ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 146, comma 3, lettera c), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), promosso con ordinanza del 17 febbraio 2006 dal Tribunale di Roma, sezione fallimentare, sul reclamo proposto da Antoniucci Samuele n.q. di curatore del fallimento Orsa Minore s.r.l., iscritta al n. 600 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, 1ª serie speciale, dell'anno 2007. Udito nella Camera di consiglio del 23 maggio 2007 il giudice relatore Alfio Finocchiaro. Ritenuto che, con ordinanza del 17 febbraio 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale il 20 novembre 2006), il Tribunale di Roma, sezione fallimentare, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146, comma 3, lettera c), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), nella parte in cui non include, tra le spese anticipate dall'Erario, qualora tra i beni compresi nel fallimento non vi sia denaro sufficiente per gli atti richiesti dalla legge, le spese e gli onorari liquidati al curatore, «ovvero» dell'art. 146, comma 3, lettera d), dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002, nellaparte in cui non include le spese anticipate dal curatore per ogni pubblicita', ivi comprese quelle relative a tutti gli avvisi inviati ai creditori, tra le «spese per gli strumenti di pubblicita' di provvedimento dell'autorita' giudiziaria», per violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione, nonche' «sotto il profilo della violazione dell'art. 39 l. f. in relazione all'art. 36 Cost.»; che, rileva il rimettente, l'art. 146, comma 3, lettera c), del d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce che sono a carico dell'Erario, e, quindi, da questo anticipati, le spese ed i compensi agli ausiliari del giudice nei casi in cui la procedura fallimentare sia priva di fondi necessari, senza nulla dire sui compensi ai curatori che abbiano prestato la propria attivita' nell'ambito di procedure cosiddette incapienti, nonche' sulle spese per atti che essi obbligatoriamente devono compiere, quali le convocazioni delle parti, gli avvisi ai creditori, da ripetersi nelle varie ipotesi previste dalla legge, le spese di pubblicita' relative a vendite anche di oggetti che poi si rivelino privi di economicita'; che, ad avviso del giudice a quo, soltanto un'interpretazione estensiva della norma censurata, che riconduca la figura del curatore nell'alveo della categoria di «ausiliario del giudice», garantendo ai curatori, indipendentemente dall'esistenza o meno di un attivo fallimentare sufficiente, l'effettiva remunerazione della carica, consentirebbe di superare il problema; che tale interpretazione, peraltro, non sarebbe plausibile, atteso che quella del curatore e' figura del tutto peculiare, essendo quest'ultimo titolare di specifici poteri e doveri - in ragione dell'eccezionalita' della procedura fallimentare - di cui tutti gli ausiliari del giudice sono privi, trattandosi di un organo necessario, che esclude qualsiasi connotazione caratteristica di «ausiliarieta»; che lo stesso legislatore elenca, con efficacia sicuramente tassativa, i soggetti che rientrano nel concetto di «ausiliario del magistrato» ai sensi dell'art. 3, lettera n), dello stesso d.P.R. n. 115/2002: il perito, il consulente tecnico, l'interprete, il traduttore e qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all'ufficio puo' nominare a norma di legge, e tra questi non e' rinvenibile un richiamo applicabile al curatore; che, secondo il giudice a quo, e' evidente la rilevanza della questione sollevata, ai fini della decisione del reclamo a lui sottoposto, dal momento che, nel caso di specie, il curatore, non trovando nell'attivo fallimentare denaro sufficiente, non solo non ha ottenuto la richiesta liquidazione degli onorari, ma neppure il semplice rimborso delle rilevanti spese vive sostenute per atti doverosi, non essendovi alcuna norma che disponga in tal senso; che neppure puo' ritenersi che il citato art. 146, comma 3, lettera d), sia riferibile anche alle spese per strumenti di «pubblicita' degli avvisi» imposti dalla normativa in tema di espropriazione. Considerato che il Tribunale di Roma, sezione fallimentare, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 146, comma 3, lettera c), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), in tema di patrocinio a spese dello Stato, nella parte in cui non include, tra le spese anticipate dall'Erario, qualora tra i beni compresi nel fallimento non vi sia denaro sufficiente per gli atti richiesti dalla legge, le spese e gli onorari liquidati al curatore; «ovvero» dell'art. 146, comma 3, lettera d), dello stesso d.P.R., nella parte in cui non include, tra dette spese, quelle anticipate dal curatore per ogni pubblicita', ivi incluse quelle relative a tutti gli avvisi inviati ai creditori: per violazione dell'art. 3 della Costituzione, perche' il curatore fallimentare rimarrebbe l'unico soggetto, in caso di fallimento privo di attivo, a non essere retribuito per l'attivita' svolta, determinandosi cosi' una disparita' di trattamento rispetto a tutti gli altri soggetti che prestano la propria opera a favore della massa - stimatori, consulenti contabili e fiscali, notai, avvocati, etc. - e che vengono retribuiti con compensi posti a carico dell'Erario; nonche' per contrasto con l'art. 39 del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), che stabilisce il principio della remunerativita' dell'incarico di curatore fallimentare, in relazione all'art. 36 della Costituzione, perche' quest'ultimo - svolgendo un'attivita' avente carattere professionale e rientrando quindi nell'ambito dei soggetti che svolgono una professione intellettuale di cui agli artt. 2229 e segg. del codice civile, - rientrerebbe nel concetto di «lavoratore» di cui all'art. 36 della Costituzione, cui deve essere riconosciuto il diritto alla retribuzione, proporzionata alla qualita' ed alla quantita' del lavoro svolto; che - a prescindere dal fatto che, successivamente all'ordinanza di rimessione questa Corte, con sentenza n. 174 del 2006, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 146, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nella parte in cui non prevede che sono spese anticipate dall'Erario «le spese ed onorari» al curatore - la questione risulta formulata in termini di alternativa irrisolta tra le due auspicate soluzioni - l'incostituzionalita' dell'art. 146, comma 3, lettera c) «ovvero» dell'art. 146, comma 3, lettera d) del citato d.P.R. - e, dunque, in forma ancipite; che tale formulazione comporta, per costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, ordinanze n. 62 del 2007; n. 363 del 2005), la manifesta inammissibilita' della questione; che la pronuncia di manifesta inammissibilita', per la formulazione ancipite della questione, e' logicamente preliminare rispetto alla restituzione degli atti al giudice a quo, per la valutazione della gia' menzionata sentenza n. 174 del 2006, in quanto la pronuncia di inammissibilita' per l'imprecisa indicazione del petitum da parte del rimettente si risolve nell'assoluta impossibilita' di individuare il thema decidendum, mentre la restituzione degli atti presuppone la corretta prospettazione dei termini della questione ed ha l'esclusiva finalita' di consentire al giudice a quo una nuova valutazione circa la (perdurante) rilevanza della questione medesima (ordinanza n. 289 del 2006, in un caso di ius superveniens). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.