ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 39 del decreto
legislativo  8  giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilita'
amministrativa  delle  persone  giuridiche,  delle  societa'  e delle
associazioni   anche   prive   di  personalita'  giuridica,  a  norma
dell'art. 11  della  legge  29 settembre  2000, n. 300), promosso con
ordinanza  del  3 marzo  2006  dal Tribunale di Gela nel procedimento
penale a carico di Costanzo Vincenzo, iscritta al n. 416 del registro
ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 43, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 maggio 2007 il giudice
relatore Sabino Cassese.
    Ritenuto  che  il  giudice  monocratico  del Tribunale di Gela ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 24 e 111 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 39 del decreto
legislativo  8  giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilita'
amministrativa  delle  persone  giuridiche,  delle  societa'  e delle
associazioni   anche   prive   di  personalita'  giuridica,  a  norma
dell'art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300);
        che la disposizione impugnata prevede che l'ente partecipa al
procedimento  penale  con il proprio rappresentante legale, salvo che
questi   sia   imputato   del   reato   da   cui  dipende  l'illecito
amministrativo  (comma  1);  disciplina  le modalita' di costituzione
dell'ente  che intende partecipare al procedimento (comma 2), nonche'
la   procura  e  le  modalita'  di  deposito  della  stessa;  infine,
stabilisce  che,  se  non  compare  il  rappresentante legale, l'ente
costituito e' rappresentato dal difensore (comma 4);
        che, in ordine al processo innanzi a lui pendente, il giudice
rimettente  afferma  solo che la societa' e' stata tratta a giudizio,
con  decreto  del  giudice  dell'udienza  preliminare, in persona del
legale  rappresentante e che quest'ultimo e' stato «tratto a giudizio
personalmente come imputato dei medesimi reati»;
        che  il  giudice  a  quo  -  descritto  in generale il quadro
normativo, anche con riferimento alla legge delega - mette in risalto
il  conflitto  di  interessi  che  puo'  determinarsi tra l'ente e il
proprio rappresentante legale, quando questi e' imputato del reato da
cui  dipende  l'illecito  amministrativo,  oltre  a soffermarsi sulla
scelta  del  legislatore  delegato di affidare ogni determinazione in
ordine  alla  difesa dell'ente al rappresentante legale dello stesso,
quale  soggetto  idoneo  ad una efficace difesa, stante la conoscenza
della relativa organizzazione;
        che, tutto cio' premesso, il giudice afferma che la questione
di  legittimita'  costituzionale e' rilevante ai fini della decisione
del  processo  e  non  manifestamente  infondata  in riferimento agli
artt. 24 e 111 Cost;
        che,  in  particolare,  la mancanza di una disciplina volta a
garantire  una  adeguata  difesa  alla  persona giuridica, «tratta in
giudizio»   in   conflitto   di   interessi  con  il  proprio  legale
rappresentante,  mediante  il  superamento  del conflitto (ad esempio
secondo  lo  schema  previsto  dall'art. 71  del  codice di procedura
penale  in  materia  di  sospensione del procedimento per incapacita'
dell'imputato),   oltre  che  l'assenza  di  un  «regime  processuale
sanzionatorio»  per l'ipotesi in cui «comunque, l'ente venga tratto a
giudizio   in   persona  del  legale  rappresentante  in  conflitto»,
violerebbero l'art. 24 Cost., a tenore del quale la difesa e' diritto
inviolabile in ogni stato e grado del processo;
        che  lo  stesso  vuoto  normativo,  «eludendo  di  fatto»  la
possibilita'  per  l'ente  di  partecipare  efficacemente al giudizio
mediante  la  predisposizione  delle proprie difese nei confronti del
(eventualmente contro il) proprio rappresentante legale in conflitto,
violerebbe   il   generale  principio  del  giusto  processo  fissato
dall'art. 111 Cost.;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  e,  in
subordine, infondata;
        che,   secondo  la  difesa  erariale,  la  questione  sarebbe
inammissibile  per  difetto  di  rilevanza  perche',  ai  fini  della
sussistenza  del  conflitto,  non  e' sufficiente - come ritenuto dal
giudice  rimettente  -  che il legale rappresentante sia imputato del
reato  da  cui  dipende  l'illecito amministrativo, ma e' «necessario
precisare,  in  concreto,  in  relazione alla fattispecie, in cosa il
dedotto conflitto si sostanzi»;
        che, comunque, sarebbe infondata perche' la persona giuridica
puo'  risolvere  il conflitto con gli strumenti societari - nominando
un  nuovo rappresentante legale o un rappresentante legale con poteri
limitati  alla gestione del processo - e partecipare cosi' pienamente
al   processo   a   suo  carico;  invece,  se  conferma  come  legale
rappresentante  l'imputato persona fisica, sceglie consapevolmente la
posizione di contumace.
    Considerato  che nell'ordinanza di rimessione si rinvengono gravi
carenze nella descrizione della fattispecie;
        che,  infatti, non risulta di quali reati risponde in proprio
il  legale  rappresentante e di quali reati risponde la societa'; ne'
se la societa' si e' costituita, ai sensi dell'art. 39 censurato, con
il  rappresentante legale imputato personalmente, ovvero con un nuovo
rappresentante legale, o con un rappresentante nominato appositamente
per  il  processo;  oppure  se la societa' non si e' costituita ed e'
stata dichiarata contumace;
        che,  pertanto,  non  risultando  dall'ordinanza  l'esistenza
delle  condizioni  per  l'applicabilita'  della  norma  censurata nel
giudizio   principale,  la  questione  va  dichiarata  manifestamente
inammissibile  per  difetto di motivazione sulla rilevanza (ordinanza
n. 36 del 2007);
        che, inoltre, il giudice lamenta: a) l'esistenza di un «vuoto
normativo»,   non   avendo   il  legislatore  dettato  «una  compiuta
disciplina»  idonea  a  garantire  una  adeguata  difesa alla persona
giuridica,  «tratta  in  giudizio»  in  conflitto di interessi con il
proprio legale rappresentante, mediante il superamento del conflitto;
b) «la mancata previsione di un regime processuale sanzionatorio» per
l'ipotesi in cui «comunque, l'ente venga tratto a giudizio in persona
del legale rappresentante in conflitto»;
        che  il giudice rimettente si limita a invocare una soluzione
dei  problemi  denunciati,  senza formulare alcuna domanda specifica,
lasciando  cosi'  indeterminato  il  possibile  intervento  di questa
Corte,  con  conseguente  manifesta  inammissibilita' della questione
anche per tale profilo (ordinanza n. 35 del 2007).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.