IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  del procedimento penale n. 3161/2006 R.G.N.R. e
n. 752/2006  R.G.  Dib. a carico di Santoro Ignazio, nato ad Acireale
il 2 dicembre 1962, imputato:
        a) del  delitto  p.  e  p.  dagli artt. 73, comma 1° e 1°-bis
d.P.R. n. 309/1990 perche', senza l'autorizzazione di cui all'art. 17
stessa  legge  e  fuori  dalle  ipotesi  previste dall'art. 75 stessa
legge,   illecitamente   deteneva  ad  evidente  fine  di  successiva
rivendita  gr  7,06  lordi  di eroina (suddivisi in tre involucri del
peso ciascuno di gr 0,26, gr 4,44 e gr 2,36, gli ultimi due occultati
all'interno   di   un   pacchetto   di   sigarette  vuoto),  sostanza
stupefacente di cui alla tabella I, prevista dall'art. 14 della legge
medesima.
    Accertato in Prato l'8 settembre 2006.
        b) del  reato  p.  e  p.  dall'art. 707 c.p. per essere stato
colto   nel  possesso  ingiustificato  di  un  paio  di  tenaglie  da
carpentiere marca Lux, oggetto notoriamente utilizzato per lo scasso,
essendo   gravato  da  un  precedente  penale  per  reati  contro  il
patrimonio.
    Accertato in Prato l'8 settembre 2006.
        c) del  reato  p.  e  p.  dall'art. 2, legge n. 1423/1956 per
essere  stato sorpreso nel territorio del comune di Prato pur essendo
indirizzatario di un provvedimento emesso dal Questore di Prato il 21
luglio  2005  con  cui  gli  si ingiungeva il rimpatrio nel comune di
Montecatini Terme a mezzo di F.V.O.
    Accertato in Prato l'8 settembre 2006.
    Con la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale.
    Il Santoro veniva arrestato e portato avanti a questo giudice per
la  convalida  nelle  forme  dei  rito direttissimo. L'arresto veniva
convalidato  e quindi l'imputato veniva ristretto in via cautelare in
carcere.   Veniva   frattanto  disposta  perizia  sullo  stupefacente
sequestrato che accertava la presenza di «n. 3 polveri del peso netto
complessivo  di  grammi  6,591  contenenti  oppiacei stupefacenti per
complessivi  milligrammi 878 (ovvero grammi 0,878) pari a milligrammi
799 (pari a 0,7999) di eroina non salificata; quantitativo esauribile
in  circa  6-8  giorni  da  un  tossicodipendente medio». Il processo
proseguiva  con  la richiesta dell'imputato di' procedere nelle forme
del  rito  abbreviato. Ammesso l'imputato al rito speciale, all'esito
della   discussione   il   p.m.   concludeva  chiedendo  la  condanna
dell'imputato  alla  pena  di anni 4 e mesi 1 di reclusione mentre il
difensore chiedeva in tesi l'assoluzione. dal reato di cui al capo A)
perche'  il  fatto  non  e'  previsto  dalla  legge  come  reato e la
restituzione degli atti al p.m. in relazione ai capi. B) e C) perche'
estranei al giudizio di convalida dell'arresto ex art. 391 del c.p.p.
e perche' l'imputato non aveva dato il consenso alla loro trattazione
con  rito direttissimo; in ipotesi, condanna al minimo della pena con
riconoscimento  dell'attenuante  di cui al comma 5 dell'art. 73 legge
stupefacenti  da  ritenersi prevalente sulla recidiva contestata. Ove
l'attenuante  del  fatto  di  lieve  entita' non fosse stata ritenuta
applicabile,   la  difesa  eccepiva  la  legittimita'  costituzionale
dell'art.  69,  quarto  comma  del  c.p.  nella  misura  in  cui  non
differenziava   la   figura   dello   «spacciatore»   da  quella  del
tossicodipendente  che avesse riportato precedenti condanne per fatti
di droga.
    Poiche',  secondo  questo giudice, gli elementi raccolti a carico
del Santoro sono sufficienti a fondare un giudizio di responsabilita'
penale,  passando  alla  fase  della  determinazione  della  pena  si
evidenzia  che,  nonostante il modestissimo quantitativo di principio
attivo  imputabile  al  Santoro,  non  e'  possibile per l'imputato -
recidivo  reiterato  -  usufruire concretamente dell'attenuante della
lieve entita' del fatto tipizzata al quinto comma dell'art. 73 d.P.R.
n. 309/1990  per effetto della modifica apportata dal legislatore del
2005 al comma 4 dell'art. 69 del c.p.
    Quanto  alla  qualificazione giuridica del fatto di lieve entita'
nel   quadro   della   legge   stupefacenti,   la  giurisprudenza  di
legittimita'  e'  univoca  1) nel considerarla ipotesi circostanziata
attenuata di quella descritta al comma 1° dell'art. 73, stessa legge.
Ne'  la  situazione  puo'  dirsi  mutata  per effetto del comma 5-bis
dell'art.   73,  d.P.R.  n. 309/1990  introdotto  dalla  novella  del
21 febbraio 2006 con legge n. 49 per il sol fatto che la disposizione
riferendosi  al  comma 5  parla  genericamente  di  «ipotesi»  e  non
specificatamente  di  circostanza  attenuante  2).  Da  questa  prima
conclusione  ne  consegue  che  il  fatto  di  lieve entita' previsto
nell'art.   73   della  legge  stupefacenti,  in  quanto  circostanza
attenuante,  non  puo'  essere  esclusa  da  un eventuale giudizio di
bilanciamento  disciplinato  dall'art.  69  del c.p. visto che e' dal
1974  che  nel nostro ordinamento penale il giudizio di bilanciamento
e'  esteso  a tutte le circostanze e quindi anche a quelle ad effetto
speciale  3).  Cio'  premesso  e'  certo  che  in  considerazione del
modestissimo   quantitativo   di  sostanza  stupefacente  sequestrata
all'imputato  (ovvero  poco  piu'  di  6,5 grammi lordi di eroina con
quantita' di principio attivo inferiore a un grammo) e avuto riguardo
agli  altri  criteri  elencati  al  quinto  comma, dell'art. 73 legge
stupefacenti,   all'imputato   andrebbe   riconosciuta   e  applicata
l'attenuante  della  lieve  entita'  del  fatto. Procedendo oltre, va
considerato  che e' stata contestata la recidiva reiterata, specifica
ed infraquinquennale.
    La  contestazione  e'  fondata  sotto tutti i profili poiche' dal
certificato  del  casellario  giudiziale  dell'imputato  risultano  i
seguenti precedenti:
        il Tribunale di Pistoia con sentenza emessa il 20 aprile 2001
e  divenuta  irrevocabile il 18 maggio 2001 ha applicato all'imputato
la  pena  di  mesi sei di reclusione e di lire 3.000.000 di multa per
detenzione illecita di sostanze stupefacenti;
        il  Tribunale  di  Pistoia  con  sentenza del 23 gennaio 2001
divenuta  irrevocabile  l'11  marzo 2001 ha applicato all'imputato la
pena  di  anni  1  e  mesi  4 di reclusione e lire 3.000.000 di multa
sempre per detenzione illecita di sostanze stupefacenti;
        il  Tribunale di Prato con sentenza del 2 marzo 1993 divenuta
irrevocabile  il  25 aprile 1993 ha applicato all'imputato la pena di
mesi  11  di  reclusione  e  di  lire  2.000.000  di multa sempre per
analoghi delitti;
        la  Corte  di  appello  di Firenze con sentenza del 21 maggio
1987  divenuta  irrevocabile  il  7 aprile 1989 condannava l'imputato
alla pena anni 1 e mesi 8 di reclusione e lire 3.100.000 di multa per
violazione della disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope.
    Ebbene,   ripeterlo   e'  opportuno,  a  seguito  della  modifica
introdotta  dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nei casi
previsti   dal   quarto   comma dell'art.   99  (recidiva  cosiddetta
reiterata)  e'  stato  introdotto  il  divieto  di  prevalenza  delle
circostanze attenuanti sulle ritenute aggravanti ed a qualsiasi altra
circostanza  per  la  quale  la  legge  stabilisca una pena di specie
diversa  o determini la pena in modo indipendente da quella ordinaria
del reato. Cio' significa che nell'attuale formulazione dell'art. 69,
quarto comma del c.p. gli imputati recidivi reiterati all'esito di un
giudizio  di  bilanciamento  a loro favorevole (nei limiti consentiti
dalla  legge)  potranno  tutt'al  piu'  ottenere  un  «ritorno»  alla
fattispecie incriminatrice di base. In dettaglio, l'odierno imputato,
siccome  recidivo  reiterato,  anche  in  caso di bilanciamento delle
circostanze  in  favor rei, dovrebbe rispondere della fattispecie del
comma  primo  dell'art. 73  d.P.R.  n. 309  del  1990  che, nella sua
attuale  formulazione,  prevede  una  pena  da  sei  a  vent'anni  di
reclusione e una multa da euro 26.000 ad euro 300.000.
    Partendo dalla pena minima, il Santoro dovrebbe essere condannato
a  non meno di 4 anni di reclusione e a circa 18.000,00 euro di multa
per  aver  detenuto  per  poi  rivendere  gr  7,06  lordi  di  eroina
contenenti  oppiacei  stupefacenti  per  complessivi  milligrammi 878
(ovvero grammi 0,878) pari a milligrammi 799 (pari a 0,799) di eroina
non  salificata;  e  questo  senza calcolare l'aumento minimo di pena
previsto  per  i  recidivi reiterati dall'u.c. dell'art. 81 del c.p.,
anch'esso  novellato  dalla  stessa legge n. 251 del 2005, art. 5, in
relazione  ai  reati  che  si suppongono commessi in esecuzione di un
medesimo  disegno  criminoso.  In  conclusione,  il  Santoro dovrebbe
essere   condannato   ad   una   pena   che,   ictu   oculi,   appare
microscopicamente  sproporzionata rispetto alla gravita' del fatto e,
in ultima analisi, al suo disvalore sociale.
    Prima  della  novella  del 2005 questo giudice avrebbe certamente
ritenuto  il  fatto  di  «lieve entita» e detta attenuante - peraltro
rigorosamente  oggettiva  - sarebbe stata ritenuta prevalente in sede
di  bilanciamento  rispetto  ad  un'aggravante strettamente «inerente
alla  persona  del colpevole» quale la recidiva. D'altronde, i limiti
edittali  della  disposizione  di  cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R.
n. 309  del  1990,  ricompresi tra uno a sei anni di reclusione e tra
3.000  e  26.000 euro di multa, sarebbero stati sicuramente idonei ad
esaurire il disvalore penale del fatto per cui e' processo.
    Aspetti  di  incostituzionalita'  paiono  pertanto  profilarsi in
relazione alle seguenti norme:
        a) all'art. 3  della  Costituzione  e  quindi al principio di
ragionevolezza  e  proporzionalita'  della  pena, quale accezione del
principio di uguaglianza.
    Puo'  darsi  per acquisito che il principio di uguaglianza di cui
all'art.  3,  primo comma, Cost., esige che la pena sia proporzionata
al  disvalore  del  fatto  illecito  commesso, in modo che il sistema
sanzionatorio adempia al contempo alla funzione di difesa sociale e a
quella   di   tutela   delle   posizioni   individuali   (cfr.  Corte
costituzionale  n. 408/1989  e  nello stesso senso sentenze nn. 343 e
422  del  1993).  Il  legislatore  del  2005, precludendo ai recidivi
reiterati  ogni  possibilita'  di  ottenere un giudizio di prevalenza
delle circostanze attenuanti, pare avere oltrepassato il limite della
ragionevolezza  nell'esercizio del proprio potere discrezionale dando
luogo  ad  una  disparita'  di  trattamento che viola il principio di
uguaglianza.  L'attuale  disciplina del quarto comma dell'art. 69 del
c.p.  impedisce  il  riconoscimento  dell'attenuante  di cui al comma
quinto  dell'art.  73  d.P.R.  a  prescindere dal dato quantitativo e
qualitativo   della  sostanza  stupefacente  detenuta  illecitamente,
facendo  dipendere  siffatta valutazione dalla ricorrenza di elementi
personalistici  che  nulla hanno a che vedere con la struttura di una
circostanza  che  il  legislatore  aveva  definito  facendo esclusivo
riferimento   ad   indicatori   di  tipo  oggettivo  (ovvero:  mezzi,
modalita', circostanze dell'azione, ovvero qualita' e quantita' delle
sostanze).
    Dalla  previsione normativa novellata nel 2005 possono conseguire
non  solo  disparita'  di  trattamento  sanzionatorio  per situazioni
fattuali  obiettivamente  omogenee:  e'  il  caso  di un quantitativo
minino  di sostanza stupefacente detenuta in concorso da due soggetti
di cui uno sia recidivo reiterato e che quindi non potrebbe usufruire
dell'attenuante   della   lieve   entita';   ma,   financo,  risposte
sanzionatorie piu' gravi per casi indiscutibilmente meno gravi: e' il
caso di chi, recidivo reiterato, pur detenendo quantitativi minimi di
stupefacente   non  possa  usufruire  del  trattamento  sanzionatorio
previsto   dall'attenuante   piu'   volte   citata  rispetto  a  chi,
incensurato, ne detenga quantitativi assolutamente superiori.
    Nel  caso  in  esame,  ad esempio, non c'e' dubbio che potrebbero
fruire  dell'attenuante  della  lieve  entita'  del  fatto coloro che
detenessero  illecitamente  anche  quantitativi di stupefacente cento
volte  superiori  a quelli detenuti dall'imputato odierno sol perche'
incensurati   (si   consideri  infatti  che  nel  caso  in  esame  la
percentuale  di  principio attivo presente nella sostanza sequestrata
e' inferiore a un grammo).
    Ancora,  in  linea  con  l'eccezione  difensiva, si consideri che
analoga  preclusione vale per i tossicodipendenti e per gli assuntori
di   sostanze   stupefacenti   o  psicotrope  che  abbiano  riportato
precedenti  condanne  e  ai  quali  sia  stata contestata la recidiva
reiterata.  Parita'  di trattamento imposta dalla disposizione di cui
al  comma 4  dell'art. 69  del c.p. e che prescinde dalla particolare
situazione  personale  di questi soggetti, che il legislatore ha gia'
dimostrato  di  considerare  in  altre  disposizioni  a fondamento di
previsioni piu' miti volte ad agevolare il recupero sociale di queste
particolari categorie di rei.
    Situazione  quest'ultima che potrebbe ricorrere nel caso concreto
dato  che  l'imputato  si e' dichiarato da subito tossicodipendente e
quindi  vi  sarebbero  valide  ragioni  per  ritenere che parte dello
stupefacente  sequestrato  al  Santoro  fosse  destinato  al  proprio
consumo personale.
        b) all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
    La    Consulta   in   diverse   pronunce   ha   riconosciuto   la
costituzionalizzazione   del   principio   di   necessaria  lesivita'
dell'illecito  penale  4).  In  mancanza di una norma espressa in tal
senso,  detto principio e' stato ricavato dalle lettura combinata non
solo  dagli  artt.  25  e  27 Cost. ma anche da un complesso di altri
principi,  quale  in  specie  quello di inviolabilita' della liberta'
personale  ex  art.  13  Cost.,  di  liberta'  di  manifestazione del
pensiero  ex  art.  21  Cost., di liberta' morale sul piano politico,
religioso  ed etico e via dicendo. In tal senso si e' posto l'accento
sulla  locuzione  «fatto  commesso»  contenuta  nell'art. 25, secondo
comma  Cost.  valorizzando il suo stretto collegamento sia con l'art.
27,   primo   comma   che,  sancendo  il  carattere  personale  della
responsabilita'   penale,   impone  altresi'  un  limite  strutturale
dell'illecito penale 5), sia con il terzo comma che, attribuendo alla
pena  funzione rieducativa, implica necessariamente una delimitazione
dell'illiceita' penale ad una sfera selezionata di valori.
    In  relazione  alle conseguenze del reato, mentre l'art. 25 Cost.
distingue  le  pene  (secondo comma) dalle misure di sicurezza (terzo
comma),  l'art.  27, terzo comma pone in luce la funzione rieducativa
della  pena complementare alla ineliminabile funzione retributiva. Un
illustre  insegnamento 6) ha segnalato da tempo l'incostituzionalita'
delle   norme   che   configurino   ipotesi   di  criminose  tali  da
compromettere  la  duplice  funzione della pena e, in particolare, di
norme  che  creino  fattispecie  tali  da  impedire  o  rendere  piu'
difficoltoso  il  reinserimento  sociale  di determinate categorie di
soggetti gia' sottoposti a sanzione penale.
    Benche'  nel caso di specie non venga direttamente in rilievo una
sanzione penale bensi' la preclusione imposta al giudice di formulare
un  giudizio  di  prevalenza  di  una  o piu' circostanze: attenuanti
rispetto  alla  recidiva  reiterata,  nondimeno la nuova formulazione
dell'art. 69, quarto comma del c.p. pare censurabile sotto il profilo
della  violazione  della  funzione  rieducativa della pena. E' palese
infatti lo squilibrio tra le due funzioni presente nel nuovo disposto
normativo   dove   alla   contrazione   dell'aspetto  retributivo  e'
corrisposta  una vera e propria invasione della sfera di operativita'
delle misure di sicurezza e/o, finanche, di prevenzione. Ora, poiche'
il  potere  discrezionale  conferito  al giudice nella scelta e nella
quantificazione  della  pena  da irrogare in concreto e' strettamente
funzionale  a  garantire l'adeguamento della sanzione alle condizioni
personali  del  reo  e  alla  sua  colpevolezza  e  quindi, in ultima
analisi,  a  garantire  il  perseguimento  della funzione rieducativa
indicata dal terzo comma dell'art. 27 Cost., una riduzione del potere
in  questione trova il suo limite naturale nell'impossibilita' per il
giudice  di  irrogare  o applicare al reo una pena proporzionata alla
gravita'  del  fatto  commesso.  Si  intende significare che una pena
sproporzionata   non   puo'   ontologicamente   assolvere   a  quella
particolare  funzione  che  la Carta costituzionale le demanda ma, al
contrario, la compromette irrimediabilmente.
    Pare  a  questo  giudice  che  codesta  Corte,  sulla  scorta  di
considerazioni  similari,  sia giunta a dichiarare costituzionalmente
illegittime  previsioni  di  sanzioni  penali  ritenendo  che la loro
manifesta  mancanza  di  proporzionalita'  rispetto ai fatti-reato si
traducesse   in  violazioni  dell'art.  27,  terzo  comma,  Cost.  In
particolare,  la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che «la palese
sproporzione  del  sacrificio  della  liberta'  personale», provocata
dalla  previsione  di  una  sanzione  penale manifestamente eccessiva
rispetto al disvalore dell'illecito, «produce (...) una vanificazione
del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma,
che  di  quella  liberta'  costituisce  una garanzia istituzionale in
relazione  allo stato di detenzione». A partire almeno dalla sentenza
della  Corte  cost.  2 luglio  1990,  n. 313 la finalita' rieducativa
della  pena  non e' «limitata alla sola fase dell'esecuzione» ma deve
ritenersi    costituire    «una   delle   qualita'   essenziali   che
caratterizzano  la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano
da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in
concreto si estingue».
    Cio'  implica  che la finalita' rieducativa impronta di se' anche
il  momento  applicativo della pena che e' presidiato dagli strumenti
normativi   offerti   al   giudice  per  adeguare,  con  la  maggiore
puntualita'  e  rispondenza  al  fatto  e  alle  caratteristiche  del
soggetto, il trattamento sanzionatorio. Confligge quindi, a parere di
chi  scrive,  con  tale finalita' la norma dell'art. 69, quarto comma
del  c.p.  che,  privando  il  giudice  di  un fondamentale strumento
attuativo   della   finalita'   rieducativa   della   pena,  comporta
l'applicazione  di  pene  microscopicamente  inique  e  irragionevoli
rispetto al reale disvalore del fatto-reato commesso.
    La  questione sollevata appare rilevante nel giudizio de quo dato
che  questo  giudicante  ritiene  microscopicamente sproporzionata la
pena  che  dovrebbe essere irrogata al Santoro rispetto alla gravita'
del  fatto  commesso;  iniquita'  determinata  dall'impossibilita' di
applicare  il  trattamento sanzionatorio previsto dall'attenuante del
comma  quinto  dell'art.  73  d.P.R.  n. 309  del  1990 a causa della
modifica apportata al quarto comma, dell'art. 69 del c.p. dall'art. 3
della legge 5 dicembre 2005, n. 251
          1)  Cfr.  da  ultimo Cass. sez. 4, sentenza n. 18377 del 12
          aprile  2006 Ud. (dep. 25 maggio 2006) ed ancora Cass. sez.
          4,  sentenza  n. 38879  del  29 settembre 2005 Ud. (dep. 21
          ottobre  2005)  Rv.  232429  che ha espressamente affermato
          come,    «in   tema   di   stupefacenti,   la   concessione
          dell'attenuante  del fatto di lieve entita' (art. 73, comma
          quinto,  d.P.R.  9 ottobre  1990,  n. 309)  non modifica il
          titolo  del  reato,  ma incide solo sulla valutazione della
          gravita' del fatto»;
          2)  Si  richiamano  le  osservazioni  esposte  dal  Giudice
          Paternostro   di   questo   tribunale   nell'ordinanza   di
          rimessione  del  20 luglio  2006  nel  procedimento  penale
          n. 2301/2006  R.G.N.R.  e n. 567/2006 R.G. Dib. a carico di
          Cherraki Said.
          3)  Solo  in  particolari  ipotesi il legislatore ha inteso
          espressamente  sottrarre  talune  circostanze aggravanti al
          predetto bilanciamento: e' il caso dell'art. 7, comma 2 del
          d.l.   n. 152   del   1991   che   vieta  la  prevalenza  o
          l'equivalenza  delle  attenuanti  sull'aggravante  per aver
          commesso  un  delitto avvalendosi delle condizioni previste
          dall'art. 416-bis  del  codice  penale  ovvero  al  fine di
          agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  previste dallo
          stesso    articolo;   e'   ancora   il   caso   del   terzo
          comma dell'art.  1,  legge  n. 15  del  1980  in  relazione
          all'aggravante  della commissione di un reato per finalita'
          di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico.
          4)  Cfir.  da ultimo Corte cost. sent. n. 0265 del 2005 che
          ha  ribadito come il principio di offensivita' operi su due
          piani,  rispettivamente,  della  previsione normativa sotto
          forma  di  precetto  rivolto  al  legislatore  di prevedere
          fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo e
          dell'applicazione    giurisprudenziale   (offensivita'   in
          concreto),    quale   criterio   interpretativo-applicativo
          affidato  al  giudice  (vedi  pure  le  sentenze citate nn.
          360/1995,  263  e  519/2000,  ove viene definita la duplice
          sfera  di  operativita'  in  astratto  e  in  concreto, del
          principio  di  necessaria  offensivita',  quale criterio di
          conformazione legislativa delle fattispecie incriminatici e
          quale canone interpretativo per il giudice.
          5)  Detto limite si traduce nell'esigenza di ricorrere alla
          responsabilita'  da  illecito civile (o amministrativo) per
          realizzare  esigenze di tutela incompatibili con l'esigenza
          di colpevolezza.
          6) Cfr F. Bricola, Teoria Generale del reato, p 82.