IL TRIBUNALE

    Ritenuto  che  deve  essere  sollevata,  per  i motivi di seguito
esposti,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'articolo 14
comma  5-ter  prima  parte  del  d.lgs.  n. 286/1998  come sostituito
dall'articolo  1 comma 5-bis della legge 271/2004, di conversione con
modificazioni  del  d.l.  n. 241/2004,  nella parte in cui prevede la
pena  della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che
senza  giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  Questore  ai sensi del comma
5-bis,   questione   rilevante  e  non  manifestamente  infondata  in
riferimento  agli  artt. 3,  primo  comma  e  27,  terzo  comma della
Costituzione,

                             R i l e v a

    PITRA  BIO  e'  stato  arrestato  in  data  3 aprile  2007  nella
flagranza  del  reato  di cui all'articolo 14, comma 5-ter del d.lgs.
n. 286/1998.  Il  decreto  di  espulsione  del  Prefetto  di  Udine e
l'ordine  di  espulsione  emessi  del Questore della stessa citta' in
data  4  maggio 2006 ex artt. 13 e 14, comma 5-bis, tradotti anche in
lingua conosciuta dall'interessato, risultano essere stati notificati
al prevenuto il quale ha sottoscritto i relativi verbali.
    All'udienza tenutasi il 4 aprile 2007 - all'esito della convalida
dell'arresto,  non  richiesta dal PM l'applicazione di misure - si e'
proceduto  con  rito  direttissimo  e  l'imputato  ha tempestivamente
richiesto  il giudizio abbreviato; si e', pertanto, disposto ai sensi
dell'art. 440  c.p.p.;  le  parti  hanno  formulato  e  illustrato le
rispettive conclusioni.
    La  sanzione  da  comminare  in ipotesi di affermazione di penale
responsabilita'  dovrebbe  essere  determinata  con riguardo a quella
prevista  dalla disposizione della cui legittimita' costituzionale si
dubita.
    A) L'evoluzione normativa.
    Il    testo   originario   dell'articolo   14   non   comprendeva
l'incriminazione   dello   straniero   che   non  avesse  ottemperato
all'ordine   emesso   dal  Questore  in  esecuzione  del  decreto  di
espulsione del Prefetto.
    La  fattispecie  di  reato  in discorso e' stata introdotta dalla
legge  189/2002,  come  contravvenzione punibile con l'arresto da sei
mesi a un anno e ad arresto obbligatorio.
    La  Corte costituzionale, con la sentenza 223/2004, ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo 14, comma 5-quinquies
per  contrasto  con gli artt. 3 e 13 Costituzione «nella parte in cui
stabilisce  che  per  il  reato previsto dal comma 5-ter del medesimo
articolo   14  e'  obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del  fatto»,
rilevando  la manifesta irragionevolezza di provvedimento provvisorio
in  materia  di  liberta'  personale  in difetto, atteso il titolo di
reato, della condizione di applicabilita' ex art. 280 c.p.p. anche in
riferimento all'art. 391, quinto comma c.p.p.
    Il  d.l.  n. 241/2004, non modificando la pena suddetta, limitava
l'arresto  obbligatorio  all'ipotesi,  ex  art. 14 comma 5-quater, di
delitto  punibile con la reclusione da uno a quattro anni (reingresso
nel territorio dello Stato dello straniero espulso).
    In   sede  di  conversione  del  d.l.  citato  il  reato  di  cui
all'articolo  14  comma 5-ter e' stato previsto come delitto punibile
con  la  reclusione  da  uno  a  quattro  anni e nuovamente stabilito
l'arresto  obbligatorio,  ad  eccezione  dell'ipotesi  di  espulsione
motivata  dall'essere  scaduto il permesso di soggiorno, per la quale
non si e' modificata la pena dell'arresto da sei mesi a un anno.
    Dunque,  e'  intervenuto un notevole inasprimento della pena, per
questa  parte  la  norma attualmente in vigore apparendo in contrasto
con gli artt. 3, primo comma e 27, terzo comma della Costituzione.
B)  La  non  manifesta  infondatezza  per violazione delle richiamate
disposizioni costituzionali.
    La  Corte  costituzionale,  pur riservando alla «discrezionalita'
del  legislatore stabilire quali comportamenti debbano essere puniti,
determinare  quali  debbano essere la qualita' e la misura della pena
ed   apprezzare   parita'  e  disparita'  di  situazioni»,  ha  pero'
costantemente   ribadito   il  principio  che  «l'esercizio  di  tale
discrezionalita'  puo'  essere  censurato quando esso non rispetti il
limite  della  ragionevolezza e dia quindi luogo ad una disparita' di
trattamento  palese  e ingiustficata» (sentenza 25/1994; il principio
e' richiamato anche nella sentenza 333/1992, nell'ordinanza 220/1996,
nella sentenza 84/1997).
    E  la  sentenza  409/1989  individua i contenuti e la portata dei
requisiti  di  proporzionalita'  e  ragionevolezza:  «il principio di
uguaglianza,  di  cui all'articolo 3, primo comma, Costituzione esige
che  la  pena  sia  proporzionata  al  disvalore  del  fatto illecito
commesso,  in  modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo
alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni
individuali», disconoscendo la legittimita' di quelle «incriminazioni
che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali
di  prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo
(ai  suoi  diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela dei beni e dei valori offesi dalle predette incriminazioni».
    Il principio e' ora recepito anche dalla Costituzione europea (de
pene  inflitte  non  devono essere sproporzionate rispetto al reato»,
articolo 2 - 109).
    Inoltre,  si  e'  ripetutamente  affermato  (sentenze  313/1995 e
343/1993)  che  la manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto ai
fatti   reato   non   corrisponde  all'esigenza  della  finalita'  di
rieducazione posta dall'articolo 27, terzo comma.
    Ora, nella stessa relazione all'emendamento del d.l. n. 241/2004,
l'introduzione  di  una  sanzione cosi' elevata viene giustificata in
riferimento  soltanto  alla  assenta  necessita'  di  adeguarsi  alla
sentenza  223/2004  della Corte costituzionale, ma cio' nel senso non
condivisibile   di  inasprire  la  pena  unicamente  in  funzione  di
consentire    l'arresto   obbligatorio   e   l'eventuale   successiva
applicazione  di  misure  coercitive  personali  per  coloro  che non
ottemperino    all'ordine   del   questore.   L'intenzione   traspare
dall'essere  la  stessa pena prevista per il fatto di chi rientra nel
territorio   nazionale   dopo  un'espulsione  disposta  dal  giudice,
condotta  di  assai  piu'  rilevante gravita' in quanto presuppone la
commissione  di  un reato o quantomeno la pendenza di un procedimento
penale.
    Dunque  si deve concludere che si e' operata una trasposizione di
un'esigenza  processuale  nel  diritto  penale  sostanziale in palese
contrasto  con  i  criteri  che devono informare la determinazione in
astratto delle sanzioni penali.
    Ne'  il prospettato dubbio di costituzionalita' e' risolto ove si
consideri il trattamento sanzionatorio conseguente alla violazione di
precetti   di  norme  incriminatrici  che,  delineando  comportamenti
antigiuridici   assimilabili,   sono  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi,  l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica, protetti dalla
disposizione in esame.
    L'art. 650 cp punisce con l'arresto fino a tre mesi o con la sola
ammenda   l'inottemperanza   ad   un  provvedimento  legalmente  dato
dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico
(oltre che di giustizia e igiene).
    L'art. 2  della legge 1423/56 presuppone un ordine della pubblica
autorita'  concernente  persone ritenute «pericolose per la sicurezza
pubblica»   -   una   pericolosita'   accertata  in  concreto  e  non
«potenziale»,   come   nel  caso  dello  straniero  clandestino  -  e
l'inottemperanza   configura   una   contravvenzione  sanzionata  con
l'arresto da uno a sei mesi.
    Per   l'appunto,   in  applicazione  degli  stessi  parametri  di
normazione, il legislatore del 2002 aveva coerentemente previsto come
contravvenzione  l'ipotesi  di cui all'articolo 14, comma 5-ter, e la
pena  da  sei mesi a un anno di arresto, stabilita in misura maggiore
per  lo straniero, trovava ragionevole giustificazione nell'esigenza,
fatta  propria quale insindacabile scelta politica, di contrastare in
modo specifico il fenomeno dell'immigrazione clandestina, inesistente
all'epoca della redazione del codice penale e della legge 1423/56.
    Al  contrario,  e'  di  immediata evidenza la sproporzione tra la
pena  per  il  delitto di cui all'art. 14 comma 5-ter, attualmente in
vigore, e le sanzioni per le contravvenzioni di cui agli artt. 650 cp
e 2 legge 1423/56.
    L'irragionevolezza   si  apprezza,  pertanto,  sotto  un  duplice
profilo,  sia con riguardo alla pena che il legislatore solo due anni
prima aveva ritenuto congrua, sia con riguardo alle pene previste per
analoghe fattispecie.
    L'art. 3,  primo  comma della Costituzione impone, invece, che il
bilanciamento  tra gli interessi da tutelare e il bene della liberta'
personale  tenga  conto  delle  sanzioni  previste  per  le  analoghe
condotte di pregiudizio degli stessi interessi, derivandone l'effetto
che,   solo   quando   la   pena  sia  stabilita  con  la  necessaria
proporzionalita',  essa  risponde  alla  funzione  rieducativa di cui
all'articolo 27, terzo comma della Costituzione.