LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza, sull'appello n. 916/06, spedito il 21 aprile 2006, avverso la sentenza n. 207/03/1997, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara, contro Agenzia Entrate - Ufficio Massa, proposto dal ricorrente Genovesi Mirco, via Partaccia, 90/A - Fraz. Marina - 54100 Massa, difeso da Mussi avv. Guido, via Dante, 43 - 54100 Massa, avverso la sentenza n. 208/03/1997, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara, contro Agenzia Entrate - Ufficio Massa, proposto dal ricorrente Genovesi Mirco, via Partaccia, 90/A - Fraz. Marina - 54100 Massa, difeso da Mussi avv. Guido, via Dante 43, - 54100 Massa. Atti impugnati: Avviso di accertamento n. 810655 96 I.V.A. 1991; Avviso di accertamento n. 810656 96 I.V.A. 1992. Svolgimento del giudizio Con istanza di riassunzione notificata a mezzo posta mediante consegna all'ufficiale giudiziario avvenuta in data 16 ottobre 2006, l'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Massa ha promosso giudizio di rinvio a seguito della sentenza della Corte di cassazione - Sezione tributaria n. 4732 del 9 dicembre 2005/3 marzo 2006. Il giudizio riguarda il contribuente Genovesi Mirco, residente a Massa, in relazione ad accertamento compiuto dall'Ufficio provinciale IVA di Massa dal quale era risultato, per gli anni 1991 e 1992, un volume d'affari notevolmente superiore a quello dichiarato. Il Genovesi aveva proposto separati ricorsi per i due anni di imposta dinanzi alla Comissione tributaria provinciale di Massa, che li aveva respinti (salva la parte riguardante le sanzioni a carico del contribuente), conseguendone che lo stesso Genovesi aveva proposto distinti appelli a questa Commissione tributaria regionale (Sezione n. 2), la quale, riuniti i ricorsi, li ha decisi con unica sentenza n. 135/2/1999 del 23 ottobre/11 dicembre 1999, contenente il seguente dispositivo: «In parziale riforma della sentenza di primo grado impugnata, accoglie l'appello del contribuente relativo all'anno di imposta 1991». «Conferma nel resto la decisione di primo grado». Avverso tale sentenza hanno proposto impugnazione sia il Genovesi sia l'Agenzia delle Entrate. La suprema Corte - Sezione tributaria, con sentenza n. 4732/06, ha riunito i ricorsi e ha respinto quello del contribuente, accogliendo invece il ricorso incidentale dell'Agenzia delle Entrate rinviando, «anche per le spese del giudizio di cassazione» ad altra sezione della Commissione tributaria regionale. L'accoglimento della suprema Corte riguarda un motivo di impugnazione cosi' rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 51, d.P.R. n. 633/1972, come modificato dall'art. 18, legge 30 dicembre 1991, n. 413». Esso si riferisce alla circostanza che, secondo l'Agenzia delle Entrate, le disposizioni dettate dall'art. 18, comma 2, lett. e), legge n. 413/1991, relative alla facolta' degli Uffici IVA e della Guardia di Finanza di assumere notizie e copie di documenti presso gli istituti di credito, sono applicabili a tutte le procedure in corso e quindi anche all'accertamento IVA per l'anno 1991. Ne deriverebbe l'erroneita' sul punto della sentenza della Commissione tributaria regionale in quanto la presunzione legale di inerenza ad operazioni imponibili dei versamenti e prelievi effettuati dal contribuente su conti bancari e' applicabile anche per l'anno 1991, per il quale il contribuente non ha fornito alcuna prova contraria. La ragione dell'accoglimento del motivo di impugnazione sta nella circostanza che la facolta' attribuita agli uffici «non interferisce sul rapporto tributario, non introduce infrazioni o sanzioni prima non previste, ne' incide sull'onere dell'amministrazione di provare la pretesa impositiva, ma disciplina soltanto le attivita' d'indagine ed accertamento. Ne consegue che malgrado la portata innovativa e la carenza di una previsione di retroattivita' e' consentito all'amministrazione finanziaria, in applicazione della norma, di assumere le relative iniziative ispettive e di accertamento anche se in relazione a periodi d'imposta anteriori. La cassazione della sentenza della Sezione 2 di questa Commissione tributaria regionale e' percio' fondata sul fatto che detta pronuncia non si e' conformata a tale principio. Nell'atto di riassunzione l'Agenzia delle Entrate, a seguito della pronuncia della suprema Corte, ha percio' chiesto «la conferma della sentenza della Commissione tributaria di 1° grado n. 207/03/1997 con riferimento alla maggiore imposta accertata con interesi e sanzioni rideterminata a norma dell'art. 3 e 25 d.lgs. n. 472/1997. Con vittoria di spese». Si e' costituito in giudizio il Genovesi, esponendo le seguenti conclusioni: «Questa Commissione voglia confermare la propria precedente decisione, anche sotto altro profilo, annullando in ogni caso l'avviso di accertamento 810655/96 emesso dall'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Massa (gia' Ufficio IVA) relativo all'anno di imposta 1991, respingendo, conseguentemente e per quanto di ragione, il ricorso in riassunzione proposto dall'ufficio». «Previa, occorrendo, rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la manifesta illegittimita' dell'art. 51, d.P.R. n. 633/1972, come modificato dall'art. 18, legge n. 413/1991 - se ritenuto applicabile agli anni di imposta antecedenfi alla sua entrata in vigore - per violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione». «Vinte le spese di tutti i gradi del giudizio». A sostegno delle sue domande il contribuente afferma che la legge n. 413/1991 ha instaurato un'inversione dell'onere probatorio, disponendo che non sia piu' l'ufficio a dover provare l'imponibilita' di determinate operazioni, ma sia il contribuente a dover dimostrare che tali operazioni non sono imponibili dando contestuale giustificazione delle spese. Secondo il contribuente una norma di tale contenuto non puo' avere efficacia retroattiva, in contrasto con la pronuncia della suprema Corte sopra indicata. Infatti «al contribuente viene chiesto di dare giustificazioni di comportamenti pregressi dei quali, al momento del loro verificarsi, non aveva motivo di annotare i presupposti». «Dopo l'entrata in vigore della novella il soggetto tributario sa che deve poter ricostruire tutte le movimentazioni risultanti dalla documentazione bancaria ed e' quindi tenuto, pena l'accertamento negativo, a ricostruire ogni singola operazione». «Cio' non doveva fare in precedenza ed il richiedergli, quindi, di far ricorso solo alla sua memoria per poter giustificare anche migliaia di movimentazioni attive e passive viola in modo certo il dettato costituzionale». All'udienza di trattazione del 5 febbraio 2007 il difensore del contribuente ha eccepito l'invalidita' dell'avviso di fissazione dell'udienza, in quanto in esso non vi e' riferimento preciso che consenta di identificare la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Massa n. 208/1998, ad esclusione della sentenza della stessa Commissione tributaria provinciale di Massa n. 207/1998, considerando che, riguardo a quest'ultima, non sussiste in realta' alcun rinvio dalla suprema Corte, perche' ha limitato la pronuncia di accoglimento alla sola WA per l'anno 1991 e cioe' alla sentenza n. 208/1998. Inoltre il difensore del contribuente ha sostenuto che l'avviso di trattazione non contiene alcun riferimento all'istanza di riassunzione proposta dall'Agenzia delle Entrate, sembrando che l'udienza sia stata fissata d'ufficio a seguito dell'invio della propria pronuncia da parte della Corte di cassazione alla Commissione tributaria regionale. .;<centra>Motivi dell'ordinanza 1. - Occorre preliminarmente esaminare le eccezioni sollevate dal contribuente, riguardanti la fase di promozione e radicamento del giudizio dinanzi a questa sezione della Commissione tributaria regionale, perche', ove fossero fondate, non consentirebbero di proseguire l'esame con riferimento alle ulteriori questioni sub judice. Per quanto concerne la regolarita' e validita' del procedimento di rinvio non hanno fondamento le tesi del difensore del contribuente. Infatti l'identificazione dei ricorsi introduttivi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Massa e' esatta e non avrebbe potuto essere diversa, perche' la Commissione tributaria regionale aveva riunito i distinti appelli e si era in conseguenza pronunciata con una sola sentenza. Altrettanto ha fatto la suprema Corte giudicando in unico contesto i ricorsi del contribuente e dell'ufficio. Non puo' percio' residuare alcun dubbio circa l'identificazione del rapporto tributario sub judice e del processo che lo riguarda. L'ulteriore questione prende spunto dalla circostanza che l'avviso di trattazione inviato al contribuente non contiene alcun riferimento all'istanza di riassunzione che l'ufficio gli aveva notificato per promuovere il giudizio di rinvio. Anche in questo caso, tuttavia, e' da considerare inequivocabile il riferimento al rapporto processuale sorto per effetto di tale istanza di riassunzione, pur nella improprieta' di quanto si legge nell'avviso circa la trattazione di «appello rinviato da grado superiore Corte di cassazione». E' comunque indiscutibile che si tratti del giudizio di rinvio e che la Commissione tributaria regionale non avrebbe potuto assumere alcuna iniziativa se non vi fosse stata l'istanza di riassunzione regolarmente ricevuta dall'interessato. Non vi e' percio' margine per introdurre una questione di invalidita' sopravvenuta del procedimento. 2. - In merito alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633/1972, sollevata dalla difesa del contribuente, occorre rilevare che essa appare rilevante ai fini della decisione della controversia e non manifestamente infondata. Circa la rilevanza, e' sufficiente considerare che l'interpretazione dell'art. 51, comma 2, n. 2 cit., dopo la modifica apportata dall'art. 18, legge n. 413/1991, ha costituito oggetto di decisione nelle precedenti fasi del giudizio, nel senso che gia' questa Commissione ha ritenuto che la disciplina dettata nel 1991 debba trovare applicazione solo a partire dal 1° gennaio 1992, mentre la suprema Corte di cassazione, rigettando questa interpretazione e in accoglimento dell'impugnazione incidentale dell'ufficio, ha confermato l'orientamento giurisprudenziale vigente secondo cui l'accertamento non inerisce al rapporto tributario, talche' non vi e' questione di retroattivita' della disciplina sopravvenuta, andando questa ad incidere su una situazione relazionale gia' formata: in tal senso l'accertamento su un rapporto tributario in corso puo' legittimamente svolgersi con modalita' anche differenti da quelle in vigore al momento in cui il rapporto e' sorto. In conclusione si puo' senz'altro affermare che l'interpretazione dell'art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633/1972, come modificato dalla legge n. 413/1991, sia stato e sia tuttora parte del thema decidendum, e quindi necessariamente rilevante ai fini di causa. Riguardo alla non manifesta infondatezza della dedotta questione di legittimita' costituzionale, non sembra condivisibile l'orientamento espresso dalla suprema Corte che, evocando un indirizzo giurisprudenziale invero alquanto radicato, non sembra tenere nel debito conto le ragioni di certezza del diritto e soprattutto di tutela dell'affidamento, verso le quali l'ordinamento muove ormai da diversi anni con crescente convinzione. Accedendo all'interpretazione tradizionale dell'art. 51 cit., come modificato dalla legge n. 413/1991, la suprema Corte finisce in effetti con l'imporre al contribuente, anche per il periodo antecedente all'entrata in vigore della legge n. 413/1991, l'onere di giustificare i movimenti del proprio conto corrente con l'allegazione di prove che all'epoca cui si riferiscono i fatti oggetto dell'accertamento egli non era tenuto a precostituirsi. E' dunque evidente come da una interpretazione siffatta discenda non solo o non tanto un vulnus nei confronti della certezza del diritto, quanto e soprattutto una violazione dell'affidamento del privato: violazione che e' la stretta conseguenza della ritenuta retroattivita' della norma con cui siano state modificate le modalita' dell'accertamento della base imponibile ai fini dell'applicazione dell'imposta. L'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato appare seriamente criticabile, perche' l'art. 3, primo comma, legge 27 luglio 2000 n. 212, contenente disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, ha sancito il principio per cui - salvo casi eccezionali in cui e' ammessa l'emanazione di norme interpretative - «le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo». E' ben noto che questa disposizione deve essere interpretata ed applicata alla luce di quanto statuito all'art. 1 della stessa legge n. 212/2000 il quale, al primo comma, afferma la valenza delle disposizioni della legge in questione quali principi generali dell'ordinamento tributario in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. Detta valenza e' confermata dalla previsione che le disposizioni in esame possano essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. L'autoqualificazione delle disposizioni della legge n. 212/2000 come principi generali dell'ordinamento tributario deve trovare puntuale rispondenza nella effettiva natura della maggior parte delle disposizioni stesse, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme della legislazione e dell'ordinamento tributario, nonche' dei relativi rapporti (v. Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576). Queste specifiche «clausole rafforzative» di autoqualificazione delle disposizioni della legge n. 212/2000 postulano un preciso valore sia normativo sia interpretativo, in quanto, costituendo esse principi generali dell'ordinamento tributario, va loro riservata la funzione di attuare le norme costituzionali richiamate. D'altronde nella categoria dei principi giuridici e' insita - come si desume dall'art. 12, comma 2, delle preleggi - proprio una funzione di orientamento ermeneutico ed applicativo vincolante per l'interprete. Il dubbio sul significato e sulla portata di qualunque disposizione tributaria, sol che risulti attinente agli ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212/2000, deve quindi essere risolto nel senso piu' conforme ai principi dello statuto del contribuente, ai quali la legislazione tributaria, anche antecedente, deve comunque essere adeguata (Cass., sez. trib., 14 aprile 2004 n. 7080). Solo in tal modo, ossia riconoscendo un valore ermeneutico vincolante ai principi dello statuto, si puo' far si' che vengano rispettate le norme costituzionali con esso richiamate. In conclusione, anche l'art. 3 legge n. 212/2000, in materia di irretroattivita' delle disposizioni tributarie, deve essere inquadrato nell'ambito del principio enunciato dall'art. 1 della stessa legge, cosicche' assume un preciso valore interpretativo, assurgendo a criterio per consentire all'interprete di ricavare dalla lettera delle norme il senso che le rende compatibili con i principi costituzionali richiamati nello statuto. Anche se l'irretroattivita' delle leggi tributarie costituisce una garanzia attribuita ai contribuenti piuttosto che l'esplicitazione di un principio gia' immanente nell'ordinamento (tanto e' vero che l'art. 25 Cost. prevede un divieto di irretroattivita' solo per le disposizioni penali), essa deve pur sempre costituire un criterio interpretativo ineludibile da applicare anche alla normativa preesistente e con riferimento a fattispecie anteriori. Ogni qual volta una normativa fiscale sia percio' suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattivita' e una che la escluda, l'interprete e' obbligato a dare preferenza a questa seconda interpretazione, in quanto l'unica conforme ai criteri generali introdotti con lo statuto del contribuente e attraverso di esso, ai valori costituzionali incarnati dallo statuto. D'altronde l'art. 3, legge n. 212/2000 in tema di efficacia temporale delle normative fiscali si inquadra all'interno di un principio piu' generale di correttezza e buona fede cui debbono essere informati i rapporti fra amministrazione e contribuente e che trova espressione non solo nell'art. 10 che ha per oggetto la tutela dell'affidamento e della buona fede, ma anche in una serie di altre norme dello statuto, come l'art. 6 sulla conoscenza e la semplificazione degli atti, l'art. 7 sulla chiarezza e motivazione dei medesimi, l'art. 5 sulle informazioni del contribuente, l'art. 2 sulla chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie. L'esame complessivo e contestuale di queste disposizioni rende evidente che la correttezza e la buona fede nei riguardi del contribuente non sono soltanto criteri vincolanti di comportamento dell'amministrazione finanziaria in fase applicativa, ma anche criteri ispiratori del legislatore tributario all'atto dell'emanazione delle fonti normative. E proprio l'art. 3 riguardante il divieto di attribuire alle norme efficacia retroattiva, e con esso l'art. 2 che detta i criteri di chiarezza e trasparenza cui devono adeguarsi le disposizioni tributarie, obbligano direttamente il legislatore, piuttosto che l'amministrazione finanziaria. Una disposizione fiscale (ivi compresa quella che disciplina la procedura di accertamento) che abbia anche solo in parte efficacia retroattiva e' palesemente contraria ai principi di correttezza nei confronti del contribuente. Del resto il principio di tutela della ragionevolezza e dell'affidamento avente ad oggetto la certezza dell'ordinamento giuridico e' stato gia' riconosciuto non solo dal giudice di legittimita' (v. Cass., sez. trib., 23 maggio 2003 n. 8146), ma anche dalla Corte costituzionale (v. sentenze n. 211 del 2 luglio 1997, n. 525 del 22 novembre 2000), dalla Corte di giustizia (24 settembre 2002, C-255/2000, Grundig Italiana S.p.a. contro Ministero delle finanze) e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (v. sentenza 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura contro Italia). Altra considerazione in favore della non manifesta infondatezza della prospettata questione di illegittimita' costituzionale e' che, contrariamente a quanto sostenuto da certa frettolosa giurisprudenza (v. ad es. Cass., sez. trib. 14 ottobre 2005 n. 19947) la Corte costituzionale non ha affatto gia' dichiarato che sia conforme al dettato, costituzionale l'applicazione dell'art. 51 cit. anche agli accertamenti relativi ad annualita' di imposta anteriori all'entrata in vigore della legge n. 413/1991. Nell'ordinanza n. 260 del 6 luglio 2000 la Corte si e' limitata a specificare che la verifica dell'esistenza di operazioni imponibili per il tramite della documentazione riguardante i conti intrattenuti dal contribuente con le aziende di credito, si fonda su una presunzione solo relativa di imponibilita' delle operazioni risultanti dai conti, suscettibile di essere vinta dalla dimostrazione, da parte del contribuente, che di dette risultanze si e' tenuto conto nelle dichiarazioni o che esse non si riferiscono ad operazioni imponibili. La Corte ha quindi precisato che questo meccanismo presuntivo esprime una scelta discrezionale del legislatore, il quale e' legittimato a compiere un non irragionevole apprezzamento dei fini di utilita' sociale e di giustizia sociale di cui agli artt. 41 secondo comma e 42 secondo comma Cost. circa le modalita' di protezione del segreto bancario. Il problema che invece si controverte in questa sede, se sia costituzionalmente legittimo che il contribuente, a seguito dell'attribuzione di valenza retroattiva ad una norma sopravvenuta, sia onerato della allegazione di prove che non era tenuto a precostituirsi all'epoca dei fatti, non e' stato affrontato dalla Corte costituzionale ne' con la citata ordinanza n. 260/2000, ne' con qualsivoglia altra pronuncia. Del resto e' utile rimarcare che non sarebbe appropriato estendere la portata dell'ordinanza n. 260/2000 oltre la fattispecie per la quale e' stata resa, anche perche' trattasi di pronuncia antecedente all'entrata in vigore della legge n. 212/2000 cit., che ha sanzionato il principio della irretroattivita' della norma tributaria. Il complesso delle suesposte considerazioni convince dunque della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., dell'art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633/1972, cosi' come modificato dall'art. 18, legge n. 413/1991, nella parte in cui consente all'Ufficio di avvalersi di presunzioni semplici ricavate dai movimenti attivi e passivi dei conti correnti del contribuente, ai fini dell'accertamento della base imponibile IVA, anche per il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n. 413/1991 cit., cosi' da onerare il contribuente dell'allegazione di prove che all'epoca dei fatti, stante il dettato normativo in vigore, egli non era tenuto a precostituirsi. Circa la violazione dell'art. 3 Cost., deve rilevarsi che le disposizioni dell'art. 51 cit. sono discriminatorie in quanto, consentendo all'Amministrazione di acquisire copia dei conti ed abilitando la medesima a porre le relative risultanze a fondamento degli accertamenti, anche per il periodo in cui il contribuente non aveva l'onere di precostituirsi prove a discarico, crea una disparita' di trattamento rispetto ai soggetti passivi di altre imposte di natura indiretta nei confronti dei quali una siffatta disciplina non trova applicazione e quindi, per l'effetto, non operano analoghi meccanismi presuntivi. Peraltro, il fatto che nell'ordinamento si riscontrino disposizioni corrispondenti in materia di accertamento delle imposte sui redditi non vale a qualificare detti meccanismi presuntivi come sistemi cui l'attivita' di accertamento possa dirsi universalmente informata: rimangono pertanto disparita' di trattamento che sono lesive della richiamata norma costituzionale. Riguardo agli artt. 23 e 53 Cost. l'imposizione di' una prestazione patrimoniale in dispregio del principio, codificato dalla legge n. 212/2000, di irretroattivita' delle disposizioni tributarie lede il principio di capacita' contributiva perche' il meccanismo presuntivo di cui si discute puo' rendere impossibile od estremamente difficile al contribuente la prova dell'effettivita' del suo debito di imposta, nonche' della sussistenza e della dimensione delle operazioni imponibili, assunte quali indici, appunto, della capacita' contributiva. Rileva infine un profilo di violazione dell'art. 97 Cost, essendo chiaro che l'attribuzione all'amministrazione finanziaria del beneficio di avvalersi di una presunzione legale, che e', in molti casi, sostanzialmente assoluta, ai fini dell'accertamento della base imponibile IVA per i periodi di imposta anteriori al 1992 si traduce in una indebita situazione di privilegio per il soggetto pubblico e per l'interesse che ad esso fa capo alla percezione dei tributi, in contrasto con le ragioni costituzionali del buon andamento. Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla questione.