ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito
della   sentenza   del   Tribunale  amministrativo  regionale  Veneto
19 agosto  2005,  n. 3200, promosso con ricorso della Regione Veneto,
notificato  il  10 ottobre  2005 e il 26 febbraio 2007, depositato in
cancelleria  il  18 ottobre  2005  ed il 1° marzo 2007 ed iscritto al
n. 28 del registro conflitti tra enti 2005.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  22 maggio  2007  il  giudice
relatore Gaetano Silvestri;
    Uditi  l'avvocato  Mario  Bertolissi  per  la  Regione  Veneto  e
l'avvocato  dello  Stato  Glauco Nori per il Presidente del Consiglio
dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso notificato il 10 ottobre 2005 e depositato il
successivo  18  ottobre, la Regione Veneto, in persona del Presidente
pro  tempore,  ha  proposto  conflitto  di attribuzione nei confronti
dello  Stato  in relazione alla sentenza del Tribunale amministrativo
regionale  Veneto  19 agosto  2005,  n. 3200,  per  violazione  degli
artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione.
    1.1.  -  Con  la  citata  sentenza  il  Tribunale  amministrativo
regionale Veneto ha deliberato in merito ad un ricorso proposto dalla
Hesperia  s.r.l.  contro il Comune di Vazzola e la Regione Veneto per
l'annullamento  della  variante parziale n. 2 del P.R.G. del medesimo
Comune,  adottata con delibera consiliare n. 1 del 30 gennaio 2003 ed
approvata  con  modifiche  d'ufficio  mediante  delibera della Giunta
regionale n. 1656 del 26 maggio 2004.
    La  ricorrente  ricostruisce,  in via preliminare, le vicende che
hanno  originato  il  giudizio  amministrativo,  evidenziando come la
Hesperia  s.r.l.  sia proprietaria, nel Comune di Vazzola, di un'area
ricadente  in zona industriale di espansione. Tale area, per la quale
i   precedenti   proprietari   avevano   presentato   un   piano   di
lottizzazione, e' attraversata da una linea elettrica ed e' vincolata
alla relativa fascia di rispetto.
    A  seguito dell'entrata in vigore della legge regionale Veneto 30
giugno 1993,   n. 27  (Prevenzione  dei  danni  derivanti  dai  campi
elettromagnetici generati da elettrodotti), il Comune di Vazzola, con
l'approvazione  della  variante  n. 2  del  P.R.G., ha introdotto una
norma  (art. 53-bis)  con cui determina nello strumento urbanistico i
limiti  di  rispetto e di tutela degli elettrodotti, adeguandosi alla
normativa regionale.
    La  societa'  ricorrente,  rilevato  che i valori della fascia di
rispetto cosi' determinati sono in contrasto con il d.P.C.m. 8 luglio
2003  [Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione
e  degli  obiettivi  di  qualita' per la protezione della popolazione
dalle  esposizioni  ai  campi elettrici e magnetici alla frequenza di
rete  (50  Hz)  generati  dagli  elettrodotti],  ha  promosso ricorso
dinanzi  al  Tribunale amministrativo regionale Veneto, lamentando la
violazione  dell'art. 4  della  legge  22 febbraio 2001, n. 36 (Legge
quadro   sulla   protezione  dalle  esposizioni  a  campi  elettrici,
magnetici  ed  elettromagnetici)  e dell'art. 4 del d.P.C.m. 8 luglio
2003,  ed  eccependo,  in  subordine, l'illegittimita' costituzionale
della  legge regionale n. 27 del 1993 per violazione degli artt. 117,
secondo e terzo comma, Cost.
    1.2.  -  Con  la  sentenza  19 agosto  2005,  n. 3200  -  oggetto
dell'odierno conflitto - il Tribunale amministrativo regionale Veneto
ha accolto il ricorso, confermando l'orientamento gia' assunto con la
propria  sentenza  n. 1735  del  2005,  secondo  cui «in seguito alla
sopravvenienza  della  normativa  statale  di principio in materia di
protezione   dalle   esposizioni  a  campi  elettrici,  magnetici  ed
elettromagnetici   (legge   n. 36   del   2001)  e  della  disciplina
applicativa  (d.P.C.m.  8 luglio  2003)  avente  valore  su  tutto il
territorio  nazionale,  le norme regionali precedentemente in vigore,
che  fissano  valori  diversi  e  superiori, incompatibili con quelli
introdotti  dalla  legge  quadro,  devono ritenersi abrogate ai sensi
dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953».
    In particolare, il Tribunale amministrativo regionale osserva che
la  disposizione  di  cui  all'art. 10  della legge 10 febbraio 1953,
n. 62  (Costituzione e funzionamento degli organi regionali) continua
ad  essere  applicabile  anche  nel  nuovo assetto costituzionale, in
quanto  non  risulta  abrogata  dalla  legge  5  giugno 2003,  n. 131
(Disposizioni  per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della Repubblica
alla   legge   costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3),  non  avendo
quest'ultima  introdotto «alcuna innovazione sostanziale nel rapporto
tra le leggi regionali e le norme statali di principio».
    Pertanto,   aggiunge  il  giudice  amministrativo,  «in  caso  di
sopravvenienza  di  norme  di  principio  in  materia di legislazione
concorrente   il  giudice  puo'  dichiarare,  ove  sia  in  grado  di
riconoscere  ed affermare l'incompatibilita' delle norme preesistenti
con  i nuovi principi, l'abrogazione delle prime, senza necessita' di
sollevare   la  questione  di  costituzionalita',  la  quale  avrebbe
peraltro, nella specie, esito scontato».
    1.3.  -  La  Regione Veneto ritiene che, affermando l'abrogazione
della  legge  n. 27  del  1993, il Tribunale amministrativo regionale
abbia  operato  «uno  sconfinamento  assoluto dalla giurisdizione, in
violazione  degli  artt. 5,  101,  114, 117 e 134 Cost.» e, pertanto,
abbia leso l'autonomia regionale.
    Secondo  l'odierna  ricorrente, il giudice amministrativo avrebbe
dovuto sollevare questione di legittimita' costituzionale della legge
regionale  n. 27  del  1993, piuttosto che accogliere il ricorso, non
applicando  la  normativa  in  parola.  La  Regione aggiunge che «nel
quadro   dei  principi  del  nostro  sistema  costituzionale  risulta
assolutamente  paradossale  che un Tribunale amministrativo regionale
possa  dichiarare  abrogata  una  legge regionale in vigore a seguito
dell'emanazione  di  un  d.P.C.m.,  atto di natura regolamentare, per
quanto attuativo della legge quadro della materia».
    Peraltro,   ricorda   la   ricorrente,  la  disposizione  di  cui
all'art. 10  della  legge n. 62 del 1953 e' sempre stata interpretata
dalla   Corte   costituzionale   nel   senso   che  solo  la  diretta
incompatibilita'  delle  norme  regionali con i sopravvenuti principi
fondamentali della legge statale puo' determinare l'abrogazione delle
prime ad opera dei secondi.
    Inoltre, l'obbligo per le Regioni - sancito nell'art. 4, comma 5,
della  legge  n. 36 del 2001 - di adeguare la propria legislazione ai
limiti  di  esposizione,  ai valori di attenzione e agli obiettivi di
qualita'  previsti dai decreti di cui al comma 2 dello stesso art. 4,
«esclude  che  l'antinomia  creatasi  tra  fonti possa risolversi con
l'implicita abrogazione della legislazione regionale».
    1.4.  -  La  Regione  ricorrente,  in  ogni  caso,  contesta  che
l'art. 10  della  legge  n. 62  del  1953  sia  ancora  in vigore. La
disposizione  in  parola,  richiamata  dal  Tribunale  amministrativo
regionale Veneto per giustificare l'abrogazione della legge regionale
n. 27  del  1993,  stabilisce  che  «Le  leggi  della  Repubblica che
modificano   i   principi   fondamentali   di   cui  al  primo  comma
dell'articolo  precedente  abrogano  le  norme regionali che siano in
contrasto con esse».
    La  Regione  Veneto, dopo aver sottolineato che il citato art. 10
della   legge  n. 62  fa  discendere  l'abrogazione  della  normativa
regionale  unicamente dall'entrata in vigore di disposizioni di rango
legislativo  e non gia' regolamentare, osserva che tale norma «appare
certo in diretto contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo V
della  nostra  Costituzione  a seguito delle modifiche operate con la
legge  costituzionale  n. 3  del 2001 e con la normativa ordinaria di
adeguamento».
    In  particolare la ricorrente, richiamando le sentenze n. 282 del
2002  e nn. 201 e 353 del 2003 della Corte costituzionale, sottolinea
come  la  riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione
abbia  accentuato  la  distinzione  fra  la  competenza  regionale  a
legiferare  nelle  materie  di  potesta'  concorrente e la competenza
statale a determinare i principi fondamentali della disciplina.
    La  Regione ricorda, inoltre, che la legge n. 131 del 2003 non ha
riprodotto  il  testo dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953, ne' vi
ha  fatto  rinvio  in  alcuna delle sue disposizioni. Anzi, quando la
stessa legge n. 131 ha voluto stabilire limiti all'applicazione della
normativa regionale a seguito dell'entrata in vigore della competente
legislazione  statale, lo ha fatto esplicitamente, come nella seconda
parte  del  comma 2  dell'art. 1,  relativo alle materie appartenenti
alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato.
    Per  queste  ragioni,  la  ricorrente ritiene che l'art. 10 della
legge   n. 62   del   1953   debba   ritenersi  abrogato  «a  seguito
dell'introduzione  del nuovo testo del Titolo V della Costituzione o,
a  tutto  concedere,  a  partire dall'entrata in vigore della legge 5
giugno 2003,  n. 131,  che  ha  ridisciplinato la materia». Da quanto
detto  discenderebbe che il Tribunale amministrativo regionale Veneto
«non  aveva  il potere di ritenere abrogata la normativa regionale» e
che,  pertanto, «avrebbe al limite solo potuto sollevare la questione
di legittimita' costituzionale».
    La  Regione  conclude  chiedendo a questa Corte di dichiarare che
non   spettava   allo  Stato,  e  nel  caso  specifico  al  Tribunale
amministrativo  regionale Veneto, ritenere implicitamente abrogata la
legge  regionale  n. 27  del  1993,  e,  di conseguenza, annullare la
sentenza  19 agosto 2005, n. 3200, per violazione degli artt. 5, 101,
114, 117 e 134 Cost.
    In  subordine, qualora non si dovesse ritenere abrogato l'art. 10
della  legge  n. 62 del 1953, la difesa regionale chiede che la Corte
sollevi  avanti  a se stessa questione di legittimita' costituzionale
del medesimo art. 10 della legge n. 62 del 1953 per contrasto con gli
artt. 5, 114 e 117 Cost.
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato  inammissibile o
infondato.
    2.1.  -  La  difesa  erariale  ricorda,  preliminarmente,  che, a
seguito  della  riforma  del  Titolo  V  della  Parte  seconda  della
Costituzione, si e' prodotta una innovazione «solo quantitativa e non
qualitativa» nel riparto di competenze tra Stato e Regioni.
    Aggiunge, poi, che i rapporti tra norme statali e norme regionali
dello  stesso  livello  si  risolvono  in  termini  di abrogazione, a
condizione che «la norma abrogante intervenga nella sfera legislativa
riservata  alla  sua fonte». A parere del resistente, l'art. 10 della
legge n. 62 del 1953 non avrebbe fatto altro che «confermare in forma
espressa  questo  principio, che si trova gia' enunciato nell'art. 15
delle preleggi».
    Nel caso di specie, l'Avvocatura ritiene inconferente il richiamo
all'art. 117  Cost.,  in quanto la legge regionale non avrebbe potuto
violare  un  principio  fondamentale che non operava al momento della
sua  entrata  in vigore; la soluzione, pertanto, andrebbe «trovata in
chiave  di  abrogazione».  Non  potrebbe essere utilmente richiamato,
d'altra  parte, quanto affermato dalla Corte costituzionale sin dalla
sua  prima sentenza a proposito del rapporto tra leggi preesistenti e
norma  costituzionale  successiva.  Nel  caso  oggetto  del  presente
giudizio,  infatti,  i  termini  della  questione sono entrambi leggi
ordinarie  e,  dunque,  il  Tribunale  amministrativo regionale, «nel
decidere quale delle due fosse in vigore ha solo esercitato il potere
giurisdizionale, di cui era investito».
    Peraltro,  aggiunge  il  resistente,  il Tribunale amministrativo
regionale  «non  ha  disapplicato  le  norme  regionali, in quanto in
contrasto  con  la  Costituzione  [...], ma le ha ritenute abrogate e
l'accertamento  dell'effetto  abrogativo  di norme successive rientra
sicuramente nelle attribuzioni dell'autorita' giurisdizionale».
    2.2.  -  La  difesa  erariale  eccepisce  l'inammissibilita'  del
ricorso  perche' reputa inconferenti tutti i parametri costituzionali
evocati  dalla  Regione.  Al  riguardo si osserva che la sentenza del
Tribunale   amministrativo   regionale   Veneto,   per   ledere   una
attribuzione  regionale,  avrebbe  dovuto «andare al di la' non della
sua  giurisdizione,  ma della giurisdizione in assoluto, mentre, come
si   e'  visto,  si  e'  mantenuta  nei  limiti  della  giurisdizione
amministrativa».
    L'Avvocatura  dello  Stato  rileva  inoltre  che,  in  virtu' del
principio dispositivo, la decisione del giudice amministrativo doveva
intervenire  solo  sui  motivi di ricorso; pertanto, poiche' nel caso
specifico  quest'ultimo  era  fondato sull'avvenuta abrogazione della
norma  regionale  e  la parte interessata non aveva chiesto che fosse
sollevata  questione  di  legittimita' costituzionale, il giudice non
era tenuto a proporla d'ufficio.
    Il  resistente  aggiunge che, comunque, la sentenza del Tribunale
amministrativo regionale Veneto «non comporta la perdita di efficacia
definitiva   e   generale   della  legge  regionale,  che  come  atto
legislativo mantiene integra la sua struttura»; pertanto, in un altro
giudizio,  il giudice investito «potra' dichiarare la norma regionale
tuttora  in vigore o, sul presupposto del suo vigore, sottoporla alla
verifica di costituzionalita' da parte di codesta Corte».
    In  merito  all'art. 10  della  legge  n. 62  del 1953, la difesa
erariale  osserva  che si tratta di «una legge ordinaria che non puo'
produrre  effetti  in  un  rapporto  integralmente disciplinato dalla
Costituzione.  In  ogni  caso,  la  norma  e'  destinata  ad  operare
attraverso la valutazione dei singoli giudici, vale a dire attraverso
lo  strumento  del  giudicato». Il giudice di secondo grado, infatti,
potrebbe  non  ritenere  abrogata  la  norma  regionale o decidere di
sollevare  la  questione  di  costituzionalita'.  Per  queste ragioni
l'Avvocatura dello Stato ritiene inammissibile il conflitto.
    2.3. - In subordine, la difesa statale contesta la fondatezza del
conflitto.
    A  tal  fine  osserva  che,  se  fosse  accolto  il  ricorso,  si
produrrebbero   delle  conclusioni  inaccettabili.  Il  conflitto  di
attribuzioni  potrebbe,  infatti,  essere  sollevato  anche quando la
questione   di   costituzionalita'  fosse  dichiarata  manifestamente
infondata   dal  giudice  di  merito,  trasformando  cosi'  la  Corte
costituzionale in «una sorta di giudice di seconda istanza» che opera
«su richiesta di un terzo estraneo al giudizio».
    Secondo l'Avvocatura, quanto detto rende ancor piu' evidente come
«non  possa radicarsi un conflitto di attribuzioni su di una sentenza
intervenuta  in un giudizio in cui i poteri decisori del giudice sono
limitati   dalla  domanda  o  dai  motivi  del  ricorso».  Ragionando
diversamente,   il   conflitto  si  trasformerebbe  in  un  improprio
strumento  di  sindacato  e  di  censura  del modo di esercizio della
funzione giurisdizionale.
    3. - La Regione Veneto, nelle date del 1° e del 27 marzo 2007, ha
depositato  copie  dell'atto introduttivo e della sentenza impugnata,
notificate  al  Presidente  del  Tribunale  amministrativo  regionale
Veneto  ai sensi dell'art. 27, comma 2, delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale.
    4.   -  In  prossimita'  della  data  fissata  per  l'udienza  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  depositato una memoria
integrativa, con la quale insiste per l'inammissibilita' del ricorso.
    In  particolare,  dopo aver ribadito l'inconferenza dei parametri
di  cui agli artt. 5, 101, 114 e 134 Cost., osserva che «rilevante in
linea  di  principio  e'  solo  l'art. 117  Cost.  che,  peraltro, in
concreto  non  risulta applicabile». A questo riguardo, si sottolinea
come  l'art. 117 Cost. possa essere evocato come parametro solo se la
competenza legislativa della Regione e' violata da una legge statale.
Al  contrario,  nel caso di specie si discute di un atto di esercizio
della  funzione  giurisdizionale;  pertanto,  la sentenza, «in quanto
destinata  a  produrre  effetti  solo tra le parti e nei limiti della
materia del contendere, come definita dalle domande e dalle eccezioni
da  esse  proposte,  non  puo' incidere in nessun modo sulla potesta'
normativa  dei  soggetti  che hanno emanato le norme applicate, tanto
meno quando quelle norme hanno forma legislativa».
    In  definitiva,  la difesa erariale ritiene che l'obiettivo della
Regione,  con  il  ricorso  in esame, sia quello di «porre rimedio ad
errori  di  giudizio di diritto sostanziale o processuale, eludendo i
mezzi   previsti   dagli   ordinamenti   processuali   delle  diverse
giurisdizioni».
    5.  -  Nella  memoria  depositata  in prossimita' dell'udienza la
Regione  Veneto  deduce,  anzitutto, l'infondatezza dell'eccezione di
inammissibilita' avanzata dalla difesa erariale, in quanto il ricorso
non  sarebbe  diretto  a  censurare  la  commissione  di  errores  in
iudicando  -  come  sostenuto  dal  resistente - ma «lo sconfinamento
assoluto  dalla  giurisdizione  operato  dal Tribunale amministrativo
regionale».  La ricorrente non contesta «la possibilita' in astratto»
da  parte  di  un  giudice  di  ritenere abrogata una disposizione di
legge,  ma  ne  contesta  «la  possibilita' in concreto, in relazione
cioe' al particolare rapporto tra fonti statali e regionali e al loro
succedersi nel tempo nella fattispecie in oggetto».
    A  parere  della  difesa regionale, altrettanto infondata sarebbe
l'affermazione   dell'Avvocatura  generale  secondo  cui  la  Regione
denuncerebbe  impropriamente  la  lesione  dell'art. 117  Cost.,  non
venendo  in contestazione la potesta' legislativa regionale. A questo
proposito,  la ricorrente rileva che il conflitto di attribuzione tra
lo  Stato  e le Regioni avente ad oggetto gli atti giurisdizionali e'
solo  formalmente  un conflitto tra enti, trattandosi sostanzialmente
di  un  conflitto  tra poteri, in particolare tra il legislativo e il
giudiziario.
    La  Regione  conclude  ribadendo  quanto gia' affermato nell'atto
introduttivo  del  conflitto  in  merito sia all'avvenuta abrogazione
dell'art. 10  della  legge  n. 62 del 1953, sia all'impossibilita' di
risolvere  in  termini  di  abrogazione  il  contrasto  tra una legge
regionale  e  la sopravvenuta legge statale contenente nuovi principi
fondamentali.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Con  ricorso notificato il 10 ottobre 2005 e depositato il
successivo  18  ottobre, la Regione Veneto, in persona del Presidente
pro  tempore,  ha  proposto  conflitto  di attribuzione nei confronti
dello  Stato  in relazione alla sentenza del Tribunale amministrativo
regionale  Veneto  19 agosto  2005,  n. 3200,  per  violazione  degli
artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione.
    2. - Il ricorso e' inammissibile.
    2.1.   -   La   Regione   ricorrente  lamenta  che  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Veneto abbia dichiarato l'abrogazione
della  legge  regionale  30  giugno 1993 n. 27 (Prevenzione dei danni
derivanti  dai  campi  elettromagnetici generati da elettrodotti) per
effetto  dell'entrata  in  vigore  del  decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  8 luglio  2003  [Fissazione  dei  limiti di
esposizione,  dei  valori di attenzione e degli obiettivi di qualita'
per  la  protezione  della  popolazione  dalle  esposizioni  ai campi
elettrici  e  magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli
elettrodotti],  recante  norme  di attuazione della legge 22 febbraio
2001  n. 36  (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici).
    L'effetto   abrogativo   rilevato   dal   giudice  amministrativo
deriverebbe   -  secondo  la  sentenza  impugnata  per  conflitto  di
attribuzione  -  dall'art. 10  della  legge  10 febbraio  1953  n. 62
(Costituzione  e  funzionamento degli organi regionali), nel quale e'
stabilito  che  le  leggi  della Repubblica che modificano i principi
fondamentali  nelle  materie  di  competenza  concorrente abrogano le
leggi regionali che siano in contrasto con esse.
    Nel  dichiarare  il  suddetto  effetto  abrogativo,  il Tribunale
amministrativo regionale del Veneto non ha fatto altro che esercitare
un  potere  strettamente  inerente alla funzione giurisdizionale, che
consiste  nell'applicazione  delle norme vigenti ai casi concreti. E'
del  tutto  evidente  che il giudice deve previamente accertare se le
norme  che  viene  chiamato  ad  applicare  nel  procedimento  di sua
competenza  siano  ancora  in  vigore  o  eventualmente  siano  state
abrogate  in  modo esplicito o implicito da leggi successive, secondo
quanto  stabilisce l'art. 15 delle disposizioni preliminari al codice
civile.  Tale dovere di verifica e' conseguenza naturale e necessaria
del  criterio  cronologico,  che,  insieme  a  quello gerarchico ed a
quello di competenza, disciplina il sistema delle fonti del diritto.
    Il  controllo  sull'attuale vigenza di una norma giuridica spetta
istituzionalmente   al   giudice  comune  e  precede  ogni  possibile
valutazione  sulla  legittimita' costituzionale della medesima norma.
Correttamente, pertanto, il giudice amministrativo ha operato, in via
preliminare,  tale controllo, giungendo alla conclusione che la legge
della Regione Veneto n. 27 del 1993 era stata abrogata. Aver rilevato
l'avvenuta  produzione  dell'effetto abrogativo ha inibito al giudice
stesso ogni valutazione sulla legittimita' costituzionale della norma
-   invocata   invece   dalla  ricorrente  -  che  sarebbe  risultata
irrilevante in quel giudizio.
    Le  doglianze che le parti possono esprimere nei confronti di una
pronuncia  giurisdizionale  dichiarativa dell'avvenuta abrogazione di
una  norma  devono  seguire  le ordinarie vie predisposte dal sistema
delle  impugnazioni.  Non e' ammissibile pertanto che il conflitto di
attribuzione  davanti  a questa Corte diventi uno strumento improprio
di censura degli asseriti errori in iudicando, sostitutivo dei rimedi
previsti  dagli ordinamenti delle diverse giurisdizioni (ex plurimis,
sentenze n. 150 e n. 2 del 2007).