IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Premesso che questo giudice sta celebrando in rito abbreviato processo iscritto a reg. Mod. 21 6879/2002 reg. g.i.p con n. 3961/2006 (proveniente da proc. n. 2215/2003) a carico, tra gli altri, di Michele Cianci imputato dei reati di cui agli artt. 483 c.p. e 12, comma 5, d.lgs. n. 286/1998 in concorso con altre persone, (Vitale Antonio, Cinquepalmi Rodolfo, Vino Giuseppina, Mamadou Gueye, Mor Diene) perseguite in separati processi, ex art. 12 lett. a) c.p.p., previa separazione degli atti dal presente processo (in data 28 giugno 2004 per Vitale, Vino, Mamadou Gueye, Mor Diene). Nel rito abbreviato e in corso di discussione finale, conclusasi ad udienza del 9 marzo 2007 con riserva di replica del p.m., sono state sollevate dalla difesa dell'imputato Cianci questioni relative alla utilizzabilita' delle dichiarazioni rese da Vitale Antonio, Mamadou Gueye, Mor Diene assunte nel corso delle indagini in assenza di assistenza difensiva e quindi affette da inutilizzabilita' patologica ex artt. 63 c.p.p. tali da rendere le stesse prive di valore probatorio erga omnes, in data 14 novembre 2002 (Mor Diene e Vitale Antonio). Dette dichiarazioni sostanziano la prova di accusa nei confronti dell'imputato Cianci. In proposito deve preliminarmente osservare che e le dichiarazioni di Mamadou Gueye sono state raccolte nella immediatezza dei fatti, vale a dire nel corso del primo controllo di p.g. che le ha assunte esplicitamente «da persona indagata dei fatti e ai sensi dell'art. 350, settimo comma c.p.p.», come si evince sia dalla lettura dell'atto che dalla intestazione, e pertanto pienamente utilizzabili anche in rito abbreviato mentre le altre dichiarazioni e quelle assunte anche successivamente da Cinquepalmi Rodolfo sono state raccolte a sommarie informazioni testimoniali ai sensi dell'art. 351 c.p.p. senza assistenza difensiva pur se senza alcuna ammonizione circa obbligo di dire la verita' ne' avviso esplicito ad avvalersi della facolta' di non rispondere (ma con una sibillina dichiarazione relativa alla volonta' di rispondere) in ogni caso da persone che non erano gia' sottoponibili ad indagini in quanto ad esse veniva semplicemente verificato il titolo del permesso di soggiorno esibito dal diretto interessato. Trattasi di soggetti che successivamente sono stati sottoposti ad indagini, e quindi imputati degli stessi reati ascritti all'imputato Michele Cianci ma citati dal p.m. per il giudizio dianzi al giudice monocratico di Barletta dal p.m. previa separazione degli atti dal fascicolo processuale successivamente pervenuto dinanzi a questo giudice. Vino Giuseppina invece non e' mai stata sentita a sommarie informazioni o con dichiarazioni spontanee, ma in interrogatorio con assistenza difensiva dal p.m. in cui si avvaleva della facolta' di non rispondere. Diene Omar non risulta mai ascoltato in alcuna veste processuale, ma ha solo riferito direttamente alla p.g., senza alcuna verbalizzazione circa il permesso in suo possesso che sarebbe stato rilasciato da Vino Giuseppina e consegnatogli direttamente dall'avv. Cianci. Queste ultime «dichiarazioni», che tali nemmeno sono in sostanza, sono del tutto inutilizzabili Vino e Diene costituiscono «fonti di prova» esclusive relativamente ad uno degli episodi ascritti all'avv. Michele Cianci. Nel corso dell' indagine che ha dato luogo alla richiesta di rinvio a giudizio e quindi al rito abbreviato dinanzi a questo giudice, Vitale Antonio quale indagato nello stesso reato e' stato sottoposto ad esame in data 7 maggio 2004 nel corso di incidente probatorio sollecitato dal p.m., e si e' avvalso della facolta' di non rispondere. L'incidente probatorio era stato richiesto dal p.m. anche per l'assunzione dell'esame, quali coindagati ex art. 197-bis c.p.p. di Mor Diene, Mamadou Gueye e quale indagato in reato connesso di Diene Omar. Da questo giudice venivano convocati gli unici due indagati raggiunti da notifiche e cioe' Vitale e Mamadou il quale pero' risultava assente e non veniva ascoltato. Solo successivamente ad esibizione dell'intero fascicolo, si e' appurato che il Mamadou Gueye era stato arrestato proprio in data 7 maggio 2004 perche' inottemperante all'ordine di espulsione. O s s e r v a Le dichiarazioni rese da Cinquepalmi e da Mor Diene sono contrastanti tra loro e non sono state seguite da alcun altro atto con garanzia difensiva; mentre le dichiarazioni rese da Vitale e da Vino sono state rese in esame ed interrogatorio assistiti, con semplice esercizio della facolta' di non rispondere che ha paralizzato ogni possibilita' di contestazione, fosse o meno ammissibile la stessa. Prescindendo per il momento dal motivo per cui potrebbero ritenersi perfettamente utilizzabili le dichiarazioni di Mamadou Gueye, Vitale Antonio, Mor Diene, deve riflettersi invece sulla necessita' che questo giudice ha all'esito del rito abbreviato di procedere ad integrazione probatoria ex art. 441, quinto comma c.p.p. quanto meno relativamente a Vino, Cinquepalmi, Mor Diene, (con eventuale successivo confronto tra loro) Diene Omar. Una volta riconosciuta o la inutilizzabilita' cosiddetta patologica delle prove (cfr. Corte di cassazione, sez. unite 20 giugno 2006, n. 16, che ha risolto le divergenze in ordine alla utilizzabilita' di atti distinguendo come o inutilizzabili in assoluto quelli affetti dalla cosiddetta inutilizzabilita' patologica, e cioe' «agli atti probatori assunti contra legem, il cui impiego e' vietato in modo assoluto non solo nel dibattimento ma in qualsiasi altra fase del procedimento, ivi comprese le indagini preliminari, l'udienza preliminare, le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito») o comunque la necessita' di procedere ad integrazione probatoria, il potere officioso e per vero sollecitato anche dal p.m. nel caso in esame, sia di rinnovare le prove inutilizzabili che di assumerne di nuove, deve comunque riconoscersi al giudice, ove non si voglia seriamente svalutare la giurisdizione esercitata nel rito «allo stato degli atti», che non puo' essere confuso con un rito che da' diritto alla assoluzione per carenza di atti, circa le modalita' e il ruolo processuale con cui i mezzi di prova andrebbero assunti, questo giudice rileva quanto segue. Nei confronti ditali soggetti diversi dall'odierno imputato e pur con esso concorrenti negli stessi reati il processo si e' concluso con sentenza di assoluzione perche' il fatto non sussiste, pronunciata in rito abbreviato dal giudice monocratico del Tribunale di Trani, sezione Barletta, con numero 349 in data 5 ottobre 2006 irrevocabile il 27 gennaio 2007 nei confronti di Vitale, il 7 febbraio 2007 per Cinquepalmi, il 28 gennaio 2007 per Vino e con sentenza numero 347 del 5 ottobre 2006 in data 5 ottobre 2006 irrevocabile il 20 febbraio 2007 nei confronti di Mor Diene. La formula assolutoria peraltro non e' ostativa a una diversa valutazione di questo giudice chiamato a conoscere della posizione di altro imputato, (cfr. in proposito Cass. pen., sez. II, 3 maggio 2005, n. 21998 Tringali e altri CED Cassazione, 2005 e Cass. pen., sez. I, 16 novembre 1998, n. 12595 Priebke e altri Cass. pen., 1999, 2229 secondo cui e' possibile anche sottoporre a rivalutazione il comportamento dell'assolto all'unico fine - fermo il divieto del ne bis in idem a tutela della posizione di costui - di accertare la sussistenza ed il grado di responsabilita' dell'imputato da giudicare) anche perche' sentenza e' stata emessa in rito abbreviato con tale formula in forza sia della dichiarazione di inutilizzabilita' delle dichiarazioni dei predetti contra se sia in forza della constatazione della carenza nel fascicolo di taluni atti essenziali (quali gli stessi permessi di soggiorno e dichiarazioni di emersione dalla irregolarita) sia in forza di valutazioni sulla utilizzabilita' delle prove che questo giudice ritiene di non condividere. Ritiene di conseguenza che l'espletamento di detti mezzi di prova diviene necessario solo nella misura in cui i soggetti possano esser chiamati a testimoniare sotto vincolo di giuramento e con obbligo di dire la verita' liberamente, e con successiva libera valutazione dei contenuti delle dichiarazioni, e non allorche' siano chiamati dinanzi al giudice con assistenza difensiva ovvero allorquando le loro dichiarazioni debbano essere corroborate da riscontri ai sensi dell'art. 192, terzo comma c.p.p. In tal caso oltretutto non si otterrebbe che una duplicazione della attivita' gia' svolta nel corso delle indagini ovvero un ulteriore onere del giudice terzo della inquisizione su eventuali riscontri non esistenti in atti. Osta invece al concreto ed efficace esercizio di tale potere del giudice la norma sub art. 197-bis terzo e sesto comma c.p.p. nella parte in cui prevede che detti soggetti, pur potendo esser chiamati a testimoniare perche' assolti dallo stesso reato con la formula «perche' il fatto non sussiste» debbano essere assistiti da difensore e alle loro dichiarazioni dovrebbe applicarsi la regola di valutazione sub art. 192, terzo comma c.p.p., che di fatto rischia di vanificare le dichiarazioni stesse e in concreto le vanificherebbe. Di qui la rilevanza della questione, gia' in questa fase, in quanto, poiche' ciascuna di dette dichiarazioni rese da Cinquepalmi, Vino, Mor Diene, Diene Omar si riferisce alla «singola» pratica di falsificazione del permesso, tanto che nel diverso processo dinanzi al giudice monocratico sono state rubricati distinti reati a carico di ciascuno degli imputati, ne consegue che la singola dichiarazione «testimoniale», anche se resa con obbligo di dire la verita' ove sottoposta alla regola di valutazione ex art. 192, terzo comma c.p.p. di fatto sarebbe vanificata; potrebbe non aver alcun riscontro ottenibile dagli atti, - salvo concepire un incongruente potere inquisitorio del giudice del rito abbreviato. Inoltre appare del tutto incongruo l'obbligo di nomina di un difensore poiche' non si comprende da cosa il testimone che pure il legislatore considera tale - dovrebbe essere tutelato, posto che giammai nei suoi confronti potrebbe intraprendersi nuova azione penale. La questione appare rilevante in questa fase poiche' a fronte di regole di valutazione gia' precostituite, e del materiale probatorio gia' in atti, non ritenendo questo giudice che possa cercare aliunde riscontri alle dichiarazioni ove mai queste siano rese poiche' in due casi proverrebbero da soggetti extracomunitari sui quali pende un ordine di espulsione benche' sospeso dal p.m., anche ove esse siano confermative di quelle rese in prima battuta, la assunzione testimoniale sarebbe inutile quindi inutilmente inficiante il principio di economia processuale. Inoltre questo giudice dovrebbe predisporre la assistenza difensiva per diversi dichiaranti con quello che consegue anche in ordine ad obbligo di retribuzione del difensore da parte di un soggetto che non ne avrebbe alcun bisogno. Le norme suddette si pongono quindi in contrasto con l'art. 3 della costituzione sul principio di uguaglianza tra cittadini in questo caso tra cittadini chiamati a testimoniare. Ed invero se appare significativa la graduazione contenuta nelle norme ex art. 197-bis c.p.p. in ragione dei diversi «stati di relazione» del teste-imputato rispetto ai fatti oggetto del procedimento che partono da una condizione di assoluta indifferenza propria del teste ordinario, e giungono fino alla forma del totale coinvolgimento propria del concorrente nel medesimo reato (il riferimento esplicito e' a Corte cost. ordinanza 22 luglio 2004, n. 265 su Sito ufficiale Corte cost.) nel caso in esame nessuna tutela sarebbe piu' ammissibile. Si e' dinanzi, infatti, a soggetti che sono stati assolti con la formula «perche' il fatto non sussiste», sia pure nell'ambito di altro rito, e con altre valutazioni probatorie indi con esclusione nei loro confronti di qualunque profilo di riprovevolezza delle condotte ed anzi con esclusione della stessa condotta. Non risponde a principi di razionalita' ed uguaglianza l'assimilare a detto soggetto il dichiarante sub art. 210 c.p.p. che invece e' ancora coinvolto nel processo, e continuare a differenziare la sua figura di testimone da altri testimoni, in virtu' di una sorta di stigma costituito dall'avere subito una azione penale rivelatasi infondata di un sospetto di una diuturna contiguita' con altro imputato, pur se gia' dichiarata infondata; non risponde a principi di razionalita' ed uguaglianza l'escludere in via di principio che tale testimone possa essere un testimone «pieno» terzo, privo quindi di assistenza difensiva le cui dichiarazioni sono liberamente valutabili dal giudice anche in assenza di riscontri. Puo' argomentarsi la estensione della illegittimita' costituzionale anche al soggetto che sia stato assolto con la formula il fatto non sussiste da altra pronuncia di illegittimita' costituzionale su analoga questione, in sentenza della ecc.ma Corte n. 381 del 21 novembre 2006 che ha ritenuto che: «L'assoggettamento delle dichiarazioni della persona - che, gia' coimputata o imputata di reato connesso o collegato, sia stata assolta "per non aver commesso il fatto" - alla regola legale di valutazione enunciata nell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. vale, in realta', a rendere perenne una compromissione del valore probatorio delle relative dichiarazioni testimoniali, la quale si appalesa in se' priva di qualsiasi giustificazione sul piano razionale: e cio' perche', nei confronti di tale persona, l'ordinamento ha gia' acclarato, in via definitiva, l'inesistenza di qualunque correlazione con il fatto oggetto della verifica processuale, significativa agli effetti della responsabilita' penale. ... Se, infatti, l'effetto preclusivo del giudicato assolutorio produce la conseguenza di dissolvere, pro futuro, qualsiasi nesso giuridicamente rilevante tra la persona ed il fatto oggetto della originaria imputazione - tale essendo lo stesso etimo che contraddistingue la absolutio dalla istanza punitiva - e' postulato indefettibile di tale restituito in integrum per l'innocente, riconosciuto formalmente tale, anche il totale ripristino della sua terzieta' rispetto a quel fatto. In caso contrario, l'efficacia di un giudicato di assoluzione - che pure espressamente esclude, per il dichiarante, qualsiasi legame con l'oggetto del giudizio, consolidando tale esito al punto da renderlo irreversibile - risulta sostanzialmente svilita proprio dalla perdurante limitazione del valore probatorio delle sue dichiarazioni. ... L'assistenza difensiva necessaria, infatti, oltre a non essere presidiata da alcuna giustificazione normativa apprezzabile - ed, anzi, apparendo in logico contrasto con la neutralita' del dichiarante rispetto al giudizio, gia' affermata dal giudicato di assoluzione - configura un indubbio vulnus al principio di eguaglianza sostanziale, atteso che, proprio in forza della presenza del difensore, la categoria dei dichiaranti in esame risulta soggetta, quanto alle modalita' di assunzione della prova, ad un trattamento irragionevolmente diverso rispetto alla generalita' degli altri testi». In forza quindi della predetta declaratoria di l'illegittimita' costituzionale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, dei commi 3 e 6 dell'art. 197-bis del codice di procedura penale, nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del medesimo art. 197-bis cod. proc. pen., nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione «per non aver commesso il fatto», divenuta irrevocabile, questo giudice ritiene che analoga ratio debba presiedere alla considerazione della norma a fronte del teste, gia' imputato assolto con la formula «perche' il fatto non sussiste» poiche' vi sarebbe violazione del principio di uguaglianza nella norma che dispone trattamento differenziato senza che sussista ragione per giustificarlo.