Ricorso della Regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, on. dott. Roberto Formigoni, autorizzato con delibera di giunta regionale n. VIII/005094 del 18 luglio 2007, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dagli avv. Pio Dario Vivone e prof. Beniamino Caravita di Toritto e presso lo studio del secondo elettivamente domiciliata in Roma, via di Porta Pinciana, 6; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, nella persona del Presidente pro tempore, per l'annullamento, del decreto del Ministero della pubblica istruzione - Dipartimento per l'istruzione, n. 41 del 25 maggio 2007 e della nota del Dipartimento per l'istruzione del Ministero della pubblica istruzione, prot. n. 802/DIP, del 29 maggio 2007, recante «Trasmissione D.M. 41 del 25 maggio 2007 relativo all'applicazione dell'art. 1, comma 605, lett. f) della legge n. 296 del 2006 del 27 dicembre 2006 - Istruzione professionale»; F a t t o Il decreto n. 41 del 25 maggio 2007 del Ministero della pubblica istruzione - Dipartimento per l'istruzione e la Nota prot. n. 802/DIP costituiscono la riprova dell'attuazione dell'illegittimo percorso intrapreso dal legislatore statale con alcune disposizioni della legge n. 296 del 2006 e con l'art. 13 del d.l. n. 7/2007, convertito con legge n. 40/2007, tutti atti elusivi del riparto di competenze in materia di istruzione e istruzione e formazione professionale. Il d.m. n. 41 del 25 maggio 2007, in particolare, e' un provvedimento di natura transitoria mirante a dare, «fino all'attuazione del quadro normativo di riforma del sistema dell'istruzione tecnica e dell'istruzione professionale» (art. 4, comma 1, secondo periodo), immediata attuazione a quanto previsto al comma 605, lett. f), dell'art. 1 della Finanziaria 2007, dove e' stabilito che, con decreto del Ministro della pubblica istruzione, si devono adottare interventi concernenti «il miglioramento dell'efficienza ed efficacia degli attuali ordinamenti dell'istruzione professionale anche attraverso la riduzione, a decorrere dall'anno scolastico 2007/2008, dei carichi orari settimanali delle lezioni, secondo criteri di maggiore flessibilita', di piu' elevata professionalizzazione e di funzionale collegamento con il territorio». Su tale presupposto l'art. 13 del d.l. n. 13 del 2007, cosi' come convertito con modifiche dalla legge n. 40 del 2007, ha stabilito al comma 1 che: «Fanno parte del sistema dell'istruzione secondaria superiore di cui al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e successive modificazioni, i licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali di cui all'articolo 191, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, tutti finalizzati al conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore...»; quindi, al comma 1-bis che «Gli istituti tecnici e gli istituti professionali di cui al comma 1 sono riordinati e potenziati come istituti tecnici e professionali, appartenenti al sistema dell'istruzione secondaria superiore, finalizzati istituzionalmente al conseguimento del diploma di cui al medesimo comma 1». Nel dettaglio, a decorrere dall'anno scolastico 2007/2008, gli Istituti professionali per le classi prime e, nell'anno successivo, per le classi seconde, continueranno l'applicazione dei piani di studio ex d.m. 24 aprile 1992 recante «Programmi ed orari di insegnamento per i corsi di qualifica degli istituti professionali di Stato», ma (art. 2, comma 1) con un carico settimanale di ore ridotto da 40 (cosi' come previsto dal d.m. del 24 aprile 1992) a 36. In definitiva, la riduzione consiste nella eliminazione delle 4 ore inerenti l'area di approfondimento. L'area di approfondimento viene di fatto attribuita alle istituzioni scolastiche mediante gli strumenti offerti dall'autonomia ma nei limiti del 20 % di cui al d.m. 13 giugno 2006, n. 47. Alle 36 ore settimanali del primo biennio dovranno poi «aggiungersi le eventuali ore di compresenza previste dal quadro orario di ciascun indirizzo» (art. 2, comma 4). Secondo quanto stabilito dall'art. 3, comma 2, «l'organizzazione dei percorsi didattici deve privilegiare gli aspetti disciplinari attinenti alle competenze professionali ed alle attivita' laboratoriali». Ma il d.m. n. 41 del 25 maggio 2007 e la Nota n. prot. 802/DIP intervengono anche sul personale docente: e, infatti, a norma dell'art. 4, commi 2 e 3 del d.m., «il personale docente coinvolto dalla riduzione dell'orario di cattedra per effetto di quanto disposto dall'art. 2 del presente decreto, completera' l'orario di servizio con ore di insegnamento della stessa classe di concorso, comunque disponibili nella scuola di titolarita'. Qualora le ore non risultassero sufficienti ai fini del completamento, i docenti potranno essere impegnati nella stessa scuola in compiti di istituto, nonche' in iniziative finalizzate all'arricchimento dell'offerta formativa, fermo restando l'obbligo della copertura delle supplenze brevi e saltuarie, secondo le modalita' previste dal C.C.N.I. sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie, nonche' nel relativo contratto d'istituto.». Il decreto ministeriale e la relativa nota oggetto del presente conflitto devono essere annullati da codesta ecc.ma Corte perche' emanati dal Ministero della pubblica istruzione in palese violazione del riparto costituzionale delle competenze legislative. Ed infatti essi invadono, tra l'altro in maniera dettagliata e puntuale, una materia, l'istruzione e formazione professionale, riservata alla competenza esclusiva regionale. D i r i t t o 1. - Illegittimita' per violazione degli artt. 117, 118, Cost. e dei principi di buona andamento dell'amministrazione (97 Cost.) e leale collaborazione (art. 120 Cost.). 1.1. - Il settore della «istruzione e formazione professionale» si e', da sempre, mosso in una dimensione distinta rispetto a quella della istruzione. Gia' la Costituzione del 1947, nell'attribuire alla competenza delle costituende Regioni la materia dell'«istruzione artigiana e professionale» (art. 117, primo comma del testo originario), indico' la strada per un deciso decentramento nella materia de qua. Sia nell'ambito della formazione professionale, svolta con finalita' «addestrative» al di fuori del sistema scolastico e con sbocchi unicamente lavorativi, sia nell'ambito dell'istruzione professionale, svolta all'interno del sistema scolastico e con possibili sbocchi nel mondo del lavoro, ovvero - dopo il «prolungamento» a cinque anni dei corsi degli istituti professionali (1969-70) - nella frequenza di una facolta' universitaria, insiste un'attivita' regionale significativa. Tale competenza ha fondato la sua giustificazione nella necessita' che il complicato rapporto tra dimensione formativa e dimensione pratico-lavorativa dovesse trovare gestione e coordinamento ad un livello istituzionale vicino alla realta' territoriale, e quindi economica-produttiva, di riferimento. Il processo di decentramento a favore delle regioni di una serie di funzioni amministrative anche in materia di istruzione muove i primi passi all'inizio degli anni Settanta. Il d.P.R. n. 10 del 1972, recante «Trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di istruzione artigiana e professionale e del relativo personale», ha attribuito alle regioni (art. 1): i corsi di addestramento professionale; i corsi aziendali di riqualificazione; l'addestramento professionale degli artigiani; la formazione professionale degli apprendisti; l'istruzione artigiana e professionale negli istituti e servizi dipendenti dalla Direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena del Ministero di grazia e giustizia; la formazione professionale diretta allo svolgimento di professioni sanitarie ausiliarie e di arti sanitarie ausiliarie; l'orientamento e la qualificazione professionale degli invalidi del lavoro e degli invalidi civili; ogni altra funzione in ordine alla formazione e addestramento professionale attualmente svolta dagli organi centrali o periferici dello Stato, ferme restando le competenze di cui al successivo art. 7. Pertanto, la formazione professionale, ben prima della novella costituzionale del 2001, e' stata attribuita in modo quasi naturale alla sfera regionale, come attestano numerose pronunce della giurisprudenza costituzionale. Tra le tante, merita una nota la sentenza n. 89 del 1977 dove codesta ecc.ma Corte ha ricostruito «la portata della "materia"... "istruzione professionale", quale presente al legislatore all'atto del trasferimento alle regioni delle funzioni relative, in adempimento del precetto costituzionale. Il nucleo essenziale di tale concetto emerge, con sufficiente chiarezza, dal dibattito sviluppatosi in sede dottrinale e nelle varie occasioni di progettazioni normative. In sostanza, deve ritenersi che l'istruzione in parola superi l'ambito del concetto comunemente accolto in precedenza, in quanto ora si caratterizza per la diretta finalizzazione all'acquisizione di nozioni necessarie sul piano operativo per l'immediato esercizio di attivita' tecnico-pratiche, anche se non riconducibili ai concetti tradizionali di arti e mestieri. E sotto tale profilo si distingue dalla istruzione in senso lato, attinente all'ordinamento scolastico e - tranne le limitate e transitorie competenze regionali ex art. 4, d.P.R. 1972, n. 10 -, di competenza statale; la quale, pur se impartisce conoscenze tecniche utili per l'esercizio di una o piu' professioni, ha come scopo la complessiva formazione della personalita'. Tale, dunque, essendo la portata della materia "istruzione professionale" di competenza regionale, e' evidente come non possa considerarsi ad essa estranea la regolamentazione dei corsi ex lege 1971, n. 426; i quali, appunto, non risultano rivolti ad una formazione culturale di tipo generale, sibbene a fornire precisamente quelle cognizioni tecnico-pratiche (come le conoscenze merceologiche) necessarie per l'esercizio dell'attivita' di commerciante». 1.2. - Il processo di decentramento e snellimento del sistema amministrativo avviato dalla legge n. 59 del 1997 ha rafforzato la devoluzione di funzioni in materia di istruzione e formazione professionale a favore delle Regioni. Ed infatti nel d.lgs. n. 112 del 1998 si rinvengono diverse disposizioni volte a consacrare questo trasferimento di funzioni dal centro verso le Regioni. E' innanzitutto da segnalare quanto stabilito dall'art. 138, comma 1, che, tra le funzioni amministrative delegate alle Regioni, ai sensi dell'art. 118, comma secondo, della (allora vigente) Costituzione, ha individuato espressamente la programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale (lett. a). Il Capo IV, dedicato alla «formazione professionale», ha fornito ulteriori elementi di potenziamento delle funzioni regionali. In primo luogo, si sono ribaditi i confini della «formazione professionale», da intendersi come «il complesso degli interventi volti al primo inserimento, compresa la formazione tecnico professionale superiore, al perfezionamento, alla riqualificazione e all'orientamento professionali, ossia con una valenza prevalentemente operativa, per qualsiasi attivita' di lavoro e per qualsiasi finalita', compresa la formazione impartita dagli istituti professionali, nel cui ambito non funzionano corsi di studio di durata quinquennale per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore, la formazione continua, permanente e ricorrente e quella conseguente a riconversione di attivita' produttive» (art. 141, comma 1). In secondo luogo (art. 141, comma 3), si precisa che l'«istruzione artigiana e professionale si identifica con la formazione professionale». Quindi l'art. 143 ha conferito alle regioni «tutte le funzioni e i compiti amministrativi nella materia formazione professionale, salvo quelli espressamente mantenuti allo Stato dall'art. 142». E a ben guardare, tali ultime funzioni, cioe' quelle rimaste allo Stato, sono tutte di natura generale, di indirizzo e di coordinamento. Vi rientrano, solo a titolo di esempio: l'individuazione degli standard delle qualifiche professionali, ivi compresa la formazione tecnica superiore e dei crediti formativi e delle loro modalita' di certificazione; la definizione dei requisiti minimi per l'accreditamento delle strutture che gestiscono la formazione professionale; la definizione degli obiettivi generali del sistema complessivo della formazione professionale, in accordo con le politiche comunitarie; la definizione dei criteri e parametri per la valutazione quanti-qualitativa dello stesso sistema. Il successivo art. 144, comma 1, ha poi trasferito alle regioni: a) la formazione e l'aggiornamento del personale impiegato nelle iniziative di formazione professionale; b) le funzioni e i compiti svolti dagli organi centrali e periferici del Ministero della pubblica istruzione nei confronti degli istituti professionali, trasferiti ai sensi del comma 2 del presente articolo, ivi compresi quelli concernenti l'istituzione, la vigilanza, l'indirizzo e il finanziamento, limitatamente alle iniziative finalizzate al rilascio di qualifica professionale e non al conseguimento del diploma. Il comma 2 ha poi disposto che «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica istruzione, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, da emanare entro sei mesi dall'approvazione del presente decreto legislativo, sono individuati e trasferiti alle Regioni gli istituti professionali di cui all'articolo 141.». Su questo trasferimento fu previsto un regime transitorio (comma 3) finalizzato alla «salvaguardia della prosecuzione negli studi degli alunni gia' iscritti nell'anno precedente.». La regionalizzazione degli istituti professionali ha trovato definitiva consacrazione nel successivo comma 4, dove essi hanno assunto la qualifica di enti regionali. 1.3. - Il quadro cosi' delineato fa emergere nitidamente come gia' nel «lontano» 1998 non fossero previste alcune competenze statali sul monte ore settimanale degli istituti professionali, sul dettaglio dei programmi e sull'utilizzo del personale docente. Il decreto ministeriale n. 41 e la Nota prot. n. 802/DIP, al contrario, non solo disciplinano una materia di spettanza regionale, ma lo fanno, in maniera particolare e specifica, intervenendo in settori che gia' il d.lgs. n. 112 del 1998 aveva escluso dalla pertinenza statale. Non va dimenticato, ancora, che l'art. 68, comma 1, della legge n. 144 del 1999 (poi abrogato) ha non solo trasformato l'obbligo scolastico sino a 15 anni in diritto di formazione sino a 18 anni, ma ha stabilito che esso «puo' essere assolto in percorsi anche integrati di istruzione e formazione» nel «sistema della formazione professionale di competenza regionale» (lett. b). 1.4. - Se quello appena descritto era il quadro, abbastanza definito, sulle attribuzioni in materia di formazione professionale sotto la vigenza del vecchio testo costituzionale, non v'e' dubbio alcuno sul fatto che la competenza regionale nella materia dell'istruzione e formazione professionale abbia trovato la definitiva consacrazione costituzionale con la Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. La Legge cost. n. 3 del 2001, nell'ottica tesa alla definitiva realizzazione di un sistema di istruzione e formazione policentrico e destatalizzato, ha inserito nel testo costituzionale tre elementi di novita': la competenza concorrente sulla materia «istruzione»;, la costituzionalizzazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche; il riconoscimento della competenza residuale, quindi esclusiva, delle regioni in materia di «istruzione e formazione professionale». Sembra opportuno soffermarsi, brevemente, sul dato testuale dell'art. 117, terzo comma Cost., nel quale sono esplicitati i suddetti principi. Si legge nel comma 3 che, tra le materie di legislazione concorrente, vi e' l'«istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale». Secondo una regola ermeneutica tradizionale, le disposizioni devono essere interpretate secondo il senso «fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» (art. 12, comma 1, delle disp. sulla legge in generale). Davvero pochi, pertanto, sono i dubbi circa la reale portata semantica del termine «esclusione», che non puo' essere la stessa di (fare) «salva» utilizzata in riferimento alle istituzioni scolastiche. L'istruzione e', dunque, materia concorrente, sulla quale insistono sia lo Stato (con i principi fondamentali) sia le regioni (con le norme di dettaglio). Ma entrambi, nel disciplinare tale materia, non possono non tener conto della presenza di un altro soggetto, le istituzioni scolastiche, cui vengono riconosciute determinate funzioni e la cui autonomia, di tipo funzionale (come riconosciuto espressamente dal d.P.R. n. 275 del 1999 di attuazione dell'art. 21 della legge n. 59 del 1997), e' tutelata a livello costituzionale. Questo deve intendersi quando l'istruzione diviene materia concorrente, «fatta salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche». Con «esclusione» dell'istruzione e formazione professionale, invece, significa operare una netta separazione tra l'ambito dell'istruzione e quello dell'istruzione e formazione professionale. La prima, l'istruzione, e' soggetta ad un triplice intervento statale: a) le «norme generali sull'istruzione» (ex art. 117, secondo comma, lett. n); la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (ex art. 117, secondo comma, lett. l); e i principi fondamentali, in quanto trattasi appunto di competenza di tipo concorrente. La seconda, al contrario, in rapporto con la prima, e' una materia su cui insiste la competenza esclusiva delle Regioni, soggetta ai soli LEP statali. 1.5. - E d'altronde, questo scenario e' stato costantemente avvalorato dalla posizione netta ed uniforme che codesta ecc.ma Corte ha assunto rispetto alla istruzione e formazione professionale a seguito dell'evoluto quadro costituzionale: ogni qualvolta si e' presentata l'opportunita', ha riconfermato la competenza esclusiva regionale. Nella sentenza n. 34 del 2005, dopo aver ribadito l'importanza di un «sistema integrato istruzione/formazione professionale» viene «salvato» un articolo di una legge regionale (l'art. 41 della l.r. Emilia Romagna n. 12 del 2003) la cui disciplina, sull'«educazione degli adulti», «senza contrastare con quanto stabilito dalla legge statale, si muove sul versante del sostegno all'acquisizione o al recupero di conoscenze necessarie o utili per il reinserimento sociale e lavorativo e, dunque, in un ambito riconducibile a quello affidato alla competenza regionale in materia di istruzione e formazione professionale». Ancora piu' specifica e' la successiva pronuncia n. 50 del 2005 dove la Corte ha affermato che «la competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a cio' destinati, sia mediante strutture proprie che le singole Regioni possano approntare in relazione alle peculiarita' delle realta' locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi»; di conseguenza «la disciplina dei tirocini estivi di orientamento, dettata senza alcun collegamento con rapporti di lavoro, e non preordinata in via immediata ad eventuali assunzioni, attiene alla formazione professionale di competenza esclusiva delle regioni» (stessi principi si ritrovano nella pronuncia n. 51 del 2005). Tale orientamento si rafforza nelle sentenze successive: nella n. 384 del 2005 si legge che «sulla base della giurisprudenza di questa Corte, la competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale non concerne le attivita' formative e di aggiornamento predisposte dal datore di lavoro per il personale dipendente»; nella sentenza n. 253 del 2006, la Corte ha ancora una volta «salvato» dalla declaratoria di incostituzionalita' delle norme regionali (art. 3 e 4, comma 1 della l.r. Toscana n. 63 del 2004) sulle pari opportunita' nell'accesso ai percorsi di formazione e di riqualificazione rispetto a persone che risultino discriminate e esposte al rischio di esclusione sociale per motivi derivanti dall'orientamento sessuale o dall'identita' di genere, perche' «a prescindere dalla natura di mero indirizzo delle disposizioni in esame, esse costituiscono espressione dell'esercizio della competenza legislativa esclusiva regionale in materia di istruzione e formazione professionale che la Regione puo' offrire mediante strutture pubbliche o private per soddisfare le esigenze delle varie realta' locali; le norme regionali impugnate, percio', non incidono sulla disciplina dei singoli contratti di lavoro e non invadono la competenza dello Stato in materia di ordinamento civile». E' recentissima una pronuncia (Corte cost., sent. n. 21 del 2007) nella quale la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 2, della legge Regione Sardegna n. 20 del 2005 in quanto ha ritenuto che «nello stabilire che la formazione dalla legge definita formale debba essere prevalentemente esterna, non alteri i rapporti tra formazione interna, la cui disciplina compete allo Stato, e formazione esterna di competenza regionale, mantenendosi percio' conforme al sistema delle competenze concorrenti e del concorso di competenze che si verifica in tema di apprendistato». Si deve altresi' evidenziare come in altri casi, codesta ecc.ma Corte abbia dichiarato incostituzionali norme regionali proprio perche' le loro previsioni non erano riconducibili «alla materia della "formazione professionale" di competenza legislativa residuale delle regioni» (cosi' Corte cost., sent., n. 31 del 2005, ma anche n. 9 del 2004). Anche la giurisprudenza amministrativa, chiamata a giudicare in materia di formazione professionale (si veda tra le ultime anche c.d.s., sez. IV, sent. n. 862 del 2005, dove la formazione professionale e' stata riconosciuta quale compito istituzionale delle regioni) per l'esercizio delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie, ha limpidamente riconosciuto che «la competenza in materia di formazione e istruzione professionale e' da ritenere... interamante devoluta alla sfera delle attribuzioni regionali» (C.d.S., sez. IV, sent. n. 510 del 1989). 1.6. - Quest'ultima pronuncia e' particolarmente rilevante anche perche' risolve eventuali dispute circa la differenza concettuale tra istruzione professionale e formazione professionale, dal momento che, sotto il profilo della loro attribuzione, esse costituiscono un unicum di spettanza regionale. E d'altronde che si tratti di un unicum e' dimostrato anche dal dato letterale del testo costituzionale novellato nel 2001: al terzo comma dell'art. 117, infatti, si parla di istruzione e formazione professionale e cioe' si utilizza l'aggettivo professionale declinato al singolare e non al plurale, come invece sarebbe stato necessario nel caso si fosse intesa una istruzione professionale distinta dalla formazione professionale. Anche l'argomento letterale, dunque, rende evidente come «istruzione e formazione professionale» rappresenti chiaramente un'endiadi attraverso la quale si fa riferimento ad un concetto di carattere unitario, spettante alla competenza esclusiva regionale. Il quadro normativo e giurisprudenziale sviluppatosi sino alla fine degli anni novanta ha chiaramente dato luogo ad un settore «formazione professionale» in cui la competenza spettava naturalmente alle Regioni, seppur anche nelle forme piu' morbide della delega o del conferimento di funzioni. La Riforma del Titolo V nel 2001 ha comunque sciolto ogni dubbio in merito e ha attribuito la competenza esclusiva sull'istruzione e formazione professionale alle Regioni, anche perche', come sostenuto da codesta ecc.ma Corte in una importante decisione, «e' (...) implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998». (Corte cost., sent. n. 13 del 2004). Alla luce dello scenario normativo e giurisprudenziale e delle argomentazioni esposte, risulta evidente come il decreto ministeriale e la relativa nota qui censurati siano stati emanati violando palesemente il riparto costituzionale in materia di istruzione e formazione professionale: essi, infatti, stabiliscono, in riferimento al primo biennio degli istituti tecnici e degli istituti professionali, quali devono essere i programmi, a quanto deve ammontare (e di che tipo deve essere) il carico ore settimanale, le modalita' di utilizzo del personale docente e, addirittura, interferiscono in quella autonomia delle istituzioni scolastiche, oggi costituzionalmente riconosciuta e garantita, andando a prevedere cio' che le istituzioni devono o possono fare in relazione all'«area di approfondimento». Non vi sono dubbi circa l'ambito entro il i provvedimenti impugnati si muovono: l'istruzione e formazione professionale, di competenza esclusiva regionale, che significa pieno potere legislativo ed amministrativo da parte delle Regioni e solo un residuo potere statale di intervento, per lo piu' limitato alla definizione dei «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (ex art. 117, secondo comma, lett. m), Cost). Nulla di piu' lontano dalla semplice definizione dei LEP risulta essere l'intervento statale qui censurato che al contrario disciplina in modo unilaterale, puntuale e dettagliato una materia riservata alla pertinenza regionale. Ne', d'altronde, sarebbe sostenibile la tesi secondo la quale, ad esempio, la definizione del monte ore rientrerebbe nell'ambito statale dei LEP perche', come affermato con chiarezza dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 279 del 2005, essa rientra, invece, tra le «norme generali» che, pur sempre di competenza statale, sono pero' valevoli solo per l'istruzione e non anche per l'istruzione e formazione professionale. 1.7. - Ecco, quindi, che emerge l'ulteriore e grave violazione del dettato costituzionale dal momento che i due provvedimenti qui impugnati sono stati adottati in totale spregio del benche' minimo rispetto del principio di leale collaborazione con le Regioni. Non solo lo Stato ha invaso in modo manifesto ed illegittimo una materia - l'istruzione e formazione professionale, al contrario riservata alla esclusiva competenza regionale - ma lo ha fatto come se le Regioni non avessero alcuna voce in capitolo: non v'e' traccia alcuna della volonta' statale di sentire e coinvolgere le Regioni, prima di incidere cosi' pesantemente in un settore che invece e' esclusivo regionale. Ma anche qualora codesta ecc.ma Corte volesse derubricare la materia di riferimento sostenendo che si tratti della piu' ampia «istruzione», la invasivita' dell'intervento statale non si attenuerebbe per nulla. L'«istruzione» e' materia (ex art. 117, terzo comma, Cost.) concorrente che significa potesta' legislativa regionale salvo che per la determinazione dei principi fondamentali spettanti allo Stato. Anche in questo ambito il peso regionale e' molto forte. Rispetto, dunque, a questi ambiti competenziali, lo Stato, al contrario, ha agito come se fosse l'unico soggetto titolare di potere legislativo e amministrativo. Esso ha operato come se tanto l'istruzione, e a maggior ragione l'istruzione e formazione professionale, fossero suoi ambiti esclusivi all'interno dei quali intervenire in modo unilaterale. 2. - Illegittimita' per violazione da parte degli atti presupposti (art. 1, commi 605, lett. f) e 622, della legge n. 296 del 2006 e art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come convertito con modifiche dalla legge n. 40 del 2007) degli artt. 117, 118 Cost.; violazione dell'art. 76 Cost. e eccesso di potere legislativo ex art. 70 Cost. Il riparto costituzionale in materia di istruzione ed istruzione e formazione professionale cosi' come delineato al punto 1 ha trovato puntuale conferma nella legge delega n. 53 del 2003 (Legge «Moratti») attraverso la quale, infatti, il legislatore ordinario, in ossequio ai nuovi principi costituzionali, ha ridisegnato il sistema educativo di istruzione e di formazione. 2.1. - L'aderenza della legge n. 53 rispetto al riformato dettato costituzionale emerge in modo inequivocabile gia' dal Titolo della stessa: essa, infatti, reca la «Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale». Cio' vuol dire che in forza di tale legge il Governo e' stato delegato ad emanare, per l'istruzione, prima ancora dei principi fondamentali, le norme generali, ma per l'istruzione e formazione professionale (materia esclusiva regionale) i soli livelli essenziali delle prestazioni. L'art. 2, comma 1, lett. c) recita: «e' assicurato a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di eta'; l'attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e in quello di istruzione e formazione professionale, secondo livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione...». La struttura di base del sistema e' tracciata dalla successiva lettera d): «il sistema educativo di istruzione e di formazione si articola nella scuola dell'infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell'istruzione e della formazione professionale.». Esiste, dunque, un'articolazione in due cicli: il primo ciclo comprende la scuola primaria, della durata di cinque anni, e la scuola secondaria di primo grado, della durata di tre anni; il secondo ciclo comprende il sistema dei licei e il sistema dell'istruzione e della formazione professionale. La vera novita' riguarda il secondo ciclo: esso e' costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e della formazione professionale (art. 2, comma 1, lett. g). Il sistema dei licei comprende i licei artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, tecnologico, delle scienze umane. Il sistema dell'istruzione e della formazione professionale, alternativo al sistema dei licei, prevede una durata almeno quadriennale. I titoli e le qualifiche conseguiti al termine dei quattro anni consentono di sostenere l'esame di stato, utile anche ai fini dell'accesso all'universita' e all'alta formazione artistica, musicale e coreutica, previa frequenza di un apposito corso annuale e ferma restando la possibilita' di sostenere come privatista, l'esame anche senza tale frequenza (art. 2, comma 1, lett. h). Al termine del terzo anno gli studenti ottengono una prima qualifica spendibile nel mondo del lavoro e riconosciuta a livello europeo. E' questo, dunque, il sistema costruito dalla legge delega n. 53 del 2003. Al termine del ciclo di base comune a tutti i preadolescenti (8 anni di scolarita), gli studenti hanno la possibilita' di scegliere tra i percorsi liceali mirati alla formazione culturale e aperti all'universita' e i percorsi di istruzione e formazione professionale, aperti alla formazione superiore, ma con finalita' professionalizzanti e percio' con la possibilita' di immediata apertura al mondo del lavoro dopo il conseguimento di una qualifica triennale. 2.2. - L'elemento caratterizzante la «Riforma Moratti» sta dunque nello sdoppiamento del secondo ciclo: un sistema dei licei, appartenente all'istruzione, e sul quale insiste la competenza concorrente Stato-Regioni, e un sistema di istruzione e formazione professionale, di competenza regionale esclusiva. Ennesima riprova di quest'ultima competenza residuale regionale la si trova nella gia' citata lettera h), dell'art. 2, comma 1, della legge n. 53, dove il legislatore statale precisa che «ferma restando la competenza regionale in materia di formazione e istruzione professionale, i percorsi del sistema dell'istruzione e della formazione professionale realizzano profili educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione di cui alla lettera c).». 2.3. - Giova ricordare come, nelle more dell'approvazione del decreto delegato sul secondo ciclo di cui al d.lgs. n. 226 del 2005, gia' nell'anno 2002-03 sono state avviate, da parte di alcune Regioni, sperimentazioni dei percorsi formativi di istruzione e formazione professionale. Ad estendere a tutte le regioni le sperimentazioni ha provveduto l'Accordo quadro, raggiunto in sede di Conferenza unificata il 19 giugno 2003 tra il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca scientifica, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, le regioni, le province, i comuni e le comunita' montane «per la realizzazione dall'anno scolastico 2003/2004 di un'offerta formativa sperimentale di istruzione e formazione professionale nelle more dell'emanazione dei decreti legislativi di cui alla legge 28 marzo 2003, n. 53». Nella Premessa dell'Accordo e' ribadito, da un lato, che tale offerta formativa «non predetermina l'assetto a regime dei percorsi del sistema dell'istruzione e della formazione professionale», che sara' stabilito dai «decreti delegati previsti per l'attuazione del diritto-dovere di istruzione e formazione»; dall'altro, la titolarita' in capo alle Regioni «della programmazione delle attivita' inerenti l'attuazione del presente Accordo», cioe' quelle di istruzione e formazione professionale. Per quanto stabilito nell'Accordo, tali percorsi sperimentali devono essere rispondenti alle seguenti caratteristiche comuni: «avere durata almeno triennale; contenere, con equivalente valenza formativa, discipline ed attivita' attinenti sia alla formazione culturale generale sia alle aree professionali interessate; consentire il conseguimento di una qualifica professionale riconosciuta a livello nazionale e corrispondente almeno al secondo livello europeo (decisione del Consiglio 85/368/CEE)» (punto 3). Sono queste le uniche caratteristiche che debbono essere assicurate a tali percorsi su tutto il territorio nazionale. Sulle modalita' operative di realizzazione di tali percorsi lo stesso accordo (punto 7) ha rinviato a formali accordi tra le regioni e gli Uffici scolastici regionali. 1) 2.4. - Con il decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, recante «Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53», il legislatore delegato realizzo' un secondo ciclo di istruzione e formazione pienamente aderente al disegno tracciato dalla legge delega n. 53 del 2003. Infatti: «il secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione e' costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e formazione professionale» (art. 1, comma 1); «il sistema dei licei comprende i licei artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, tecnologico e delle scienze umane» (art. 2, comma 7); «nell'esercizio delle loro competenze legislative esclusive in materia di istruzione e formazione professionale e nella organizzazione del relativo servizio le Regioni assicurano i livelli essenziali delle prestazioni definiti dal presente Capo» (art. 15, comma 2), insieme a quanto disposto nei successivi commi 5 e 6, in piena sintonia con quanto stabilito dall'art. 2, comma 1, lett. h) della legge n. 53; A dire il vero, il d.lgs. n. 226 ha compiuto anche un passo in avanti rispetto alla legge delega: nel momento in cui l'art. 1, comma 5 dichiara che «i percorsi liceali e i percorsi di istruzione e formazione professionale nei quali si realizza il diritto-dovere all'istruzione e formazione sono di pari dignita», afferma in maniera espressa un principio, quello appunto della pari dignita' tra i percorsi del secondo ciclo, che nella legge delega era «soltanto» desumibile. Coerentemente con la sua funzione attuativa, il d.lgs. agli art. 4-11 ha disciplinato in modo piu' dettagliato i percorsi dei singoli licei, «limitandosi», per i percorsi di istruzione e formazione professionale, ad individuare i livelli essenziali delle prestazioni che le regioni devono garantire (art. 15-21). Ed, infine, va segnalato l'art. 31, comma 2, a norma del quale «le seguenti disposizioni del Testo Unico approvato nel decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, continuano ad applicarsi limitatamente alle classi di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore ancora funzionanti secondo il precedente ordinamento, ed agli alunni ad essi iscritti, e sono abrogate a decorrere dall'anno scolastico successivo al completo esaurimento delle predette classi: articolo 82, esclusi commi 3 e 4; art. 191, escluso comma 7; art. 192, esclusi commi 3, 4, 9, 10, e 11; art. 193; art. 194; art. 195; art. 196; art. 198; art. 199; art. 206. L'articolo che qui interessa e' il 191 del d.lgs. n. 297 del 1994 che ha individuato come istituti e scuole dell'istruzione secondaria superiore «il ginnasio-liceo classico, il liceo scientifico, gli istituti tecnici, il liceo artistico, l'istituto magistrale, la scuola magistrale, gli istituti professionali e gli istituti d'arte» (comma 2), disciplinati di seguito nei commi successivi. Ebbene rispetto a questi istituti il d.lgs. n. 226, con la norma ex art. 31, comma 2, ha predisposto un regime transitorio volto alla soppressione degli stessi una volta che le classi «ancora funzionanti» si fossero esaurite. A decorrere, quindi, dall'anno successivo a quello del «completo esaurimento delle predette classi», gli istituti ex art. 191 avrebbero dovuto essere abrogati. 2.5. - Il richiamo al d.lgs. n. 226 del 2005 si rivela indispensabile affinche' codesta ecc. ma Corte possa cogliere in pieno la irrazionalita', la superficialita' e la contraddittorieta' che ha caratterizzato il legislatore successivo ad esso, e che trova una prima immediata applicazione nel decreto ministeriale n. 41 del 25 maggio 2007 e nella Nota prot. n. 802/DIP del 29 maggio 2007 qui impugnati. Ed infatti, a partire dall'art. 1, commi 605, lett. f) e 622 della legge n. 296 del 2006 (legge «Finanziaria 2007») e poi con l'art. 13 del decreto-legge n. 7 del 2007, cosi' come convertito con modificazioni con la legge n. 40 del 2007, si e' intervenuti in maniera invasiva sulla materia della istruzione e della formazione professionale violando apertamente il nuovo dettato costituzionale cosi' come risultante dalla Riforma del Titolo V del 2001 (v. punto 1). Proprio per queste ragioni e per difendere e tutelare i suoi interessi la Regione Lombardia ha impugnato innanzi a codesta ecc.ma Corte costituzionale tanto i commi della legge n. 296 del 2006 tanto i commi dall'uno all'8-ter dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come convertito con modifiche dalla legge n. 40 del 2007. I commi 605, lett. f) e 622 della legge n. 296 del 2006 sono chiara espressione di una volonta', incongruamente palesatasi per il tramite dello strumento delle legge finanziaria, di modificare, con forte ricentralizzazione, il sistema dell'istruzione e dell'istruzione e formazione professionale. E invero, con il testo del comma 622, in spregio non solo delle nuove attribuzioni legislative individuate dall'art. 117 Cost., ma anche dei generali principi di buon andamento dell'amministrazione e di leale collaborazione, si stravolge il lavoro compiuto dal legislatore ordinario: difatti, si ripristina il concetto di obbligo scolastico; si prevedono dieci anni di istruzione obbligatoria e comune; nella sostanza, si introduce un biennio unitario tra sistema dei licei e sistema dell'istruzione e formazione professionale; viene innalzata l'eta' per l'accesso al lavoro con evidenti ricadute sul sistema dell'istruzione e formazione professionale; si incide sui primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore (e quindi in un segmento che gia' interessa l'istruzione e formazione professionale) attraverso lo strumento del regolamento governativo ex art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988; sono apposti, in modo marginale, strumenti eventuali e comunque molto deboli di coinvolgimento regionale. 2.6. - Questo progetto di riforma parziale, frammentata e illegittima del sistema dell'istruzione e della formazione ha trovato, per quanto detto, un ulteriore definizione nell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come convertito con modificazioni dalla legge n. 40 del 2007. L'impianto generale dell'art. 13 contiene evidenti elementi di discontinuita' rispetto all'impianto di base predisposto a partire dalla stessa legge delega n. 53 del 2003 e di fatto, compie una netta sterzata rispetto ad un progetto globale di riforma del sistema che, cristallizzato a livello normativo, attendeva, dopo un periodo fisiologico di sperimentazione, di essere portato alla piena attuazione. Difatti il «sistema dei licei», cioe' uno dei due percorsi del secondo ciclo, e' stato sostituito dal sistema «dell'istruzione secondaria superiore», la cui denominazione rimanda ad un concetto certamente piu' ampio. E non puo' essere altrimenti dal momento che componenti di tale percorso non sono piu' solo i licei, ma anche gli istituti tecnici e gli istituti professionali di cui all'art. 191, comma 2 del d.lgs. n. 297 del 1994. Questi sono, secondo quanto e' stato previsto nel successivo comma 3 del d.lgs. n. 297, gli istituti che hanno come fine precipuo «quello di preparare all'esercizio di funzioni tecniche od amministrative, nonche' di alcune professioni, nei settori commerciale e dei servizi, industriale, delle costruzioni, agrario, nautico ed aeronautico» (i tecnici) e quello di «fornire la specifica preparazione teorico-pratica per l'esercizio di mansioni qualificate nei settori commerciale e dei servizi, industriale ed artigiano, agrario e nautico» (i professionali): si tratta, evidentemente, di istituti di formazione professionale. A ben guardare sono proprio le disposizioni da ultimo richiamate a «legittimare» i provvedimenti ministeriale che qui si censura. Sono queste che, di fatto, riproponendo gli istituti tecnici e gli istituti professionali, «consentono» al decreto (e alla nota) impugnati di intervenire sul monte ore settimanale, sui programmi, sull'utilizzo del personale docente etc. degli stessi. Ma alla luce di quanto detto non puo' non emergere, al contrario, la palese illegittimita' delle disposizioni dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come convertite con modificazioni dalla legge n. 40 del 2007, e delle disposizioni della legge n. 296 del 2006 che le hanno anticipate: una illegittimita' che, inevitabilmente, si trasferisce in tutta la sua gravita' nel decreto del Ministero della pubblica istruzione, n. 41 del 25 maggio 2007 (e nella Nota n. prot. 802/DIP), che delle predette disposizione costituiscono la prima e diretta attuazione. Invero, l'intento del legislatore statale e' stato quello di riattrarre a se' in modo improprio ed illegittimo rilevanti porzioni dell'istruzione e formazione professionale, cosi' violando drasticamente il riparto costituzionale nella materia de qua. Riprova di questa volonta' sono da un lato la soppressione dei licei economico e tecnologico attraverso l'abrogazione dei commi 7 e 10 del comma 2 del d.lgs. n. 226; dall'altro, il riordino ed il potenziamento degli istituti tecnici e professionali come «istituti tecnici e professionali» (secondo quanto si legge al comma 1-bis, primo periodo, dell'art. 13) che manifesta in modo inequivocabile la scelta di rafforzare il profilo professionale di tali istituti. La «statalita» degli istituti tecnici e professionali trova ulteriore conferma nel comma 1-ter, dove e' stabilito che saranno dei regolamenti governativi, senza alcuna forma di partecipazione regionale e quindi in spregio al principio di leale collaborazione, a disciplinare il loro funzionamento attraverso interventi in ordine alla riduzione e ai contenuti degli indirizzi, alla scansione temporale dei percorsi, ai risultati di apprendimento, al monte ore annuale, alla riorganizzazione delle discipline di insegnamento, all'orientamento agli studi superiori. L'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 40 del 2007, pertanto, ignorando il percorso iniziato a partire dalla Legge Moratti, ha ripristinato l'assetto precedente previsto dal t.u. approvato con il d.lgs. n. 297 del 1994 e ricollocato gli istituti tecnici e professionali, assunti nella loro originaria natura di istituti di formazione professionale, non in quella che sarebbe dovuta essere la loro sede costituzionalmente legittima, cioe' l'istruzione e la formazione professionale di competenza regionale, bensi' all'interno del sistema dell'istruzione secondaria superiore, al fianco dei licei, vale a dire in un'area che, rientrando nella materia «istruzione», e' soggetta ad una forte influenza statale. In definitiva, il legislatore nazionale con l'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, e ancor prima con i commi 605, lett. f) e 622 della legge finanziaria per il 2007, dei quali il decreto n. 41 del 25 maggio 2007 costituisce diretta applicazione, ha voluto ripristinare in modo illegittimo, perche' contrario a quanto previsto dalla Riforma del Titolo V della Costituzione e alle posizioni della giurisprudenza costituzionale, una solida e strutturata istruzione e formazione professionale statale a scapito dell'istruzione e formazione professionale regionale. I commi 1, 1-bis e 1-ter dell'art. 13, autentica fonte primaria rispetto agli atti oggetto della presente impugnativa, nel momento in cui ripropongono gli istituti tecnici e professionali disciplinati dall'art. 191 del d.lgs. n. 297 del 1994, manifestano un atteggiamento del legislatore statale quantomeno superficiale rispetto alla previsione dell'art. 31, comma 2 del d.lgs. n. 226 del 2005. Qui e' stato predisposto un regime transitorio laddove si stabilisce che alcune disposizioni del Testo Unico approvato nel d.lgs. n. 297 del 1994, tra cui l'art. 191 (con esclusione del solo comma 7) «continuano ad applicarsi limitatamente alle classi di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore ancora funzionanti secondo il precedente ordinamento, ed agli alunni ad essi iscritti, e sono abrogate a decorrere dall'anno successivo al completo esaurimento delle predette classi». Cio' significa che per gli istituti tecnici e professionali previsti ex art. 191, comma 2, del d.lgs. n. 297, il d.lgs. n. 226 del 2005 ha individuato una disciplina ad esaurimento destinata alla loro soppressione una volta che, decorso l'anno scolastico successivo al completamento di tutte le classi, l'art. 191, ad esclusione del comma 7, verra' abrogato. Nessuna menzione di tale particolare regime e' fatta nell'art. 13, che fa di fatto rivivere disposizioni destinate ad essere abrogate. Ecco che, allora, viene alla luce in tutta la sua gravita' l'illegittimita' e l'irrazionalita' che ha mosso il legislatore statale: egli ha operato con interventi chirurgici, frammentati e disorganici, su alcune disposizioni del decreto delegato n. 226, che nella sostanza ne hanno stravolto la linea, il senso e la sua piena sintonia con la legge delega. Sono irragionevoli e contraddittori gli effetti che questo intervento statale produce: nell'ordinamento, infatti, convivono una legge delega attuativa di precetti costituzionali, un decreto delegato oramai completamente svincolato da questa e per nulla rispondente ai suoi principi e criteri direttivi, una legge statale palesemente in contrasto con il riparto costituzionale di competenze in materia di istruzione e formazione professionale. 3. - Illegittimita' per violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.); irragionevolezza, carenza dei presupposti, illogicita'. I due provvedimenti, oltre ad essere illegittimi perche' emanati da un organo in palese difetto di attribuzione, evidenziano elementi di illogicita' e contraddittorieta' che meritano di essere portati all'attenzione di codesta ecc.ma Corte. 3.1. - Essi sono innanzitutto la controprova di un agire da parte del Ministero della pubblica istruzione caratterizzato da una profonda irragionevolezza. Ed infatti, seppur a partire dalla legge n. 296 del 2006 si sia determinato un quadro normativo attorno alla materia istruzione in generale, e alla istruzione e formazione professionale in particolare, connotato da contraddittorieta', incertezza e ambiguita', il Ministero della pubblica istruzione, piuttosto che attendere una auspicabile stabilizzazione dello scenario di riferimento, ha avvertito l'urgenza di adottare atti immediatamente applicativi di quel quadro normativo. E lo ha fatto, intervenendo sul monte ore settimanale degli istituti professionali, sui programmi e sul personale docente a decorrere gia' dal prossimo anno scolastico 2007/2008. La pretesa di approvare degli atti cosi' incisivi e puntuali a fine maggio e renderli esecutivi a partire dal mese di settembre (quindi a soli 3 mesi di distanza!) gia' non convincerebbe rispetto ad un contesto normativo lineare e stabile: se poi si manifesta, come nel caso di specie, rispetto ad un quadro precario, confuso e in continua via di evoluzione, tale pretesa sfocia nella piu' totale irrazionalita', arbitrarieta' ed illogicita'. E d'altronde la precarieta' che permea i provvedimenti in oggetto risulta: dal primo «Considerato» del d.m. n. 41 del 2007 dove si legge: «Considerato che la transitorieta' dell'intervento, in attesa della riforma complessiva del sistema dell'istruzione tecnica e dell'istruzione professionale e l'urgenza di dare attuazione alla citata norma della legge finanziaria 2007 non consentono l'attivazione di complesse procedure per la definizione di un nuovo ordinamento»; dalla Nota prot. n. 802/DIP dove si legge che «l'intervento attuato assume un evidente carattere di transitorieta' per le seguenti motivazioni: 1) la necessita' di dare immediata attuazione al disposto della finanziaria; 2) la circostanza che la definizione dei nuovi percorsi formativi nell'ambito dell'istruzione tecnica e professionale, prevede l'avvio di una complessa procedura... (non compatibili) con l'urgenza dell'intervento». Si tratta dunque di un provvedimento transitorio emanato nell'attesa di una riforma piu' organica del sistema: e' lo stesso Ministero, pertanto, che espressamente riconosce la provvisorieta' dell'intero assetto normativo nella materia de qua che, infatti, necessita di una «riforma complessiva». Ebbene, nonostante cio', l'amministrazione resistente ritiene urgente (senza che vi sia alcuna traccia delle ragioni che sorreggono tale urgenza!) dare attuazione ad alcune disposizioni della legge n. 296 del 2006. Disposizioni che, per di piu', sono state le prime a delineare i contorni della nuova instabilita' dal momento che hanno riaperto illegittimamente le porte ad un intervento statale all'interno dell'istruzione e formazione professionale, in realta' di competenza regionale, e hanno rimesso in discussione, stravolgendolo, tutto un percorso complesso e partecipato di riforma del sistema formativo ed educativo che si era sviluppato in modo conforme alle nuove competenze costituzionali. In sostanza, invece di attendere che il nuovo percorso di riforma raggiunga una adeguato livello di stabilita', ci si preoccupa di dare immediata attuazione, senza prendere in minima considerazione tutte le gravi conseguenze che comporta, a norme isolate che, oltre ad essere illegittime per quanto gia' detto, rischiano di incrementare ed esasperare il tasso di incertezza e confusione nell'intero settore. 3.2. - Ancora, del tutto insufficienti sono le motivazioni di merito poste alla base della riduzione del carico orario di lezione: ci si limita a ritenere, in modo del tutto arbitrario, che il carico di 40 ore settimanali ex d.m. 24 aprile 1992, sia «eccessivamente gravoso» (v. secondo Considerato del d.m. n. 41) e altresi' «ostacolo al raggiungimento del successo formativo», oltre che causa di «abbandoni e dispersioni scolastiche rilevanti». Ma quale sia la relazione tra il monte ore settimanale e il successo formativo o gli abbandoni scolastici non e' dato sapere. Ne' tanto meno si comprende come questo scenario, di per se' preoccupante, possa mutare a fronte di una riduzione di solo 4 ore a settimana, cioe' meno di una al giorno! E' evidente, al contrario, la volonta' precisa di dare concreta attuazione da subito, in modo illogico, incoerente ed approssimativo, ad un progetto di riforma del sistema dell'istruzione e formazione professionale che, oltre ad essere illegittimo, e' altresi' lontano da una piena definizione. Il decreto del Ministero della pubblica istruzione n. 41 del 25 maggio 2007 e la sua Nota prot. n. 802/DIP del 29 maggio 2007 sono, dunque, innanzitutto illegittimi perche' non spetta alla Stato disciplinare, e per di piu' in maniera tanto dettagliata, una materia, quale l'istruzione e la formazione professionale, di competenza esclusiva regionale. Ma essi si risolvono in un vero e proprio eccesso di potere perche' immettono nell'ordinamento elementi di illogicita', approssimazione e palese contraddittorieta' generando solo confusione laddove il settore nel suo complesso attende da tempo stabilita' e certezza. S o s p e n s i v a Il decreto del Ministero della pubblica istruzione - Dipartimento per l'istruzione, n. 41 del 25 maggio 2007 e la Nota del Dipartimento per l'istruzione, prot. n. 802/DIP devono essere sospesi nelle more del giudizio. In caso contrario, infatti, si rischia che diventino esecutivi provvedimenti adottati da un'amministrazione in violazione del riparto di competenze costituzionali in materia di istruzione e istruzione e formazione professionale, con gravissimo pregiudizio non solo per la Regione Lombardia, ma per tutto il sistema complessivo. Ma la sospensione si rende ancora piu' necessaria stante la imminenza del nuovo anno scolastico, a partire dal quale dovrebbero applicarsi le pesanti previsioni del decreto e della nota. Cio' difatti comporterebbe per la regione ricorrente una frettolosa, confusa e inevitabilmente approssimativa rivisitazione di tutta una serie di aspetti (strutturazione dei programmi, distribuzione del personale docente etc.) che, al contrario, necessitano di tempi tecnici adeguati e proporzionati. Senza l'indispensabile sospensione dei provvedimenti impugnati, la Regione Lombardia dovrebbe impiegare strutture e risorse ingenti per adeguare, in tempi che piu' che brevissimi sembrano impossibili, l'intero assetto dell'istruzione e formazione lombardo alle precise ed incisive prescrizioni in essi contenute. Ma il danno grave ed irreparabile si puo' apprezzare anche con riferimento all'interesse pubblico a che il prossimo anno scolastico 2007/2008 possa partire nella piena certezza e definizione e non soggetto a cambiamenti cui andrebbe inevitabilmente incontro qualora la Corte costituzionale dovesse ritenere i provvedimenti legislativi, di cui gli atti qui impugnati sono immediata esecuzione, costituzionalmente illegittimi. Si ritiene, infatti, opportuno sottolineare, ad ulteriore sostegno della imprescindibilita' della sospensione dei due provvedimenti oggetto del presente conflitto, come siano attualmente pendenti dinnanzi a codesta ecc.ma Corte due distinti giudizi in via principale proposti dalla odierna ricorrente per violazione (tra gli altri) degli artt. 117, 118, 119 e 120 Cost. Per il primo - notificato in data 26 febbraio 2007, depositato presso la cancelleria il 7 marzo 2007 - avente ad oggetto (insieme ad altri) anche il comma 622 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), il sig. presidente di codesta ecc.ma Corte ha gia' provveduto a fissare l'udienza di discussione per il prossimo 12 febbraio 2008. Il secondo - avente ad oggetto i commi dall'1 all'8-ter del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come convertiti con modificazioni dalla legge n. 40 del 2007 - e' stato notificato in data 31 maggio 2007 e depositato presso la cancelleria di codesta ecc.ma Corte in data 9 giugno 2007, e pertanto in attesa di fissazione. 1) La Regione Lombardia e' stata tra le prime a recepire l'Accordo firmando il 25 settembre 2003 un Protocollo d'Intesa con il MIUR e il MLPS nel quale si e' stabilito (art. 2, comma 1) che: I modelli sperimentali che coinvolgono l'istruzione e la formazione professionale... nella Regione Lombardia, sono articolati nelle seguenti tipologie di offerta: a) percorsi triennali sperimentali di formazione professionale ed eventuali successivi percorsi, collocati in un organico processo di sviluppo della formazione professionale superiore, da realizzarsi in strutture formative accreditate dalla regione. I percorsi triennali sono finalizzati al conseguimento di un titolo di Qualifica (attestato) secondo quanto previsto dalla normativa vigente, valido per l'assolvimento del diritto- dovere di istruzione e formazione fino ai diciotto anni e l'iscrizione ai centri per l'impiego, nonche' per l'acquisizione di crediti ai fini dell'eventuale passaggio nel sistema dell'istruzione; b) percorsi triennali sperimentali di formazione professionale ed eventuali successivi percorsi, collocati in un organico processo di sviluppo della formazione professionale superiore, da realizzarsi in istituti tecnici e professionali individuati sulla base di criteri stabiliti d'intesa tra la Regione Lombardia e l'Ufficio scolastico regionale. I percorsi triennali sono finalizzati al conseguimento di un titolo di Qualifica (attestato) secondo quanto previsto dalla normativa vigente, valido per l'assolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione fino ai diciotto anni e l'iscrizione ai centri per l'impiego, nonche' per l'acquisizione di crediti ai fini dell'eventuale passaggio nel sistema dell'istruzione; c) realizzazione di LARSA (Laboratori di recupero e sviluppo degli apprendimenti atti a consentire i passaggi verticali ed orizzontali attraverso i percorsi attivati); d) realizzazione di azioni di orientamento, di personalizzazione dei percorsi e di sostegno agli allievi disabili; e) realizzazione delle iniziative di cui ai precedenti punti c) e d) svolti in modo integrato tra Istituti Tecnici/Professionali e strutture formative accreditate dalla Regione. Il successivo comma 2 stabilisce che «I progetti relativi ai percorsi di cui al comma 1, lettere a) e b) comprendono la definizione di criteri e di strumenti per favorire la piu' ampia spendibilita' della formazione acquisita ai fini della prosecuzione degli studi nel sistema dell'istruzione.».