Ricorso  della Regione Lombardia, in persona del presidente della
giunta   regionale   pro   tempore,   on. dott.   Roberto  Formigoni,
autorizzato  con  delibere  di giunta regionale n. VIII/004745 del 18
maggio  2007  e  n. VIII/004776  del  30 maggio 2007, rappresentata e
difesa,  come  da mandato a margine del presente atto, dagli avv. Pio
Dario Vivone e prof. Beniamino Caravita di Toritto e presso lo studio
del  secondo elettivamente domiciliata in Roma, via di Porta Pinciana
n. 6;

    Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dei commi 1, 1-bis,
1-ter,   1-quater,   1-quinquies,   1-sexies,   2,  3,  8-bis,  8-ter
dell'art. 13 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7 («Misure urgenti
per  la  tutela  dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo
sviluppo  di  attivita'  economiche,  la nascita di nuove imprese, la
valorizzazione    dell'istruzione    tecnico-professionale    e    la
rottamazione  di  autoveicoli») recante «Misure urgenti in materia di
istruzione  tecnico-professionale  e di valorizzazione dell'autonomia
scolastica.   Misure  in  materia  di  rottamazione  di  autoveicoli.
Semplificazione  del procedimento di cancellazione dell'ipoteca per i
mutui immobiliari. Revoca delle concessioni per la progettazione e la
costruzione  di  linee  ad  alta  velocita'  e nuova disciplina degli
affidamenti   contrattuali   nella  revoca  di  atti  amministrativi.
Clausola  di  salvaguardia.  Entrata  in  vigore»,  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale 1° febbraio 2007, n. 26, cosi' come convertito con
modificazioni  dalla  legge  2  aprile  2007, n. 40, pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  del  2  aprile  2007, supplemento ordinario, per
violazione degli artt. 117, 118, 119, 70, 76 e 77 della Costituzione,
nonche'   dei   principi   costituzionali   di  leale  collaborazione
(art. 120), di buon andamento (art. 97) e di ragionevolezza (art. 3).

                              F a t t o

    Il  Governo,  con  il  d.l.  n. 7  del 2007, ha ritenuto di dover
intervenire  in modo immediato con «talune misure urgenti, necessarie
a rimediare ad ostacoli che limitano lo sviluppo economico del Paese,
i  diritti dei consumatori e la concorrenza, in relazione all'attuale
contingenza   economica,   nonche'  in  relazione  alla  presenza  di
situazioni  di  grave  anomalia  rispetto  ai  principi  comunitari e
costituzionali,   piu'   volte   segnalate  anche  dalle  istituzioni
comunitarie e dall'Autorita' garante della concorrenza e del mercato»
(cfr.  Relazione  presentata  dal  Governo  al  disegno  di  legge di
conversione).
    L'art. 13   del   d.l.   31  gennaio  2007,  n. 7  (c.d.  decreto
Bersani-bis),  recante «Disposizioni urgenti in materia di istruzione
tecnico-professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica»,
presenta    diversi    e    pregnanti   profili   di   illegittimita'
costituzionale.
    Esso, infatti, contiene una serie di norme che modificano in modo
significativo  alcune  disposizioni  del  d.lgs.  n. 226 del 2005, di
attuazione  della  legge  delega n. 53 del 2003, avente ad oggetto il
riordino del secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione.
    In  via preliminare e' opportuno mettere a fuoco il quadro che si
verrebbe a delineare a seguito di tale atto governativo profondamente
illegittimo.
    All'interno  di  un  complesso  di  norme eterogenee, inerenti ad
ambiti  materiali estremamente differenziati, l'art. 13 del d.l. n. 7
del  2007,  convertito con modifiche dalla legge n. 40 del 2007, reca
alcune  disposizioni  relative  alla  «valorizzazione dell'istruzione
tecnico-professionale».
    In  particolare  si  tratta dei commi dall'1 all'8-ter contenenti
«Disposizioni  urgenti in materia di istruzione tecnico-professionale
e di valorizzazione dell'autonomia scolastica».
    1.  -  Il  primo  comma ridefinisce  il  sistema  dell'istruzione
secondaria superiore (gia' disciplinato dal d.lgs. n. 226 del 2005, e
successive  modificazioni),  comprendendovi ora i licei, gli istituti
tecnici  e gli istituti professionali finalizzati al conseguimento di
un diploma di istruzione secondaria. Si tratta degli istituti tecnici
e   professionali   gia'   menzionati   e  disciplinati  dal  comma 2
dell'art. 191  del  Testo  unico  delle  disposizioni  legislative in
materia di istruzione di cui al d.lgs. n. 297 del 1994.
    Il   comma 1  dell'art. 13  del  d.l.  n. 7  provvede  inoltre  a
rimodellare  il  primo  periodo  del  comma 6  dell'art. 2 del d.lgs.
n. 226  del  2005.  Sopprime  le parole «economico» e «tecnologico» e
sostituisce   il   precedente  comma 8  con  una  nuova  norma  cosi'
concepita: «i percorsi del liceo artistico si articolano in indirizzi
per  corrispondere ai diversi fabbisogni formativi»; abroga infine il
comma 7 dell'art. 2 e gli artt. 6 e 10.
    Dal  coordinamento delle modifiche e delle abrogazioni ne risulta
un  sistema  dei licei che comprende ora i licei artistico, classico,
linguistico,  musicale e coreutico, scientifico e delle scienze umane
e  non  piu' i licei economico e tecnologico. Conseguentemente, viene
meno  la  previsione  per  i  licei  economico  e tecnologico «di una
consistente area di discipline e attivita' tecnico-professionali tale
da  assicurare  il  perseguimento  delle  finalita' e degli obiettivi
inerenti alla specificita' dei licei medesimi» prevista dall'abrogato
comma 7  e  sono  abrogate le previsioni contenute negli artt. 6 e 10
dedicate ai soppressi licei economico e tecnologico.
    Il  comma 1-bis  dell'art. 13  del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come
convertito  con  modifiche dalla legge n. 40 del 2007, stabilisce poi
che  gli istituti tecnici e gli istituti professionali ricompresi nel
sistema dell'istruzione secondaria superiore, di cui al comma 1, sono
«riordinati  e  potenziati  come  istituti  tecnici  e  professionali
finalizzati istituzionalmente al conseguimento del diploma». Inoltre,
e'  precisato  che  gli  istituti  di istruzione secondaria superiore
devono attivare ogni opportuno collegamento con il mondo del lavoro e
dell'impresa,  compresi il «volontariato» e il «privato sociale», con
la formazione professionale, con l'universita' e la ricerca e con gli
enti locali, al fine di predisporre il «Piano dell'offerta formativa»
secondo  quanto  previsto  dall'art. 3  delle  «Norme  in  materia di
autonomia  delle  istituzioni  scolastiche», poste dal d.P.R. 8 marzo
1999, n. 275.
    Il   comma 1-ter,   nell'ambito   del   complessivo   riordino  e
potenziamento  disposto dal provvedimento, prevede inoltre l'adozione
di  regolamenti  adottati  con  decreto  del  Ministro della pubblica
istruzione  (ai  sensi  dell'art. 17, comma 3, della legge n. 400 del
1988),  previo  parere  delle  competenti Commissioni parlamentari da
rendere  entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione
dei  relativi schemi, decorso il quale i regolamenti possono comunque
essere adottati, i suddetti regolamenti definiscono:
        la riduzione del numero degli attuali indirizzi;
        l'ammodernamento  degli  stessi  nell'ambito  di ampi settori
tecnico-professionali, articolati in un'area di «istruzione generale,
comune a tutti i percorsi», e in aree di «indirizzo»;
    i regolamenti devono altresi' prevedere:
        la scansione temporale dei percorsi e i relativi risultati di
apprendimento;
        la   previsione   di  un  monte  ore  annuale  delle  lezioni
sostenibile  per  gli  allievi  nei  limiti del monte ore complessivo
annuale  gia' previsto per i licei economico e tecnologico dal d.lgs.
17  ottobre  2005,  n. 226,  e  del  monte ore complessivo annuale da
definire  ai sensi dell'art. 1, comma 605, lettera f), della legge 27
dicembre 2006, n. 296;
        la coerente riorganizzazione delle discipline di insegnamento
al  fine  di  potenziare  le  attivita'  laboratoriali, di stage e di
tirocini;
        l'orientamento   agli   studi   universitari   e  ai  sistema
dell'istruzione e formazione tecnica superiore.
    Secondo  quanto  disposto  dal comma 1-quater, i regolamenti sono
adottati   entro  il  31  luglio  2008;  viene  quindi  stabilita  la
decorrenza   dei   nuovi   percorsi  formativi  a  partire  dall'anno
scolastico  e  formativo  2009-2010  invece  che  dall'anno 2008-2009
(modificando  cosi'  la  precedente previsione dell'art. 27, comma 4,
primo   periodo   del   d.lgs.   n. 226   del   2005,   e  successive
modificazioni).
    Al  fine  di  realizzare  raccordi  organici tra i percorsi degli
istituti   tecnico-professionali   e   i  percorsi  di  istruzione  e
formazione professionale finalizzati al conseguimento di qualifiche e
diplomi  professionali  di  competenza  delle  regioni compresi in un
apposito repertorio nazionale, viene prevista (dal comma 1-quinquies)
l'adozione  di  apposite  linee guida, predisposte dal Ministro della
pubblica istruzione d'intesa con la Conferenza unificata Stato-citta'
ed autonomie locali.
    Il  comma 1-sexies  precisa  che  l'attuazione  delle  previsioni
normative  recate  dai  commi da 1-bis a 1-quinquies dell'art. 13 del
decreto  deve  avvenire  senza  nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica e nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente.
    2.  -  Il  comma 2  dell'art. 13  prevede  la  possibilita',  nel
rispetto   dell'autonomia   delle  istituzioni  scolastiche  e  delle
competenze degli enti locali e delle regioni, di costituire in ambito
provinciale  o  sub-provinciale, «poli tecnico-professionali» tra gli
istituti  tecnici  e  gli  istituti professionali, le strutture della
formazione professionale accreditate ai sensi dell'art. 1, comma 624,
della  legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), e le strutture
che  operano  nell'ambito  del  sistema  dell'istruzione e formazione
tecnica  superiore,  denominate  «istituti  tecnici  superiori»,  nel
quadro  della  riorganizzazione  di  cui all'art. 1, comma 631, della
legge finanziaria 2007.
    I  «poli»,  secondo  le  previsioni del decreto, «sono costituiti
sulla  base  della programmazione dell'offerta formativa, comprensiva
della  formazione  tecnica  superiore,  delle regioni, che concorrono
alla  loro  realizzazione  in  relazione  alla  partecipazione  delle
strutture formative di competenza regionale».
    Le  istituzioni scolastiche potranno costituire consorzi pubblici
e  privati  (o aderire a consorzi gia' esistenti) per la costituzione
dei  «poli»  (tra le cui finalita' il decreto individua la promozione
«in   modo  stabile  e  organico»  della  «diffusione  della  cultura
scientifica  e  tecnica»  e  il sostegno delle misure per la crescita
sociale,  economica  e  produttiva  del  Paese)  al fine di garantire
l'applicazione  del Piano dell'offerta formativa e per l'acquisizione
di  beni  e  servizi  idonei  ad  agevolare lo svolgimento dei propri
compiti di carattere formativo.
    Viene  altresi'  precisato  che  i  «poli» si doteranno di propri
organi (da definire nelle relative convenzioni). Anche in questi casi
le  previsioni  del  decreto dovranno venir attuate nell'ambito delle
risorse  umane,  strumentali e finanziarie disponibili a legislazione
vigente,  senza  nuovi  o  maggiori  oneri  per la finanza pubblica e
facendo  salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle
Province  autonome  di  Trento  e  di Bolzano, in conformita' ai loro
statuti e alle relative norme di attuazione.
    3.  -  Il  comma 3  apporta alcune modifiche al testo unico delle
imposte   sui   redditi  (d.P.R.  22  dicembre  1986,  n. 917)  e  in
particolare:
        viene  prevista la detraibilita' ai fini fiscali di tutte che
«le  erogazioni  liberali  a favore degli istituti scolastici di ogni
ordine  e grado, statali e paritari senza scopo di lucro appartenenti
al  sistema  nazionale di istruzione di cui alla legge 10 marzo 2000,
n. 62  (Norme  per  la  parita' scolastica e disposizioni sul diritto
allo   studio   e   all'istruzione),   e   successive  modificazioni,
finalizzate  all'innovazione  tecnologica,  all'edilizia scolastica e
all'ampliamento   dell'offerta  formativa;  la  detrazione  spetta  a
condizione  che il versamento di tali erogazioni sia eseguito tramite
banca  o  ufficio  postale  ovvero  mediante  gli  altri  sistemi  di
pagamento previsti dall'art. 23 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241»;
        analogamente e' stabilita la deducibilita' per «le erogazioni
liberali  a  favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado,
statali  e  paritari  senza  scopo  di  lucro appartenenti al sistema
nazionale  di  istruzione  di  cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62, e
successive  modificazioni,  finalizzate  all'innovazione tecnologica,
all'edilizia scolastica e all'ampliamento dell'offerta formativa, nel
limite  del  2  per cento del reddito d'impresa dichiarato e comunque
nella  misura  massima  di  70.000  euro annui; la deduzione spetta a
condizione  che il versamento di tali erogazioni sia eseguito tramite
banca  o  ufficio  postale  ovvero  mediante  gli  altri  sistemi  di
pagamento previsti dall'art. 23 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241.
        Il  comma 4  da'  conto  della  copertura finanziaria per gli
oneri  derivanti  dalle modifiche introdotte dal comma 3 dell'art. 13
del decreto. Valutata l'entita' della spesa in 54 milioni di euro per
l'anno  2008  e  in 31 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009, il
d.-l.  precisa che si provvedera', per l'anno 2008, mediante utilizzo
delle  disponibilita'  esistenti  sulle  contabilita' speciali di cui
all'art. 5-ter   del   d.l.   n. 452  del  2001  1)  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  n. 16  del  2002,  che a tale fine sono
vincolate per essere versate all'entrata del bilancio dello Stato nel
predetto anno. Vengono poi demandati ad un decreto del Ministro della
pubblica   istruzione   (adottato   di   concerto   con  il  Ministro
dell'economia  e  delle  finanze  e emanato entro trenta giorni dalla
data  di  entrata  in vigore del decreto) «criteri e modalita' per la
determinazione  delle  somme  da vincolare su ciascuna delle predette
contabilita'  speciali  ai  fini del relativo versamento». Viene allo
scopo  autorizzato  il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze ad
apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
    Il  comma 6 attribuisce al Ministro dell'economia e delle finanze
le   funzioni   di   monitoraggio   degli   oneri   determinati   dai
provvedimenti,  anche  ai  fini dell'adozione dei correttivi previsti
dalle  norme  relative  alla  contabilita'  generale  dello  Stato in
materia di bilancio e di copertura finanziaria delle leggi.
    La  norma  prevede  inoltre  che gli eventuali decreti correttivi
emanati prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti siano
tempestivamente   trasmessi   alle   Camere,  corredati  da  apposite
relazioni  illustrative  (secondo  quanto  previsto  dalle richiamate
norme in materia di bilancio e copertura finanziaria delle leggi e in
particolare  dall'art. 11-ter,  commi  2  e 7, della legge n. 468 del
1978, e successive modificazioni).
    Coerentemente  con  quanto  previsto  in precedenza, e' stabilito
inoltre che il Ministro della pubblica istruzione riferisce, dopo due
anni   di  applicazione,  alle  competenti  Commissioni  parlamentari
sull'andamento   delle   erogazioni  liberali  previste  dal  comma 3
dell'art. 13 del decreto.
    Il  seguente  comma 7  preclude  ai soggetti che hanno effettuato
donazioni  alle  istituzioni scolastiche la possibilita' di far parte
del  consiglio  di istituto e della giunta esecutiva delle stesse. Il
divieto  tuttavia  non  si  applica  per  le  donazioni di valore non
superiore  a  2000  euro  in  ciascun  anno  scolastico.  Il  comma 7
chiarisce  che  i dati relativi alle dichiarazioni liberali di cui al
comma 3  e  in  particolare  quelli  concernenti  la persona fisica o
giuridica  che  le  ha  effettuate sono dati personali ai sensi delle
leggi vigenti in materia (in particolare del d.lgs. n. 196 del 2003).
    Il  comma 8  stabilisce  poi  che  le  disposizioni fiscali hanno
effetto  a  decorrere  dal periodo di imposta in corso dal 1° gennaio
2007.
    4.  -  Il seguente comma 8-bis dispone alcune modifiche al d.lgs.
n. 226 del 2005 in materia di «Definizione delle norme generali e dei
livelli  essenziali  delle  prestazioni sul secondo ciclo del sistema
educativo  di  istruzione  e formazione ai sensi della legge 28 marzo
2003,  n. 53».  In  particolare,  il  testo  del  comma 1 dell'art. 1
coordinato con le modifiche apportate risulta cosi' formulato:
    «Il   secondo   ciclo  del  sistema  educativo  di  istruzione  e
formazione  e'  costituito  dal  sistema  dell'istruzione  secondaria
superiore  e  dal sistema dell'istruzione e formazione professionale.
Assolto  l'obbligo  di  istruzione di cui all'art. 1, comma 622 della
legge  27  dicembre  2006,  n. 296, nel secondo ciclo si realizza, in
modo  unitario, il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione di
cui al d.lgs. 15 aprile 2005, n. 76».
    5.   -   Infine,   il  comma 8-ter  espressamente  esclude  dalle
abrogazioni  previste  dall'art. 31,  comma 2  del  d.lgs. n. 226 del
2005,  quelle  disposizioni  del  d.lgs.  n. 197  del  1994 che fanno
riferimento  agli istituti tecnici e professionali. In sostanza, tali
istituti sono salvati dall'abrogazione.
    Alla  luce  della descrizione fin qui svolta emerge con chiarezza
un  assetto normativo connotato da un'unica volonta' di fondo: quella
di  riscrivere  in  modo  illegittimo  l'intera struttura del secondo
ciclo  dell'istruzione  determinando  effetti sostanziali non solo su
questo specifico percorso, ma nel sistema formativo considerato nella
sua interezza.
    Una  illegittimita'  resa ancor piu' grave dal metodo unilaterale
scelto dal Governo e dallo strumento, un d.l., dunque strutturalmente
inadeguato  per  una  riforma  di  sistema  e peraltro caratterizzato
dall'essere  un  decreto  omnibus, cioe' un enorme contenitore di una
serie  eterogenea  di  disposizioni rivolte alla modifica dei settori
piu'  disparati (giova sul punto far presente come il comma 8-quater,
successivo  all'ultimo  che  si  occupa  del settore dell'istruzione,
lungi  da una sorta di continuita' col filone precedente, affronta il
tema del contenimento delle emissioni inquinanti dei veicoli!).
    Il    provvedimento,    gravemente    lesivo   delle   competenze
costituzionalmente  garantite  alla Regione Lombardia, e' illegittimo
per le seguenti ragioni di

                            D i r i t t o

    1.  -  Illegittimita'  costituzionale  dei commi 1, 1-bis, 1-ter,
1-quater,  1-quinquies,  1-sexies, 2, 3, 8, 8-bis, 8-ter dell'art. 13
del  d.l.  n. 7  del  2007,  cosi'  come  modificati  dalla  legge di
conversione n. 40 del 2007, per violazione degli artt. 117, 118, 119,
120, e dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e buon andamento
(art. 97 Cost.).
    La  portata  «innovativa»  e  del  tutto  illegittima,  oltre che
irragionevole,  dell'intervento  del  legislatore  statale  riesce  a
palesarsi  in  modo  definitivo  a  seguito della ricostruzione della
disciplina  normativa del processo di riforma del settore istruzione,
con uno sguardo particolare rivolto alla formazione professionale.
    1.1. - La formazione professionale nel sistema dell'istruzione.
    1.1.1. - Lo scenario pre-riforma costituzionale.
    Il  settore  della  «formazione  professionale» si e', da sempre,
mosso in una dimensione distinta rispetto a quella della istruzione.
    Gia' nella pre-unitaria Legge Casati (legge n. 3725 del 1859), la
formazione  professionale  era inserita entro l'area dell'«istruzione
tecnica»  che  rappresentava  un  canale  di istruzione professionale
post-elementare   costituito   da   «scuole   tecniche»   (biennali),
finalizzate   alla   preparazione  per  lo  svolgimento  di  mestieri
«semplici»,  e (in secondo grado) da «istituti tecnici», rivolti alle
attivita'  di livello intermedio. Le une e gli altri avevano un forte
radicamento  nelle  realta'  economiche  locali  e, anzi, nascevano e
operavano  per  iniziativa  e  con  il  sostegno finanziario - spesso
congiunto   -  di  associazioni  industriali,  camere  di  commercio,
fondazioni,  enti  locali.  Di  qui,  la loro «autonomia» dal sistema
scolastico    statale,    con    ordinamenti   didattici   largamente
autodeterminati   in  funzione  dell'addestramento  alle  professioni
richieste dall'economia locale.
    Con  la  legge  n. 889  del  1931,  le  «scuole  tecniche»  e gli
«istituti tecnici» furono annessi all'ordinamento scolastico statale,
con una marcata accentuazione della loro strumentalita' alle esigenze
della  produzione  e  con  l'eliminazione  di  ogni possibile accesso
all'istruzione  universitaria  (prima  consentito  tramite la sezione
fisico-matematica degli istituti tecnici).
    1.1.2.   -   L'avvento   della   Costituzione   nel  1947  segno'
profondamente  anche  il  settore  de  quo:  da  un lato, infatti, si
riconobbe  il diritto dei lavoratori alla formazione e all'elevazione
professionale  (art. 35,  comma 2)  e,  dall'altro, si attribui' alla
competenza  delle  costituende  regioni  la  materia dell'«istruzione
artigiana e professionale» (art. 117, comma 1 del testo originario).
    Senonche',  l'ordinamento  italiano  non conosceva, all'epoca, un
tale  ordine  di  istruzione,  onde si ritenne che il costituente non
potesse che riferirsi alla formazione professionale extrascolastica.
    Su questo presupposto, il Ministero della pubblica istruzione, in
attesa  dell'attuazione  dell'ordinamento  regionale,  prima  in  via
sperimentale  e  poi  -  a  partire dal 1950 - in via sistematica, ha
provveduto   a   trasformare   le   «scuole  tecniche»  in  «istituti
professionali»,   collocati  nell'istruzione  secondaria  statale  di
secondo  grado  e  abilitati  (dopo  un  corso  di  due o tre anni) a
rilasciare titoli di studio riconosciuti sul mercato del lavoro.
    Sul presupposto che la Costituzione, nell'attribuire alle regioni
l'«istruzione  artigiana e professionale» si fosse riferita alla sola
formazione   professionale  extrascolastica,  il  decentramento  alle
regioni  della  materia  «formazione  artigiana  e  professionale»  -
operato,  prima, dal d.P.R. n. 10/1972 e, poi, dal d.P.R. n. 616/1977
e    dalla   legge   n. 845/1978   (legge-quadro   sulla   formazione
professionale)  -  ha riguardato tutte le attivita' formative che non
si concludessero con il rilascio di un titolo di studio.
    Sia   nell'ambito  della  formazione  professionale,  svolta  con
finalita'  «addestrative»  al  di  fuori del sistema scolastico e con
sbocchi   unicamente   lavorativi,  sia  nell'ambito  dell'istruzione
professionale,  svolta  all'interno  del  sistema  scolastico  e  con
possibili   sbocchi   nel   mondo   del  lavoro,  ovvero  -  dopo  il
«prolungamento»  a cinque anni dei corsi degli istituti professionali
(1969-1970)  - nella frequenza di una facolta' universitaria, insiste
un'attivita'  regionale  significativa. Tale competenza ha fondato la
sua  giustificazione  nella necessita' che il complicato rapporto tra
dimensione  formativa e dimensione pratico-lavorativa dovesse trovare
gestione  e  coordinamento  ad  un  livello istituzionale vicino alla
realta' territoriale, e quindi economica-produttiva, di riferimento.
    1.1.3.  -  Il processo di decentramento a favore delle regioni di
una  serie  di funzioni amministrative anche in materia di istruzione
muove  i  primi passi, come poc'anzi accennato, all'inizio degli anni
Settanta.  In attuazione della legge delega n. 281 del 1970, nel 1972
vengono emanati diversi decreti delegati: il d.P.R. n. 3 del 1972, in
materia   di  assistenza  scolastica,  trasferisce  alle  regioni  le
funzioni  di  tipo  economico-gestionale, con l'eccezione di tutto il
settore universitario.
    Il  d.P.R. n. 10  del 1972, recante «Trasferimento alle Regioni a
statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di
istruzione  artigiana  e  professionale e del relativo personale», ha
attribuito alle regioni (art. 1):
        i corsi di addestramento professionale;
        i corsi aziendali di riqualificazione;
        l'addestramento professionale degli artigiani;
        la formazione professionale degli apprendisti;
        l'istruzione  artigiana  e  professionale  negli  istituti  e
servizi  dipendenti  dalla  Direzione  generale  per  gli istituti di
prevenzione e di pena del Ministero di grazia e giustizia;
        la  formazione  professionale  diretta  allo  svolgimento  di
professioni sanitarie ausiliarie e di arti sanitarie ausiliarie;
        l'orientamento   e   la  qualificazione  professionale  degli
invalidi del lavoro e degli invalidi civili;
        ogni altra funzione in ordine alla formazione e addestramento
professionale  attualmente  svolta dagli organi centrali o periferici
dello  Stato,  ferme  restando  le  competenze  di  cui al successivo
art. 7.
    Nelle  funzioni  amministrative  trasferite  sono comprese anche:
1) la  vigilanza  tecnica  ed  amministrativa sullo svolgimento delle
attivita'; 2)  la concessione di sovvenzioni e finanziamenti a favore
delle  attivita'  stesse;  3) l'erogazione  di contributi a favore di
enti  ed  istituti che hanno per scopo l'addestramento e l'istruzione
artigiana   e   professionale;   4) l'acquisto,   la   locazione,  la
costruzione,  l'ampliamento e la gestione dei centri di addestramento
ed  istruzione  artigiana  e  professionale  ivi comprese le relative
attrezzature, ad eccezione di quelli destinati all'espletamento delle
funzioni di cui ai successivi artt. 7 e 8.
    In  materia  di formazione professionale codesta ecc.ma Corte, in
riferimento  alle  scuole  per  terapisti  per  la riabilitazione, ha
dichiarato  che  l'art. 5 della legge n. 118 del 1971 ha si' previsto
(comma 1)  che presso le universita' e presso enti pubblici e privati
possono  essere  istituite  scuole  per  la  formazione di assistenti
educatori,   di  assistenti  sociali  specializzati  e  di  personale
paramedico,  e  che  (comma 2)  il riconoscimento delle scuole presso
enti  avviene  con decreto del Ministro per la pubblica istruzione di
concerto  con  il  Ministro  per  la  sanita';  ma  una volta attuato
l'ordinamento   regionale   «cesseranno   di   avere   efficacia   le
disposizioni  di  quella  legge,  limitatamente  alle  materie di cui
all'art. 117  della  Costituzione»  (Corte  cost.,  sent.  n. 111 del
1975).  Pertanto  «essendo  stato  attuato l'ordinamento regionale ed
effettuato  il  trasferimento  alle  regioni  a statuto ordinario dei
poteri  amministrativi  spettanti  agli  organi statali... proprio in
materia  di  formazione di personale paramedico, il secondo comma del
citato art. 5 della legge n. 118 del 1971 ha perso la sua efficacia».
E  cosi'  la  Corte  ha  dichiarato  che  «non  spetta  allo Stato il
riconoscimento   delle  scuole  per  terapisti  della  riabilitazione
gestite  da enti pubblici o privati diversi dalle Universita', aventi
sede nel territorio di regioni a statuto ordinario».
    Il  d.P.R.  n. 616  del 1977, attuativo della legge delega n. 382
del 1975, ha proseguito il percorso di decentramento verso le regioni
e all'art. 37 ha previsto che «le istituzioni di istruzione artigiana
o  professionale,  non  abilitate al rilascio dei titoli di studio di
cui al precedente art. 35 ed aventi personalita' giuridica di diritto
pubblico,  ad eccezione degli istituti professionali e degli istituti
d'arte statali, sono trasferite alle regioni ed assumono la qualifica
di regionali».
    E'  in  questo momento storico che si colloca un'altra importante
sentenza  di codesta ecc.ma Corte nella quale la Corte ha ricostruito
«la  portata  della  «materia»...  «istruzione  professionale», quale
presente al legislatore all'atto del trasferimento alle Regioni delle
funzioni  relative,  in  adempimento  del precetto costituzionale. Il
nucleo essenziale di tale concetto emerge, con sufficiente chiarezza,
dal dibattito sviluppatosi in sede dottrinale e nelle varie occasioni
di   progettazioni   normative.   In  sostanza,  deve  ritenersi  che
l'istruzione  in  parola  superi  l'ambito  del  concetto comunemente
accolto  in  precedenza, in quanto ora si caratterizza per la diretta
finalizzazione  all'acquisizione  di  nozioni  necessarie  sul  piano
operativo  per  l'immediato  esercizio di attivita' tecnico-pratiche,
anche  se  non  riconducibili  ai  concetti  tradizionali  di  arti e
mestieri. E sotto tale profilo si distingue dalla istruzione in senso
lato,  attinente  all'ordinamento scolastico e - tranne le limitate e
transitorie  competenze regionali ex art. 4, d.P.R. 1972, n. 10 -, di
competenza  statale;  la quale, pur se impartisce conoscenze tecniche
utili  per  l'esercizio  di  una o piu' professioni, ha come scopo la
complessiva  formazione  della personalita'. Tale, dunque, essendo la
portata   della  materia  «istruzione  professionale»  di  competenza
regionale,  e'  evidente come non possa considerarsi ad essa estranea
la  regolamentazione dei corsi ex lege 1971, n. 426; i quali appunto,
non  risultano  rivolti ad una formazione culturale di tipo generale,
sibbene  a  fornire  precisamente  quelle cognizioni tecnico-pratiche
(come   le   conoscenze  merceologiche)  necessarie  per  l'esercizio
dell'attivita' di commerciante» (Corte cost., sent. n. 89 del 1977).
    Su  tali  premesse  codesta ecc.ma Corte ha quindi dichiarato che
«spetta  alle  regioni... l'istituzione e il riconoscimento dei corsi
professionali   ...   sulla  disciplina  del  commercio»,  annullando
conseguentemente   un   decreto  del  Ministro  per  l'industria,  il
commercio e l'artigianato.
    Merita  una  nota, a conclusione di questo excursus normativo, la
legge   n. 845  del  1978,  legge-quadro  in  materia  di  formazione
professionale,  dove innanzitutto e' stato ribadito (art. 2, comma 2,
successivamente   abrogato)   che   «le   iniziative   di  formazione
professionale  sono  rivolte  a  tutti  i cittadini che hanno assolto
l'obbligo   scolastico   o  ne  siano  stati  prosciolti,  e  possono
concernere  ciascun  settore  produttivo, sia che si tratti di lavoro
subordinato,  di  lavoro  autonomo, di prestazioni professionali o di
lavoro   associato»;   quindi  e'  stato  previsto  che  «le  regioni
esercitano,  ai  sensi  dell'art. 117 della Costituzione, la potesta'
legislativa in materia di orientamento e di formazione professionale»
(art. 3),  in  conformita'  ad  alcuni  principi, tra cui spiccano il
rispetto  della «coerenza tra il sistema di formazione professionale,
nelle  sue  articolazioni  ai  vari  livelli, e il sistema scolastico
generale  quale  risulta  dalle  leggi della Repubblica» (lettera a);
l'organizzazione  del sistema di formazione professionale sviluppando
le iniziative pubbliche e rispettando la molteplicita' delle proposte
formative (lettera c).
    In  definitiva,  la  formazione professionale, intesa ancora come
extrascolastica, inizia a coordinarsi con l'istruzione scolastica, ma
la  sua  organizzazione e gestione rimane di pertinenza regionale. Ad
ulteriore  riprova  di  cio', nella sentenza n. 180 del 1987, codesta
ecc.ma  Corte  ha dichiarato che «l'attivita' di formazione, sia pure
finalizzata alla costituzione di un rapporto di lavoro, in attuazione
dello scopo precipuo della legge, cioe' l'occupazione dei giovani, e'
stata  inserita  in  un  contesto  di  programmazione  regionale e di
esecuzione   facente   capo,   direttamente  o  indirettamente,  alle
Regioni».
    Con la sentenza n. 391 del 1991 codesta ecc.ma Corte ha annullato
alcuni  artt. di un decreto ministeriale una volta acquisito che «non
vi  e'  dubbio  che  siano  state  lese le competenze delle regioni e
sottratti  alla  sfera  della competenza regionale momenti essenziali
dell'organizzazione  di  corsi  professionali, che sicuramente spetta
alle  regioni  mentre  allo  Stato  e'  riservato  solo  il controllo
preventivo  sulle materie d'insegnamento (sent. Corte cost. n. 89 del
1977  e  n. 165  del  1989). La materia dell'istruzione professionale
infatti  e'  stata  delegata  alle  regioni  dagli  artt. 35 e 36 del
decreto  del  Presidente della Repubblica n. 616 del 1977. In essa si
comprendono   tutte   le  attivita'  destinate  alla  formazione,  al
perfezionamento,    alla    riqualificazione    e    all'orientamento
professionale  per  qualsiasi attivita' professionale e per qualsiasi
finalita'.  La legge-quadro in materia di formazione professionale 21
dicembre  1978,  n. 845,  ha  attribuito  alle  regioni  la  potesta'
legislativa  in materia di orientamento e di formazione professionale
(art. 3)  indicando  le  finalita'  da  realizzare  e  i  principi da
osservarsi».
    Anche  la  giurisprudenza amministrativa, chiamata a giudicare in
materia  di  formazione  professionale  (si  veda tra le ultime anche
C.d.S.,   sez.   IV,  sent.  n. 862  del  2005,  dove  la  formazione
professionale e' stata riconosciuta quale compito istituzionale delle
Regioni)  per  l'esercizio  delle  arti  ausiliarie delle professioni
sanitarie,  ha limpidamente riconosciuto che la competenza in materia
di   formazione   e   istruzione  professionale  e'  da  ritenere ...
interamante   devoluta   alla  sfera  delle  attribuzioni  regionali»
(C.d.S., sez. IV, sent. n. 510 del 1989).
    Questa  pronuncia  e'  particolarmente  rilevante  anche  perche'
risolve   eventuali  dispute  circa  la  differenza  concettuale  tra
istruzione professionale e formazione professionale, dal momento che,
sotto  il  profilo  della  loro  attribuzione,  esse costituiscono un
unicum di spettanza regionale.
    E  d'altronde  che si tratti di un unicum e' dimostrato anche dal
dato  letterale  del  testo  costituzionale  novellato  nel  2001: al
comma 3  dell'art. 117,  infatti, si parla di istruzione e formazione
professionale e cioe' si utilizza l'aggettivo professionale declinato
al  singolare  e non al plurale, come invece sarebbe stato necessario
nel  caso si fosse intesa una istruzione professionale distinta dalla
formazione  professionale.  Anche  l'argomento letterale dunque rende
evidente  come  «istruzione  e  formazione professionale» rappresenti
chiaramente  un'endiadi  attraverso  la quale si fa riferimento ad un
concetto di carattere unitario.
    1.1.4.   -   Nell'ambito   del  generale  disegno  di  riforme  e
ammodernamento del sistema amministrativo delineato dalla legge n. 59
dei  1997, il settore dell'istruzione e della formazione e' stato tra
quelli  maggiormente  coinvolti  anche  in  virtu'  di  una  serie di
interventi  specifici  volti  alla  modernizzazione degli ordinamenti
didattici,  nonche'  ad  una  nuova  configurazione  sia  del sistema
pubblico dell'istruzione sia della formazione professionale.
    Il  d.lgs.  n. 112  del  1998  e'  lo  specchio di siffatta nuova
impostazione.   E'   innanzitutto   da   segnalare  quanto  stabilito
dall'art. 138,  comma 1, che, tra le funzioni amministrative delegate
alle  regioni,  ai  sensi dell'art. 118, comma secondo, della (allora
vigente) Costituzione, ha individuato espressamente la programmazione
dell'offerta   formativa   integrata   tra  istruzione  e  formazione
professionale (lettera a).
    Il  Capo IV, dedicato alla «formazione professionale», ha fornito
ulteriori elementi di potenziamento delle funzioni regionali.
    In  primo  luogo,  si  sono  ribaditi i confini della «formazione
professionale»,  da  intendersi  come  «il complesso degli interventi
volti   al   primo   inserimento,   compresa  la  formazione  tecnico
professionale  superiore, al perfezionamento, alla riqualificazione e
all'orientamento professionali, ossia con una valenza prevalentemente
operativa,   per  qualsiasi  attivita'  di  lavoro  e  per  qualsiasi
finalita',   compresa   la   formazione   impartita   dagli  istituti
professionali,  nel  cui  ambito  non  funzionano  corsi di studio di
durata  quinquennale  per  il conseguimento del diploma di istruzione
secondaria superiore, la formazione continua, permanente e ricorrente
e   quella  conseguente  a  riconversione  di  attivita'  produttive»
(art. 141, comma 1). In secondo luogo (art. 141, comma 3), si precisa
che  la  «istruzione  artigiana  e professionale si identifica con la
formazione professionale».
    Quindi  l'art. 143 ha conferito alle regioni «tutte le funzioni e
i  compiti  amministrativi  nella  materia  formazione professionale,
salvo  quelli  espressamente mantenuti allo Stato dall'art. 142». E a
ben  guardare, tali ultime funzioni, cioe' quelle rimaste allo Stato,
sono  tutte  di  natura generale, di indirizzo e di coordinamento. Vi
rientrano, solo a titolo di esempio:
        l'individuazione     degli    standard    delle    qualifiche
professionali,  ivi  compresa  la  formazione tecnica superiore e dei
crediti formativi e delle loro modalita' di certificazione;
        la  definizione  dei  requisiti  minimi  per l'accreditamento
delle strutture che gestiscono la formazione professionale;
        la   definizione   degli   obiettivi   generali  del  sistema
complessivo   della  formazione  professionale,  in  accordo  con  le
politiche comunitarie;
        la  definizione  dei  criteri  e parametri per la valutazione
quanti-qualitativa dello stesso sistema.
    Il successivo art. 144, comma 1, ha poi trasferito alle regioni:
        a) la  formazione  e  l'aggiornamento del personale impiegato
nelle iniziative di formazione professionale;
        b) le  funzioni  e  i  compiti svolti dagli organi centrali e
periferici  del  Ministero  della  pubblica  istruzione nei confronti
degli  istituti  professionali,  trasferiti  ai sensi del comma 2 del
presente  articolo, ivi compresi quelli concernenti l'istituzione, la
vigilanza,   l'indirizzo   e  il  finanziamento,  limitatamente  alle
iniziative  finalizzate  al rilascio di qualifica professionale e non
al conseguimento del diploma.
    Il  comma 2  ha  poi disposto che «con decreto del Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  su  proposta  del Ministro per la pubblica
istruzione,  d'intesa  con  la  Conferenza  Stato-regioni, da emanare
entro   sei   mesi   dall'approvazione   del  presente  d.lgs.,  sono
individuati  e  trasferiti alle regioni gli istituti professionali di
cui all'art. 141».
    Su   questo  trasferimento  fu  previsto  un  regime  transitorio
(comma 3)  finalizzato  alla  «salvaguardia  della prosecuzione negli
studi degli alunni gia' iscritti nell'anno precedente».
    La  regionalizzazione  degli  istituti  professionali  ha trovato
definitiva  consacrazione  nel  successivo  comma 4,  dove essi hanno
assunto la qualifica di enti regionali.
    Non  va  dimenticato,  ancora che l'art. 68, comma 1, della legge
n. 144  del  1999  (poi  abrogato)  ha non solo trasformato l'obbligo
scolastico sino a 15 anni in diritto di formazione sino a 18 anni, ma
ha  stabilito  che  esso  «puo'  essere  assolto  in  percorsi  anche
integrati  di  istruzione e formazione» nel «sistema della formazione
professionale di competenza regionale» (lettera b).
    Il  forte  ruolo regionale rispetto alla formazione professionale
e'  stato  avvalorato anche da codesta ecc.ma Corte. In una pronuncia
di  poco  precedente all'entrata in vigore della Riforma del Titolo V
del  2001  si  legge  che  «il legislatore statale affida dunque alla
legislazione  regionale  il  compito  di  favorire l'integrazione tra
funzioni delegate dallo Stato (quelle relative al collocamento e alle
politiche   attive  del  lavoro)  e  attribuzioni  costituzionalmente
spettanti alle regioni ex art. 117, primo comma, Cost., quali sono le
funzioni  ed  i  compiti  in  materia di formazione professionale. La
direzione  finalistica  in  tal  modo  impressa  all'esercizio  della
potesta'  legislativa  regionale, con il coinvolgimento di competenze
proprie,   postula   che   sia   conservata   alle   Regioni   quella
discrezionalita'  organizzativa  che deve essere ad esse riconosciuta
nelle  materie  e  per  le funzioni di cui all'art. 117, primo comma,
Cost.» (Corte cost., sent. 74 del 2001).
    1.2. - Lo scenario post-riforma del Titolo V della Costituzione.
    1.2.1. - La riforma del 2001.
    Emerge  sin  qui come l'assetto istituzionale delle competenze in
materia  di istruzione e formazione abbia subito nell'ultimo decennio
una serie di rilevanti trasformazioni.
    La  logica  che le ha guidate si e' sviluppata lungo due percorsi
tra  loro coordinati: da un lato, nel campo dell'istruzione, la netta
opzione  per  l'accentuazione  dell'autonomia  scolastica finalizzata
alla   definitiva   realizzazione   di   un   sistema  di  istruzione
policentrico  e destatalizzato; dall'altro, un costante rafforzamento
del  ruolo regionale nel settore della formazione professionale, gia'
spettante   formalmente   alle   regioni   sulla   base   del   testo
costituzionale   originario.  La  legge  cost.  n. 3  del  2001,  nel
consolidamento  dell'indirizzo  riformatore  precedente, ha inserito,
per  quanto  riguarda la materia che qui ci interessa, tre novita' di
rilievo:
        la competenza concorrente sulla materia «istruzione»;
        la  costituzionalizzazione  dell'autonomia  delle istituzioni
scolastiche;
        il   riconoscimento   della   competenza   residuale,  quindi
esclusiva,  delle  Regioni  in  materia  di  «istruzione e formazione
professionale».
    Sembra  opportuno  soffermarsi,  brevemente,  sul  dato  testuale
dell'art. 117,  comma 3  Cost., nel quale sono esplicitati i suddetti
principi.  Si  legge  nel comma 3 che, tra le materie di legislazione
concorrente, vi e' l'«istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni
scolastiche  e  con  esclusione  della  istruzione e della formazione
professionale».
    Secondo  una  regola  ermeneutica  tradizionale,  le disposizioni
devono  essere  interpretate  secondo  il  senso  «fatto  palese  dal
significato  proprio  delle  parole  secondo  la connessione di esse»
(art. 12, comma 1, delle Disp. sulla legge in generale).
    Davvero  pochi,  pertanto,  sono  i  dubbi circa la reale portata
semantica  dei termine «esclusione», che non puo' essere la stessa di
(fare)   «salva»   utilizzata   in   riferimento   alle   istituzioni
scolastiche.
    L'istruzione e' dunque materia concorrente, sulla quale insistono
sia  lo  Stato  (con  i principi fondamentali) sia le regioni (con le
norme  di dettaglio). Ma entrambi, nel disciplinare tale materia, non
possono  non  tener  conto  della  presenza  di un altro soggetto, le
istituzioni   scolastiche,   cui   vengono  riconosciute  determinate
funzioni  e  la  cui autonomia, di tipo funzionale (come riconosciuto
espressamente  dal  d.P.R. n. 275 del 1999 di attuazione dell'art. 21
della  legge  n. 59  del 1997), e' tutelata a livello costituzionale.
Questo   deve   intendersi   quando   l'istruzione   diviene  materia
concorrente, «fatta salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche».
    Con  «esclusione»  dell'istruzione  e  formazione  professionale,
invece,   significa   operare  una  netta  separazione  tra  l'ambito
dell'istruzione  e quello dell'istruzione e formazione professionale.
La  prima,  l'istruzione,  e'  soggetta  ad  un  triplice  intervento
statale:   a) le   «norme  generali  sull'istruzione»  (ex  art. 117,
comma 2,  lettera n); la «determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto  il territorio nazionale» (ex art. 117, comma 2,
lettera  e)  i  principi  fondamentali, in quanto trattasi appunto di
competenza di tipo concorrente. La seconda, al contrario, in rapporto
con  la  prima, e' una materia su cui insiste la competenza esclusiva
delle Regioni, soggetta ai soli LEP statali.
    Questa  interpretazione  e'  peraltro  pienamente  conforme  alla
storia normativa della IFP.
    1.2.2. - La legge delega n. 53 del 2003.
    Sulla  base  di questo nuovo quadro costituzionale si e' mosso il
successivo  legislatore  ordinario, che con la legge delega n. 53 del
2003 (Legge «Moratti») e i conseguenti decreti delegati, ha disegnato
un nuovo sistema educativo di istruzione e di formazione.
    L'aderenza  della  legge  n. 53  rispetto  al  riformato  dettato
costituzionale  emerge  in  modo inequivocabile gia' dal Titolo della
stessa:  essa, infatti, reca la «Delega al Governo per la definizione
delle  norme  generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni  in  materia  di  istruzione e formazione professionale».
Cio'  vuol  dire  che  in  forza  di  tale  legge il Governo e' stato
delegato  ad  emanare,  per  l'istruzione,  prima ancora dei principi
fondamentali,  le  norme  generali,  ma per l'istruzione e formazione
professionale (materia esclusiva regionale) i soli livelli essenziali
delle prestazioni.
    Con  la  legge  n. 53  il  concetto  di  obbligo scolastico viene
sostituito  da  quello  di  diritto/dovere  di  istruzione. L'art. 2,
comma 1,  lettera  c)  recita:  «e'  assicurato  a  tutti  il diritto
all'istruzione  e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque,
sino  al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di
eta';  l'attuazione  di  tale  diritto  si  realizza  nel  sistema di
istruzione  e  in  quello  di  istruzione e formazione professionale,
secondo  livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale
a   norma   dell'art. 117,   secondo   comma,   lettera   m),   della
Costituzione...»  Piu' avanti, si legge che «nei termini anzidetti di
diritto  all'istruzione  e  formazione  e di correlativo dovere viene
ridefinito  ed ampliato l'obbligo scolastico di cui all'art. 34 della
Costituzione,  nonche'  l'obbligo  formativo  introdotto dall'art. 68
della legge 17 maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni».
    La  struttura  di  base del sistema e' tracciata dalla successiva
lettera  d):  «il  sistema educativo di istruzione e di formazione si
articola  nella scuola dell'infanzia, in un primo ciclo che comprende
la  scuola  primaria  e  la scuola secondaria di primo grado, e in un
secondo  ciclo  che  comprende  il  sistema  dei  licei ed il sistema
dell'istruzione e della formazione professionale».
    Esiste, dunque, un'articolazione in due cicli:
        il  primo ciclo comprende la scuola primaria, della durata di
cinque  anni,  e la scuola secondaria di primo grado, della durata di
tre anni;
        il  secondo ciclo comprende il sistema dei licei e il sistema
dell'istruzione e della formazione professionale.
    La vera novita' riguarda il secondo ciclo: esso e' costituito dal
sistema  dei  licei  e dal sistema dell'istruzione e della formazione
professionale  (art. 2,  comma 1,  lettera  g).  Il sistema dei licei
comprende   i  licei  artistico,  classico,  economico,  linguistico,
musicale e coreutico, scientifico, tecnologico, delle scienze umane.
    Ciascun  liceo,  composto  da  due  bienni  e  da  un quinto anno
dedicato  all'approfondimento  disciplinare, si conclude con un esame
di stato, il cui superamento e il conseguente possesso del Diploma di
scuola   superiore  secondaria  permette  l'accesso  all'universita',
all'alta  formazione artistica, musicale e coreutica e all'istruzione
e formazione tecnica superiore (IFTS).
    Il  sistema  dell'istruzione  e  della  formazione professionale,
alternativo   al   sistema  dei  licei,  prevede  una  durata  almeno
quadriennale.  I  titoli  e  le  qualifiche conseguiti al termine dei
quattro anni consentono di sostenere l'esame di stato, utile anche ai
fini  dell'accesso  all'universita'  e all'alta formazione artistica,
musicale e coreutica, previa frequenza di un apposito corso annuale e
ferma restando la possibilita' di sostenere, come privatista, l'esame
anche  senza  tale frequenza (art. 2, comma 1, lettera h). Al termine
del  terzo anno gli studenti ottengono una prima qualifica spendibile
nel mondo del lavoro e riconosciuta a livello europeo.
    E'  questo, dunque, il sistema costruito dalla legge delega n. 53
del 2003.
    Al  termine  dei ciclo di base comune a tutti i preadolescenti (8
anni  di  scolarita), gli studenti hanno la possibilita' di scegliere
tra  i  percorsi  liceali  mirati  alla formazione culturale e aperti
all'universita'   e   i   percorsi   di   istruzione   e   formazione
professionale,  aperti  alla  formazione  superiore, ma con finalita'
professionalizzanti  e  percio'  con  la  possibilita'  di  immediata
apertura  al  mondo del lavoro dopo il conseguimento di una qualifica
triennale.
    La  previsione  di un percorso educativo diversificato al termine
del  primo  ciclo  risponde alla differenziazione nell'approccio alla
cultura che viene a delinearsi a quella eta'. La differenziazione dei
percorsi  mira ad un obiettivo comune, vale a dire, l'acquisizione di
un  adeguato  livello culturale di base, che attraverso un sistema di
crediti,  permetta  passaggi  tra i due sottosistemi. La legge da' la
possibilita' di cambiare indirizzo all'interno del sistema dei licei,
nonche' di passare dal sistema dei licei al sistema dell'istruzione e
della  formazione  professionale  e  viceversa,  attraverso  apposite
iniziative    didattiche,   finalizzate   all'acquisizione   di   una
preparazione  adeguata  alla  nuova  scelta.  La  frequenza con esiti
positivi   di   qualsiasi   segmento   del  secondo  ciclo  determina
l'acquisizione  di  crediti certificati che possono essere utilizzati
nei passaggi tra i diversi percorsi.
    L'elemento  caratterizzante la «Riforma Moratti» sta dunque nello
sdoppiamento  del  secondo  ciclo: un sistema dei licei, appartenente
all'istruzione,   e  sul  quale  insiste  la  competenza  concorrente
Stato-regioni, e un sistema di istruzione e formazione professionale,
di  competenza  regionale esclusiva. Ennesima riprova di quest'ultima
competenza  residuale regionale la si trova nella gia' citata lettera
h)  dell'art. 2,  comma 1,  della  legge  n. 53,  dove il legislatore
statale  precisa  che  «ferma  restando  la  competenza  regionale in
materia  di  formazione  e  istruzione  professionale, i percorsi del
sistema  dell'istruzione  e della formazione professionale realizzano
profili  educativi,  culturali  e  professionali, ai quali conseguono
titoli  e qualifiche professionali di differente livello, valevoli su
tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di
prestazione di cui alla lettera c)».
    1.2.3.  -  Giova ricordare come, nelle more dell'approvazione del
decreto  delegato sul secondo ciclo di cui al d.lgs. n. 226 del 2005,
gia'  nell'anno  2002-2003  sono  state  avviate,  da parte di alcune
regioni,  sperimentazioni  dei  percorsi  formativi  di  istruzione e
formazione professionale.
    Ad  estendere a tutte le regioni le sperimentazioni ha provveduto
l'Accordo  quadro,  raggiunto  in  sede di Conferenza Unificata il 19
giugno 2003 tra il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della
ricerca  scientifica,  il  Ministro  del  lavoro  e  delle  politiche
sociali,  le  regioni,  le  province, i comuni e le comunita' montane
«per  la  realizzazione  dall'anno scolastico 2003/2004 di un'offerta
formativa sperimentale di istruzione e formazione professionale nelle
more  dell'emanazione  dei  decreti  legislativi di cui alla legge 28
marzo 2003, n. 53».
    Nella  Premessa  dell'Accordo  e'  ribadito, da un lato, che tale
offerta  formativa  «non predetermina l'assetto a regime dei percorsi
del  sistema  dell'istruzione  e della formazione professionale», che
sara'  stabilito  dai «decreti delegati previsti per l'attuazione del
diritto-dovere   di   istruzione   e   formazione»;   dall'altro,  la
titolarita'   in   capo  alle  regioni  «della  programmazione  delle
attivita'  inerenti  l'attuazione del presente Accordo», cioe' quelle
di istruzione e formazione professionale.
    Le  sperimentazioni  hanno  avuto  il  merito  di  verificare  la
concreta  possibilita'  di  far  nascere  percorsi  di  istruzione  e
formazione professionale e di cominciare a delimitare alcuni aspetti.
    In  base  a  questi  principi  tali  percorsi sperimentali devono
essere  riportati alle seguenti caratteristiche comuni: «avere durata
almeno  triennale;  contenere,  con  equivalente  valenza  formativa,
discipline   ed  attivita'  attinenti  sia  alle  aree  professionali
interessate;   consentire   il   conseguimento   di   una   qualifica
professionale  riconosciuta  a  livello  nazionale  e  corrispondente
almeno   al   secondo   livello   europeo  (decisione  del  Consiglio
85/368/CEE)» (punto 3).
    Sono   queste   le  uniche  caratteristiche  che  debbono  essere
assicurate a tali percorsi su tutto il territorio nazionale.
    Sulle  modalita'  operative  di realizzazione di tali percorsi lo
stesso Accordo (punto 7) ha rinviato a formali accordi tra le regioni
e gli Uffici scolastici regionali *).
    1.2.4. - Il d.lgs. n. 226 del 2005.
    Con il d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, recante «Definizione delle
norme generali e del livelli essenziali delle prestazioni sul secondo
ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ai sensi della
legge  28 marzo  2003,  n. 53»,  il  Governo ha realizzato un secondo
ciclo  di  istruzione  e  formazione  pienamente  aderente al disegno
tracciato dalla legge delega n. 53 del 2003, infatti:
        «il  secondo  ciclo  del  sistema  educativo  di istruzione e
formazione  e'  costituito  dal  sistema  dei  licei  e  dal  sistema
dell'istruzione  e formazione professionale (art. 1, comma 1), che ha
ripreso  quanto  stabilito  dall'art. 2, comma 1, lett. d) e g) della
legge n. 53;
        «il  sistema dei licei comprende i licei artistico, classico,
economico,    linguistico,   musicale   e   coreutico,   scientifico,
tecnologico  e delle scienze umane» (art. 2, comma 7), ancora secondo
quanto  gia'  affermato  dall'art. 2, comma 1, lettera g) della legge
n. 53;
        «nell'esercizio  delle  loro competenze legislative esclusive
in   materia   di  istruzione  e  formazione  professionale  e  nella
organizzazione  del relativo servizio le regioni assicurano i livelli
essenziali  delle  prestazioni  definiti dal presente Capo» (art. 15,
comma 2),  insieme  a  quanto disposto nei successivi commi 5 e 6, in
piena  sintonia con quanto stabilito dall'art. 2, comma 1, lettera h)
della legge n. 53.
    Il  d.lgs.  compie un passo in avanti rispetto alla legge delega:
nel momento in cui l'art. 1, comma 5 dichiara che «i percorsi liceali
e  i  percorsi  di istruzione e formazione professionale nei quali si
realizza  il  diritto-dovere all'istruzione e formazione sono di pari
dignita»,  afferma  in  maniera espressa un principio, quello appunto
della pari dignita' tra i percorsi del secondo ciclo, che nella legge
delega era «soltanto» desumibile.
    Coerentemente con la sua funzione attuativa, il d.lgs. agli artt.
4-11  ha disciplinato in modo piu' dettagliato i percorsi dei singoli
licei,  «limitandosi»,  per  i  percorsi  di  istruzione e formazione
professionale,  ad individuare i livelli essenziali delle prestazioni
che le regioni devono garantire (artt. 15-21).
    Ed,  infine,  va  segnalato l'art. 31, comma 2, a norma del quale
«le  seguenti  disposizioni  del  Testo unico approvato nel d.lgs. 16
aprile  1994,  n. 297,  continuano  ad  applicarsi limitatamente alle
classi di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore ancora
funzionanti secondo il precedente ordinamento, ed agli alunni ad essi
iscritti, e sono abrogate a decorrere dall'anno scolastico successivo
al completo esaurimento delle predette classi: art. 82, esclusi commi
3  e  4;  art. 191, escluso comma 7; art. 192, esclusi commi 3, 4, 9,
10, e 11; art. 193; art. 194; art. 195; art. 196; art. 198; art. 199;
art. 206.
    L'articolo che qui interessa e' il 191 del d.lgs. n. 297 del 1994
che  ha individuato come istituti e scuole dell'istruzione secondaria
superiore  «il  ginnasio-liceo  classico,  il  liceo scientifico, gli
istituti  tecnici,  il  liceo  artistico,  l'istituto  magistrale, la
scuola  magistrale, gli istituti professionali e gli istituti d'arte»
(comma 2), disciplinati di seguito nei commi successivi.
    Ebbene  rispetto a questi istituti il d.lgs. n. 226, con la norma
ex  art. 31, comma 2, ha predisposto un regime transitorio volto alla
soppressione   degli   stessi   una   volta  che  le  classi  «ancora
funzionanti» si fossero esaurite.
    A  decorrere, quindi, dall'anno successivo a quello del «completo
esaurimento   delle   predette  classi»,  gli  istituti  ex  art. 191
avrebbero dovuto essere abrogati.
    In definitiva, il d.lgs. n. 226 del 2005 ha:
        ribadito la separazione dei percorsi del secondo ciclo;
        sancito espressamente la pari dignita' degli stessi;
        riaffermato  la  piena  ed esclusiva competenza regionale sul
binario dell'istruzione e formazione professionale.
    1.3.   -   La  giurisprudenza  costituzionale  sull'istruzione  e
formazione professionale dopo la Riforma del Titolo V.
    La  posizione  assunta  da  codesta  ecc.ma  Corte  rispetto alla
istruzione  e  formazione professionale a seguito dell'evoluto quadro
costituzionale  e'  stata  netta  ed  uniforme:  ogni qualvolta si e'
presentata  l'opportunita',  ha  riconfermato la competenza esclusiva
regionale.
    Nella sentenza n. 34 del 2005, dopo aver ribadito l'importanza di
un «sistema integrato istruzione/formazione professionale, in armonia
con  orientamenti  invalsi  in  ambito  comunitario,  nel quale si e'
andata   rafforzando   sempre  piu'  una  politica  indirizzata  alla
riqualificazione  dell'istruzione  e  della  formazione professionale
quale  fattore di sviluppo e di coesione sociale ed economica», viene
«salvato»  un  articolo di  una legge regionale (l'art. 41 della l.r.
Emilia-Romagna  n. 12  del  2003) la cui disciplina, sull'«educazione
degli  adulti»,  «senza  contrastare con quanto stabilito dalla legge
statale,  si  muove  sul  versante del sostegno all'acquisizione o al
recupero  di  conoscenze  necessarie  o  utili  per  il reinserimento
sociale  e  lavorativo e, dunque, in un ambito riconducibile a quello
affidato  alla  competenza  regionale  in  materia  di  istruzione  e
formazione professionale».
    Ancora  piu'  specifica e' la successiva pronuncia n. 50 del 2005
dove,   dopo   aver   specificato   che  «questioni  di  legittimita'
costituzionale possono quindi anzitutto insorgere per le interferenze
tra  norme  rientranti  in materie di competenza esclusiva, spettanti
alcune   allo   Stato   ed  altre,  come  l'istruzione  e  formazione
professionale,  alle  regioni», codesta ecc.ma Corte ha affermato che
«la  competenza  esclusiva  delle  regioni in materia di istruzione e
formazione  professionale  riguarda  la  istruzione  e  la formazione
professionale  pubbliche  che  possono  essere  impartite  sia  negli
istituti  scolastici a cio' destinati, sia mediante strutture proprie
che   le   singole  regioni  possano  approntare  in  relazione  alle
peculiarita'  delle  realta'  locali,  sia in organismi privati con i
quali  vengano  stipulati accordi»; di conseguenza «la disciplina dei
tirocini estivi di orientamento, dettata senza alcun collegamento con
rapporti  di  lavoro, e non preordinata in via immediata ad eventuali
assunzioni,  attiene  alla  formazione  professionale  di  competenza
esclusiva   delle   regioni»  (stessi  principi  si  ritrovano  nella
pronuncia n. 51 del 2005).
    Tale  orientamento  si  rafforza nelle sentenze successive: nella
n. 384  del  2005  si  legge  che «sulla base della giurisprudenza di
questa  Corte,  la  competenza  esclusiva delle regioni in materia di
istruzione  e  formazione  professionale  non  concerne  le attivita'
formative  e di aggiornamento predisposte dal datore di lavoro per il
personale  dipendente»;  nella  sentenza n. 253 del 2006, la Corte ha
ancora  una volta «salvato» dalla declaratoria di incostituzionalita'
delle  norme regionali (artt. 3 e 4, comma 1 della l.r. Toscana n. 63
del  2004)  sulle  pari  opportunita'  nell'accesso  ai  percorsi  di
formazione  e  di  riqualificazione  rispetto a persone che risultino
discriminate  e  esposte  al rischio di esclusione sociale per motivi
derivanti  dall'orientamento  sessuale  o  dall'identita'  di genere,
perche'   «a   prescindere  dalla  natura  di  mero  indirizzo  delle
disposizioni  in esame, esse costituiscono espressione dell'esercizio
della  competenza  legislativa  esclusiva  regionale  in  materia  di
istruzione  e  formazione  professionale  che la regione puo' offrire
mediante  strutture  pubbliche  o  private per soddisfare le esigenze
delle  varie  realta'  locali; le norme regionali impugnate, percio',
non  incidono  sulla disciplina dei singoli contratti di lavoro e non
invadono la competenza dello Stato in materia di ordinamento civile».
    E' recentissima una pronuncia (Corte cost., sent. n. 21 del 2007)
nella  quale  la  Consulta  ha dichiarato non fondata la questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 38, comma 2, della legge della
regione  Sardegna  n. 20  del  2005  in quanto ha ritenuto che «nello
stabilire che la formazione dalla legge definita formale debba essere
prevalentemente   esterna,  non  alteri  i  rapporti  tra  formazione
interna,  la  cui disciplina compete allo Stato, e formazione esterna
di  competenza  regionale,  mantenendosi  percio' conforme al sistema
delle  competenze  concorrenti  e  del  concorso di competenze che si
verifica in tema di apprendistato».
    Si  deve  altresi' evidenziare come in altri casi, codesta ecc.ma
Corte  abbia  dichiarato  incostituzionali  norme  regionali  proprio
perche'  le  loro  previsioni  non  erano riconducibili «alla materia
della  "formazione professionale" di competenza legislativa residuale
delle  regioni»  (cosi'  Corte cost., sent., n. 31 del 2005, ma anche
n. 9 del 2004).
    1.4. - E' alla luce di tutto quanto sin qui detto che risulta, in
tutta  la  sua  evidenza,  la incostituzionalita' delle norme statali
oggetto della presente impugnativa.
    Con  i  commi  dell'art. 13  del  d.l.  n. 7 del 2007, cosi' come
modificati dalla conversione avvenuta con la legge n. 40 del 2007, il
legislatore  statale  ha  interamente ignorato la linea stabilita dal
legislatore costituzionale sia come emerge dal testo originario della
Costituzione  che,  a  maggior  ragione,  da  quello risultante dalla
Riforma  del  2001.  Una  linea  che  ha definitivamente riconosciuto
l'istruzione   e  formazione  professionale  quale  unicum  materiale
confluito definitivamente nella competenza esclusiva regionale.
    1.5.  -  Ed  invece  i  commi  dell'art. 13 che in questa sede si
censurano  compiono una improvvisa e violenta sterzata puntando verso
una  direzione che vede lo Stato riappropriarsi di porzioni rilevanti
di  istruzione e formazione professionale. Uno scenario completamente
contrario  in  primis  rispetto  al  dettato  costituzionale,  quindi
rispetto  all'intera  legislazione  statale  precedente,  che di tale
dettato e' rigorosa e coerente attuazione.
    L'incipit   del  primo  comma recita  «fanno  parte  del  sistema
dell'istruzione secondaria superiore di cui al decreto legislativo 17
ottobre  2005,  n. 226, e successive modificazioni...». Non sfugge la
prima  modifica  lampante:  il «sistema dei licei», cioe' uno dei due
percorsi  del  secondo  ciclo  cosi' come individuato sia dalla legge
n. 53  del  2003  che  dal  d.lgs. n. 226 del 2005, e' sostituito dal
sistema  «dell'istruzione  secondaria  superiore».  Si  tratta di una
modifica non certo di poco conto giacche' e' evidente la connotazione
certamente  piu' ampia di quest'ultima rispetto al sistema dei licei.
Del  sistema  dei  licei,  infatti,  non possono che far parte solo e
soltanto i licei.
    Utilizzare un'espressione come istruzione secondaria superiore e'
il  chiaro segnale della volonta' di allungare la coperta per coprire
qualcosa che il solo sistema dei licei non copriva.
    Ed  infatti,  fanno  parte  di tale sistema, prosegue il comma «i
licei,  gli  istituti  tecnici  e  gli  istituti professionali di cui
all'art. 191,  comma 2,  del  testo  unico di cui al d.lgs. 16 aprile
1994, n. 297».
    Si  tratta,  secondo  quanto  previsto nel successivo comma 3 del
d.lgs.  n. 297,  gli istituti che hanno come fine precipuo «quello di
preparare  all'esercizio  di  funzioni  tecniche  od  amministrative,
nonche' di alcune professioni, nei settori commerciale e dei servizi,
industriale,  delle  costruzioni, agrario, nautico ed aeronautico» (i
tecnici)   e   quello   di   «fornire   la   specifica   preparazione
teorico-pratica  per  l'esercizio di mansioni qualificate nei settori
commerciale  e  dei  servizi,  industriale  ed  artigiano,  agrario e
nautico» (i professionali).
    A  prescindere  dalle  differenze  che  intercorrono tra istituti
tecnici  e  istituti professionali, e' di tutta evidenza che entrambi
svolgono attivita' di istruzione e formazione professionale.
    L'intento del legislatore statale, per nulla velato, e' quello di
riattrarre  a se' in modo improprio ed illegittimo rilevanti porzioni
dell'istruzione e formazione professionale.
    Difatti  una  volta  che  questi  istituti  (di  vera  e  propria
istruzione e formazione professionale!) vengono inseriti nel percorso
di  «istruzione  secondaria superiore» (che sostituisce il precedente
sistema  dei  licei) divengono componenti di quel binario del secondo
ciclo  del sistema educativo appartenente alla materia «istruzione» e
cioe'  un  ambito  materiale su cui insistono le norme generali dello
Stato,  i  LEP  fissati  dallo  Stato e i principi fondamentali dello
Stato:  tradotto,  significa  una  materia  certamente  «piu» statale
rispetto  alla  istruzione  e formazione professionale esclusivamente
regionale.
    A  riprova  di  tale  intento  attrattivo  vi sono, da un lato la
soppressione   dei   licei   economico   e   tecnologico   attraverso
l'abrogazione  degli  artt. 6 e 10 del d.lgs. n. 226, con conseguente
soppressione di ogni riferimento agli stessi; dall'altro, il riordino
ed  il  potenziamento  degli  istituti  tecnici  e professionali come
«istituti  tecnici  e  professionali»  (secondo  quanto  si  legge al
comma 1-bis,   primo   periodo,   dell'art. 13)  che,  oltre  ad  una
ridondanza  poco  apprezzabile,  manifesta  in modo inequivocabile la
scelta di rafforzare il profilo professionale di tali istituti.
    Un  profilo  che si deve attuare anche attraverso «ogni opportuno
collegamento  con il mondo del lavoro e dell'impresa, ivi compresi il
volontariato  e  il privato sociale, con la formazione professionale,
con  l'universita'  e la ricerca e con gli enti locali» (comma 1-bis,
ultimo periodo).
    1.6.  - La «statalita» di questi istituti tecnici e professionali
trova  ulteriore  conferma  nel  comma 1-ter,  dove si stabilisce che
saranno  dei  «regolamenti  adottati  con  decreto del Ministro della
pubblica  istruzione...  previo  parere  delle competenti Commissioni
parlamentari»  - senza alcuna forma di coinvolgimento assicurato alle
regioni e quindi in spregio anche dei livelli minimi del principio di
leale   collaborazione   -   a  disciplinare  il  loro  funzionamento
attraverso  interventi  in ordine alla riduzione e ai contenuti degli
indirizzi,  alla  scansione  temporale  dei percorsi, ai risultati di
apprendimento,  al  monte  ore  annuale,  alla riorganizzazione delle
discipline di insegnamento, all'orientamento agli studi superiori.
    Gia'  questo sarebbe sufficiente a dimostrare come lo Stato abbia
violato  palesemente  il  riparto  costituzionale di competenze cosi'
come   sancito   negli   artt.   117,  commi  terzo  e  quarto  della
Costituzione,  oltre  che  vanificato  tutto  il  lungo e partecipato
lavoro  di riforma del sistema educativo messo in atto in precedenza.
In  sostanza, ha ripristinato l'assetto precedente previsto dal Testo
unico  approvato  con  il  d.lgs.  n. 297  del 1994 e ricollocato gli
istituti  tecnici  e  professionali,  assunti  nella  loro originaria
natura  di  istituti  di  formazione professionale, non in quella che
avrebbe  dovuto  essere  la  loro  sede costituzionalmente legittima,
cioe'   l'istruzione   e   formazione   professionale  di  competenza
regionale,  bensi' all'interno del sistema dell'istruzione secondaria
superiore,  al  fianco  dei  licei,  vale  a  dire  in  un'area  che,
rientrando  nella  materia  «istruzione»,  e'  soggetta  ad una forte
influenza statale.
    Ma  vi  e'  di  piu'.  Gli  istituti tecnici e professionali sono
«tutti  finalizzati  al  conseguimento  di  un  diploma di istruzione
secondaria  superiore»  (art. 13, comma 1, primo periodo). Essi hanno
percio'    durata    quinquennale,   come   tra   l'altro   affermato
dall'art. 191,  comma 4,  del  d.lgs.  n. 297  del  1994:  rispetto a
percorsi  di  istruzione  e  formazione  professionale  regionale che
possono  essere  di durata quadriennale (art. 2, comma 1, lettera h),
della  legge  n. 53/2003)  e ai percorsi triennali cosi' come avviati
dalle  regioni in fase di sperimentazione, le previsioni ex commi 1 e
1-bis  dell'art. 13 indeboliscono fortemente i percorsi di istruzione
e formazione professionale, privilegiando la formazione professionale
inserita all'interno dell'istruzione secondaria superiore.
    L'illegittimo  intervento  statale  nel  settore della formazione
professionale  ha altresi' l'effetto illegittimo di rendere residuali
i percorsi regionali di istruzione e formazione professionale.
    1.7.  - Siffatto atteggiamento statale e' del tutto illegittimo e
non  puo' superare il vaglio di costituzionalita' da parte di codesta
ecc.ma Corte.
    Il  quadro  normativo  e giurisprudenziale sviluppatosi sino alla
fine  degli  anni  novanta  ha  chiaramente  dato luogo ad un settore
«formazione professionale» in cui la competenza spettava naturalmente
alle  regioni,  seppur  anche nelle forme piu' morbide della delega o
del conferimento di funzioni.
    La  Riforma del Titolo V nel 2001 ha comunque sciolto ogni dubbio
in  merito  e ha attribuito la competenza esclusiva sull'istruzione e
formazione  professionale alle regioni, anche perche', come sostenuto
da  codesta  ecc.ma  Corte  in  una  importante  decisione, «e' (...)
implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare
le regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma
della  competenza delegata dall'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998».
(Corte cost., sent. n. 13 del 2004).
    In  definitiva, il legislatore nazionale, attraverso le norme che
qui  si impugnano, ha voluto in modo illegittimo, perche' contrario a
quanto  previsto dalla Riforma del Titolo V della Costituzione e alle
posizioni   della  giurisprudenza  costituzionale,  ripristinare  una
strutturata  istruzione  e formazione professionale statale a scapito
dell'istruzione e formazione professionale regionale, relegata ad una
connotazione residuale e di addestramento.
    1.8.  -  Ennesima  conferma  del  ripotenziamento  dello Stato in
materia  di  istruzione  e formazione professionale la si ritrova nel
comma 1-quinquies:  qui,  infatti, e' stabilito che il Ministro della
pubblica  istruzione, d'intesa con la Conferenza unificata, adottera'
«apposite  linee  guida»  tese  a «realizzare organici raccordi tra i
percorsi   degli  istituti  tecnico-professionali  e  i  percorsi  di
istruzione e formazione professionale finalizzati al conseguimento di
qualifiche  e  diplomi  professionali  di  competenza  delle  regioni
compresi in un apposito repertorio nazionale».
    Dalla  lettura  di  questa disposizione si percepisce come si sia
invertito  il  rapporto  di  forze tra Stato e regioni in riferimento
alla  istruzione  e formazione professionale: e' lo Stato, tramite il
Ministro,   che   predispone,   seppur  d'intesa  con  la  Conferenza
unificata, le linee guida; sono i percorsi di istruzione e formazione
professionali (cioe' quelli regionali) che devono essere raccordati a
quelli  degli  istituti tecnico-professionali (cioe' quelli statali);
e'  statale il repertorio all'interno del quale vengono ricompresi le
qualifiche e i diplomi professionali.
    In  altri  termini,  e'  lo  Stato  che  riprende il timone della
istruzione   e   formazione   professionale,   materia  al  contrario
esclusivamente   regionale,   cercando  con  le  regioni  solo  delle
debolissime forme di raccordo e coinvolgimento.
    2.  -  Illegittimita' costituzionale del comma 2 dell'art. 13 del
d.l.  n. 7 del 2007, cosi' come modificato dalla legge di conversione
n. 40  del  2007  per  violazione  della  competenza  esclusiva della
regione   in   materia   di  istruzione  e  formazione  professionale
(art. 117,  commi  terzo e quarto Cost.), nonche' per interferenza in
funzioni  amministrative  proprie  della regione e per violazione del
principio di leale collaborazione (artt. 118 e 120 Cost.).
    Un discorso a parte merita il comma 2 dell'art. 13. Qui, infatti,
il   legislatore   statale   non   si   ferma  solo  alla  dimensione
dell'istruzione  e  formazione  professionale,  ma invade, in maniera
altrettanto  illegittima, un altro terreno, quella della istruzione e
formazione tecnica superiore.
    2.1. - E' necessario, in via preliminare, inquadrare la materia.
    Come  indicato  dal  Regolamento di attuazione dell'art. 69 della
legge  n. 144 del 1999, il sistema di istruzione e formazione tecnica
superiore  introdotto in Italia nel 1999, e' articolato in «percorsi»
che  hanno  l'obiettivo  di  far raggiungere ai giovani e agli adulti
occupati e non occupati un livello culturale elevato e una formazione
tecnica   e   professionale   approfondita.   L'esigenza   di  figure
professionali  altamente  specializzate proviene dal mondo del lavoro
pubblico  e  privato,  interessato  in  maniera  sempre  maggiore  da
innovazioni tecnologiche e dall'internazionalizzazione dei mercati.
    Gia'  l'istitutiva  legge  n. 144  del  1999  ha fornito decisive
indicazioni   sulle   competenze  relative  alla  IFTS.  All'art. 69,
comma 2, si legge che «Le regioni programmano l'istituzione dei corsi
dell'IFTS»,  che  vengono  realizzati «con modalita' che garantiscono
l'integrazione  tra  sistemi  formativi,  sulla  base  di linee guida
definite  d'intesa  tra  i  Ministri  della  pubblica istruzione, del
lavoro  e della previdenza sociale e dell'universita' e della ricerca
scientifica  e  tecnologica, la Conferenza unificata di cui al d.lgs.
28  agosto  1997, n. 281 e le parti sociali mediante l'istituzione di
un apposito comitato nazionale».
    Lo stesso d.m. 28 gennaio 2000, che ha provveduto ad istituire il
«Comitato  nazionale  per  il  sistema  dell'istruzione  e formazione
tecnica  superiore»,  ha stabilito che compito del Comitato e' quello
di  «formulare  proposte per l'adozione di linee guida per l'accesso,
la  determinazione  degli standard, il riconoscimento dei crediti, le
modalita'  di  certificazione dei percorsi di istruzione e formazione
tecnica  superiore,  fermo  restando  il  ruolo  delle  regioni nella
programmazione    dell'offerta    formativa    integrata»   a   norma
dell'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998.
    Il  d.m.  31  ottobre 2000, n. 436, «Regolamento recante norme di
attuazione   dell'art. 69   della   legge  17  maggio  1999,  n. 144,
concernente  l'istruzione  e la formazione tecnica superiore (IFTS)»,
all'art. 2,   comma 1,  lettera  a)  ha  confermato  che  i  percorsi
dell'IFTS   «sono   programmati   dalle   regioni  sulla  base  della
concertazione   istituzionale  e  della  partecipazione  delle  parti
sociali».
    Al  successivo  art. 7,  comma 1,  e'  ribadito  che  «le regioni
programmano  l'istituzione  dei  percorsi  e delle relative misure di
sistema  di  cui  all'art. 1,  comma 3,  tenendo conto delle proposte
degli  enti  locali,  sulla base delle linee guida, adottate d'intesa
con   la   Conferenza   unificata   secondo   le  modalita'  previste
dall'art. 69, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144».
    Ma  il  ruolo pregnante svolto dalle regioni sul fronte dell'IFTS
e'  testimoniato  anche  dai  poteri ad esse attribuite in materia di
certificazioni:  a  norma dell'art. 8, comma 1, «in esito ai percorsi
dell'IFTS,   le   regioni...   rilasciano,  agli  aventi  titolo,  il
certificato  di  specializzazione  tecnica superiore valido in ambito
nazionale,  con  il  quale  sono  attestate  le  competenze acquisite
secondo   il  modello  predisposto  dal  Comitato  nazionale  di  cui
all'art. 69,  comma 2,  della  legge n. 144 del 1999, approvato dalla
Conferenza   unificata.  Le  regioni  possono,  altresi',  rilasciare
contemporaneamente un attestato di qualifica professionale di secondo
livello  ai  sensi  del  decreto  del  Ministro  del  lavoro  e della
previdenza   sociale   12   marzo   1996,   valido   anche   ai  fini
dell'iscrizione  al  centro per l'impiego, redatto secondo il modello
indicato  con  il  decreto del Ministro del lavoro e della previdenza
sociale 26 marzo 1996».
    Infine, l'art. 50 del d.lgs. n. 276 del 2003, recante «Attuazione
delle  deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui
alla  legge  14  febbraio  2003,  n. 30»,  al  comma 3 recita: «ferme
restando   le   intese  vigenti,  la  regolamentazione  e  la  durata
dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di
alta  formazione  e'  rimessa  alle  regioni,  per i soli profili che
attengono   alla   formazione,   in   accordo   con  le  associazioni
territoriali  dei  datori  di  lavoro  e dei prestatori di lavoro, le
universita' e le altre istituzioni formative».
    Da  questo rapida ricostruzione del quadro normativo si evince in
maniera  inequivocabile  come  i  soggetti gestori e responsabili dei
percorsi di IFTS siano in primis le regioni.
    Sono le regioni gli enti che danno il via ai percorsi di IFTS che
poi,  a  seguito della programmazione regionale, vengono progettati e
gestiti   da  quattro  soggetti,  scuola,  formazione  professionale,
universita'  ed  impresa,  ex  art. 4,  comma 2,  lettera b) del d.m.
n. 436 del 2000.
    Il  ruolo  centrale ricoperto dalle regioni nell'ambito dell'IFTS
si ricava anche dal tipo di intervento statale nel settore.
    Ai  sensi  dell'art. 1, comma 4 del d.m. n. 436 del 2000, compito
del  decreto  e'  quello  di  definire  «le  condizioni di accesso ai
percorsi  dell'IFTS,  i  criteri  per  la  definizione  dei  relativi
standard,  le modalita' per l'integrazione tra i sistemi formativi, i
criteri  per il riconoscimento dei crediti e le modalita' per la loro
certificazione e utilizzazione».
    I   successivi   artt. 4  e  5  definiscono  rispettivamente  gli
«standard  di  percorso»,  tra i quali a titolo di esempio, la durata
minima  e  massima  dei  percorsi,  il  riferimento  dei  curricoli a
competenze  base,  le  esperienze  professionali  dei  docenti, e gli
«standard  minimi  delle  competenze  per  l'accesso e la valutazione
dell'esito»,  e  cioe'  i  requisiti minimi per l'accesso al percorso
formativo  dell'IFTS  e  il risultato minimo conseguibile in esito ad
esso,   tra   cui  l'individuazione  della  figura  professionale  di
riferimento,  i  criteri  per l'eventuale equipollenza dei percorsi e
dei titoli, etc.
    Da  cio'  appare  evidente  che  il  legislatore  statale  incide
nell'area  dell'IFTS  esclusivamente  per  garantire delle condizioni
standards  e  dei requisiti minimi per i relativi percorsi che devono
valere  su  tutto il territorio nazionale: un intervento che ha tutte
le  sembianze  della  determinazione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni  (LEP)  e che conserva la sua piena legittimita' a fronte
di  un'ambito competenziale di esclusiva spettanza regionale, qual e'
appunto quello dell'istruzione e formazione tecnica superiore.
    Quanto  detto  trova  conferma nell'Accordo, raggiunto in sede di
Conferenza unificata Stato-regioni e Stato-citta' ed autonomie locali
il  25 novembre 2004, «Linee guida per la programmazione dei percorsi
dell'IFTS  e  delle  misure  per l'integrazione dei sistemi formativi
2004/2006»   che   nasce   dall'esigenza  di  stabilizzare  l'offerta
formativa  di  tali  percorsi «attraverso la capacita' programmatoria
delle singole regioni».
    I  programmi  regionali,  prosegue  la  premessa  del  documento,
«comprendono  sia  i  percorsi  formativi  sia  eventuali  misure  di
accompagnamento  e  di  sistema,  da  realizzare con la modalita' del
partenariato»;  «per  favorire  il  collegamento  e lo sviluppo della
cooperazione  in  rete in ambito nazionale e comunitario, si conviene
che  i  soggetti  attuatori sopra citati assumano, in questa fase, la
denominazione  di  «Poli  formativi  per l'istruzione e la formazione
tecnica  superiore»,  con  l'indicazione  del settore di riferimento,
attraverso  i  quali le regioni, secondo le indicazioni della propria
programmazione in ambito di alta formazione, attivano corsi IFTS, con
priorita' per aree e settori del proprio territorio nelle quali siano
individuate particolari esigenze connesse all'innovazione tecnologica
e  alla ricerca, in collaborazione con universita', imprese, istituti
superiori, organismi di formazione e centri di ricerca».
    Ancora,  «le  regioni  programmano  i  percorsi  dell'IFTS  (...)
determinano i profili professionali in cui le figure professionali di
riferimento  possono  essere  articolate a livello territoriale»; «le
regioni...  possono  promuovere...  progetti  pilota,  ...riferiti  a
figure   professionali  non  ancora  definite  a  livello  nazionale,
corrispondenti  a documentati fabbisogni dei mercati territoriali del
lavoro»;  «a  livello  regionale vanno assunte le iniziative ritenute
piu' idonee dalle regioni e dagli enti locali delegati per promuovere
progetti  pilota  sperimentali,  che  possono  essere  realizzati con
riferimento  a quanto previsto dal d.lgs. n. 276 del 2003, titolo VI,
capo   I,  art. 50,  comma 1,  nell'ambito  dell'apprendistato  fuori
obbligo»;   «le   regioni...   individuano  i  profili  professionali
regionali  e  le  relative  competenze  aggiuntive, che rispondono ai
processi  produttivi  ed agli interventi di sviluppo locale, riferiti
in particolare alle piccole e medie imprese».
    L'Accordo si conclude con la determinazione di alcune linee guida
cui devono attenersi le regioni nella loro programmazione: si tratta,
per  lo  piu',  di  criteri  generali  attinenti  aspetti contabili e
finanziari.
    E comunque, gia' quanto stabilito dall'art. 144 del d.lgs. n. 112
del  1998  (v.  supra  par. 1.1.4.) dimostra e rafforza la competenza
delle   regioni   in  materia  di  istruzione  e  formazione  tecnica
superiore.
    2.2.   -  Il  comma 2  dell'art. 13,  invece,  ancora  una  volta
manifesta  la  volonta'  di  violare  un  assetto  di competenze gia'
acquisito  conformemente al nuovo testo dell'art. 117, commi secondo,
terzo e quarto.
    Esso  infatti  propone  la  possibilita' di costituire «in ambito
provinciale  o  sub-provinciale, «poli tecnico-professionali» tra gli
istituti  tecnici  e  gli  istituti professionali, le strutture della
formazione professionale accreditate ai sensi dell'art. 1, comma 624,
della  legge  27  dicembre  2006,  n. 296, e le strutture che operano
nell'ambito   del   sistema   dell'istruzione  e  formazione  tecnica
superiore  denominate  «istituti  tecnici superiori» nel quadro della
riorganizzazione di cui all'art. 1, comma 631 della legge 27 dicembre
2006, n. 296.
    In questo primo periodo vanno messi in evidenza due aspetti.
    In  primo luogo, i componenti di tali poli tecnico-professionali:
questi  possono essere i tre diversi istituti abilitati ad esercitare
attivita'  di  istruzione  e  formazione professionale (anche di tipo
superiore)  e cioe' gli istituti tecnici e gli istituti professionali
(appartenenti  all'istruzione secondaria superiore, percio' statali),
le  strutture  di formazione professionale (regionali) e gli istituti
tecnici  superiori  appartenenti  al  settore della IFTS. Ora, per un
verso  viene  ribadita  la distinzione, nell'ambito dell'istruzione e
formazione   professionale,   tra   istituti   tecnici   e   istituti
professionali  da  un lato e strutture della formazione professionale
dall'altro.  Per altro, gli istituti tecnici superiori di IFTS, lungi
dall'essere  di  pertinenza regionale come dovrebbe essere per quanto
detto  sopra,  sono  sempre  piu'  destinati  a rientrare nell'ambito
statale  anche  sulla scia della riorganizzazione e del potenziamento
gia'  avviati  con  l'art. 1,  comma 631  della legge n. 296 del 2006
(Finanziaria 2007).
    In  secondo  luogo,  certamente  non  sfugge la netta imposizione
statale  circa gli ambiti entro cui costituire tali poli: prescrivere
che  questi  debbano  essere  provinciali o sub-provinciali significa
limitare  pesantemente  l'autonomia  organizzativa e gestionale delle
regioni in una materia su cui hanno la competenza esclusiva.
    Ma  la  marginalizzazione  di cui sono vittime le regioni in tale
settore  e'  ancora  piu'  evidente  nel secondo periodo del comma 2,
laddove  si stabilisce che «i "poli" sono costituiti sulla base della
programmazione  dell'offerta  formativa, comprensiva della formazione
tecnica   superiore,   delle   regioni,   che  concorrono  alla  loro
realizzazione   in  relazione  alla  partecipazione  delle  strutture
formative di competenza regionale».
    Cio'  vuol  dire  che  le regioni, rispetto alla realizzazione di
poli  tecnici  finalizzati  a  coordinare  in  modo piu' organico sul
territorio  le  attivita' di formazione professionale, non saranno le
attrici  principali,  ma il loro ruolo si misurera' in relazione alla
effettiva   partecipazione   delle   strutture   formative  regionali
all'intero  dei poli: in sostanza, qualora le strutture di formazione
professionale  regionali  non  dovessero  prender  parte  al polo, le
regioni,  automaticamente, verrebbero estromesse da tutta l'attivita'
di  organizzazione  degli  stessi.  Ne  deriva  la  palese violazione
dell'art. 117, quarto comma.
    3.  -  Illegittimita' costituzionale dei commi 3, 4, 5, 6, 6-bis,
7, 8 dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla
legge  di  conversione  n. 40 del 2007, per violazione degli artt. 3,
97, 117, 118 della Costituzione.
    I  commi  3, 4, 5, 6, 6-bis, 7 e 8 dell'art. 13 del d.l. n. 7 del
2007,  cosi'  come  modificati  dalla  legge di conversione n. 40 del
2007,  si  muovono  lungo  un  solco di illegittimita' costituzionale
diverso rispetto a quello che ha unito i precedenti.
    E'  necessario  da  subito  precisare  come sia il comma 3 quello
affetto   dal   vizio  d'incostituzionalita'  principale,  laddove  i
successivi  sono  tutti  applicativi dello stesso e quindi viziati da
illegittimita' costituzionale derivata.
    Il  comma 3  introduce  alcune  modifiche  al  Testo  unico delle
imposte sui redditi di cui al d.P.R. n. 917 del 1986. In particolare,
le  lettere a) e b) - aggiungendo rispettivamente la lettera i-octies
all'art. 15, comma 1 e la lettera o-bis all'art. 100, comma 2 - hanno
stabilito  che  «le  erogazioni  liberali  a  favore  degli  istituti
scolastici  di ogni ordine e grado, statali e paritari senza scopo di
lucro  appartenenti  al  sistema  nazionale di istruzione di cui alla
legge  10 marzo  2000, n. 62, e successive modificazioni, finalizzate
all'innovazione     tecnologica,     all'edilizia     scolastica    e
all'ampliamento   dell'offerta  formativa»  sono  detraibili  per  un
importo pari al 19 per cento, se non deducibili nella determi-nazione
dei  singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo,
e  sono  altresi'  deducibili  nel limite del 2 per cento del reddito
d'impresa  dichiarato  e comunque nella misura massima di 70.000 euro
annui.
    Si   tratta,   pertanto,   della   previsione  di  una  serie  di
agevolazioni  fiscali  rispetto  ad  erogazioni liberali effettuate a
favore degli istituti scolastici. Agevolazioni che si traducono in un
forte incentivo verso le stesse erogazioni.
    Ora il fatto che le norme de quibus facciano espresso riferimento
ai  soli  istituti  scolastici  di  ogni  ordine  e  grado, statali e
paritari,  costituisce  l'ennesimo sintomo di una precisa volonta' da
parte  del  legislatore  statale:  quella di privilegiare il percorso
dell'istruzione  secondaria  superiore  rispetto a quello, regionale,
dell'istruzione  e  formazione  professionale. Difatti, l'espressione
«istituti   scolastici  di  ogni  ordine  e  grado»  non  e'  affatto
onnicomprensiva di tutti gli istituti di istruzione e formazione.
    Come  risulta  -  a  titolo di esempio, dal d.P.R. 2 giugno 1981,
n. 271,   recante   «Corresponsione  di  miglioramenti  economici  al
personale  della scuola di ogni ordine e grado», dal d.P.R. 25 giugno
1983,  n. 345,  recante  «Norme  risultanti dalla disciplina prevista
dall'accordo del 20 aprile 1983 concernente il personale della scuola
di  ogni  ordine  e  grado,  dal d.m. 15 luglio 1987, recante «Premio
speciale  unitario per l'assicurazione degli alunni, degli studenti e
degli  insegnanti delle scuole e degli istituti di istruzione di ogni
ordine e grado, non statali», ma anche dallo stesso d.lgs. n. 297 del
1994  -  gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, senza alcuna
specificazione, sono quelli statali.
    E  comunque  le  disposizioni  che  qui si censurano allargano le
agevolazioni  ai  soli  istituti  scolastici  paritari senza scopo di
lucro ex legge n. 62 del 2000.
    In  forza di cio' e' evidente lo scopo del legislatore: anche gli
istituti tecnici e gli istituti professionali, rientrati nel percorso
di  istruzione  secondaria  superiore  «statale»  e quindi certamente
appartenenti  alla  categoria  istituti  scolastici  di ogni ordine e
grado,  saranno  destinatari  di  erogazioni  liberali  detraibili  o
deducibili.
    Nessuna menzione e', invece, rivolta alle strutture di formazione
professionale regionali.
    Sarebbe  davvero  ardua una loro ricomprensione all'interno della
generica  espressione  «istituti  scolastici  di ogni ordine e grado,
statali  e  paritari»:  e',  al contrario, palese come il legislatore
statale, non inserendo anche le strutture di formazione professionale
regionali tra quelle destinatarie di erogazioni agevolate, voglia non
solo  (per quanto visto nei paragrafi precedenti) ricostruire in modo
illegittimo  un  percorso di istruzione e formazione professionale di
natura  statale,  ma  lo  voglia fare a discapito di quello che e' il
solo percorso costituzionalmente legittimo di istruzione e formazione
professionale, e cioe' quello regionale.
    Nessun  dubbio  puo'  residuare  circa  la  natura  assolutamente
discriminatoria  delle norme contenute nelle disposizioni del comma 3
(e  di conseguenza in quelle dei commi 4, 5, 6, 6-bis, 7, 8) ex commi
3, lett. a), b), e c) dell'art. 13.
    Le   strutture   regionali   di   formazione  professionale,  non
risultando  beneficiarie di alcuna erogazione agevolata, diversamente
da   quanto   previsto  per  gli  istituti  tecnici  e  gli  istituti
professionali,  di  fatto  avranno  a  disposizione  un patrimonio di
risorse   finanziarie  naturalmente  minore  rispetto  a  quello  cui
potranno aspirare questi ultimi.
    Cio'  comporta  una  inevitabile  deminutio nella progettazione e
nella  elaborazione delle loro attivita' specifiche, ovvero quelle di
formazione professionale.
    Il  tutto,  senza  che  sia  rintracciabile il minimo elemento di
ragionevolezza  nella  scelta  del  legislatore  statale,  che e', al
contrario,  esclusivamente dettata dalla volonta' di privilegiare, in
aperta violazione dell'art. 3 della Costituzione, ancora una volta il
sistema  di  istruzione  secondaria  superiore  a  scapito  di quello
dell'istruzione e formazione professionale regionale.
    4.  -  Illegittimita'  costituzionale  dei commi 1, 1-bis, 1-ter,
1-quater,  1-quinquies,  1-sexies, 2, 3, 8, 8-bis, 8-ter dell'art. 13
del  d.l.  n. 7  del  2007,  cosi'  come  modificati  dalla  legge di
conversione  n. 40  del  2007,  per  eccesso di potere legislativo in
relazione alla violazione degli artt. 3 e 70 della Costituzione.
    4.1.  -  Vi  e',  ancora,  un ulteriore profilo di illegittimita'
costituzionale  che  attraversa  tutte  le  disposizioni  che  qui si
impugnano  e  che  emerge con chiarezza soprattutto nei commi 8-bis e
8-ter.
    In  essi,  infatti,  il legislatore statale riepiloga formalmente
quelle che sono le modificazioni apportate al d.lgs. n. 226 del 2005.
    Prima  di  entrare  nel  merito  delle  singole  variazioni, e di
evidenziarne quindi la portata, e' bene far presente a codesta ecc.ma
Corte la successione nel tempo delle fonti:
        approvazione,  in  data  28 marzo 2003, della legge n. 53 del
2003  recante  «Delega  al  Governo  per  la  definizione delle norme
generali  sull'istruzione  e dei livelli essenziali delle prestazioni
in materia di formazione professionale»;
        emanazione,  in  data  17 ottobre 2005, del d.lgs. n. 226 del
2005   recante  «Definizione  delle  norme  generali  e  dei  livelli
essenziali  delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo
di  istruzione  e  formazione  ai  sensi  della  legge 28 marzo 2003,
n. 53»;
        emanazione,  in  data  31 gennaio del 2007, del d.l. n. 7 del
2007,  recante  «Misure urgenti per... valorizzazione dell'istruzione
tecnico-professionale...»,  il  cui  art. 13  prevede,  tra le altre,
«Disposizioni  urgenti in materia di istruzione tecnico-professionale
e di valorizzazione dell'autonomia scolastica...»;
        approvazione,  in  data  2 aprile 2007, della legge n. 40 del
2007, di conversione del d.l. n. 7 del 2007.
    Riassumendo: approvazione della legge delega; emanazione, entro i
termini,  del  decreto  delegato;  intervenuta scadenza della delega;
approvazione  di  una legge che, successivamente, modifica il decreto
delegato.
    4.2.   -  Si  prendano  in  considerazione  le  prime  due  fonti
intervenute,  cioe' la legge delega e il decreto delegato. Come messo
in  luce  dalla  piu'  autorevole dottrina, «l'art. 76 Cost., ponendo
come    condizione    necessaria   per   la   stessa   ammissibilita'
costituzionale  di  una  delega  legislativa  la  determinazione  dei
principi  e  criteri  direttivi... sembra considerare ogni ipotesi di
legislazione  delegata  come  una potesta' normativa di attuazione di
principi   e   criteri  direttivi.  Sotto  il  profilo  quindi  della
competenza  delegabile  sembra  possibile considerare la legislazione
governativa  come  una legislazione.. .intrinsecamente caratterizzata
dalla  necessita' di dare attuazione a statuizioni programmatiche e a
direttive  poste  dal  Parlamento  all'atto  del  conferimento  della
delega»  (cosi' A. Cervati, Legge delega e delegata, in Enc. dir., ad
vocem).  Cio'  dimostra  l'indissolubile  legame  che unisce la legge
delega  al  decreto  delegato,  a  tal  punto  che  le norme delegate
divergenti dalla delega si pongono indirettamente in contrasto con la
Costituzione.  Tale  solco e' stato tracciato da codesta ecc.ma Corte
nella  prima  sentenza  che  si  e'  pronunciata  sulla  legittimita'
costituzionale  di  un  decreto  delegato,  la n. 3 del 1957, dove e'
stato  chiaramente  affermato  che  «la norma dell'art. 76 non rimane
estranea  alla  disciplina del rapporto tra organo delegante e organo
delegato,  ma  e'  un elemento del rapporto di delegazione in quanto,
sia  il  precetto costituzionale dell'art. 76, sia la norma delegante
costituiscono  la  fonte da cui trae legittimazione costituzionale la
legge delegata».
    Numerose   sono   poi  le  sentenze,  anche  recenti,  che  hanno
confermato  il  nesso  funzionale  che  unisce la legge delegata alla
legge  delega  (sent.  n. 224  del  1990  e  le ivi richiamate sentt.
nn. 243  del  1976, 158 del 1985, 48 e 128 del 1986; sent. n. 276 del
2000, e successive n. 425 del 2000 e n. 125 del 2003).
    Come  gia'  evidenziato  nel  dettaglio  al  paragrafo 1.2.4., il
decreto  n. 226/2005  da'  piena attuazione a quei principi e criteri
direttivi  indicati  dalla  legge  delega  per  quel  che riguarda il
secondo  ciclo di istruzione: separazione dei percorsi, attraverso un
sistema   dei   licei   e  un  sistema  di  istruzione  e  formazione
professionale  di  competenza  esclusiva regionale; pari dignita' dei
due percorsi; possibilita' di passaggio da un sistema all'altro etc.
    4.3.  - Giunti a questo punto si deve guardare alle rimanenti due
fonti  e  cioe'  all'art. 13  del  d.l.  n. 7  del  2007,  cosi' come
convertito   dalla   legge  n. 40  del  2007:  vale  a  dire  diviene
indispensabile  entrare  nel  merito  delle  modifiche  apportate  al
decreto n. 226.
    A  norma  del  comma 8-bis  dell'art. 13,  il sistema «dei licei»
viene  sostituito  da  quello «dell'istruzione secondaria superiore»;
conseguentemente  viene  soppresso  ogni  riferimento al sistema «dei
licei»;  nel  primo comma dell'art. 1, laddove si prevedeva che «esso
(cioe'  il  secondo ciclo) e' il secondo grado in cui si realizza, in
modo  unitario, il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione di
cui  al  d.lgs. 15 aprile 2005, n. 76», ora e' stabilito che «assolto
l'obbligo  di  istruzione di cui all'art. 1, comma 622 della legge 27
dicembre  2006,  n. 296,  nel  secondo  ciclo  si  realizza,  in modo
unitario,  il diritto- dovere all'istruzione e alla formazione di cui
al  d.lgs.  15 aprile 2005, n. 76»; vengono inoltre soppressi tutti i
riferimenti al «liceo economico» e al «liceo tecnologico».
    Si  tratta,  a ben vedere, di modifiche sostanziali. Innanzitutto
una  volta  che  il  sistema  dei  licei  viene sostituto dal sistema
dell'istruzione  secondaria  superiore,  per  quanto  gia'  detto nei
paragrafi  precedenti,  di fatto rimangono due percorsi che pero' non
sono piu' distinti, giacche' l'istruzione e formazione professionale,
in  piena  violazione  del  dettato  costituzionale,  non  e' piu' di
competenza esclusiva regionale, ma viene svolta anche nel percorso di
istruzione secondaria superiore attraverso gli istituti tecnici e gli
istituti professionali che di esso fanno parte.
    Ma  anche  il  richiamo alla disposizione della legge finanziaria
suscita  diverse  perplessita':  il comma 622 dell'art. 1 della legge
n. 296  del  2006, infatti, aggiunge un concetto, quello dell'obbligo
di istruzione, a quello piu' ampio di diritto-dovere all'istruzione e
alla  formazione  introdotto  dalla  legge  n. 53  del  2003 (art. 2,
comma 1,  lettera  c).  Un  diritto-dovere «per almeno dodici anni o,
comunque,   sino   al   conseguimento   di  una  qualifica  entro  il
diciottesimo anno di eta», la cui attuazione si realizza «nel sistema
di istruzione e in quello di istruzione e formazione professionale».
    Tale  assetto  del  diritto-dovere ha trovato concreta e coerente
attuazione  nel  d.lgs.  n. 76  del  2005  («Definizione  delle norme
generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, a norma
dell'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 28 marzo 2003, n. 53»),
dove  l'art. 1, comma 3 specifica che «la Repubblica assicura a tutti
il  diritto  all'istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni
o,  comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno
triennale  entro  il  diciottesimo  anno  di  eta'.  Tale  diritto si
realizza  nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema
educativo di istruzione e di formazione, costituite dalle istituzioni
scolastiche e dalle istituzioni formative accreditate dalle regioni».
Ora,  grazie a quanto previsto dal successivo comma 1 dell'art. 2 del
d.lgs.  n. 76,  secondo  il  quale  «il  diritto-dovere ha inizio con
l'iscrizione  alla  prima classe della scuola primaria», risultano in
modo  chiaro e coerente le modalita' di attuazione del diritto-dovere
all'istruzione  e  alla  formazione:  nel  primo ciclo di istruzione,
comprensivo  dei  cinque  anni  della  scuola primaria e dei tre anni
della  scuola  secondaria  di  primo  grado;  nel  secondo  ciclo  di
istruzione,  comprensivo,  a  livello  minimo,  dei  quatto  anni dei
percorsi  di  istruzione e formazione professionale, o in alternativa
dei  cinque  anni del sistema dei licei. In totale, un diritto-dovere
per almeno dodici anni.
    Rispetto  a questo quadro lineare, quello risultante dall'art. 1,
comma 1   del   d.lgs.   n. 226   del  2005,  cosi'  come  modificato
dall'art. 8-bis   de   qua,   si   caratterizza   per   confusione  e
contraddittorieta'.
    Qui,  infatti,  si  afferma,  da un lato, che il secondo ciclo e'
costituito  dal  sistema  dell'istruzione  secondaria superiore e dal
sistema  dell'istruzione  e formazione professionale; dall'altro, che
il  diritto-dovere  all'istruzione  e alla formazione si realizza, in
modo  unitario,  «una  volta  assolto  l'obbligo»  di cui all'art. 1,
comma 622  della  legge  finanziaria.  Si  tratta  di un obbligo «per
almeno  dieci  anni» e il cui adempimento «deve consentire, una volta
conseguito   il   titolo   di  studio  conclusivo  del  primo  ciclo,
l'acquisizione  dei  saperi e delle competenze previste dai curricula
relativi  ai  primi  due anni degli istituti di istruzione secondaria
superiore,  sulla  base  di  un  apposito  regolamento  adottato  dal
Ministro  della  pubblica  istruzione ai sensi dell'art. 17, comma 3,
della legge 23 agosto 1988, n. 400».
    Alla  luce  di  cio'  che  deve  intendersi,  grazie  al  comma 1
dell'art. 13  del  d.l.  n. 7  del  2007,  per  istruzione secondaria
superiore,  si  evince in modo piu' chiaro anche il disegno abbozzato
dal  comma 622  dell'art. 1  della  legge n. 296 del 2006 e portato a
piena  realizzazione  con  i  commi  che  qui si impugnano: l'obbligo
all'istruzione si realizzerebbe nel primo ciclo (cinque anni piu' tre
anni)  e nei primi (due anni, per un totale di dieci) non del secondo
ciclo,  ma  solo  di  uno  dei due percorsi del secondo ciclo, quello
dell'istruzione secondaria superiore.
    Questo  significherebbe che, nella sostanza, il secondo ciclo non
si  sdoppierebbe  da subito, ma partirebbe con un biennio unitario la
cui   offerta   e   la  relativa  frequenza  sarebbe  possibile  solo
all'interno dell'istruzione secondaria superiore.
    Saremmo  allora  di fronte all'ennesimo squilibrio tra i percorsi
del  secondo  ciclo  che,  dalla  pari dignita' proclamata dal d.lgs.
n. 226,  giunge ad un palese privilegio per uno di essi (l'istruzione
secondaria   superiore,  statale),  svilendo  l'altro  (quello  della
istruzione e formazione professionale, regionale).
    Davvero  vuota  di  significato,  o  totalmente  contraddittoria,
diverrebbe  a  questo  punto, la parte finale del secondo periodo del
comma 1   dell'art. 1   del   d.lgs.  n. 226  secondo  cui  («assolto
l'obbligo...»)  «nel  secondo ciclo si realizza, in modo unitario, il
diritto-dovere  all'istruzione  e alla formazione di cui al d.lgs. 15
aprile 2005, n. 76».
    Ritorna infatti il concetto di diritto-dovere, tipico della legge
delega  n. 53  e  dei suoi decreti delegati, ma non si comprende come
possa  integrarsi  con l'obbligo all'istruzione e dove effettivamente
si  debba  realizzare.  Rimane  nell'ordinamento, e addirittura viene
richiamato  dal comma 8-bis, una fonte, il decreto delegato n. 76 del
2005,  che per quanto visto, disegna tempi e spazi del diritto-dovere
diversi e chiaramente contraddetti dall'impugnato intervento statale.
    E' di solare evidenza, pertanto, come l'esito di quel fenomeno di
successione  tra  fonti  prima  delineato, sia il seguente: il d.lgs.
n. 226  del  2005,  attuativo  della  legge delega n. 53 del 2003 sul
secondo ciclo, permane nell'ordinamento giuridico, ma a seguito delle
modifiche  apportate  dai  commi oggetto della presente impugnazione,
contiene una serie di disposizioni in aperto e palese contrasto con i
principi  ed  i  criteri  direttivi stabiliti dalla legge delega che,
peraltro,  non  venendo  mai menzionata nelle disposizioni che qui si
censurano, di fatto continua anch'essa a vivere nell'ordinamento.
    Ma  vi  e'  di  piu':  la  legge delega de qua - quella sul piano
formale non toccata dall'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, ma su quello
sostanziale  profondamente elusa attraverso le modifiche apportate al
suo  decreto delegato - ha attuato sul piano legislativo ordinario il
disegno  costituzionale  in materia di istruzione e formazione, cosi'
come risultante dalla Riforma del Titolo V.
    Si  legge, infatti, nel primo comma dell'art. 1 della legge n. 53
del  2003:  «...  in  coerenza  con  il  principio di autonomia delle
istituzioni   scolastiche   e   secondo   i  principi  sanciti  dalla
Costituzione,  il Governo e' delegato ad adottare, entro ventiquattro
mesi  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della presente legge, nel
rispetto  delle competenze costituzionali delle regioni e di comuni e
province,  in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti
istituzionali  e  dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, uno o
piu'  decreti  legislativi  per  la  definizione delle norme generali
sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia
di istruzione e di istruzione e formazione professionale».
    Tra  i  «principi  sanciti  dalla  Costituzione» certamente vi e'
quello  di  una istruzione fortemente destatalizzata e separata dalla
istruzione   e   formazione   professionale;   tra   le   «competenze
costituzionali delle regioni» rientra a titolo esclusivo quella sulla
istruzione  e  formazione  professionale,  che, esclusa (ex art. 117,
terzo  comma) dalla legislazione concorrente, costituisce una materia
a se' stante di competenza esclusiva regionale.
    Ecco  che,  allora,  viene  alla luce in tutta la sua gravita' la
irrazionalita'  che  ha mosso il legislatore statale: egli ha operato
con  interventi  chirurgici,  frammentati  e  disorganici,  su alcune
disposizioni del decreto delegato n. 226, che nella sostanza ne hanno
stravolto  la  linea,  il  senso e la sua piena sintonia con la legge
delega.
    Sono  irragionevoli  e  contraddittori  gli  effetti  che  questo
intervento  statale produce: nell'ordinamento, infatti, convivono una
legge   delega  attuativa  di  precetti  costituzionali,  un  decreto
delegato  oramai  completamente  svincolato  da  questa  e  per nulla
rispondente  ai suoi principi e criteri direttivi e una legge statale
palesemente  in contrasto con il riparto costituzionale di competenze
in materia di istruzione e formazione professionale.
    Il   provvedimento   statale   e',   dunque,   costituzionalmente
illegittimo  dal  momento che si risolve in un vero e proprio eccesso
di  potere  legislativo, perche' immette nell'ordinamento elementi di
illogicita', di incoerenza e di palese contraddittorieta' (cfr. Corte
cost.,  sent.  n. 53  del 1974, ord. n. 62 del 1982, sent. n. 146 del
1996).
    Se il legislatore avesse voluto modificare la disciplina prevista
dal  decreto  delegato  n. 226,  ben avrebbe potuto farlo nel pieno e
legittimo  esercizio  della  funzione  legislativa. Ma avrebbe dovuto
operare  innanzitutto  in  modo  omogeneo  e coordinato - e non certo
attraverso  un  provvedimento  onnicomprensivo  e  destinato ad altre
finalita'  come  quello  ex  art. 13  del  d.l.,  approvato  eludendo
qualsiasi   forma  di  dibattito  parlamentare  e  di  collaborazione
interistituzionale;   quindi   abrogando   completamente  il  decreto
delegato  per  sganciarlo legittimamente dai principi e criteri della
legge  delega;  o, infine, avrebbe potuto intervenire, modificandola,
solo sulla legge delega.
    4.4.  -  Quest'ultima  ipotesi si e', in realta', gia' realizzata
nell'ordinamento.    E'   il   caso   riguardante   la   composizione
dell'istituto  per  il  credito  sportivo  la  cui attivita' e' stata
definita, sin dalla legge n. 1295 del 1957, di natura bancaria.
    L'art. 1,  comma 3,  lettera h) della legge delega n. 59 del 1997
non  ha  sottratto  alla  delega delle funzioni amministrative quelle
riconducibili  alla  materia delle banche, ma solo quelle inerenti la
«moneta, perequazione delle risorse finanziarie e sistema valutario»,
che quindi rimanevano affidate allo Stato.
    In attuazione della delega, e' stato emanato il d.lgs. n. 112 del
1998  che,  all'art. 157,  sotto la rubrica «Competenze in materia di
sport»,  al  comma 3,  ha  disposto  che  restavano salve le funzioni
statali  di  vigilanza  sul  CONI  e  sull'istituto  per  il  credito
sportivo,  e  al  comma 4,  che  con  l'apposito  regolamento  di cui
all'art. 7,  comma 3, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e nei termini
ivi previsti, il Governo provvedesse al riordino dell'Istituto, anche
garantendo  una  adeguata presenza nell'organo di amministrazione dei
rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali.
    Subito dopo l'emanazione del decreto delegato, e' stata approvata
una  legge,  la  n. 191  del 1998, che ha modificato la disciplina in
questione,  riportando anche la materia «banche» tra quelle riservate
allo Stato.
    Si  e',  a  ben  vedere, in presenza di una successione tra fonti
esattamente  speculare  rispetto  a  quella  oggetto  della questione
sottoposta a codesta ecc.ma Corte: una legge delega; l'emanazione del
relativo  decreto  delegato; l'intervenuta scadenza del termine della
delega; l'approvazione, successivamente, di una legge modificativa.
    Ebbene,  nel  caso ora riportato, a fronte di uno stesso rapporto
successorio  tra  fonti,  il  legislatore  statale  si  e' in realta'
comportato  in  maniera  completamente  differente  rispetto a quanto
fatto  con  l'art. 13  del  d.l.  n. 7  del  2007:  egli  e'  infatti
intervenuto, direttamente, modificandola, sulla legge delega.
    Codesta   ecc.ma   Corte,   pronunciandosi  sulla  questione,  ha
affermato  che  «si  e'  qui  in  presenza  di  un fenomeno in cui il
legislatore,  per  provocare  la cessazione di vigenza del d.lgs., ha
operato  sulla legge di delegazione nel momento in cui il termine per
l'esercizio della delega era scaduto, sicche' la complessa operazione
non  puo'  essere intesa come conferimento di una nuova delega valida
de  futuro,  diretta  ad escludere l'attribuzione alle regioni e agli
enti   locali   di   compiti   e   funzioni  inerenti  alla  gestione
dell'istituto  per  il credito sportivo, ma puramente e semplicemente
come  intervento  legislativo  mirante  a  rendere  priva di una base
legale   qualsiasi   attribuzione   medio  tempore  intervenuta,  con
immancabili riflessi sul piano della vigenza.
    La  circostanza  che  il Parlamento, con la legge n. 191 del 1998
abbia  operato  nominalmente  sulla legge di delegazione e sui poteri
del   Governo,   anziche'  agire  direttamente  sulle  corrispondenti
disposizioni  del  d.lgs.  attuativo (...) non puo' essere altrimenti
interpretata   che   come   rimozione   di  queste  disposizioni  fin
dall'origine» (Corte cost., sent., n. 241 del 2003).
    Ad  ulteriore  dimostrazione  della razionalita' e della coerenza
che  ha  guidato il legislatore nel caso che si sta esaminando, vi e'
l'approvazione  da  parte  del  Parlamento  di una nuova legge delega
mirante a ridisciplinare in modo organico la materia. Nella succitata
sentenza,  prosegue  la  Corte  «una  ricostruzione,  questa,  che e'
corroborata  da  quanto  disposto  dall'art. 10  della legge 6 luglio
2002, n. 137 (Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e
della   Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'  di  enti
pubblici),  il  quale,  nel quadro delineato dal nuovo titolo V della
parte seconda della Costituzione, ha nuovamente delegato il Governo a
riordinare   i   compiti   dell'istituto  per  il  credito  sportivo,
assicurando  negli  organi  anche  la  rappresentanza delle Regioni e
delle autonomie locali».
    Ecco quindi dimostrato come il legislatore statale avrebbe dovuto
muoversi volendo riscrivere, come ha fatto, la disciplina sul secondo
ciclo  dell'istruzione:  con  un azione complessiva e improntata alla
ragionevolezza,  tesa  al  riordino  organico  della disciplina. Cio'
avrebbe  dovuto  tradursi  o  nell'abrogazione  totale  e diretta del
decreto  n. 226  ovvero nella sua abrogazione indiretta attraverso la
modifica  di alcune parti della legge delega. Il tutto finalizzato ad
un  nuovo,  specifico  e  mirato  intervento  legislativo  volto alla
disciplina della materia.
    E,  comunque,  certamente  non attraverso un'azione improvvisata,
frammentata,  per  nulla  partecipata  e poco trasparente come quella
realizzata  attraverso  i  commi  che qui si impugnano, i cui unici e
gravi  effetti sono stati la violazione del riparto costituzionale di
competenze  in  materia di istruzione e formazione professionale e la
creazione   di   imperdonabili   elementi  di  contraddittorieta'  ed
incoerenza all'interno dell'ordinamento.
    4.5.  -  Ma  la  illogicita'  che pervade l'agire del legislatore
emerge,  per quanto si diceva all'inizio, anche dal comma 8-ter, dove
interviene  sulle  abrogazioni  previste  dall'art. 31,  comma 2, del
decreto  n. 226, disponendo che ne rimangono escluse «le disposizioni
del  testo  unico  di cui al d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, che fanno
riferimento agli istituti tecnici e professionali».
    A  norma  del comma 2 dell'art. 31 del d.lgs. n. 226 «le seguenti
disposizioni  del  Testo  unico  approvato nel d.lgs. 16 aprile 1994,
n. 297,   continuano  ad  applicarsi  limitatamente  alle  classi  di
istituti   e   scuole   di  istruzione  secondaria  superiore  ancora
funzionanti secondo il precedente ordinamento, ed agli alunni ad essi
iscritti, e sono abrogate a decorrere dall'anno scolastico successivo
al completo esaurimento delle predette classi: art. 82, esclusi commi
3  e  4;  art. 191, escluso comma 7; art. 192, esclusi commi 3, 4, 9,
10, e 11; art. 193; art. 194; art. 195; art. 196; art. 198; art. 199;
art. 206».
    L'art. 191,  comma 2,  ricompreso in questo elenco, e' quello che
disciplina  gli istituti tecnici e gli istituti professionali. E tali
istituti   sono   stati   riproposti  dai  commi  1,  1-bis  e  1-ter
dell'art. 13.
    Ora,  leggendo il comma 2 dell'art. 31 del d.lgs. n. 226 e' netta
la  consapevolezza che il legislatore delegato abbia voluto costruire
un  vero  e  proprio  regime  transitorio.  E  difatti, anche per gli
istituti  tecnici  e  professionali  ex  art. 191, comma 2 del d.lgs.
n. 197/1994,  e'  stata  allestita  una disciplina ad esaurimento che
predispone  la  loro soppressione una volta decorso l'anno scolastico
successivo  al  completamento  di  tutte  le classi. Da quel momento,
invero, l'art. 191, ad esclusione del solo comma 7, verra' abrogato.
    Orbene, alcuna menzione di tale particolare regime transitorio e'
presente  nel  comma 8-ter,  che  di fatto, in maniera superficiale e
contraddittoria,   fa   rivivere  disposizioni  destinate  ad  essere
abrogate.
    5.  -  Illegittimita'  costituzionale  dei commi 1, 1-bis, 1-ter,
1-quater,  1-quinquies,  1-sexies, 2, 3, 8, 8-bis, 8-ter dell'art. 13
del  d.l.  n. 7  del  2007,  cosi'  come  modificati  dalla  legge di
conversione  n. 40  del  2007,  per  violazione dell'art. 77, secondo
comma, della Costituzione.
    I  commi  dell'art. 13  del  d.l.  n. 7  del 2007, convertito con
modificazioni    con    legge   n. 40   del   2007,   sono,   infine,
costituzionalmente  illegittimi  anche  perche' non presentano alcuna
traccia  di quei presupposti minimi di necessita' ed urgenza che sono
i soli capaci di autorizzare il Governo ad emanare un decreto-legge.
    A  nulla  vale  eccepire  che tale carenza sia stata sanata dalla
intervenuta   legge   di  conversione  giacche'  e'  recentissima  la
pronuncia  di codesta ecc.ma Corte nella quale e' stato affermato che
«se...  nella  disciplina  costituzionale  che regola l'emanazione di
norme  primarie  (leggi  e  atti  aventi efficacia di legge) viene in
primo  piano  il rapporto tra gli organi - sicche' potrebbe ritenersi
che, una volta intervenuto l'avallo del Parlamento con la conversione
del  decreto,  non  restino  margini per ulteriori controlli - non si
puo'  trascurare  di  rilevare  che  la  suddetta disciplina e' anche
funzionale  alla  tutela dei diritti e caratterizza la configurazione
del sistema costituzionale nel suo complesso.
    Affermare  che  la  legge di conversione sana in ogni caso i vizi
del  decreto  significherebbe  attribuire  in concreto al legislatore
ordinario  il  potere  di  alterare  il  riparto costituzionale delle
competenze  del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle
fonti primarie» (Corte cost., sent. n. 171 del 2007).
    Le  «disposizioni  della legge di conversione in quanto tali», ha
proseguito  la  Corte,  «...  non  possono  essere valutate, sotto il
profilo  della  legittimita'  costituzionale, autonomamente da quelle
del  decreto stesso. Infatti, l'immediata efficacia di questo, che lo
rende  idoneo  a produrre modificazioni anche irreversibili sia della
realta'  materiale,  sia  dell'ordinamento,  mentre rende evidente la
ragione  dell'inciso  della  norma  costituzionale che attribuisce al
Governo  la  responsabilita'  dell'emanazione del decreto, condiziona
nel  contempo  l'attivita'  del  Parlamento in sede di conversione in
modo  particolare  rispetto  alla ordinaria attivita' legislativa. Il
Parlamento  si trova a compiere le proprie valutazioni e a deliberare
con riguardo ad una situazione modificata da norme poste da un organo
cui  di  regola,  quale  titolare  del  potere  esecutivo, non spetta
emanare disposizioni aventi efficacia di legge».
    Ora,  nella relazione al disegno di legge di conversione del d.l.
n. 7  del  2007,  nella  parte  relativa  all'art. 13  in  materia di
istruzione  e  formazione  professionale,  vengono  enunciate in modo
generico  le  ragioni  delle  modifiche apportate al decreto delegato
n. 226. Cio' tuttavia non e' sufficiente a legittimare l'adozione del
d.l.  giacche'  un  conto  e'  giustificare  la modifica, un conto e'
rendere  «ragione  dell'esistenza  della  necessita'  ed  urgenza  di
intervenire  sulla norma» (cosi' ancora Corte cost., sent. n. 171 del
2007).
    «L'utilizzazione   del   decreto-legge   -   e   l'assunzione  di
responsabilita'  che  ne  consegue  per  il Governo secondo l'art. 77
Cost.», conclude la Corte, «non puo' essere sostenuta dall'apodittica
enunciazione dell'esistenza delle ragioni di necessita' e di urgenza,
ne'  puo'  esaurirsi  nella  constatazione della ragionevolezza della
disciplina che e' stata introdotta».
          1)  «Disposizioni urgenti in tema di accise, di gasolio per
          autotrazione,  di  smaltimento  di  oli  usati, di giochi e
          scommesse,  nonche'  sui  rimborsi  IVA,  sulla pubblicita'
          effettuata  con  veicoli,  sulle contabilita' speciali, sui
          generi  di  monopolio, sul trasferimento di beni demaniali,
          sulla  giustizia tributaria, sul funzionamento del servizio
          nazionale  della riscossione dei tributi e su contributi ad
          enti ed associazioni».
              *) La  Regione  Lombardia  e'  stata  tra  le  prime  a
          recepire   l'Accordo  firmando  il  25  settembre  2003  un
          Protocollo  d'intesa  con il MIUR e il MLPS nel quale si e'
          stabilito (art. 2, comma 1) che: I modelli sperimentali che
          coinvolgono  l'istruzione  e la formazione professionale..,
          nella  regione  Lombardia,  sono  articolati nelle seguenti
          tipologie di offerta:
                  a) percorsi  triennali  sperimentali  di formazione
          professionale  ed  eventuali successivi percorsi, collocati
          in  un  organico  processo  di  sviluppo  della  formazione
          professionale   superiore,   da  realizzarsi  in  strutture
          formative  accreditate  dalla regione. I percorsi triennali
          sono finalizzati al conseguimento di un titolo di Qualifica
          (attestato)   secondo   quanto   previsto  dalla  normativa
          vigente,  valido  per  l'assolvimento del diritto-dovere di
          istruzione   e   formazione   fino   ai   diciotto  anni  e
          l'iscrizione   ai   centri   per   l'impiego,  nonche'  per
          l'acquisizione  di crediti ai fini dell'eventuale passaggio
          nel sistema dell'istruzione;
                  b) percorsi  triennali  sperimentali  di formazione
          professionale  ed  eventuali successivi percorsi, collocati
          in  un  organico  processo  di  sviluppo  della  formazione
          professionale superiore, da realizzarsi in Istituti tecnici
          e professionali individuati sulla base di criteri stabiliti
          d'intesa  tra  la  regione Lombardia e l'Ufficio scolastico
          regionale.   I   percorsi  triennali  sono  finalizzati  al
          conseguimento di un titolo di Qualifica (attestato) secondo
          quanto   previsto   dalla  normativa  vigente,  valido  per
          Iassolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione
          fino   ai  diciotto  anni  e  l'iscrizione  ai  centri  per
          l'impiego,  nonche'  per  l'acquisizione di crediti ai fini
          dell'eventuale passaggio nel sistema dell'istruzione;
                  c) realizzazione di LARSA (Laboratori di Recupero e
          sviluppo  degli  apprendimenti atti a consentire i passaggi
          verticali ed orizzontali attraverso i percorsi attivati);
                  d) realizzazione  di  azioni  di  orientamento,  di
          personalizzazione  dei  percorsi e di sostegno agli allievi
          disabili;
                  e) realizzazione   delle   iniziative   di  cui  ai
          precedenti  punti  c)  e  d)  svolti  in modo integrato tra
          Istituti   tecnici/professionali   e   strutture  formative
          accreditate dalla regione.
              Il   successivo  comma 2  stabilisce  che  «I  progetti
          relativi  ai  percorsi  di  cui al comma 1, lettere a) e b)
          comprendono  la  definizione  di criteri e di strumenti per
          favorire  la  piu'  ampia  spendibilita'  della  formazione
          acquisita  ai  fini  della  prosecuzione  degli  studi  nel
          sistema dell'istruzione.