria  prevede  tutta  la prima fase del processo senza
l'intervento del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2
non  e'  piu'  indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che
l'attore  fissa  al  convenuto per la comunicazione della comparsa di
risposta  e'  stabilito  solo  nel  minimo,  cosi'  nella comparsa di
risposta  ai  sensi dell'art. 4 il convenuto puo' a sua volta fissare
all'attore  per  eventuale  replica  un  termine stabilito ancora una
volta solo nel minimo, e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la
possibilita'  di  una  replica  da  parte  dell'attore  e l'art. 7 la
possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi ancora
ulteriori repliche e controrepliche.
    Solo  a  seguito  dell'istanza  di  fissazione  di udienza di cui
all'art. 8  interviene  il giudice, in un momento pero' in cui sia il
thema  decidendum che il thema probandum si sono gia' definitivamente
formati,  totalmente  al di fuori, quindi, del controllo del giudice.
D'altra  parte  la  stessa  istanza di fissazione di udienza, con gli
effetti  preclusivi  rilevantissimi  stabiliti  dall'art. 10,  e' uno
strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di
una  sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento
ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di
contumacia  o  costituzione  tardiva  del  convenuto,  che  introduce
l'innovativo  principio  (di cui nella delega non vi e' traccia), per
cui  nel  caso  in  cui  il  convenuto  non  notifichi la comparsa di
risposta   nel   termine   stabilito  o  anche  solo  si  costituisca
tardivarnente  «i  fatti  affermati  dall'attore...  si intendono non
contestati   e  il  tribunale  decide  sulla  domanda  in  base  alla
concludenza di questa».
    Da  quanto  precede  emerge  con  chiarezza  che  il  legislatore
delegato,  in  forza  di  una  delega  assolutamente carente sotto il
profilo  dell'indicazione  di criteri direttivi, ha potuto creare una
disciplina interamente nuova per il processo societario di cognizione
ordinaria,  anticipando  quel  rito  ordinario  prefigurato dal testo
redatto  dalla  commissione  ministeriale per la riforma del processo
civile.
    Non  reputa  questo  giudice  che possa andare esente da dubbi di
costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la creazione
di  un  nuovo processo, seppur circoscritto a determinate materie, si
limiti  ad  indicare  un  obiettivo,  quello  di «assicurare una piu'
rapida  ed efficace definizione di procedimenti», tra l'altro nemmeno
particolarmente qualificante in quanto comune a qualsivoglia progetto
di  riforma  del  processo  civile,  un  divieto  di  «modifica della
competenza  territoriale  e  per  materia»,  una  preferenza  per  la
collegialita',  un  rilevante  ruolo del tentativo di conciliazione e
un'indicazione   di   massima  a  favore  della  «concentrazione  del
procedimento e riduzione dei termini processuali».
    Di  conseguenza  ad  avviso  di  questo  giudice,  in  quanto non
manifestamente    infondata,    va    rimessa    la    questione   di
costituzionalita'  dell'art. 12  della  legge n. 336/2001 nella parte
relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione,
degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003.
    La  questione  e' altresi' rilevante in quanto vertendosi in tema
di  intermediazione finanziaria il giudizio e' stato instaurato nelle
forme  previste  dal  d.lgs.  n. 5  del  2003  emanato in forza della
predetta   legge   di   delega,   e   dalla   pronunzia  della  Corte
costituzionale  dipende l'applicabilita' dell'intera nuova disciplina
processuale  alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo
giudice.
    In  via  subordinata  e  per  l'ipotesi  in  cui la Corte dovesse
ritenere   costituzionalmente   legittimo   l'art. 12   della   legge
n. 366/2001   reputa   questo  giudice  che  non  sia  manifestamente
infondato  il  dubbio di costituzionalita' degli articoli 2, 3, 4, 5,
6,  7,  8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo
n. 5  del  2003  per  contrasto  con  l'art. 76 della Costituzione in
quanto  emanati  eccedendo  dai  principi e criteri direttivi dettati
dalla legge n. 366 del 2001.
    Per    evitare    il    sospetto   di   incostituzionalita'   per
indeterminatezza e genericita', si dovrebbe invero compiere lo sforzo
interpretativo   di   leggere   la  legge  n. 366  del  2001  facendo
riferimento  alla  disciplina  del  vigente  processo  di  cognizione
davanti  al tribunale, come contenuta nel libro II, titolo I, c.p.c.,
il  rito  cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e' stato applicato anche
alle  controversie  societarie  e  che il legislatore delegante aveva
davanti   al   momento   della   concessione   della  delega;  sforzo
interpretativo   gia'   compiuto  da  altri  giudici  ordinari  (cfr.
Tribunale  Brescia  18  ottobre 2004 che ha rimesso la questione alla
Corte  costituzionale).  La  disciplina  del  processo  di cognizione
davanti al tribunale contenuta nel codice di procedura civile prevede
che  il  processo si svolga attraverso la successione di piu' udienze
fisse  ed  obbligatorie,  in particolare quella di prima comparizione
(art. 180  c.p.c.),  quindi la prima udienza di trattazione (art. 183
c.p.c.),   cui   puo'   seguire   un'udienza  per  la  discussione  e
l'ammissione   delle   prove   (art. 184   c.p.c.)  ed  eventualmente
un'ulteriore  udienza  di  precisazione  delle  conclusioni (art. 189
c.p.c.).
    Se   si   volesse  individuare  una  determinatezza  dei  criteri
direttivi  nella  legge  di delega dovrebbe necessariamente ritenersi
che    il   legislatore   delegante   indicando   il   principio   di
«concentrazione   del   procedimento»   abbia   fatto   evidentemente
riferimento   proprio   a  questa  scansione  prevista  nei  processo
ordinario.  Ugualmente  il processo ordinario vigente prevede che tra
i1  giorno  della notificazione della citazione e quello dell'udienza
di  comparizione  debbano  intercorrere  termini liberi non minori di
sessanta  giorni,  fissa il termine meramente ordinatorio di quindici
giorni  per  la successione fra le varie udienze (art. 81 delle norme
di  attuazione  c.p.c.),  stabilisce  ai  sensi dell'art. 183 c.p.c.,
quinto  comma  un termine massimo di trenta giorni per il deposito di
memorie  e  di altri trenta per le repliche, non prestabilisce nessun
termine  per il deposito delle memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c;
primo comma seconda parte e prevede il termine di sessanta giorni per
il  deposito  delle  comparse  conclusionali e di venti per eventuali
repliche.
    Soltanto  con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di
contenuto  la  generica  indicazione  del  legislatore  delegante del
principio   di  «riduzione  dei  termini  processuali».  Solo  questa
lettura,   estremamente  riduttiva  e  per  questo  proposta  in  via
subordinata  rispetto all'altra, dei principi fissati dal legislatore
delegante,  altrimenti invero generici, sarebbe possibile per evitare
il  dubbio di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001. E' pero'
evidente che in questo caso l'articolato contenuto negli artt. da 2 a
17, d.lgs. 17 gennaio 2004, n. 5 con cui si e' inteso dare attuazione
alla  delega,  contrasterebbe  con i principi fissati dal legislatore
delegante  per  «eccesso  di delega», alla luce della caratteristiche
del nuovo rito societario come gia' sopra sintetizzate.
    L'operazione  effettuata  dal  decreto  legislativo  non e' stata
quella  di  prevedere  un  rito concentrato rispetto all'attuale rito
ordinario disciplinato dagli artt. 163 ss. c.p.c., bensi' quella, che
si    e'    gia'    evidenziata,   di   introdurre   nell'ordinamento
un'anticipazione  del  rito  ordinario  prefigurato dal testo redatto
dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile.
    Anche   la   questione   di  costituzionalita'  proposta  in  via
subordinata  e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse
ragioni indicate per la questione proposta. in via principale.
    Tanto premesso in fatto e diritto, va disposta la sospensione del
presente   giudizio   e   la   trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale  per  la  decisone  sulla  questione  pregiudiziale di
legittimita'  costituzionale,  siccome rilevante e non manifestamente
infondata.
    Alla  cancelleria  vanno affidati gli adempirnenti di competenza,
ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.