ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della sentenza n. 4024 del 23 settembre 2004 della
Corte  di  appello di Roma, seconda sezione civile, emessa in sede di
giudizio di rinvio, di condanna del senatore a vita Francesco Cossiga
al  risarcimento  del danno morale per le dichiarazioni rese, durante
il mandato di Presidente della Repubblica, nei confronti del senatore
Pierluigi  Onorato,  promosso  dal  senatore Francesco Cossiga, nella
qualita'  di ex Presidente della Repubblica, notificato il 17 ottobre
2005,  depositato  in  cancelleria  il 31 ottobre 2005 ed iscritto al
n. 38  del  registro  conflitti  tra poteri dello Stato 2005, fase di
merito.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente della Repubblica
nonche' l'atto di intervento del senatore Pierluigi Onorato;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  19  giugno 2007  il  giudice
relatore Sabino Cassese;
    Uditi  gli  avvocati  Giuseppe  Morbidelli,  Agostino  Gambino  e
Massimo  Ranieri  per il senatore Francesco Cossiga, l'avvocato dello
Stato  Massimo  Salvatorelli per il Presidente della Repubblica e gli
avvocati  Federico  Sorrentino  e  Massimo  Luciani  per  il senatore
Pierluigi Onorato.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ricorso del 17 gennaio 2005 il senatore a vita Francesco
Cossiga  -  quale  ex  Presidente  della  Repubblica (il suo mandato,
esplicatosi  negli  anni 1985-1992, e' terminato il 28 aprile 1992) -
ha  sollevato  conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato in
relazione  alla  sentenza  n. 4024 del 23 settembre 2004, pronunciata
dalla  Corte di appello di Roma in sede di rinvio, dopo la cassazione
di una precedente sentenza della stessa Corte di appello, nell'ambito
di un giudizio civile di risarcimento del danno promosso dal senatore
Pierluigi   Onorato   in   relazione   a   dichiarazioni  pronunciate
dall'allora  Presidente  della Repubblica e dal sen. Onorato ritenute
diffamatorie e oltraggiose.
    Osserva  il  ricorrente  che  l'episodio in relazione al quale e'
proposto il conflitto e' quello accaduto il 15 marzo 1991, allorche',
nel  corso della audizione del presidente Cossiga davanti al Comitato
parlamentare  per  i  servizi  di  informazione  e sicurezza e per il
segreto  di  Stato in merito all'istituzione e al funzionamento della
struttura denominata «Gladio», il presidente Cossiga, rivolgendosi al
sen.  Onorato,  componente  del  Comitato,  e  prendendo spunto da un
appello sottoscritto dallo stesso Onorato contro la guerra del Golfo,
aveva  dichiarato:  «Tu hai un'altra veduta perche' non sei da questa
parte,  Onorato,  tu  sei  dall'altra.  Tu saresti stato un magnifico
inquisitore   del   Ministro   di  grazia  e  giustizia  del  Governo
collaborazionista!  (...)  Tu  sei la figura tipica degli inquisitori
che  interrogavano  London.  Hai capito? Anche con la scopolamina! Ti
credo  capace  di  questo e altro, perche' ti conosco come sardo e mi
vergogno  che tu sia sardo, perche' sei una persona di una faziosita'
tale per cui mi adoperero' con gli amici del PDS perche' ti candidino
e  ti  eleggano  perche'  1'idea  che  domani l'onore,  la  vita,  la
liberta',  i beni di un cittadino possano essere messi nelle tue mani
di  magistrato e' cosa che come liberale mi atterrisce»; alla replica
di  Onorato: «non ho la stessa concezione dello Stato e della Patria,
in  questo  senso non mi considero un traditore», rispondeva Cossiga:
«certo tu non hai nessuna concezione di Stato e di Patria».
    1.2.   -   Premette  il  ricorrente  che  il  presente  conflitto
rappresenta  lo  sviluppo  di  una  vicenda, sempre in relazione agli
stessi  e  ad altri fatti (relativi pure a una vicenda intercorsa fra
il  sen. Cossiga ed il sen. Flamigni), di cui la Corte costituzionale
si  e' gia' occupata in altro giudizio per conflitto tra poteri dello
Stato  con due decisioni, l'ordinanza n. 455 del 2002, pronunciata in
sede  di  ammissibilita',  e  la  sentenza  n. 154 del 2004, resa nel
successivo giudizio di merito.
    Il  ricorrente  ripercorre  minutamente  la  vicenda  processuale
antecedente,  osservando  che, con sentenza emessa il 23 giugno 1993,
in  accoglimento  della  domanda  del senatore Onorato (sia quanto al
suddetto  episodio, sia per gli altri due episodi che ormai in questa
sede  piu'  non  rilevano),  il  Tribunale  di  Roma ha condannato il
senatore  Francesco  Cossiga  al risarcimento dei danni morali, oltre
alla  pubblicazione  della  sentenza  e  alle  spese del giudizio. La
sentenza  e'  stata integralmente riformata dalla Corte di appello di
Roma con sentenza del 21 aprile 1997. Avverso detta sentenza, il sen.
Onorato  ha proposto ricorso per cassazione e la Corte di cassazione,
con  sentenza del 27 giugno 2000, n. 8734, lo ha accolto in relazione
all'episodio  del  15 marzo  1991, mentre lo ha rigettato quanto agli
altri  pretesi  episodi diffamatori, disponendo per quanto di ragione
la  cassazione  dell'impugnata  sentenza, con rinvio ad altra sezione
della   Corte   di  appello  di  Roma.  In  relazione  alla  sentenza
pronunciata  dalla  Corte  di  cassazione,  il  senatore  Cossiga, in
qualita' di ex Presidente della Repubblica, con atto dell'11 febbraio
2002,  ha  proposto  ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri
dello  Stato,  chiedendone  l'annullamento e la Corte costituzionale,
dopo  avere ritenuto ammissibile il conflitto con la citata ordinanza
n. 455  del  2002, lo ha deciso nel merito con la sentenza n. 154 del
2004.  Successivamente  alla pubblicazione di tale sentenza, la Corte
di  appello  di Roma, con la sentenza 23 settembre 2004, n. 4024, qui
impugnata,  ha  riconosciuto  la responsabilita' del sen. Cossiga per
l'episodio  del  15 marzo 1991, sul presupposto che egli avesse agito
fuori  dalle  funzioni presidenziali, sia tipiche (art. 89 Cost.) sia
atipiche (connesse al cosiddetto potere di esternazione).
    1.3.  -  Il  ricorrente  lamenta  che la Corte di appello di Roma
abbia  fatto propria un'interpretazione dell'art. 90 Cost. sul regime
di  responsabilita' del Presidente della Repubblica e sul rapporto di
strumentalita'   tra   esternazioni   di   quest'ultimo   e  funzioni
presidenziali «del tutto insoddisfacente e contrastante» innanzitutto
con  i  principi  fissati dalla Corte di cassazione (sentenza n. 8734
del  2000)  e  ritenuti corretti dalla Corte costituzionale (sentenza
n. 154 del 2004).
    In  particolare, ad avviso del ricorrente, la sentenza oggetto di
conflitto  avrebbe apparentemente assunto come valido il principio di
diritto  enunciato dalla Corte di cassazione [«ai sensi dell'art. 90,
comma 1,  Cost.  l'immunita'  del  Presidente  della  Repubblica (che
attiene sia alla responsabilita' penale che civile o amministrativa),
copre solo gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni (nelle
quali  rientrano,  oltre  quelle  previste  dall'art. 89 Cost., anche
quelle  di  cui  all'art. 87  Cost., tra cui la stessa rappresentanza
dell'unita'   nazionale)   e   non  quelli  extrafunzionali;  ne'  la
continuita'  del  munus  comporta  che l'immunita' riguardi ogni atto
compiuto  dalla persona che ha la titolarita' dell'Organo, per quanto
monocratico»  (sentenza  n. 8734  del  2000)], ma, in realta', non lo
avrebbe applicato. Secondo il ricorrente, la non applicazione di tale
principio  risulterebbe  sotto tre profili. In primo luogo, nell'aver
escluso ogni rapporto tra la «vicenda Gladio» (oggetto dell'audizione
presidenziale  dinanzi al predetto Comitato parlamentare) e la Guerra
del  Golfo  (alla  quale il sen. Onorato si era pubblicamente opposto
firmando  un appello pubblicato da «Il Manifesto» i1 29 gennaio 1991,
ripubblicato  dalla  stessa testata il 27 febbraio 1991, pochi giorni
prima,  quindi,  dell'audizione  del  15  marzo).  In  secondo luogo,
nell'aver   ritenuto   irrilevante   il  momento  dell'audizione  del
Presidente  da  parte  del  Comitato,  mentre  «il  sen.  Onorato  fu
severamente  redarguito  dal  Presidente  per  il solo fatto di avere
all'epoca   espresso  la  sua  opposizione  alla  Guerra  del  Golfo,
nell'assenza  di un qualsivoglia legame politico-istituzionale tra la
partecipazione  dell'Italia  alla  rete  Stay Behind (Gladio) fondata
sull'alleanza   atlantica   (NATO)   e   la  partecipazione  militare
dell'Italia alla Guerra del Golfo, soltanto quest'ultima disapprovata
in  quel periodo dal sen. Onorato». In terzo luogo, nell'aver assunto
che gli asseriti epiteti infamanti erano stati rivolti dal Presidente
al  sen.  Onorato  «per  il  solo  fatto della sua opinione pacifista
espressa  attraverso  la  firma  di  un  appello contro la Guerra del
Golfo,  nel  difetto di ogni spunto provocatorio che giustificasse lo
sferzante  e  violento  attacco  mosso  dall'interlocutore  nei  suoi
confronti».
    Ad  avviso del ricorrente, inoltre, per giungere alla conclusione
dell'extrafunzionalita'  dell'esternazione,  la  Corte  di appello di
Roma  avrebbe,  del  tutto  contraddittoriamente,  smentito le stesse
premesse  giuridiche  della  propria  motivazione  e  disapplicato il
principio  di  diritto  fissato  dalla Corte di cassazione: infatti -
dopo  aver  pienamente  dato atto che le funzioni presidenziali sono,
oltre  quelle  previste  dall'art. 89  Cost.,  anche  quelle  di  cui
all'art. 87  Cost.,  tra  cui  la  stessa  rappresentanza dell'unita'
nazionale,  e  dopo aver riconosciuto che, con riguardo a tale ultima
funzione,  il  Presidente  puo' esercitare il suo ruolo di interprete
dei superiori interessi e valori nazionali anche attraverso «messaggi
liberi»  e  non solo mediante i formali messaggi alle Camere previsti
dall'art. 87  Cost. - la sentenza (per negare il carattere funzionale
dell'esternazione     presidenziale)     avrebbe     affermato    che
l'irresponsabilita'  del  Capo dello  Stato  potrebbe  invece operare
«soltanto in modo strumentale alla superiore esigenza di indipendenza
della funzione», che nella specie la semplice posizione pacifista del
sen. Onorato non aveva messo in pericolo.
    Secondo  il  ricorrente, la sentenza oggetto di conflitto avrebbe
pertanto  ristretto  la nozione di prerogativa presidenziale rispetto
al  principio  di diritto statuito dalla Corte di cassazione, essendo
le   esternazioni  presidenziali,  pacificamente,  una  modalita'  di
esercizio  di tutte le funzioni presidenziali, prima fra tutte quella
di  interprete, quale Capo della Nazione, dei principi fondanti della
comunita'  civile e dei superiori interessi e valori del Paese, e non
soltanto  una  modalita'  di  tutela  dell'indipendenza della carica.
Inoltre,  la  strumentalita'  alla  funzione  del  messaggio non puo'
essere misurata in base al suo contenuto, piu' o meno gradito, piu' o
meno  pacato, piu' o meno rispettoso dell'ortodossia costituzionale e
il  messaggio  del Presidente su un tema di interesse generale per la
Nazione e' sempre atto funzionale ed insindacabile.
    A    parere    del    ricorrente,    il    carattere   funzionale
dell'esternazione   si   paleserebbe   anche  tenendo  conto  che  il
presidente  Cossiga  aveva  gia' ritenuto di intervenire, con lettere
del  23 febbraio  1991 indirizzate al Ministro di grazia e giustizia,
al  Vice  Presidente  del Consiglio superiore della magistratura e al
Procuratore  generale  presso la Corte di cassazione, per manifestare
la  propria  preoccupazione  circa il fatto che tra i firmatari di un
appello  «pacifista»  pubblicato  dal  quotidiano  «Il  Manifesto» il
21 febbraio  1991 vi fossero dei magistrati, «tanto giustificando con
la   sua   qualita'  di  presidente  del  Consiglio  superiore  della
magistratura». Tale appello (sottoscritto dal sen. Onorato) era stato
ripubblicato  il  27 febbraio  1991  sullo stesso quotidiano, con una
sorta  di  risposta  alle  lettere  del  Presidente  e  polemicamente
intitolato   «Indirizzato  a  Cossiga».  Era,  dunque,  in  corso  un
dibattito  politico-istituzionale  tra  il  Capo dello Stato ed altri
soggetti  pubblici  (tra  i  quali  alcuni parlamentari, come il sen.
Onorato)  che  avevano  firmato  un documento ritenuto dal Capo dello
Stato contrastante con gli interessi e i valori della Nazione.
    In  tale  contesto,  secondo  la difesa del ricorrente, dopo aver
gia'  replicato per vie formali ai magistrati firmatari dell'appello,
il  Capo dello  Stato,  nel  corso  dell'audizione del 15 marzo 1991,
aveva  replicato anche direttamente ad un parlamentare firmatario (il
sen. Onorato, peraltro magistrato).
    Secondo  il  ricorrente,  la  Corte  di  appello  di Roma sarebbe
incorsa nei seguenti ulteriori errori:
         -  avrebbe erroneamente ritenuto che il Presidente nel corso
dell'audizione,  avesse dismesso l'ufficio di Capo dello Stato, posto
che  1'oggetto  dell'audizione medesima riguardava l'attivita' svolta
dall'odierno  ricorrente  durante  l'espletamento  di  altre funzioni
(quelle di ex Ministro dell'interno);
         -  avrebbe  altresi'  negato il principio di «autodifesa del
Presidente della Repubblica», enunciato dalla sentenza della Corte di
cassazione,  nel senso che esso «riguarda o la particolare ipotesi in
cui la difesa del Presidente della Repubblica non rientri nei compiti
funzionali  di  altro  organo  istituzionale  ovvero  i  casi  in cui
esigenze  oggettive  impongano  di  rispondere  con  immediatezza  ed
urgenza ad attacchi diretti all'organo presidenziale, per riaffermare
le  sue  competenze ovvero per respingere offese attuali al decoro ed
al prestigio dell'istituzione»;
         -  avrebbe  inesattamente sostenuto che nessuna valenza puo'
avere   la   circostanza   che   il  sen.  Onorato  avesse  richiesto
l'acquisizione  degli atti sulla vicenda Gladio e indagini suppletive
sulla  medesima  vicenda,  quando poi detti comportamenti apertamente
provocatori   si   erano  concretizzati,  come  riconosce  la  stessa
sentenza, pochi mesi dopo, nella richiesta da parte dello stesso sen.
Onorato di messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica;
         -  avrebbe  accertato  l'asserita  valenza  denigratoria  ed
offensiva  delle  dichiarazioni  del presidente Cossiga nei confronti
del  sen.  Onorato,  accertamento  che,  ad avviso del ricorrente, fa
invece  «semplicemente sorridere, se si pensa alle trasformazioni che
in  questi  13 anni si sono verificate nel dibattito politico» e alla
circostanza che il carattere offensivo non costituirebbe, di per se',
elemento    sufficiente    a    considerare    l'esternazione    come
extrafunzionale,  anche  alla  luce  della consolidata giurisprudenza
costituzionale  in  tema  di prerogative di cui all'art. 68, comma 1,
Cost.
    Osserva il ricorrente, infine, che sebbene la sentenza n. 154 del
2004  abbia  rimesso all'autorita' giudiziaria il compito di decidere
circa  l'applicabilita'  in concreto, in rapporto alle circostanze di
fatto,    della    clausola    eccezionale    di   esclusione   della
responsabilita',  cio'  impone  uno scrutinio di ragionevolezza della
decisione  dell'autorita'  giudiziaria,  se  possibile,  ancora  piu'
stringente.
    2.  -  Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza
n. 357 del 2005.
    3.  -  Con atto del 28 ottobre 2005, si e' costituito in giudizio
il  Presidente  della  Repubblica  in  carica, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  riservando «al prosieguo la
formulazione delle proprie conclusioni».
    4.  -  E' intervenuto in giudizio il senatore Onorato, attore nel
giudizio  che ha originato il conflitto, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o infondato.
    In  particolare, nel merito, chiede che il ricorso sia dichiarato
infondato  alla luce dei principi affermati dalla Corte di cassazione
e  gia'  passati  indenni al vaglio della Corte costituzionale. Da un
lato, ricorda che la Corte di cassazione ha precisato che l'immunita'
del   Presidente   della   Repubblica  riguarda  solo  gli  atti  che
costituiscono   esercizio   delle   funzioni   presidenziali   e   le
dichiarazioni  strumentali  o  accessorie  rispetto  a tale esercizio
(sentenza  n. 8734  del  2000,  punto  6 dei motivi della decisione).
Dall'altro,  sottolinea  che  la  correttezza di tale impostazione e'
stata  gia'  riconosciuta  dalla Corte costituzionale, secondo cui e'
necessario tenere ferma la distinzione tra esternazioni funzionali ed
esternazioni  extrafunzionali,  stabilendo  che  solo  queste  ultime
restano  addebitabili,  ove  foriere di responsabilita', alla persona
fisica  del  titolare della carica (sentenza n. 154 del 2004, punto 6
del  considerato  in  diritto). Sottolinea, inoltre, che e' la stessa
Corte  costituzionale,  nella  sentenza  menzionata, a riconoscere la
difficolta'  di operare la distinzione nell'ambito delle esternazioni
tra quelle riconducibili all'esercizio delle funzioni presidenziali e
quelle  ad  esse estranee e, tuttavia, a sottolineare che, nonostante
«l'eventuale    maggiore    difficolta»,   detta   distinzione   «sia
necessaria».
    Aggiunge  la  difesa  del sen. Onorato che la menzionata sentenza
della Corte costituzionale ha pure concluso nel senso di escludere il
fondamento   costituzionale   della   tesi   secondo  cui  «tutte  le
dichiarazioni  non  afferenti  esclusivamente  alla sfera privata del
Presidente   della   Repubblica   dovrebbero   ritenersi  coperte  da
irresponsabilita'  a garanzia della indipendenza dell'alto ufficio da
interferenze  di  altri  poteri,  o  in forza della impossibilita' di
distinguere,  in  relazione alle esternazioni, il munus dalla persona
fisica»  e  che  cio'  consente  di  smentire  la tesi del ricorrente
secondo  cui  sarebbe  possibile una distinzione tra esternazioni che
hanno  carattere  meramente  privato  (non  coperte  da  immunita) ed
esternazioni       pubbliche      coperte      dalla      guarentigia
dell'insindacabilita'    in    quanto   riconducibili   alla   carica
istituzionale.
    L'intervenuto  ripercorre  diffusamente  i  punti  salienti della
motivazione   della   sentenza   della  Corte  di  appello  di  Roma,
sottolineando  come  essa abbia correttamente accertato l'estraneita'
delle  dichiarazioni  relative  all'episodio  del  15 marzo 1991 alle
funzioni del Capo dello Stato sulla base dei principi affermati dalla
Corte di cassazione con la sentenza n. 8734 del 2000.
    Insiste   nel  chiedere  di  dichiarare  ammissibile  il  proprio
intervento e, nel merito, il rigetto del ricorso.
    5.1.  -  In  prossimita'  della  data  fissata  per l'udienza, ha
depositato una memoria il Presidente della Repubblica in carica nella
quale  «si rimette integralmente al giudizio di codesta Corte sia per
quanto attiene alle questioni pregiudiziali sia, in caso di soluzione
positiva  delle  stesse,  per  quanto attiene alla perimetrazione dei
confini funzionali della irresponsabilita' presidenziale».
    5.2.  -  Ha  altresi' depositato una memoria il sen. Onorato, che
insiste  nel  chiedere  sia l'inammissibilita' sia l'infondatezza del
ricorso.
    Quanto  all'eccepita  inammissibilita',  ribadisce la carenza del
profilo  soggettivo del conflitto non essendo possibile una scissione
tra persona fisica e munus; scissione che consentirebbe al ricorrente
di  tutelare,  non  le prerogative del suo passato ufficio, bensi' la
correttezza   del   suo  personale  operato  con  singolari  ricadute
processuali  in  tema  di  legittimazione  a ricorrere del Capo dello
Stato,  duplicata  in  quella proposta dall'ex Presidente e in quella
«partecipata» dall'attuale Presidente in carica.
    Eccepisce  altresi'  l'inammissibilita' del conflitto anche sotto
il  profilo  oggettivo,  tenuto  conto che il ricorrente, da un lato,
contesta   i  principi  di  diritto  ritenuti  corretti  dalla  Corte
costituzionale  con  la  sentenza  n. 154  del 2004 e, dall'altro, si
limita  a denunciare dei semplici errores in iudicando della sentenza
oggetto  dell'attuale  conflitto,  duplicando l'impugnazione proposta
con ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza.
    Nel  merito,  insiste  per  l'infondatezza  del ricorso alla luce
della consolidata giurisprudenza costituzionale in ordine all'art. 68
Cost.   ed   alla   necessarieta'   dell'individuazione   del  «nesso
funzionale»   tra   la   dichiarazione   incriminata   e  l'attivita'
parlamentare,  giurisprudenza  che  «nei limiti del compatibile» puo'
essere  utilizzata in tema di responsabilita' presidenziale. Conclude
nel  ritenere  corretto  il  percorso  argomentativo  compiuto  dalla
decisione oggetto di conflitto.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato e' stato proposto dal senatore Francesco Cossiga in qualita' di
ex  Presidente  della  Repubblica  (il suo mandato, esplicatosi negli
anni 1985-1992,  e'  terminato  il 28 aprile 1992), in relazione alla
sentenza  della  Corte  di  appello  di  Roma  del 23 settembre 2004,
n. 4024,  pronunciata  in  seguito  alla cassazione con rinvio di una
precedente  sentenza della stessa Corte di appello, nell'ambito di un
giudizio  civile  di  risarcimento  del  danno, promosso dal senatore
Pierluigi    Onorato   in   relazione   a   dichiarazioni   (ritenute
diffamatorie)  pronunciate  dall'allora  Presidente  della Repubblica
Cossiga.
    Nel  giudizio civile rileva l'episodio accaduto il 15 marzo 1991,
allorche',  nel  corso della audizione del presidente Cossiga davanti
al  Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e
per  il segreto di Stato in merito all'istituzione e al funzionamento
della   struttura   denominata   «Gladio»,   il  presidente  Cossiga,
rivolgendosi  al  sen.  Onorato, componente del Comitato, e prendendo
spunto  da  un  appello  sottoscritto  dallo stesso Onorato contro la
guerra  del  Golfo, aveva dichiarato: «Tu hai un'altra veduta perche'
non sei da questa parte, Onorato, tu sei dall'altra. Tu saresti stato
un  magnifico  inquisitore  del  Ministro  di  grazia e giustizia del
Governo  collaborazionista!  (...)  Tu  sei  la  figura  tipica degli
inquisitori  che  interrogavano  London.  Hai  capito?  Anche  con la
scopolamina!  Ti  credo  capace di questo e altro, perche' ti conosco
come sardo e mi vergogno che tu sia sardo, perche' sei una persona di
una  faziosita'  tale  per  cui  mi  adoperero' con gli amici del PDS
perche' ti candidino e ti eleggano perche' l'idea che domani l'onore,
la  vita,  la  liberta',  i beni di un cittadino possano essere messi
nelle   tue   mani  di  magistrato  e'  cosa  che  come  liberale  mi
atterrisce»;  alla  replica  di Onorato: «non ho la stessa concezione
dello  Stato  e  della  Patria,  in  questo senso non mi considero un
traditore»,  rispondeva Cossiga: «certo tu non hai nessuna concezione
di Stato e di Patria».
    La  Corte  di  appello, con la sentenza oggetto del conflitto, ha
riconosciuto  la  responsabilita' del sen. Cossiga per l'episodio del
15 marzo  1991,  sul  presupposto  che  egli avesse agito fuori dalle
funzioni  presidenziali, sia tipiche sia atipiche (connesse al potere
cosiddetto di esternazione).
    Il  ricorrente  ritiene  che  la Corte di appello di Roma, con la
decisione   impugnata,   abbia   fatto   propria   un'interpretazione
dell'art. 90 Cost. sul regime di responsabilita' del Presidente della
Repubblica  e  sul  rapporto  di  strumentalita'  tra esternazioni di
quest'ultimo  e  funzioni presidenziali, «del tutto insoddisfacente e
contrastante»  con  i  principi  fissati dalla Corte di cassazione in
sede  di  annullamento  con  rinvio  (sentenza  n. 8734  del  2000) e
ritenuti  corretti  dalla  Corte  costituzionale (sentenza n. 154 del
2004).
    Ad   avviso   del   ricorrente,   la  Corte  di  appello  avrebbe
apparentemente  assunto come valido il principio di diritto enunciato
dalla  Corte  di  cassazione  [«ai  sensi  dell'art. 90, primo comma,
Cost.,  l'immunita'  del Presidente della Repubblica (che attiene sia
alla  responsabilita'  penale che civile o amministrativa) copre solo
gli  atti  compiuti  nell'esercizio  delle  sue funzioni (nelle quali
rientrano,  oltre quelle previste dall'art. 89 Cost., anche quelle di
qui  all'art. 87  Cost., tra cui la stessa rappresentanza dell'unita'
nazionale) e non quelli extrafunzionali; ne' la continuita' del munus
comporta  che  l'immunita'  riguardi ogni atto compiuto dalla persona
che  ha la titolarita' dell'Organo, per quanto monocratico» (sentenza
n. 8734 del 2000)], ma, in realta', non lo avrebbe applicato.
    Secondo  il  ricorrente,  la  non  applicazione di tale principio
risulterebbe  sotto  tre  profili.  In primo luogo, nell'aver escluso
ogni   rapporto  tra  la  «vicenda  Gladio»  (oggetto  dell'audizione
presidenziale  dinanzi al predetto Comitato parlamentare) e la Guerra
del  Golfo  (alla  quale il sen. Onorato si era pubblicamente opposto
firmando  un appello pubblicato da «Il Manifesto» il 29 gennaio 1991,
ripubblicato  dalla  stessa testata il 27 febbraio 1991, pochi giorni
prima,  quindi,  dell'audizione  del  15  marzo).  In  secondo luogo,
nell'aver   ritenuto   irrilevante   il  momento  dell'audizione  del
Presidente  da  parte  del  Comitato,  mentre  «il  sen.  Onorato  fu
severamente  redarguito  dal  Presidente  per  il solo fatto di avere
all'epoca   espresso  la  sua  opposizione  alla  Guerra  del  Golfo,
nell'assenza  di un qualsivoglia legame politico-istituzionale tra la
partecipazione  dell'Italia  alla  rete  Stay Behind (Gladio) fondata
sull'alleanza   atlantica   (NATO)   e   la  partecipazione  militare
dell'Italia alla Guerra del Golfo, soltanto quest'ultima disapprovata
in  quel periodo dal sen. Onorato». In terzo luogo, nell'aver assunto
che gli asseriti epiteti infamanti erano stati rivolti dal Presidente
al  sen.  Onorato  «per  il  solo  fatto della sua opinione pacifista
espressa  attraverso  la  firma  di  un  appello contro la Guerra del
Golfo,  nel  difetto di ogni spunto provocatorio che giustificasse lo
sferzante  e  violento  attacco  mosso  dall'interlocutore  nei  suoi
confronti».
    Ad  avviso  del  ricorrente,  la  sentenza  oggetto del conflitto
avrebbe  determinato la menomazione di un'attribuzione presidenziale,
escludendo  che  le  dichiarazioni  del  Presidente  al  sen. Onorato
potessero  godere  del  regime  di  irresponsabilita'  spettante alle
esternazioni  presidenziali  connesse  ad una funzione del Capo dello
Stato.  Difatti, secondo il ricorrente, non potrebbe essere negata la
valenza   politico-istituzionale  dello  scontro  tra  il  presidente
Cossiga ed il sen. Onorato sul tema della Guerra del Golfo.
    2.  -  E' ammissibile l'intervento spiegato nel presente giudizio
dalla  parte  attrice  nel  giudizio  civile  in cui e' stata resa la
sentenza impugnata.
    Nella  giurisprudenza di questa Corte e' consolidato il principio
secondo  cui,  nei  giudizi  per  conflitto  di  attribuzioni, non e'
ammesso  l'intervento  di  soggetti  diversi  da quelli legittimati a
promuovere  il  conflitto  o  a  resistervi,  salva  l'ipotesi in cui
l'oggetto    del    giudizio    per    conflitto   consista   proprio
nell'affermazione  o  negazione  dello  stesso  diritto  di  agire in
giudizio  di  chi  pretende  di  essere stato leso da una condotta in
relazione  alla quale si controverte, nel giudizio costituzionale, se
essa  sia o meno coperta dalle eccezionali guarentigie previste dalla
Costituzione (sentenze n. 154 del 2004 e n. 76 del 2001).
    Anche  nel  presente  conflitto vale l'eccezione alla regola, sia
alla  luce delle garanzie costituzionali sancite dagli artt. 24 e 111
Cost.,   sia  nel  rispetto  dell'art. 6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle liberta' fondamentali
(sentenza   n. 154   del   2004).   Negare   ingresso   nel  processo
costituzionale  alla difesa della parte del giudizio civile nel quale
si  controverte  sull'applicazione della guarentigia, significherebbe
esporla,  senza possibilita' di far valere le proprie ragioni, ad una
pronuncia  il  cui  effetto  potrebbe  essere  quello  di  precludere
definitivamente    la   proponibilita'   dell'azione   davanti   alla
giurisdizione (ibidem).
    3.  - Con ordinanza n. 357 del 2005, questa Corte ha ritenuto, in
sede  di  prima  e  sommaria  delibazione,  ammissibile il conflitto,
riservando  espressamente  alla  fase  del merito nel contraddittorio
delle    parti    ogni    ulteriore    decisione,    anche   relativa
all'ammissibilita' del ricorso.
    4. - Il ricorso e' inammissibile.
    La  difesa  dell'intervenuto  ha  eccepito l'inammissibilita' del
ricorso  per  conflitto  sotto vari profili, sostenendo, tra l'altro,
che  il  ricorso  denuncerebbe  meri  errori  in  iudicando,  con una
sostanziale   duplicazione  dell'impugnazione  promossa  dall'odierno
ricorrente  anche  dinanzi  alla  Corte  di  cassazione,  avverso  la
medesima sentenza.
    In  effetti, il ricorrente fa discendere la lamentata menomazione
della  prerogativa  costituzionale da un'interpretazione dell'art. 90
Cost., resa dalla Corte di appello nella sentenza oggetto di gravame,
«del  tutto insoddisfacente e contrastante» - a dire del ricorrente -
rispetto  ai  principi  fissati  dalla  Corte di cassazione (sentenza
n. 8734 del 2000).
    Data  questa  prospettazione,  cio'  che si imputa alla decisione
della  Corte di appello non e' tanto la menomazione della guarentigia
presidenziale  (che pur sarebbe in astratto configurabile), quanto il
mancato  rispetto  dei  principi  di diritto stabiliti dalla Corte di
cassazione,  che  avrebbero dovuto orientare la decisione della Corte
di  appello  in sede di rinvio, con la conseguenza che questa sarebbe
incorsa in un errore di giudizio.
    Senonche'  questa  Corte  ha piu' volte precisato che i conflitti
intersoggettivi  aventi ad oggetto atti di natura giurisdizionale non
possono risolversi in mezzi impropri di censura del modo di esercizio
della  funzione  giurisdizionale. Avverso «gli errori in iudicando di
diritto sostanziale o processuale, infatti, valgono i rimedi consueti
riconosciuti    dagli    ordinamenti    processuali   delle   diverse
giurisdizioni;  non  vale  il  conflitto  di  attribuzione» (cosi' le
sentenze  n. 2  del  2007  e  n. 27  del 1999; nello stesso senso, le
sentenze n. 150, 222 e 223 del 2007).
    In  altri termini, a questa Corte spetta risolvere i conflitti di
attribuzione   ripristinando   la  corretta  osservanza  delle  norme
costituzionali nei casi in cui, a causa di un cattivo esercizio della
funzione  giurisdizionale, questa abbia dato luogo ad una illegittima
menomazione  delle attribuzioni costituzionali di un altro potere, ma
senza  sostituirsi  al  giudice comune per l'accertamento in concreto
dell'applicabilita'    della    clausola    di    esclusione    della
responsabilita' (sentenza n. 154 del 2004, punto 5 del considerato in
diritto).
    Nel  caso  in  esame, la prospettazione del conflitto fornita dal
ricorrente,  fondata  sul  mancato  rispetto  da parte della Corte di
appello  dei principi di diritto stabiliti dalla Corte di cassazione,
rende  inammissibile il giudizio. A questa Corte non puo' richiedersi
di  sostituirsi  al  giudice  di  legittimita'  nel  controllo  della
corretta  applicazione dei principi di diritto enunciati dallo stesso
giudice.