LA CORTE DI APPELLO

    Ha pronunziato la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  di  causa  e  sciogliendo  la  riserva  assunta
all'udienza  collegiale del di' 11 gennaio 2007, osserva quanto segue
in fatto e in diritto.
    1.1. - Deve in primo luogo esaminarsi l'istanza di sospensione ex
art. 351  cod. proc. civ.: riguardo alla quale va subito rilevato che
trattasi  di sentenza dichiarativa, contenente quale capo di condanna
soltanto  quello in ordine alle spese, sempre che esso possa porsi in
esecuzione    separatamente,   sul   punto   riscontrandosi   qualche
oscillazione della giurisprudenza di legittimita'.
    1.2. - Di conseguenza, non puo' concedersi la chiesta sospensione
per   il   capo   a   contenuto  meramente  dichiarativo,  difettando
radicalmente     un'efficacia     esecutiva     immediata,    secondo
l'interpretazione  ormai  prevalente  dell'art. 282  cod.  proc. civ.
anche nel testo introdotto con la legge n. 353/1990.
    1.3.  -  Inoltre,  quanto al capo di condanna (sempre, per quanto
detto,   ove  configurabile),  in  ordine  ad  esso  manca  qualunque
affidabile  prova  del  periculum,  in difetto di supporti istruttori
(quand'anche  compatibili  con  la  sommarieta'  della presente fase)
sulle  condizioni  patrimoniali  ed economiche di parte appellante in
relazione all'entita' della somma oggetto della condanna (nel caso di
specie,  obiettivamente  non  ingente),  tali da configurare un grave
danno all'appellante per l'ipotesi di effettiva esecuzione e comunque
in  un'ottica  di  contemperamento  dei  contrapposti interessi delle
parti.
    1.4. - Peraltro, sul presente gravame pende anche un serio dubbio
di  inammissibilita',  che  eliderebbe  in radice anche il fumus boni
iuris pure indispensabile per la sospensione.
    La  causa  ha  infatti  ad oggetto l'appello, dispiegato con atto
spedito  per la notifica a mezzo posta il 18 luglio 2006, avverso una
sentenza  -  pubblicata  il 28 aprile 2006 - resa a conclusione di un
giudizio   di  opposizione  ad  esecuzione,  intrapreso  dall'odierno
appellante Sansivieri Giuseppe nei confronti del creditore pignorante
Infante  Eduardo,  con ricorso ex art. 615 cod. proc. civ. depositato
in  data  8 novembre  1999 per contestazione della pignorabilita' del
bene  assoggettato  ad  espropriazione  presso terzi e comunque della
persistenza  del  diritto  ad  agire  in  executivis  per intervenuta
transazione.
    Si  tratta quindi un appello dispiegato avverso una sentenza resa
in  una  causa di opposizione ad esecuzione gia' iniziata, sicche' la
fattispecie  si  sussume entro la previsione degli articoli 615 e 616
del codice di rito civile.
    2.   -  Com'e'  noto,  tale  ultima  norma  e'  stata  sostituita
dall'art. 14  della  legge  24 febbraio 2006, n. 52, pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  del  28 febbraio  2006  ed  entrata in vigore il
giorno  dopo,  secondo  quanto previsto al suo art. 22), tanto che il
suo tenore testuale e' quindi ora il seguente:
        Art.   616.   -   (Provvedimenti  sul  giudizio  dicognizione
introdotto dall'opposizione). Se competente per la causa e' l'ufficio
giudiziario  al  quale  appartiene  il giudice dell'esecuzione questi
fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito
secondo  le  modalita'  previste in ragione della materia e del rito,
previa  iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati
i  termini  a  comparire  di  cui  all'articolo  163-bis,  o altri se
previsti,  ridotti  della  meta'; altrimenti rimette la causa dinanzi
all'ufficio  giudiziario  competente assegnando un termine perentorio
per  la riassunzione della causa. La causa e' decisa con sentenza non
impugnabile.
    A  questo  riguardo,  peraltro, di ufficio questa Corte rileva la
questione di legittimita' costituzionale della norma come novellata:
        a)  siccome  rilevante, per essere immediatamente applicabile
anche  al  caso di specie, ed idonea a definire, con una pronuncia di
inammissibilita', il presente gravame;
        b)  siccome  non  manifestamente  infondata,  alla  stregua i
canoni degli artt. 3, primo comma, 24 e 111, secondo comma Cost.
    3.1. - La piu' importante delle innovazioni riguarda senza dubbio
l'eliminazione   dell'ordinaria  impugnabalita'  della  sentenza  che
definisce   l'opposizione,   resa   manifesta  dall'espresso  inciso,
inserito  a  guisa di ultimo periodo nell'unitario comma dello stesso
art. 616  cod.  proc.  civ.,  per il quale una detta sentenza e' «non
impugnabile».
    Analoghe  espressioni  sono  state, nel vigore della Costituzione
repubblicana,  univocamente  interpretate  nel  senso dell'esclusione
assoluta  dell'appello  e  della  sola  esperibilita' del ricorso per
Cassazione   ai   sensi  dell'art. 111  Cost.,  limitatamente  quindi
all'ipotesi di violazione di legge.
    3.2.   -   Importante   questione   da   affrontare   e'   quella
dell'applicabilita' di tale norma novellata anche ai processi gia' in
corso al momento della sua entrata in vigore.
    3.2.1. - Orbene, la complessa vicenda normativa della riforma del
processo   civile   del   2005/2006,  portata  avanti  con  le  leggi
nn. 80/2005,  263/2005  e  52/2006, ha visto notevoli oscillazioni in
ordine alla disciplina transitoria.
    Per  quel che qui rileva, la disciplina transitoria dei primi due
interventi  legislativi  (leggi  nn. 80/2005  e  263/2005)  e'  stata
riorganizzata,  non  solo  spostandola  al  1° marzo  2006,  ma anche
specificandosi   il  principio  generale  per  il  quale  la  riforma
complessiva  come introdotta dai medesimi interventi normativi non si
applica  alle cause di cognizione gia' pendenti, ma si applica invece
anche ai processi esecutivi gia' in corso (salve le sole deroghe, che
qui  non  rilevano,  del  regime  degli interventi e della disciplina
delle  vendite  gia'  fissate):  e tanto ai sensi dei commi 3-quater,
3-quinquies  e  3-sexies  dell'art. 2  del d.l. 14 marzo 2005, n. 35,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge 14 maggio 2005, n. 80,
come  sostituiti  ed  introdotti dall'art. 8 del d.l. 30 giugno 2005,
n. 115,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005,
n. 168,   e,  successivamente,  dall'art. 1,  comma  6,  della  legge
28 dicembre  2005,  n. 263,  ulteriormente modificato dall'art. 1 del
decreto-legge     n. 271/2005,     decaduto    si',    ma    trasfuso
nell'art. 39-quater  della  legge n. 51/2006 (recante «Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273,
recante   definizione  e  proroga  di  termini,  nonche'  conseguenti
disposizioni  urgenti.  Proroga  di termini relativi all'esercizio di
deleghe legislative»).
    3.2.2.  -  Se  la  situazione e' abbastanza chiara, almeno per le
cause  di  cognizione, circa le modifiche introdotte complessivamente
con le leggi nn. 80/2005 e 263/2005, nessuna normativa transitoria e'
stata invece emanata per la successiva legge n. 52/2006.
    Quest'ultima prevede almeno due serie di interventi normativi:
        una  prima,  che interviene ancora una volta sulle norme gia'
novellate dalle due precedenti leggi;
        una  seconda,  che  interviene per la prima volta su articoli
del  codice  di  rito  che  non  erano  stati  oggetto  di precedenti
modifiche ad opera delle leggi nn. 80/2005 e 263/2005.
    3.2.3.   -  Per  la  prima  serie  di  interventi,  la  normativa
transitoria  dovrebbe senza problemi individuarsi in quella dettata -
e  sopra complessivamente ricostruita - per le leggi nn. 80 e 263 del
2005,  con  la  conseguenza  che  le  cause  di cognizione vi saranno
assoggettate solo in quanto instaurate dopo il 1° marzo 2006.
    Per  la  seconda serie di interventi, cioe' quelli che modificano
per  la  prima volta il testo degli articoli del codice, proprio come
e'  il  caso  dell'art. 616  cod. proc. civ., la carenza di normativa
transitoria  comporta la necessita' di ricavare il regime transitorio
dai principi generali del processo.
    3.2.4.  -  In  primo  luogo,  una  normativa transitoria, siccome
eccezionale,  non puo' essere applicata per analogia. Ogni intervento
legislativo  puo'  legittimamente  provvedere  per i rapporti - anche
come  nel  caso  in  esame,  processuali - pendenti, e, proprio in un
medesimo contesto, non solo le leggi nn. 80/2005 e 263/2005, ma anche
ulteriori  e  sensibili  modifiche  sul  processo civile, relative al
grado  di  impugnazione  per  legittimita',  sono state espressamente
definite  applicabili,  con  esplicita  normativa transitoria, solo a
determinate  tipologie  di processi: e' il caso del d.lgs. 2 febbraio
2006,  n. 40  (recante  «modifiche  al  codice di procedura civile in
materia  di  processo  di  cassazione  in funzione nomofilattica e di
arbitrato,  a  norma  dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio
2005,  n. 80», pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio
2006 - Suppl. Ord. n. 40), che, al suo art. 27 (rubricato «disciplina
transitoria»),  detta  in modo articolato ed espresso il regime della
sua stessa applicabilita' ai processi gia' pendenti.
    Ma  anche  la complessiva riforma del processo civile di cui alla
legge  n. 353/1990 (e succ. mod. e integr.) ha espressamente previsto
una  disciplina  transitoria, con la quale l'intero rito novellato e'
applicabile  esclusivamente  ai  processi instaurati (in primo grado,
come  chiarito dalla giurisprudenza consolidata del Supremo Collegio)
dopo l'entrata in vigore della riforma stessa, cioe dopo il 1° maggio
1995   (art. 90,   comma 1,   legge   n. 353/1990,   come  sostituito
dall'art. 1  d.l.  21 aprile  1995,  n. 121, piu' volte reiterato, da
ultimo  dall'art 9, d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito in legge
20 dicembre 1995, n. 534, a mente del quale «ai giudizi pendenti alla
data   del  30 aprile  1995  si  applicano  le  disposizioni  vigenti
anteriormente   a   tale   data»,  mentre  soltanto  altri  articoli,
specificamente  indicati,  «come  modificati dalla presente legge, si
applicano anche ai giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 1993»).
    3.2.5. - In secondo luogo, la disciplina processuale e' retta dal
principio  generale  tempus  regit  actum, vale a dire dell'immediata
applicabilita' della legge processuale.
    Un   tale   principio   generale   in  materia  di  procedimento,
generalmente  applicato anche al processo civile che di quello e' una
specie,  e'  quello  per il quale, in caso di sopravvenienza di nuove
normative,  ciascun  atto  di  ogni  serie  o  fase  all'interno  del
procedimento  deve  uniformarsi  alla  disciplina  vigente al momento
della  sua  adozione;  la  normativa sopravvenuta resta inapplicabile
soltanto  ai  procedimenti  gia'  conclusi,  ovvero in riferimento ai
quali  sia  stato  gia'  emanato l'atto conclusivo, o sia maturato il
termine entro il quale questo doveva essere adottato.
    3.2.6. - Il principio tempus regit actum e' talmente generale che
solo  per  le  questioni  di giurisdizione e di competenza e' appunto
prevista  una esplicita deroga dall'art. 5 del codice di rito civile:
dalla   quale  cosa  e'  lecito  inferire,  sulla  base  di  principi
altrettanto generali in tema di interpretazione delle leggi (inclusio
unius  exclusio  alterius,  ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit, e
cosi'   via),  la  assoluta  eccezionalita'  della  c.d.  perpetuatio
iurisdictionis e l'impossibilita' di una applicazione analogica della
normativa che la prevede.
    Il  principio  e' stato anche di recente riaffermato con riguardo
ad  ipotesi  di  nuovi  termini  per  il  compimento  di singoli atti
procedimentali   (Cass.,  17 marzo  2005,  n. 5820,  ovvero,  con  la
distinzione  tra  procedimenti  amministrativi  in  senso  stretto  e
procedimenti  amministrativi  in senso lato ovvero articolati in piu'
subprocedimenti,  Cass.,  1° aprile  1996,  n. 2973), con riferimento
alle  procedure  per  gli appalti pubblici (Cass., 14 settembre 2004,
n. 17906),  in  relazione a modifiche sul regime di procedibilita' di
impugnazioni  previste da normative per le Regioni a Statuto Speciale
(Cass.,  14 aprile  2004,  n. 7053), circa le modifiche sugli effetti
della   proposizione   della   revocazione  (Cass.,  12 maggio  2000,
n. 6099), in ordine alla immediata applicabilita' dell'art. 654 nuovo
cod.   proc.   pen.   (efficacia  di  giudicato,  nei  confronti  del
responsabile  civile  non costituitosi in sede penale, della sentenza
penale  irrevocabile  di  condanna o di assoluzione a conclusione del
dibattimento  in  ordine all'accertamento dei fatti materiali: Cass.,
12 agosto 1994, n. 7405).
    3.2.7.  -  Di  un  tale  principio  generalissimo  e' stata fatta
applicazione  ad  altra  - e recente - fattispecie di limitazione del
regime   originario   di  impugnabilita'  (e  proprio  di  esclusione
dell'appellabilita', singolarmente analoga a quella oggi all'esame di
questa   Corte),   sia  pure  indiretta  in  quanto  derivante  dalla
devoluzione  al  giudice  di pace delle cause prima di competenza del
pretore  e  quindi  anche  di  quelle  di  valore  inferiore a lire 2
milioni,  ai  sensi  dell'art. 2,  legge 16 dicembre 1999, n. 479: ne
consegue  che  dette  cause,  perfino nel corso dello svolgimento del
processo  di  primo grado, subiscono la sorte della limitazione della
impugnazione   al  ricorso  per  cassazione  (Cass.,  6 maggio  2003,
n. 6877).
    3.2.8.  -  Il  principio  tempus regit actum e' stato escluso, ma
proprio  per  la  diversita' strutturale della fattispecie rispetto a
quella   dell'abrogazione   per   successione  di  leggi  nel  tempo,
esclusivamente   per  l'ipotesi  di  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale,  che  determina  l'immediata inapplicabilita' ex tunc
della   norma   colpita,   con   la   sola  salvezza  del  definitivo
consolidamento  dei  rapporti  giuridici  e  il graduale formarsi del
giudicato  e  delle preclusioni nell'ambito del processo (per tutte e
quanto  alle  piu' recenti: Cass., 14 novembre 2003, n. 17184, Cass.,
7 maggio  2003,  n. 6926,  Cass.,  23 settembre  2002,  n. 13839). E,
comunque,  e' stato del pari stato escluso esclusivamente in presenza
di  norme  esplicite  in  tal senso (v. Cass., s.u., 7 novembre 2000,
n. 1153,  in  materia  di  trasferimento  al  giudice ordinario delle
controversie di pubblico impiego privatizzato) o di nullita' assolute
ed  insanabili  (Cass.,  3 febbraio  1999,  n. 944 e Cass., 28 luglio
1998,  n. 7412,  in  tema  di esercizio delle funzioni di procuratore
extra districtum).
    3.3.   -  Va  dunque  affermato  che,  in  difetto  di  esplicite
previsioni,    il   principio   dell'immediata   applicazione   della
sopravvenuta  legge  processuale  ha  riguardo  «soltanto  agli  atti
processuali  successivi  all'entrata  in  vigore della legge stessa».
Questa  non  incide,  invece, su quelli anteriormente compiuti, i cui
effetti  restano  regolati,  secondo il fondamentale principio tempus
regit  actum,  dalla  legge  sotto il cui imperio sono stati posti in
essere.
    3.4.  -  Non  puo',  ad avviso di questa Corte, ritenersi che una
sentenza  emanata  dopo  l'entrata in vigore della norma (nel caso di
specie,  il  nuovo  testo  dell'art. 616  cod.  proc.  civ.  ) che ne
sopprime  la  appellabilita'  possa  conservare  il  regime delle sue
impugnazioni  vigente  al  momento della proposizione del giudizio in
primo grado.
    La  normativa  sulle  impugnazioni,  nell'individuare  i mezzi in
concreto   esperibili,   stabilisce  i  presupposti  processuali  dei
relativi   giudizi  di  gravame,  i  quali  ultimi  quindi  non  sono
certamente effetti della sentenza, che possano rimanere fermi (per un
caso,   v.   Cass.,   n. 6099/2000)   anche  dinanzi  alla  normativa
sopravvenuta che regola l'impugnazione.
    Ora,  un  giudizio  di  appello  vede  senza  dubbio,  quale  suo
presupposto  processuale  specifico,  la  vigenza  di  una  norma che
l'appello  stesso  consenta:  ne  consegue  che  e' al momento in cui
l'appello  e'  proposto  che  va  verificato se esso sia previsto - e
quindi ammissibile - in riferimento ad una determinata pronuncia. Ne'
osta  la  circostanza  che il giudizio sia iniziato con la previsione
dell'ordinaria  appellabilita'  della  sentenza  di  primo  grado: in
quanto  il carattere generale del principio tempus regit actum espone
necessariamente  le  parti  al  rischio  che,  soprattutto  nel lungo
periodo  di  durata  del  processo,  la  normativa  processuale possa
incorrere  in  mutamenti  anche  sensibili  e  comportare conseguenze
imponderabili  al  momento della proposizione: e, nel caso di specie,
il  legislatore  non ha ritenuto di emanare una normativa transitoria
che  potesse  farsi  carico delle aspettative delle parti dei giudizi
gia' in corso.
    La  conclusione  e' che, senza potere distinguere tra procedure e
giudizi  civili  gia' in corso, hanno immediata applicazione - tra le
altre  -  le norme sostitutive degli artt. 616, 618, 618-bis, 619 del
codice  di  rito,  nonche'  all'art. 185  disp. att. cod. proc. civ.:
pertanto,  una  sentenza  che  decide  un'opposizione  ad esecuzione,
soprattutto  se  dispiegata  dopo l'inizio della procedura esecutiva,
non e' impugnabile e, per quel che qui rileva, non e' appellabile.
    3.5.  -  E,  nel  caso di specie, l'appello e' stato proposto con
atto  di citazione spedito per la notifica a mezzo posta il 18 luglio
2006,  vale  a  dire  successivamente  alla data di entrata in vigore
della   norma  modificativa  dell'art. 616  cod.  proc.  civ.,  sopra
richiamata,  avverso  una  sentenza  pubblicata il 28 aprile 2006. Ne
consegue   che,  in  applicazione  di  quanto  fin  qui  argomentato,
l'appello  dovrebbe  essere  dichiarato inammissibile per l'immediata
applicabilita' della nuova norma: ma proprio una tale interpretazione
di  quest'ultima  rende  immediatamente  rilevante  (siccome idonea a
definire  in  rito il presente giudizio di impugnazione) la questione
della  sua conformita' alla Carta costituzionale, in riferimento agli
artt. 3, primo comma, 24 e 111, secondo comma Cost.
    4.  - Ritiene questa Corte che una tale questione e', oltre che -
per quanto detto - rilevante, altresi' non manifestamente infondata.
    4.1.   -  In  un  sistema  che  introduce  sensibili  innovazioni
legislative,  intervenendo  su  quasi  la  meta' della disciplina del
processo  esecutivo  previsto  dal  codice  di  rito  e  rendendolo -
coerentemente con la nuova impostazione di una funzionalizzazione del
processo  civile  alle  esigenze  dell'economia  moderna - molto piu'
efficiente  a  vantaggio  del  creditore,  si limita sensibilmente la
tutela  del debitore - e, benche' tanto non rilevi immediatamente nel
presente  giudizio,  del  terzo  ex art. 619 cod. proc. civ. - con la
soppressione  di  un  grado  di  giudizio di merito e l'equiparazione
delle   opposizioni   ad  esecuzione  a  quelle  ad  atti  esecutivi,
nonostante  l'ontologica  diversita'  dei presupposti e degli oggetti
delle prime e delle seconde.
    4.2.  - In particolare, nonostante l'ampliamento del catalogo dei
titoli  esecutivi  stragiudiziali  (come  si  evince  dal nuovo testo
dell'art. 474  cod.  proc.  civ.) con l'inclusione - tra essi - delle
scrituttre  private  autenticate  (suscettibili  di  essere  poste in
esecuzione  con  la  loro mera trascrizione nel testo del precetto) e
quindi  la notevole agevolazione dell'avvio della procedura esecutiva
(o della partecipazione ad essa attraverso l'intervento) a favore del
titolare  del  credito  anche  prima ed a prescindere da un controllo
giurisdizionale  sul  contenuto  del  titolo, le possibilita', per il
debitore,  di  contestare  il  merito del rapporto - che potrebbe non
essere  mai  stato  appunto  in  precedenza  sottoposto al vaglio del
giudice,  come  invece  accade  normalmente nell'ipotesi di un titolo
esecutivo giudiziale - vengono drasticamente ridotte e limitate ad un
solo  grado,  potendo  semmai  egli  dolersi  per esclusivi motivi di
legittimita'  (e  quindi,  stando alla consolidata giurisprudenza del
supremo  Collegio,  solo  per violazione di legge e non anche per gli
altri   motivi  di  cui  all'art. 360  cod.  proc.  civ.)  dell'unica
pronuncia di merito che potra' conseguire sul punto.
    4.3.   -   La  questione,  pero',  non  viene  affatto  posta  in
riferimento  alla  pretesa  di  un  doppio  grado di giurisdizione di
merito  in  assoluto, ma in relazione al rapporto tra la soppressione
di  un  grado  di  merito  con  il complessivo contesto normativo del
processo esecutivo riformato.
    4.3.1.  -  Infatti, non ignora questa Corte che la giurisprudenza
del  Giudice delle leggi e' ferma nell'escludere che il principio del
doppio  grado  di  giurisdizione  di  merito  sia coperto da garanzia
costituzionale  (di  recente:  Corte  cost.,  ord. n. 585/2000; ma il
principio  e' affermato gia' in Corte cost., sent. n. 238/1976 e, via
via,   in  Corte  cost.  sent.  n. 62/1981,  sent.  n. 8/1982,  sent.
n. 69/1982, sent. n. 52/1984, sent. n. 301/1986, ord. n. 395/1988).
    4.3.2.  -  In particolare, si afferma che il diritto di difesa e'
comunque  adeguatamente  tutelato quando la causa sia sottoposta alla
cognizione  anche  solo di due giudici diversi in gradi successivi, a
nulla  rilevando  che  uno di essi abbia esaminato soltanto questioni
pregiudiziali  o  di  rito  ovvero  che  il merito sia stato preso in
considerazione  solo  da  uno, alla stregua di situazioni processuali
preclusive, ma soltanto dall'altro (quale piu' recente asserzione del
principio,  si  veda  Corte  cost.,  ord.  n. 585/2000, cit.; per una
fattispecie   analoga   di   modifica   restrittiva   del  regime  di
impugnabilita' di categorie di sentenze legge 30 luglio 1984, n. 399,
recante  l'aumento  dei  limiti  di competenza del conciliatore e del
pretore   -  in  modo  espresso  Corte  cost.,  sent.  301/1986,  che
richiamava ampi stralci della motivazione di Corte cost. n. 52/1984 e
la sua precedente pronuncia n. 69/1982).
    4.3.3.  Ne'  puo'  tacersi il fatto che, del contesto di generale
riaffermazione  della  esclusione  di una garanzia costituzionale del
secondo  grado di merito nel processo civile, la Corte costituzionale
giustifica  anzi  l'unicita'  del  grado  finanche  nella materia del
procedimento   giurisdizionale   amministrativo,   in  ragione  della
peculiarita'   dell'oggetto  (nel  caso  di  specie,  i  ricorsi  per
ottemperanza   del   giudicato   civile   ed   amministrativo:   ord.
n. 395/1988;  a  contrario,  la  duplicita' del grado di merito nella
sola  giurisdizione amministrativa aveva fondato la diversa pronuncia
di  Corte  cost. n. 8/1982,  con  la  declaratoria  di illegittimita'
costituzionale  dell'esclusione  della appellabilita' al Consiglio di
Stato  delle ordinanze dei tribunali amministrativi regionali con cui
si  pronunciava in ordine alla sospensione dell'esecuzione degli atti
impugnati).
    4.3.4.  -  Anche  nella giurisprudenza di legittimita' si esclude
l'esistenza  di  una  garanzia  costituzionale  di un doppio grado di
merito nel processo civile, spesso soggiungendosi che il principio di
uguaglianza   consente   il   trattamento   diverso   di  fattispecie
differenti:  per  limitarsi  ad  alcune  delle  pronunce  dell'ultimo
decennio, basti un richiamo a Cass. 13 dicembre 2005, n. 27411, Cass.
15 settembre  2004, n. 18571, Cass., 20 luglio 2004, n. 13426, Cass.,
s.u.  9 luglio 2004, n. 12749, Cass., s.u. 15 ottobre 2003, n. 15399,
Cass., 5 giugno 2003, n. 8993, Cass., 3 agosto 2000, n. 10190, Cass.,
6 aprile  2000, n. 4326, Cass., s.u. 26 febbraio 1999, n. 104, Cass.,
13 marzo  1997,  n. 2251,  Cass.,  10 agosto  1996,  n. 7436,  Cass.,
20 marzo 1996, n. 2361.
    4.4.  -  Eppure,  il  principio  per  il quale il doppio grado di
giurisdizione  nel  merito  e' privo di usbergo costituzionale non ha
natura assoluta.
    4.4.1. - In particolare, esso e' talvolta temperato, ad escludere
i  sospetti  di  non conformita' ai principi degli artt. 3 e 24 della
Carta  fondamentale,  dalla  necessita'  del  riscontro  di ulteriori
elementi,  come  la  correlazione  alla  scarsa consistenza economica
della controversia ed alla sua decisione secondo equita': solo in tal
modo  l'inappellabilita' non si espone a sospetti di violazione delle
citate  norme  costituzionali,  tenendo  conto  che  il parametro del
valore,   quale  possa  essere  la  rilevanza  del  dibattito,  rende
giustificata  e  ragionevole  l'opzione di accelerare il procedimento
(negando il rimedio dell'appello) sulla scorta di un apprezzamento di
predominanza   dell'interesse   (individuale   e  generale),  ad  una
sollecita  definizione  della  causa,  e  che  inoltre  la tutela del
diritto  di  difesa  va  coordinata  con  l'esigenza, di pari livello
costituzionale,  di disciplinare i modi ed i limiti del suo esercizio
in concreto, al fine di assicurare la conclusione della lite entro un
congruo termine (Cass., s.u. 12749/2004 cit.).
    4.4.2.  - Del resto, la stessa Corte costituzionale, in relazione
al  regime  di  impugnabilita'  delle sentenze di opposizione a stato
passivo, aveva, in tempi piu' remoti, ritenuto possibile un sindacato
della  razionalita'  dell'ambito  dell'appellabilita'  in riferimento
all'art. 3   Cost.,   dichiarando   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 99, ultimo comma r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in
cui  sanciva  l'inappellabilita'  delle  sentenze  rese su crediti di
lavoro  e  di previdenza e assistenza obbligatorie, contemplati negli
artt. 409   e   442   c.p.c.   (Corte   cost.,   sent.  69/1982).  In
quest'occasione,  invero,  una  tale esclusione non e' stata ritenuta
giustificata  da  esigenze di celerita' intrinseche alla peculiarita'
della  procedura  (nella  specie,  quella  concorsuale)  e  idonea ad
integrare una disparita' di trattamento.
    4.5.  - Ritiene questa Corte che i principi elaborati dall'appena
richiamata  pronuncia  della Corte costituzionale possano attagliarsi
anche  al  caso  di  specie,  alla stregua di quelli in base ai quali
anche   la  giurisprudenza  di  legittimita'  ha  in  piu'  occasioni
richiesto   la  presenza  di  particolarita'  delle  fattispecie  per
giustificare l'inappellabilita' di categorie di sentenze.
    4.5.1.  Certo,  lo spirito dei complessivi interventi riformatori
del  2005/2006  va certamente nel recupero di snellezza, velocita' ed
efficienza  del  processo  esecutivo  ed  in  questa  chiave potrebbe
suggestivamente  leggersi  la  scelta  di  abolire un grado di merito
nelle  parentesi cognitive piu' importanti, quali proprio le cause di
opposizione  ad  esecuzione  (ma  la  stessa  sorte  e'  toccata alle
opposizioni di terzo e, a ben vedere, alle controversie distributive,
ridotte  ad  un  subprocedimento  sommario endoesecutivo concluso con
ordinanza  impugnabile  ex  art. 617 cod. proc. civ.). Ed altro, pure
suggestivo   argomento,  e'  la  presenza,  nel  sistema  dei  rimedi
impugnatori  endoesecutivi,  di un'altra azione, gia' - e da sempre -
articolata su di un solo grado di merito, quale l'opposizione ad atti
esecutivi.
    4.5.2.  A  cominciare  dal primo argomento, va pero' osservato in
contrario   che,   con   l'opposizione   ad   esecuzione   e  secondo
un'interpretazione   consolidata,   il   debitore  potrebbe  comunque
soltanto:
        a)   quando   si   tratta   di  titolo  esecutivo  giudiziale
(provvisoriamente  esecutivo  o definitivo poco importa), fare valere
fatti impeditivi o modificativi o estintivi del diritto azionato, che
siano  successivi  alla  formazione  del  titolo  esecutivo  (o  alla
conclusione  del  processo in cui esso si e' formato e avrebbe potuto
essere   modificato):   ma  non  anche  quei  fatti  che,  in  quanto
verificatisi in epoca precedente, avrebbero potuto essere dedotti nel
giudizio  di  cognizione  preordinato  alla  costituzione  del titolo
giudiziale  (sul  punto,  v.  per  tutte:  Cass.,  25 settembre 2000,
n. 12664,  Cass.,  28 agosto  1999, n. 9061, Cass., 25 febbraio 1994,
n. 1935,  Cass.,  12 marzo  1992,  n. 3007,  Cass.,  18 giugno  1991,
n. 6893,  Cass.,  5 dicembre  1988,  nn. 6605-6608, Cass., 15 ottobre
1985, n. 5062, Cass., 20 maggio 1987, n. 4617, Cass., 22 aprile 1981,
n. 2385, Cass., 23 novembre 1978, n. 5496; nonche', con ampie note di
riferimenti:  Pret.  Chioggia  13 dicembre 1990, in Foro it. 1991, I,
3253;  Pret.  Buccino  20 giugno 1989, in Arch. civ. 1990, 172; Pret.
Catania  28 gennaio 1991, ibid. 1991, 736; Pret. Torino, ord. 6 marzo
1996, in Foro it. 1997, I, 3072);
        b)  quando  si  tratta  di  titolo  esecutivo stragiudiziale,
contestare  per  la  prima  volta  i  fatti  costitutivi  del diritto
consacrato  nel  titolo  o  dedurre fatti impeditivi o modificativi o
estintivi,  proprio  perche'  - trattandosi di titolo formatosi al di
fuori  di  un  processo - in precedenza bene potrebbe non essersi mai
data l'occasione di dedurre in giudizio gli uni o persino l'altro.
    4.5.3.  -  Deve allora osservarsi che la semplice sussistenza, in
favore  del  creditore,  del titolo esecutivo, ricostruito oltretutto
quale   condizione   dell'azione   esecutiva   necessaria   ma  anche
sufficiente, non garantisce affatto il debitore proprio per i casi in
cui egli debba fare valere queste particolarissime situazioni, ancora
piu' delicate se si pensa che oramai l'aggressione al suo patrimonio,
dopo  la notifica del precetto, e' prossima, quando non gia' iniziata
con  il  pignoramento.  Il  semplice  possesso  del titolo esecutivo,
insomma, reso oltretutto sensibilmente piu' semplice dagli interventi
riformatori  del 2005/2006, non rende certo la posizione del debitore
piu'  garantita  proprio  quando  egli  avrebbe bisogno di una tutela
cognitiva piena avente ad oggetto diritti.
    4.5.4.   -   Anzi,   al  debitore  competerebbe  comunque,  prima
dell'opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., una ordinaria azione di
cognizione,  strutturata  negli  ordinari  due  gradi  di merito e in
quello    successivo    di   legittimita',   volta   all'accertamento
dell'estinzione   del   diritto  del  creditore  in  caso  di  titolo
giudiziale  e  per fatti ad esso successivi ovvero alla contestazione
del diritto stesso in caso di titolo stragiudiziali.
    La  semplice circostanza dell'avvenuto avvio della esecuzione non
giustifica,  ad  avviso  di  questa Corte, il diverso trattamento che
alle  ragioni  di merito del debitore deriverebbe con il dimezzamento
dei  gradi  di  cognizione  di  merito  riservato alle opposizioni ad
esecuzione.
    4.5.5.  - Il suggestivo argomento dell'esigenza di celerita' e' a
questo  riguardo  inconferente:  questa  e'  garantita  oramai  da un
compiuto sistema di strumenti interinali o persino cautelari in senso
lato,  del  tutto  idoneo  a  garantire  le  ragioni  delle  parti  e
strutturati anche su di un sistema di impugnazioni e di anticipazione
del  finale  effetto  della  cancellazione del vincolo imposto con il
pignoramento, di cui alla nuova formulazione dell'art. 624 cod. proc.
civ.;  la  stessa  pendenza  del  giudizio di opposizione e di un suo
secondo  grado  di merito e' quindi inidonea a produrre effetti sulla
prosecuzione della procedura esecutiva, il cui celere svolgimento, se
non   precluso   dai  detti  strumenti  interinali  o  cautelari,  e'
indipendente dalla causa di opposizione in quanto tale.
    4.5.6.  - Ne' potrebbe pensarsi, in applicazione del brocardo per
il  quale  vigilantibus non dormientibus iura succurrunt, ad un onere
del  debitore  di  precipitarsi  ad  avviare  un'ordinaria  azione di
accertamento negativo, ogniqualvolta abbia sentore della possibilita'
di  una  esecuzione in suo danno, per fare valere le due tipologie di
fattispecie   sopra   ricordate  (deduzione  di  fatti  modificativi,
estintivi  o  impeditivi  del diritto del creditore, ma successivi al
titolo  ed  al  processo  in  cui  si  e'  formato,  se  il titolo e'
giudiziale;  deduzione  degli stessi fatti senza limiti, se il titolo
e'  stragiudiziale):  si tratterebbe con tutta evidenza di imporre al
debitore  un  gravoso  onere  di prevenzione giudiziale delle avverse
iniziative,  sanzionato  oltretutto  con  la  perdita  di un grado di
giudizio  di merito, comunque sproporzionato rispetto ai risultati in
quanto  renderebbe  certo e necessario un giudizio, ad iniziativa del
debitore.
    4.5.7.   -   Risulta  quindi  un  trattamento  obiettivamente  ed
ingiustificatamente  differenziato  per  fattispecie  sostanzialmente
identiche:   con  evidente  violazione  del  canone  dell'uguaglianza
formale di cui all'art. 3 della Carta fondamentale.
    4.5.8.  -  Ma  risulta  violato anche il medesimo canone sotto il
profilo  dell'incongrua equiparazione delle opposizioni ad esecuzione
a  quelle  ad  atti esecutivi: oppure, le prime hanno ad oggetto, per
quanto  detto,  diritti  soggettivi,  mentre  le  seconde  riguardano
irregolarita' formali di atti della procedura e difficilmente possono
riverberare  effetti  sul  diritto  posto  a base dell'esecuzione. La
sottoposizione   delle   due   categorie  di  azioni  di  cognizione,
ontologicamente  diverse,  al  medesimo  regime  processuale  risulta
quindi  incongrua  e non rispettosa del canone richiamato, che impone
il trattamento differenziato di fattispecie diverse.
    5.  -  In  definitiva, nel complessivo contesto della riforma del
processo esecutivo, la soppressione di un grado di giudizio di merito
potrebbe  porsi  in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24 e 111,
secondo comma della Carta fondamentale.
    5.1.  -  Quanto  al  primo  profilo,  la  norma qui sospettata di
incostituzionalita':
        tratta    incongruamente    in    modo   diverso   situazioni
oggettivamente  uguali,  quali le modalita', per il debitore, di fare
valere   fatti  impeditivi  o  modificativi  o  estintivi  del  fatto
costitutivo  del credito azionato (successivi al titolo giudiziale od
al  processo in cui esso si e' formato e va consolidato, ovvero anche
anteriori,  se si tratta di titolo stragiudiziale), a seconda che non
sia  stato  nemmeno  ancora  intimato  il  precetto  (caso  in cui il
debitore  potrebbe  ottenere un ordinario giudizio di accertamento in
due  gradi  di merito ed uno di legittimita) oppure si' (caso in cui,
ex  artt. 615-6  cod.  proc.  civ.,  il  debitore  potrebbe  ottenere
soltanto un giudizio di cognizione in un solo grado di merito);
        equipara incongruamente le opposizioni ad esecuzione a quelle
ad  atti  esecutivi  nonostante  la complessita' dei rapporti sottesi
alle prime (soprattutto nel mutato regime di ampliamento del catalogo
dei  titoli  esecutivi  stragiudiziali, come nel caso di specie) e la
limitazione   delle   seconde  ad  aspetti  meramente  formali  della
procedura  esecutiva  giustifichino con tutta evidenza un trattamento
diverso.
    5.2.  -  Quanto al secondo ed al terzo profilo (contrasto con gli
artt. 24  e  111,  secondo comma Cost.), congiuntamente esaminati, la
norma  qui sospettata di incostituzionalita' comporta la compressione
del  diritto  del debitore alla piena tutela delle proprie situazioni
giuridiche  soggettive  in  modo  da garantirne l'effettivita', in un
processo  equo  e  giusto,  nonostante  a  suo  danno sia grandemente
incrementata l'efficienza del processo esecutivo nel suo complesso e,
in  particolare,  siano  aumentate  le ipotesi di aggressione del suo
patrimonio in forza di titoli esecutivi non giudiziali e quindi senza
un  preventivo  controllo da parte del giudice: e tanto nonostante la
semplice  presenza del titolo esecutivo, quale condizione dell'azione
esecutiva,  non possa in alcun modo garantire al debitore un'adeguata
tutela  dei  suoi  diritti  proprio  per  le fattispecie generalmente
riservate  alla  opposizione  ad  esecuzione,  tutte generalmente non
sorrette da una previa verifica giurisdizionale.
    5.3.   -   Di   conseguenza,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 616,  ultimo periodo, cod. proc. civ., come
novellato  dall'art. 14  della  legge  24 febbraio  2006,  n. 52,  in
riferimento  ad  un  possibile  contrasto  con gli artt. 3, 24 e 111,
secondo  comma  della  Costituzione,  va  qualificata rilevante e non
manifestamente infondata.
    Ne  deriva  la  necessita'  di  rimetterne  la  risoluzione  e la
disamina  al  Giudice delle leggi, con le modalita' e gli adempimenti
di  cui  in dispositivo e con la conseguente sospensione del presente
giudizio  -  una  volta  esaurita  la  fase  relativa  alla  disamina
dell'istanza  di  sospensiva  con  il  suo rigetto per il difetto del
periculum  in  mora  e  per  l'intrinseca  natura  dichiarativa della
pronuncia - fino alla decisione della Corte costituzionale.
    E'  appena il caso di precisare che la sospensione della presente
opposizione   ad   esecuzione,  una  volta  conclusa  la  fase  della
delibazione  dell'istanza  di  sospensione  della sentenza gravata di
appello,  non comporta alcun effetto ne' su quest'ultima, ne' - tanto
meno - sull'esecuzione oggetto di opposizione, attesa la richiamata e
ribadita  natura  dichiarativa  della sentenza che oggi e' oggetto di
impugnazione.