IL TRIBUNALE Riunito in Camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 906 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 1980 posta in deliberazione all'udienza collegiale del 17 gennaio 1996 e vertente tra Carattoli Gabriella; Carattoli Domenica; Carattoli Elena e Carattoli Maria, elettivamente domiciliate in Avezzano, presso lo studio del procuratore avv. Anselmo Serone che le rappresenta e difende per procura a margine dell'atto di citazione e Comune di Massa D'Albe, contumace. Conclusioni per gli attori Piaccia all'onorevole Tribunale adito accogliere la domanda attrice ed in conseguenza condannare il Comune di Massa D'Albe a risarcire gli attori di tutti i danni subiti nonche' a pagare il terreno occupato nella misura che l'on.le Tribunale riterra' dovuta, esaminata la relazione ed i chiarimenti del CTU, con rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat e gli interessi fino al saldo. Con vittoria di spese, diritti ed oneri di causa a favore dell'avv. Anselmo Serone antistatario. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 25 novembre 1908, Carattori Gabriella, Carattoli Domenica, Carattoli Elena e Carattoli Maria in persona del suo procuratore Caringi Antonio, convenivano davanti al Tribunale di Avezzano il Comune di Massa d'Albe, affermando di essere proprietarie di un terreno sito nel territorio del comune suddetto, localita' Pedicone (nel catasto dell'Aquila particella n. 22 foglio n. 25), sul quale stavano per intraprendere i lavori di costruzione di un fabbricato sulla base della licenza rilasciatagli dal comune convenuto in data 26 giugno 1973. Deducevano le attrici che il Comune di Massa d'Albe aveva pero' occupato arbitrariamente 680 mq. del terreno suddetto, installandovi un depuratore ed impedendo cosi' la realizzazione della costruzione gia' autorizzata. Non avendo il comune risarcito alcun danno fin dal 1973, anno dell'occupazione, nonostante le sollecitazioni ricevute, le attrici decidevano di adire le vie legali. Il Comune di Massa d'Albe rimaneva contumace, anche se nel corso della prima udienza compariva informalmente il sindaco, che prospettava la possibilita' di un bonario componimento. Acquisita la licenza rilasciata dal Comune di Massa d'Albe il 26 giugno 1973, assunte alcune testimonianze ed esperita una consulenza tecnica d'ufficio, il 9 giugno 1987 venivano precisate le conclusioni e, dopo una serie di rinvii d'ufficio, la causa veniva trattenuta in decisione il 6 ottobre 1993. Con ordinanza collegiale del 13/25 ottobre 1993 la causa veniva rimessa sul ruolo istruttorio per accertare la data della trasformazione irreversibile del fondo per effetto della realizzazione dell'inceneritore da parte del Comune di Massa d'Albe e per stabilire il valore della superficie occupata tenendo conto dell'edificabilita' del suolo, nonche' l'eventuale decremento di valore subito dalla porzione di terreno non occupata. Dopo alcuni rinvii provocati dal ritardo del CTU nel deposito del supplemento di CTU, il 25 gennaio 1995 venivano precisate dalle attrici le conclusioni e dopo due rinvii cagionati dalle operazioni elettorali e dall'astensione dalle udienze degli avvocati e procuratori, la causa veniva trattenuta in decisione il 17 gennaio 1996. Motivi della decisione Ritiene il tribunale che a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 65, legge 28 dicembre 1995, n. 549, a decorrere dal 1° gennaio 1996 (vedi art. 244), e della conseguente estensione alle ipotesi di accessione invertita del criterio di determinazione dell'indennita' di esproprio stabilito dall'art. 5-bis del d.l. n. 333/1992 convertito con modificazioni nella legge n. 359/1992, debba essere sollevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto delle norme sopra citate, per violazione degli articoli 3, 24, 42, terzo comma e 97, primo e secondo comma della Costituzione. Sotto il profilo della rilevanza, occorre anzitutto sottolineare come l'art. 1, comma 65, legge 28 dicembre 1995, n. 549, disponendo l'applicazione del summenzionato art. 5-bis in tutti i casi in cui non sia stata determinata in via definitiva l'entita' del risarcimento del danno alla data di conversione del d.l. n. 333/1992, si riferisca inequivocamente alla fattispecie di accessione invertita, od occupazione appropriativa, poiche' solo per esse la giurisprudenza della suprema Corte ha configurato in capo al soggetto privato della proprieta' di un fondo un credito di natura risarcitoria commisurato al valore di mercato del fondo stesso, parlandosi invece di indennita' nelle procedure di occupazione d'urgenza e di espropriazione. Sempre in punto di rilevanza, ma questa volta in fatto, va detto che nella presente causa si controverte in ordine al diritto di Carattoli Gabriella, Domenica, Elena e Maria al risarcimento del danno derivante dell'occupazione ed irreversibile trasformazione del fondo di loro proprieta' edificabile (vedi licenza edilizia rilasciata il 26 giugno 1973), da parte del Comune di Massa d'Albe, che vi ha realizzato un inceneritore comunale senza addivenire alla tempestiva adozione di un provvedimento di esproprio. Nel caso di specie la CTU espletata ha stimato il valore di mercato del fondo occupato, all'epoca dell'irreversibile trasformazione dello stesso per effetto della realizzazione dell'opera pubblica, ma nonostante la contumacia del Comune di Massa d'Albe, tale stima non puo' considerarsi definitiva, non essendo intervenuta sul punto sentenza passata in giudicato, con la conseguenza che in base alle norme sopravvenute e sottoposte al vaglio della Consulta, alle attrici spetterebbe una somma determinata a norma dell'art. 13, terzo comma, legge n. 2892 del 1885 (e cioe' sulla base della media del valore venale e dei fitti coacervati dell'ultimo decennio), sostituendo ai fitti coacervati il reddito domenicale rivalutato di cui agli articoli 24 e seguenti del d.P.R. n. 917 del 1986, e riducendo l'importo cosi' determinato del 40%. La questione di legittimita' costituzionale degli articoli 1, comma 65, legge 28 dicembre 1995, n. 549 e 5-bis, d.l. n. 333/1992 convertito con modificazioni nella legge n. 359/1992, appare a questo collegio non manifestamente infondata in relazione agli articoli 3, 24, 42, terzo comma e 97, primo e secondo comma della Costituzione per le ragioni di seguito indicate. Si ha innanzitutto una violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto con l'estensione alle ipotesi di accessione invertita del criterio indennitario di cui all'art. 5-bis, d.l. n. 333/1992, i proprietari di fondi occupati illecitamente della pubblica amministrazione, che non abbiano percepito il risarcimento del danno subito in base a sentenza passata in giudicato o a transazione intervenuta prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 333/1992, percepiscono solo una reintegrazione parziale del proprio patrimonio, commisurata all'indennita' di espropriazione, a differenza dei soggetti che per puro caso abbiano ricevuto il valore di mercato dei fondi di loro proprieta' abusivamente occupati in base a titoli giudiziali o convenzionali definitivi anteriori all'entrata in vigore del d.l. n. 333/1992, ed a differenza di tutti gli altri soggetti che all'epoca dell'abusiva occupazione abbiano dovuto sopportare altre attivita' illecite della pubblica amministrazione, che conservano il diritto alla reintegrazione integrale del proprio patrimonio ad opera dell'autore del fatto illecito in base al principio del neminem leadere, chiaramente espresso dall'art. 2043 cod. civ. La suddetta descriminazione appare particolarmente odiosa in quanto l'innovazione normativa e' venuta ad incidere su diritti di credito al controvalore dei fondi abusivamente occupati, che gia' dovevano ritenersi acquisiti al patrimonio dei privati vittime di occupazioni illegittime avvenute prima del 1° gennaio 1996 (data di entrata in vigore dell'art. 1, comma 65, legge n. 549/1995), e cio' in quanto e' principio consolidato (vedi art. 1219 n. 1 cod. civ.) che l'obbligazione risarcitoria, appartenente alla categoria delle obbligazioni di valore, sorga fin dalla data di consumazione dell'illecito, di talche' sotto tale profilo risulta violato anche il diritto di difesa dei privati vittime di occupazioni abusive, tutelato dall'art. 24, secondo comma Cost. Sempre in relazione all'art. 3 della Costituzione ed al principio di ragionevolezza in esso espresso, la normativa in esame dev'essere censurata, in quanto per esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha annullato la distinzione esistente tra risarcimento del danno per atto illecito ed indennita' di espropriazione, equiparando sotto il profilo delle conseguenze patrimoniali fattispecie nettamente distinte quali quella dell'occupazione appropriativa e quella dell'espropriazione. Ed invero, come riconosciuto dalla stessa Consulta (vedi Corte cost. 16 dicembre 1993, n. 442), in presenza di un procedimento espropriativo rispettoso dei requisiti formali e sostanziali stabiliti dalla legge, il sacrificio subito dal privato puo' essere ristorato attraverso la corresponsione di un indennizzo non equivalente al valore di mercato del fondo espropriato, cosi' come stabilito dall'art. 42, terzo comma Cost., ma quando la perdita della proprieta' privata discende dalla costruzione dell'opera pubblica abusivamente realizzatavi, il sacrificio subito dal privato, non collegato all'esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione, ma ad un comportamento illecito, dev'essere integralmente risarcito. Viene qui in rilievo anche la violazione dell'art. 42, terzo comma, Cost., in quanto la proprieta' privata, i cui modi di acquisto sono regolati dalla legge (art. 42, secondo comma, Cost.), puo' essere espropriata nei casi da essa stabiliti, mentre con l'innovazione normativa introdotta, limitata peraltro al solo profilo delle conseguenze patrimoniali, si e' voluta creare una sorta di espropriazione di fatto legalizzata, sottratta ad ogni forma di controllo pubblico e privato, nonche' all'osservanza delle norme sulla competenza, ma soprattutto ancorata, quanto ai presupposti, anziche' a requisiti formali e sostanziali predeterminati per legge, ad un comportamento illecito della pubblica amministrazione. L'equiparazione dell'accessione invertita all'espropriazione appare irragionevole e contrastante con l'art. 3 della Costituzione, non solo perche' pone sullo stesso piano quanto agli effetti patrimoniali una fattispecie illecita ad una procedura legittima, ma anche perche' trascura il fatto che nell'accessione invertita non esiste un potere di intervento del privato nel corso della procedura, ne' la possibilita' della cessione volontaria, e la prescrizione estintiva del diritto e' quinquennale (vedi art. 2947 cod. civ.), mentre nell'espropriazione il privato puo' intervenire nel corso della procedura presentando osservazioni, o impugnando gli atti preliminari, puo' optare per la cessione volontaria usufruendo di maggiori benefici economici e la prescrizione estintiva ha durata decennale (vedi art. 2946 cod. civ.). Da ultimo deve affermarsi la contrarieta' della normativa in esame rispetto all'art. 97, primo e secondo comma della Costituzione, che sancisce il principio di legalita', imparzialita' e buona amministrazione, imponendo altresi' la ripartizione interna delle competenze e la determinazione delle attribuzioni e delle responsabilita' dei funzionari pubblici. Ed invero la previsione di una forma di ablazione svincolata da qualsiasi presupposto di forma e di sostanza e caratterizzata solo dalla destinazione all'interesse pubblico dell'opera realizzata, contrasta in modo netto col principio di legalita' dell'attivita' amministrativa, elude la disciplina normativa in materia di controlli e di competenze dei comuni, delle province, delle regioni e dello Stato, e favorisce il comportamento illecito dei pubblici funzionari, poiche' e' indubbio che la celerita' e la mancanza di controlli garantiti da una procedura ablatoria di mero fatto, favorira' il ricorso all'accessione invertita, trasformando la patologia del procedimento amministrativo in regola di amministrazione e relegando la procedura espropriativa nelle aule dei dibattiti accedemici, con grave sacrificio delle garanzie dovute ai privati cittadini e delle esigenze di controllo della spesa pubblica.