LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 13/2007. Nel giudizio di pensione civile iscritto al n. 39931 del registro di segreteria promosso ad istanza di Conte Concetta vedova Bonfissuto, rappresentata e difesa dall' avv. Giuseppina Pistone, nei confronti dell'I.N.P.D.A.P. Visto l'atto introduttivo dei giudizio depositato il 7 giugno 2005. Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale. Uditi alla pubblica udienza del 10 gennaio 2007 l'avv. Giuseppina Pistone, per la ricorrente, e la dott.ssa Sabrina Chiantia per 1'I.N.P.D.A.P. F a t t o L'odierna ricorrente e' vedova di Bonfissuto Domenico, ex dipendente della Polizia di Stato in quiescenza dal 1° novembre 1985 e deceduto il 26 aprile 1998. Con provvedimento n. 64649 del 28 aprile 1998 la D.P.T. di Enna liquidava la pensione di reversibilita' statuendo la spettanza di detto trattamento nella misura del 60% del trattamento di cui era in godimento il dante causa, con l'I.I.S conglobata nella base pensionabile. Avverso tale determinazione ha proposto ricorso l'interessata la quale, facendo riferimento alla pacifica giurisprudenza di questa Corte, ha chiesto che la propria pensione di reversibilita' fosse riliquidata ai sensi dell'art. 15, comma 5, della legge n. 724/1994 - e, quindi, con applicazione dell'art. 2 della legge 27 maggio 1959, n. 324 - trattandosi di trattamento di reversibilita' avente causa da un trattamento diretto liquidato in data anteriore al 1° gennaio 1995. L'I.N.P.D.A.P. di Enna si e' costituito in giudizio con memoria depositata il 5 ottobre 2006 ed ha chiesto il rigetto del ricorso. Alla pubblica udienza di trattazione del 10 gennaio 2006 il difensore della ricorrente ha insistito per 1' accoglimento del ricorso, richiamando la copiosa giurisprudenza favorevole delle varie sezioni di questa Corte, mentre la rappresentante dell'I.N.P.D.A.P. ha chiesto il rigetto del gravame invocando l'applicazione dell'art. l, commi 774 e 776 della legge 27 dicembre 2006, n. 296. D i r i t t o Costituisce giurisprudenza ormai pacifica, in ipotesi, come nel caso di specie, di decesso di titolare di pensione diretta liquidata entro il 31 dicembre 1994, che l'eventuale trattamento di riversibilita' debba essere liquidato secondo le norme di cui all'art. 15, comma 5, legge 23 dicembre 1994, n. 724, indipendentemente dalla data della morte del dante causa, atteso che l'art. 1, comma 41, legge 8 agosto 1995, n. 335, non ha abrogato il richiamato comma 5 dell'art. 15 della legge n. 724 del 1994 (Corte dei conti Molise, sez. giurisdiz., 25 febbraio 2004, n. 36; Idem Marche, sez. giurisdiz., 1° luglio 2003, n. 480; Idem Basilicata, Sez. giurisdiz., 17 aprile 2003, n. 64; Idem SS.RR., 17 aprile 2002, n. 8; Idem Toscana, sez. giurisdiz., 12 marzo 2002, n. 151; Idem Sicilia, sez. giurisdiz., 15 ottobre 2001, n. 928). Tale consolidata esegesi giurisprudenziale, pero', trova oggi impedimento nell'art. 1, commi 774 e 776, della legge n. 296/96, con i quali il legislatore ha disposto che l'estensione della disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell'ambito del regime dell'assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive e sostitutive di detto regime prevista dall'art. 1, comma 42, delle legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che per le pensioni di reversibilita' sorte a decorrere dall'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l'indennita' integrativa speciale gia' in godimento da parte del dante causa, parte integrante del complessivo trattamento pensionistico percepito, e' attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilita', stabilendo nel contempo che e' abrogato l'art. 15, comma 5, della legge 213 dicembre 1994, n. 724. Con norma di interpretazione autentica (art. 1, comma 774, legge n. 296/06) quindi, il legislatore ha stabilito che debba seguirsi un'esegesi diametralmente opposta a quella sin qui praticata da questa Corte e l'applicazione di tale norma interpretativa condurrebbe, come conseguenza, al rigetto del ricorso. Sussistono, opero', ad avviso di questo giudice, fondati dubbi che il legislatore, oltrepassando i limiti di ragionevolezza, abbia definito interpretativa una disciplina che, invece, ha natura innovativa. In conformita' ad una costante giurisprudenza costituzionale (cfr. la sent. n. 233 del 1988), va riconosciuto carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo e' espresso dalla coesistenza delle due norme (quella precedente e l'altra successiva che ne esplicita il significato), le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi anche idonee ad essere modificate separatamente. La disposizione censurata (comma 774 citato) pretende di interpretare l'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 in relazione alla sua compatibilita' o meno con la sopravvivenza nel sistema dell'art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, disposizione, quest'ultima, dalla quale scaturirebbe il diritto della ricorrente all' accoglimento della domanda. Tuttavia, la diversita' tra la vecchia disciplina e quella introdotta dal citato comma 774 e' pienamente avvertita dallo stesso legislatore (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 155/1990), il quale nel presentare il tutto come un'operazione ermeneutica espressamente stabilisce, al successivo comma 776, l'abrogazione dell'art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, dando cosi' nel contempo atto della vigenza, fino a quel momento, di quest'ultima norma la quale, per contro, se si fosse trattato di un'interpretazione autentica, non avrebbe avuto bisogno di alcuna abrogazione espressa, in quanto la sua espunzione dal sistema si sarebbe dovuta profilare come effetto diretto ed immediato dell'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 come interpretato dal citato comma 774. Si evidenzia, pertanto, un insanabile contrasto logico-giuridico tra l'assenta natura interpretativa del citato comma 774 e la disposizione di cui al successivo comma 776. In tale quadro appare evidente che si e' fuori dall'ambito di un'interpretazione autentica e che con il combinato disposto di cui ai commi 774 e 776 dell'art. l della legge n. 296/2006 il legislatore ha notevolmente modificato (in pejus per i pensionati) la disciplina precedente, illegittimamente disponendo peraltro che quello era il significato della normativa preesistente. Cadrebbe, cosi', con la qualifica di iterpretazione autentica impropriamente attribuita la conseguente efficacia retroattiva, e pertanto, la nuova disciplina derivante dai commi 774 e 776 citati sarebbe applicabile secondo la disciplina generale della legge nel tempo e, cioe', solo per le pensioni di reversibilita' liquidate dal 10 gennaio 2007. Indubbiamente l'interesse pubblico che caratterizza l'intera materia delle finanza pubblica (avendo la norma interpretativa un'evidente finalita' di contenimento della spesa) coinvolge il fondamentale valore costituzionale dell'equilibrio di bilancio; ma, in uno Stato di diritto, qualsiasi bene giuridico non puo' trovare tutela se non secondo le regole obiettive poste dalla normativa costituzionale. Il bene tutelato - anche se come nella specie, particolarmente importante, anzi addirittura essenziale, non puo' permettere la violazione della disciplina delle fonti legislative, la quale deve essere rigorosamente osservata a garanzia dell'intera comunita' nazionale e per la credibilita' stessa dell'ordinamento democratico statuale (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 155/1990). Per contro nella specie sembrerebbe che il legislatore abbia arbitrariamente distorto la tipica funzione dell'interpretazione autentica (alla quale si deve far ricorso con attenta e responsabile moderazione) con il connaturato effetto retroattivo. Ne', intuitivamente, sarebbe possibile prendere in considerazione soltanto tale effetto (retroattivo) prescindendo dalla qualificazione della norma, giacche' esso discende rigorosamente dalla suddetta qualificazione e non e' stato voluto dal legislatore in maniera autonoma. Senza dire che l'ipotizzato orientamento incontrerebbe le obiezioni concernenti la certezza dei rapporti giuridici. Non puo' omettersi di rilevare che l'irretroattivita' costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 11 preleggi) e, se pur non elevato, fuori della materia penale, a dignita' costituzionale (art. 25, secondo comma, Cost.), rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva e grave causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 155/1990), a maggior ragione quando si tratti di incedere su situazioni di diritto soggettivo come il trattamento di quiescenza gia' in godimento. Conclusivamente in base alle suesposte considerazioni sembra piu' che fondato il dubbio che la previsione interpretativa-retroattiva in esame sia viziata da irrazionalita' e violi pertanto il ricordato principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. In conclusione, stante l'inequivoca irrazionalita' in cui sembra essere incorso il legislatore, che ha utilizzato l'interpretazione autentica, al di la' della funzione che le e' propria, si puo' ipotizzare, in riferimento all'art. 3 Cost., l'illegittimita' costituzionale del cit. art. 1, comma 774, della legge n. 296/2006. La questione e' rilevante al fine del decidere, poiche' solo all' accoglimento della questione di costituzionalita' nei termini qui prospettati potrebbe conseguire quello della domanda proposta dalla ricorrente nel presente giudizio. Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e gli atti rimessi alla Corte costituzionale.