LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

    Ha  emesso la seguente ordinanza, sull'appello n. 916/06, spedito
il  21  aprile 2006, avverso la sentenza n. 207/03/1997, emessa dalla
Commissione  tributaria  provinciale di Massa Carrara, contro Agenzia
Entrate  - Ufficio Massa, proposto dal ricorrente Genovesi Mirco, via
Partaccia,  90/A  -  Fraz. Marina - 54100 Massa, difeso da Mussi avv.
Guido,   via   Dante,   43   -   54100  Massa,  avverso  la  sentenza
n. 208/03/1997,  emessa  dalla  Commissione tributaria provinciale di
Massa  Carrara,  contro Agenzia Entrate - Ufficio Massa, proposto dal
ricorrente Genovesi Mirco, via Partaccia, 90/A - Fraz. Marina - 54100
Massa, difeso da Mussi avv. Guido, via Dante 43, - 54100 Massa.
    Atti impugnati:
    Avviso di accertamento n. 810655 96 I.V.A. 1991;
    Avviso di accertamento n. 810656 96 I.V.A. 1992.

                      Svolgimento del giudizio

    Con  istanza  di  riassunzione  notificata a mezzo posta mediante
consegna  all'ufficiale giudiziario avvenuta in data 16 ottobre 2006,
l'Agenzia  delle  Entrate  - Ufficio di Massa ha promosso giudizio di
rinvio  a  seguito della sentenza della Corte di cassazione - Sezione
tributaria  n. 4732  del  9  dicembre  2005/3 marzo 2006. Il giudizio
riguarda  il  contribuente  Genovesi  Mirco,  residente  a  Massa, in
relazione  ad  accertamento  compiuto dall'Ufficio provinciale IVA di
Massa  dal  quale  era risultato, per gli anni 1991 e 1992, un volume
d'affari notevolmente superiore a quello dichiarato.
    Il  Genovesi  aveva  proposto  separati ricorsi per i due anni di
imposta  dinanzi alla Comissione tributaria provinciale di Massa, che
li  aveva  respinti  (salva la parte riguardante le sanzioni a carico
del   contribuente),  conseguendone  che  lo  stesso  Genovesi  aveva
proposto  distinti  appelli a questa Commissione tributaria regionale
(Sezione  n. 2),  la quale, riuniti i ricorsi, li ha decisi con unica
sentenza n. 135/2/1999 del 23 ottobre/11 dicembre 1999, contenente il
seguente  dispositivo:  «In  parziale riforma della sentenza di primo
grado   impugnata,   accoglie  l'appello  del  contribuente  relativo
all'anno di imposta 1991».
    «Conferma nel resto la decisione di primo grado».
    Avverso tale sentenza hanno proposto impugnazione sia il Genovesi
sia l'Agenzia delle Entrate.
    La  suprema  Corte - Sezione tributaria, con sentenza n. 4732/06,
ha   riunito  i  ricorsi  e  ha  respinto  quello  del  contribuente,
accogliendo  invece il ricorso incidentale dell'Agenzia delle Entrate
rinviando,  «anche  per le spese del giudizio di cassazione» ad altra
sezione della Commissione tributaria regionale.
    L'accoglimento   della   suprema  Corte  riguarda  un  motivo  di
impugnazione  cosi' rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli
artt. 51,  d.P.R. n. 633/1972, come modificato dall'art. 18, legge 30
dicembre  1991,  n. 413».  Esso  si  riferisce  alla circostanza che,
secondo    l'Agenzia   delle   Entrate,   le   disposizioni   dettate
dall'art. 18,  comma  2,  lett.  e), legge n. 413/1991, relative alla
facolta'  degli  Uffici  IVA  e  della Guardia di Finanza di assumere
notizie  e  copie  di  documenti presso gli istituti di credito, sono
applicabili   a   tutte   le   procedure  in  corso  e  quindi  anche
all'accertamento IVA per l'anno 1991. Ne deriverebbe l'erroneita' sul
punto della sentenza della Commissione tributaria regionale in quanto
la  presunzione  legale  di  inerenza  ad  operazioni  imponibili dei
versamenti e prelievi effettuati dal contribuente su conti bancari e'
applicabile  anche  per l'anno 1991, per il quale il contribuente non
ha fornito alcuna prova contraria.
    La ragione dell'accoglimento del motivo di impugnazione sta nella
circostanza  che la facolta' attribuita agli uffici «non interferisce
sul  rapporto  tributario,  non introduce infrazioni o sanzioni prima
non  previste,  ne' incide sull'onere dell'amministrazione di provare
la pretesa impositiva, ma disciplina soltanto le attivita' d'indagine
ed  accertamento. Ne consegue che malgrado la portata innovativa e la
carenza   di   una   previsione   di   retroattivita'  e'  consentito
all'amministrazione  finanziaria,  in  applicazione  della  norma, di
assumere  le relative iniziative ispettive e di accertamento anche se
in relazione a periodi d'imposta anteriori.
    La   cassazione   della   sentenza  della  Sezione  2  di  questa
Commissione  tributaria  regionale  e'  percio' fondata sul fatto che
detta pronuncia non si e' conformata a tale principio.
    Nell'atto  di  riassunzione  l'Agenzia  delle  Entrate, a seguito
della  pronuncia della suprema Corte, ha percio' chiesto «la conferma
della   sentenza   della   Commissione   tributaria   di   1°   grado
n. 207/03/1997  con  riferimento  alla maggiore imposta accertata con
interesi  e  sanzioni  rideterminata  a norma dell'art. 3 e 25 d.lgs.
n. 472/1997. Con vittoria di spese».
    Si  e'  costituito in giudizio il Genovesi, esponendo le seguenti
conclusioni:   «Questa   Commissione  voglia  confermare  la  propria
precedente  decisione,  anche sotto altro profilo, annullando in ogni
caso  l'avviso  di  accertamento  810655/96 emesso dall'Agenzia delle
Entrate  -  Ufficio  di Massa (gia' Ufficio IVA) relativo all'anno di
imposta  1991, respingendo, conseguentemente e per quanto di ragione,
il ricorso in riassunzione proposto dall'ufficio».
    «Previa,   occorrendo,   rimessione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale  per  la manifesta illegittimita' dell'art. 51, d.P.R.
n. 633/1972,  come  modificato  dall'art. 18,  legge n. 413/1991 - se
ritenuto  applicabile  agli  anni  di  imposta  antecedenfi  alla sua
entrata  in  vigore  -  per  violazione degli artt. 3, 24 e 111 della
Costituzione». «Vinte le spese di tutti i gradi del giudizio».
    A sostegno delle sue domande il contribuente afferma che la legge
n. 413/1991   ha   instaurato  un'inversione  dell'onere  probatorio,
disponendo che non sia piu' l'ufficio a dover provare l'imponibilita'
di  determinate operazioni, ma sia il contribuente a dover dimostrare
che   tali   operazioni   non   sono   imponibili  dando  contestuale
giustificazione delle spese.
    Secondo  il  contribuente  una  norma  di tale contenuto non puo'
avere  efficacia  retroattiva,  in  contrasto  con la pronuncia della
suprema  Corte sopra indicata. Infatti «al contribuente viene chiesto
di  dare  giustificazioni  di  comportamenti  pregressi dei quali, al
momento  del  loro  verificarsi,  non  aveva  motivo  di  annotare  i
presupposti».  «Dopo  l'entrata  in  vigore della novella il soggetto
tributario  sa  che  deve  poter  ricostruire tutte le movimentazioni
risultanti  dalla  documentazione  bancaria ed e' quindi tenuto, pena
l'accertamento  negativo,  a  ricostruire  ogni  singola operazione».
«Cio'  non  doveva  fare in precedenza ed il richiedergli, quindi, di
far  ricorso  solo  alla  sua  memoria  per  poter giustificare anche
migliaia  di  movimentazioni  attive e passive viola in modo certo il
dettato costituzionale».
    All'udienza  di  trattazione del 5 febbraio 2007 il difensore del
contribuente  ha  eccepito  l'invalidita'  dell'avviso  di fissazione
dell'udienza,  in  quanto  in  esso non vi e' riferimento preciso che
consenta  di  identificare  la  sentenza della Commissione tributaria
provinciale  di Massa n. 208/1998, ad esclusione della sentenza della
stessa  Commissione  tributaria  provinciale  di  Massa  n. 207/1998,
considerando  che,  riguardo  a quest'ultima, non sussiste in realta'
alcun rinvio dalla suprema Corte, perche' ha limitato la pronuncia di
accoglimento  alla  sola  WA  per  l'anno  1991 e cioe' alla sentenza
n. 208/1998.  Inoltre  il difensore del contribuente ha sostenuto che
l'avviso di trattazione non contiene alcun riferimento all'istanza di
riassunzione  proposta  dall'Agenzia  delle  Entrate,  sembrando  che
l'udienza  sia  stata  fissata  d'ufficio  a seguito dell'invio della
propria pronuncia da parte della Corte di cassazione alla Commissione
tributaria regionale.
.;<centra>Motivi  dell'ordinanza      1.  -  Occorre  preliminarmente
esaminare  le  eccezioni  sollevate  dal contribuente, riguardanti la
fase  di  promozione  e  radicamento  del  giudizio  dinanzi a questa
sezione  della Commissione tributaria regionale, perche', ove fossero
fondate,  non  consentirebbero  di proseguire l'esame con riferimento
alle ulteriori questioni sub judice.
    Per  quanto  concerne la regolarita' e validita' del procedimento
di   rinvio   non   hanno   fondamento  le  tesi  del  difensore  del
contribuente.
    Infatti  l'identificazione  dei ricorsi introduttivi dinanzi alla
Commissione  tributaria  provinciale di Massa e' esatta e non avrebbe
potuto  essere  diversa,  perche' la Commissione tributaria regionale
aveva  riunito i distinti appelli e si era in conseguenza pronunciata
con  una  sola  sentenza.  Altrettanto  ha  fatto  la  suprema  Corte
giudicando   in   unico   contesto   i  ricorsi  del  contribuente  e
dell'ufficio.
    Non  puo'  percio' residuare alcun dubbio circa l'identificazione
del rapporto tributario sub judice e del processo che lo riguarda.
    L'ulteriore   questione   prende  spunto  dalla  circostanza  che
l'avviso  di  trattazione  inviato al contribuente non contiene alcun
riferimento  all'istanza  di  riassunzione  che  l'ufficio  gli aveva
notificato per promuovere il giudizio di rinvio.
    Anche  in questo caso, tuttavia, e' da considerare inequivocabile
il  riferimento  al  rapporto  processuale  sorto per effetto di tale
istanza  di  riassunzione,  pur nella improprieta' di quanto si legge
nell'avviso  circa  la  trattazione  di  «appello  rinviato  da grado
superiore Corte di cassazione».
    E'  comunque indiscutibile che si tratti del giudizio di rinvio e
che  la  Commissione tributaria regionale non avrebbe potuto assumere
alcuna  iniziativa  se  non  vi fosse stata l'istanza di riassunzione
regolarmente ricevuta dall'interessato.
    Non  vi  e'  percio'  margine  per  introdurre  una  questione di
invalidita' sopravvenuta del procedimento.
    2.  -  In  merito  alla  questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 51,  comma  2,  n. 2,  d.P.R.  n. 633/1972, sollevata dalla
difesa  del  contribuente, occorre rilevare che essa appare rilevante
ai  fini  della  decisione  della  controversia  e non manifestamente
infondata.
    Circa    la    rilevanza,    e'   sufficiente   considerare   che
l'interpretazione  dell'art. 51, comma 2, n. 2 cit., dopo la modifica
apportata  dall'art. 18,  legge n. 413/1991, ha costituito oggetto di
decisione  nelle  precedenti  fasi  del  giudizio, nel senso che gia'
questa  Commissione  ha  ritenuto  che la disciplina dettata nel 1991
debba trovare applicazione solo a partire dal 1° gennaio 1992, mentre
la  suprema  Corte di cassazione, rigettando questa interpretazione e
in   accoglimento   dell'impugnazione  incidentale  dell'ufficio,  ha
confermato   l'orientamento  giurisprudenziale  vigente  secondo  cui
l'accertamento non inerisce al rapporto tributario, talche' non vi e'
questione  di  retroattivita'  della disciplina sopravvenuta, andando
questa ad incidere su una situazione relazionale gia' formata: in tal
senso   l'accertamento  su  un  rapporto  tributario  in  corso  puo'
legittimamente  svolgersi con modalita' anche differenti da quelle in
vigore al momento in cui il rapporto e' sorto.
    In conclusione si puo' senz'altro affermare che l'interpretazione
dell'art. 51,  comma  2,  n. 2,  d.P.R.  n. 633/1972, come modificato
dalla  legge  n. 413/1991,  sia  stato  e sia tuttora parte del thema
decidendum, e quindi necessariamente rilevante ai fini di causa.
    Riguardo  alla non manifesta infondatezza della dedotta questione
di    legittimita'    costituzionale,    non   sembra   condivisibile
l'orientamento   espresso   dalla  suprema  Corte  che,  evocando  un
indirizzo  giurisprudenziale  invero  alquanto  radicato,  non sembra
tenere  nel  debito  conto  le  ragioni  di  certezza  del  diritto e
soprattutto  di tutela dell'affidamento, verso le quali l'ordinamento
muove ormai da diversi anni con crescente convinzione.
    Accedendo  all'interpretazione  tradizionale  dell'art. 51  cit.,
come  modificato dalla legge n. 413/1991, la suprema Corte finisce in
effetti   con   l'imporre  al  contribuente,  anche  per  il  periodo
antecedente all'entrata in vigore della legge n. 413/1991, l'onere di
giustificare i movimenti del proprio conto corrente con l'allegazione
di   prove   che   all'epoca  cui  si  riferiscono  i  fatti  oggetto
dell'accertamento egli non era tenuto a precostituirsi.
    E'  dunque evidente come da una interpretazione siffatta discenda
non  solo  o  non  tanto  un  vulnus nei confronti della certezza del
diritto,  quanto  e  soprattutto  una violazione dell'affidamento del
privato:  violazione  che  e'  la  stretta conseguenza della ritenuta
retroattivita'   della  norma  con  cui  siano  state  modificate  le
modalita'   dell'accertamento   della   base   imponibile   ai   fini
dell'applicazione dell'imposta.
    L'orientamento    giurisprudenziale   sopra   richiamato   appare
seriamente  criticabile,  perche'  l'art. 3,  primo  comma,  legge 27
luglio 2000 n. 212, contenente disposizioni in materia di statuto dei
diritti  del  contribuente,  ha  sancito il principio per cui - salvo
casi   eccezionali   in   cui   e'   ammessa  l'emanazione  di  norme
interpretative  -  «le  disposizioni  tributarie  non  hanno  effetto
retroattivo».
    E'  ben  noto che questa disposizione deve essere interpretata ed
applicata  alla luce di quanto statuito all'art. 1 della stessa legge
n. 212/2000  il  quale,  al  primo  comma,  afferma  la valenza delle
disposizioni   della  legge  in  questione  quali  principi  generali
dell'ordinamento  tributario in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97
Cost.
     Detta valenza e' confermata dalla previsione che le disposizioni
in  esame  possano  essere derogate o modificate solo espressamente e
mai da leggi speciali.
    L'autoqualificazione  delle  disposizioni della legge n. 212/2000
come  principi  generali  dell'ordinamento  tributario  deve  trovare
puntuale rispondenza nella effettiva natura della maggior parte delle
disposizioni  stesse,  quale  si desume dal loro contenuto normativo,
dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti
di  altre  norme  della  legislazione  e dell'ordinamento tributario,
nonche'  dei  relativi  rapporti  (v.  Cass., sez. trib., 10 dicembre
2002, n. 17576).
    Queste  specifiche  «clausole rafforzative» di autoqualificazione
delle  disposizioni  della  legge  n. 212/2000  postulano  un preciso
valore  sia normativo sia interpretativo, in quanto, costituendo esse
principi  generali  dell'ordinamento tributario, va loro riservata la
funzione di attuare le norme costituzionali richiamate.
    D'altronde  nella  categoria  dei  principi giuridici e' insita -
come  si  desume  dall'art. 12, comma 2, delle preleggi - proprio una
funzione  di  orientamento  ermeneutico ed applicativo vincolante per
l'interprete.  Il dubbio sul significato e sulla portata di qualunque
disposizione  tributaria,  sol  che  risulti  attinente  agli  ambiti
materiali  disciplinati  dalla  legge n. 212/2000, deve quindi essere
risolto  nel  senso  piu'  conforme  ai  principi  dello  statuto del
contribuente, ai quali la legislazione tributaria, anche antecedente,
deve  comunque  essere  adeguata  (Cass.,  sez. trib., 14 aprile 2004
n. 7080).
    Solo  in  tal  modo,  ossia  riconoscendo  un  valore ermeneutico
vincolante  ai  principi  dello  statuto, si puo' far si' che vengano
rispettate le norme costituzionali con esso richiamate.
    In  conclusione,  anche l'art. 3 legge n. 212/2000, in materia di
irretroattivita'   delle   disposizioni   tributarie,   deve   essere
inquadrato  nell'ambito  del  principio  enunciato  dall'art. 1 della
stessa  legge,  cosicche'  assume  un  preciso valore interpretativo,
assurgendo a criterio per consentire all'interprete di ricavare dalla
lettera  delle norme il senso che le rende compatibili con i principi
costituzionali richiamati nello statuto.
    Anche  se  l'irretroattivita'  delle leggi tributarie costituisce
una    garanzia    attribuita    ai    contribuenti   piuttosto   che
l'esplicitazione  di  un  principio  gia'  immanente nell'ordinamento
(tanto   e'   vero   che   l'art. 25  Cost.  prevede  un  divieto  di
irretroattivita'  solo  per  le  disposizioni  penali), essa deve pur
sempre costituire un criterio interpretativo ineludibile da applicare
anche  alla  normativa  preesistente  e con riferimento a fattispecie
anteriori.   Ogni  qual  volta  una  normativa  fiscale  sia  percio'
suscettibile  di  una duplice interpretazione, una che ne comporti la
retroattivita' e una che la escluda, l'interprete e' obbligato a dare
preferenza  a  questa  seconda  interpretazione,  in  quanto  l'unica
conforme   ai   criteri   generali  introdotti  con  lo  statuto  del
contribuente e attraverso di esso, ai valori costituzionali incarnati
dallo statuto.
    D'altronde  l'art. 3,  legge  n. 212/2000  in  tema  di efficacia
temporale  delle  normative  fiscali  si  inquadra  all'interno di un
principio  piu'  generale  di  correttezza  e  buona fede cui debbono
essere  informati i rapporti fra amministrazione e contribuente e che
trova  espressione non solo nell'art. 10 che ha per oggetto la tutela
dell'affidamento  e  della buona fede, ma anche in una serie di altre
norme   dello   statuto,   come   l'art. 6   sulla  conoscenza  e  la
semplificazione  degli  atti,  l'art. 7 sulla chiarezza e motivazione
dei  medesimi, l'art. 5 sulle informazioni del contribuente, l'art. 2
sulla chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie.
    L'esame  complessivo  e  contestuale di queste disposizioni rende
evidente  che  la  correttezza  e  la  buona  fede  nei  riguardi del
contribuente  non  sono  soltanto criteri vincolanti di comportamento
dell'amministrazione   finanziaria  in  fase  applicativa,  ma  anche
criteri    ispiratori    del    legislatore    tributario    all'atto
dell'emanazione delle fonti normative. E proprio l'art. 3 riguardante
il divieto di attribuire alle norme efficacia retroattiva, e con esso
l'art. 2  che  detta  i criteri di chiarezza e trasparenza cui devono
adeguarsi  le  disposizioni  tributarie,  obbligano  direttamente  il
legislatore, piuttosto che l'amministrazione finanziaria.
    Una  disposizione  fiscale (ivi compresa quella che disciplina la
procedura  di  accertamento)  che abbia anche solo in parte efficacia
retroattiva  e'  palesemente contraria ai principi di correttezza nei
confronti  del  contribuente.  Del resto il principio di tutela della
ragionevolezza  e  dell'affidamento  avente  ad  oggetto  la certezza
dell'ordinamento  giuridico  e'  stato gia' riconosciuto non solo dal
giudice  di  legittimita'  (v.  Cass.,  sez.  trib.,  23  maggio 2003
n. 8146), ma anche dalla Corte costituzionale (v. sentenze n. 211 del
2 luglio 1997, n. 525 del 22 novembre 2000), dalla Corte di giustizia
(24  settembre  2002,  C-255/2000,  Grundig  Italiana  S.p.a.  contro
Ministero  delle finanze) e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo
(v. sentenza 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura contro Italia).
    Altra  considerazione  in favore della non manifesta infondatezza
della  prospettata questione di illegittimita' costituzionale e' che,
contrariamente  a quanto sostenuto da certa frettolosa giurisprudenza
(v.  ad  es.  Cass.,  sez.  trib.  14 ottobre 2005 n. 19947) la Corte
costituzionale  non  ha  affatto  gia' dichiarato che sia conforme al
dettato,  costituzionale  l'applicazione dell'art. 51 cit. anche agli
accertamenti  relativi ad annualita' di imposta anteriori all'entrata
in vigore della legge n. 413/1991. Nell'ordinanza n. 260 del 6 luglio
2000   la  Corte  si  e'  limitata  a  specificare  che  la  verifica
dell'esistenza   di   operazioni  imponibili  per  il  tramite  della
documentazione  riguardante i conti intrattenuti dal contribuente con
le  aziende  di credito, si fonda su una presunzione solo relativa di
imponibilita'  delle operazioni risultanti dai conti, suscettibile di
essere  vinta  dalla dimostrazione, da parte del contribuente, che di
dette  risultanze  si  e' tenuto conto nelle dichiarazioni o che esse
non si riferiscono ad operazioni imponibili.
    La  Corte  ha  quindi  precisato che questo meccanismo presuntivo
esprime  una  scelta  discrezionale  del  legislatore,  il  quale  e'
legittimato a compiere un non irragionevole apprezzamento dei fini di
utilita'  sociale e di giustizia sociale di cui agli artt. 41 secondo
comma  e  42 secondo comma Cost. circa le modalita' di protezione del
segreto bancario.
    Il  problema  che  invece  si  controverte in questa sede, se sia
costituzionalmente   legittimo   che   il   contribuente,  a  seguito
dell'attribuzione  di  valenza retroattiva ad una norma sopravvenuta,
sia  onerato  della  allegazione  di  prove  che  non  era  tenuto  a
precostituirsi  all'epoca  dei  fatti,  non e' stato affrontato dalla
Corte costituzionale ne' con la citata ordinanza n. 260/2000, ne' con
qualsivoglia altra pronuncia.
    Del   resto  e'  utile  rimarcare  che  non  sarebbe  appropriato
estendere  la portata dell'ordinanza n. 260/2000 oltre la fattispecie
per  la  quale  e'  stata  resa,  anche perche' trattasi di pronuncia
antecedente  all'entrata  in vigore della legge n. 212/2000 cit., che
ha   sanzionato  il  principio  della  irretroattivita'  della  norma
tributaria.
    Il complesso delle suesposte considerazioni convince dunque della
rilevanza   e   non   manifesta   infondatezza   della  questione  di
legittimita'  costituzionale,  in relazione agli artt. 3, 23, 53 e 97
Cost.,  dell'art. 51,  comma  2, n. 2, d.P.R. n. 633/1972, cosi' come
modificato  dall'art. 18,  legge  n. 413/1991,  nella  parte  in  cui
consente  all'Ufficio  di  avvalersi di presunzioni semplici ricavate
dai  movimenti  attivi e passivi dei conti correnti del contribuente,
ai  fini  dell'accertamento  della  base imponibile IVA, anche per il
periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n. 413/1991 cit.,
cosi'  da  onerare  il  contribuente  dell'allegazione  di  prove che
all'epoca  dei fatti, stante il dettato normativo in vigore, egli non
era tenuto a precostituirsi.
    Circa  la  violazione  dell'art. 3  Cost.,  deve rilevarsi che le
disposizioni   dell'art. 51  cit.  sono  discriminatorie  in  quanto,
consentendo  all'Amministrazione  di  acquisire  copia  dei  conti ed
abilitando  la  medesima  a porre le relative risultanze a fondamento
degli  accertamenti,  anche per il periodo in cui il contribuente non
aveva   l'onere   di  precostituirsi  prove  a  discarico,  crea  una
disparita'  di  trattamento  rispetto  ai  soggetti  passivi di altre
imposte  di  natura  indiretta  nei  confronti dei quali una siffatta
disciplina  non  trova  applicazione  e  quindi,  per  l'effetto, non
operano analoghi meccanismi presuntivi.
    Peraltro,   il   fatto   che   nell'ordinamento   si  riscontrino
disposizioni  corrispondenti in materia di accertamento delle imposte
sui  redditi  non vale a qualificare detti meccanismi presuntivi come
sistemi  cui  l'attivita'  di accertamento possa dirsi universalmente
informata:  rimangono  pertanto  disparita'  di  trattamento che sono
lesive della richiamata norma costituzionale.
    Riguardo   agli   artt. 23  e  53  Cost.  l'imposizione  di'  una
prestazione patrimoniale in dispregio del principio, codificato dalla
legge  n. 212/2000, di irretroattivita' delle disposizioni tributarie
lede  il  principio  di  capacita' contributiva perche' il meccanismo
presuntivo di cui si discute puo' rendere impossibile od estremamente
difficile  al  contribuente la prova dell'effettivita' del suo debito
di  imposta,  nonche'  della  sussistenza  e  della  dimensione delle
operazioni imponibili, assunte quali indici, appunto, della capacita'
contributiva.
    Rileva infine un profilo di violazione dell'art. 97 Cost, essendo
chiaro   che   l'attribuzione   all'amministrazione  finanziaria  del
beneficio  di  avvalersi  di una presunzione legale, che e', in molti
casi,  sostanzialmente assoluta, ai fini dell'accertamento della base
imponibile  IVA per i periodi di imposta anteriori al 1992 si traduce
in  una  indebita situazione di privilegio per il soggetto pubblico e
per  l'interesse  che ad esso fa capo alla percezione dei tributi, in
contrasto con le ragioni costituzionali del buon andamento.
    Si  rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio
e  la  rimessione  degli  atti alla Corte costituzionale affinche' si
pronunci sulla questione.