ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di  procedura  penale,  come  sostituito  dall'art. 1  della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al  codice di procedura penale in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze  di  proscioglimento),
promossi  nel  corso di diversi procedimenti penali con ordinanze del
14  e  17  marzo,  del  3 aprile  e  del 17 marzo 2006 dalla Corte di
appello  di  Brescia, rispettivamente iscritte ai nn. 270, 494, 520 e
603 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica, nn. 35, 46 e 47, 1ª serie speciale, dell'anno 2006
ed al n. 2, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Udito  nella  Camera  di  consiglio del 23 maggio 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con quattro ordinanze, di contenuto identico nella
parte  motiva,  la  Corte  di  appello  di  Brescia  ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3,  24,  111,  secondo  comma,  e  112 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 593
del  codice  di  procedura  penale, come sostituito dall'art. 1 della
legge  20  febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura
penale   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze   di
proscioglimento),  nella  parte  in  cui  non prevede per il pubblico
ministero la possibilita' di appellare le sentenze di proscioglimento
al di fuori dei casi di cui al comma 2 del medesimo articolo;
        che  il  giudice  a  quo  -  premesso  di  essere  chiamato a
celebrare  il  giudizio  d'appello a seguito di impugnazione proposta
dal   pubblico   ministero   avverso   una  sentenza  di  assoluzione
pronunciata  in  primo  grado  - precisa che, entrata in vigore nelle
more  del  gravame la legge n. 46 del 2006, l'appello dovrebbe essere
dichiarato  inammissibile  ai  sensi  dell'art. 10,  comma  2,  della
medesima legge;
        che,  nel  merito, la disciplina censurata violerebbe plurimi
parametri costituzionali;
        che  la  Corte rimettente lamenta, in primo luogo, la lesione
del   principio   dell'obbligatorieta'   dell'azione  penale  sancito
nell'art. 112  Cost.,  sul  rilievo  che la limitazione del potere di
appello  in  capo  al pubblico ministero, essendo «tale da ridurre lo
stesso  a  casi  marginali,  per  non  dire  estremi»,  pregiudica la
funzionalita'  propria dell'esercizio dell'azione, tesa alla concreta
attuazione di valori costituzionali;
        che   nella   medesima   prospettiva   la   norma   censurata
vanificherebbe anche il diritto di difesa garantito «anche alle parti
offese dei reati», atteso che l'esercizio dell'azione penale da parte
del  pubblico  ministero  vale  «ad  offrire  alle  vittime dei reati
l'essenziale tutela del loro legittimo interesse»;
        che  il  giudice a quo evidenzia, inoltre, il contrasto della
norma  censurata con l'art. 111, comma secondo, Cost., e precisamente
con  la  regola secondo cui il processo si svolge nel contraddittorio
fra  le  parti  ed  in  condizioni di parita' delle stesse: ancorche'
infatti  il  principio  della  parita'  tra  le  parti  non  comporti
necessariamente  identita'  dei  poteri processuali una distribuzione
del  potere  di  impugnazione  completamente  squilibrata «pregiudica
significativamente  il  principio  del  contraddittorio»  proprio  in
quanto  altera  in  misura  intollerabile  l'equilibrio imposto dalla
norma costituzionale;
        che  il  rimettente  ritiene  ancora  che  la norma censurata
risulti  incompatibile con il principio di ragionevolezza, difettando
nella  limitazione pressoche' assoluta del potere di impugnazione del
pubblico  ministero  ogni ragionevole giustificazione, mentre proprio
l'attuazione  di valori di legalita' e difesa sociale esigono che «il
processo  mantenga  un equilibrato contraddittorio fra tali ragioni e
la  difesa  dell'imputato,  perche'  nessuna  opportunita' di ricerca
della verita' venga ad essere sottratta al giudizio»;
        che,  infine,  l'art. 593  cod.  proc.  pen., come novellato,
creerebbe un'irragionevole disparita' di trattamento la' dove, per un
verso,  impedisce all'organo dell'accusa l'appello contro le sentenze
di  proscioglimento,  e,  per  l'altro,  mantiene in capo al pubblico
ministero  il potere di impugnazione avverso le sentenze di condanna,
cosi'   privilegiando   «la   cura   di   un   interesse  processuale
indubbiamente di minore consistenza».
    Considerato  che  il  dubbio  di  costituzionalita'  sottoposto a
questa Corte ha per oggetto la preclusione, conseguente alla modifica
dell'art. 593  del  codice  di  procedura penale ad opera dell'art. 1
della  legge  20  febbraio  2006,  n. 46, dell'appello delle sentenze
dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero;
        che,  stante l'identita' delle questioni proposte, i relativi
giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
        che,  successivamente  alle  ordinanze  di rimessione, questa
Corte,  con  sentenza  n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 1  della  legge  20  febbraio  2006,  n. 46
(Modifiche   al   codice   di   procedura   penale,   in  materia  di
inappellabilita'  delle sentenze di proscioglimento), «nella parte in
cui,  sostituendo  l'art. 593 del codice di procedura penale, esclude
che  il  pubblico  ministero  possa  appellare  contro le sentenze di
proscioglimento,    fatta   eccezione   per   le   ipotesi   previste
dall'art. 603,  comma  2,  del  medesimo codice, se la nuova prova e'
decisiva»,  e  dell'art. 10,  comma  2,  della citata legge n. 46 del
2006,  «nella  parte in cui prevede che l'appello proposto contro una
sentenza  di  proscioglimento dal pubblico ministero prima della data
di   entrata   in   vigore   della   medesima   legge  e'  dichiarato
inammissibile»;
        che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte,
gli  atti devono essere pertanto restituiti ai giudici rimettenti per
un nuovo esame della rilevanza delle questioni.