IL TRIBUNALE

    Pronunzia  la  seguente  ordinanza  (art. 23 legge 11 marzo 1953,
n. 87).
    Nell'ambito  del  proc.  n. 2001/02  R.G. Tribunale di Frosinone,
sezione  distaccata  di  Alatri,  nei confronti di Pigliacelli Paolo,
Pigliacelli  Natalino,  Castagnacci  Giani  e  De Persis Sante, per i
reati  previsti  e puniti dagli artt. 110 c.p., 20, lettera b), legge
n. 47/1985,  81  c.p.,  17, 18 e 20, legge n. 64/1974, 81 cpv. e 349,
comma 2 c.p.,
    I  soggetti  teste'  nominati  sono stati citati innanzi a questo
tribunale per rispondere dei reati previsti dalle predette norme.
    Aperto   il   dibattimento,   il   difensore  faceva  istanza  di
sospensione  depositando la domanda di condono ai sensi dell'art. 32,
d.l.  30 settembre  2003,  n. 269,  conv.  in legge 24 novembre 2003,
n. 326.
    Il  giudice,  riscontrata:  a)  la  condonabilita' dell'opera; b)
l'ultimazione  della  stessa  entro  i  termini e c) la tempestivita'
della domanda di condono, sospendeva il processo.
    All'odierna udienza del 16 maggio 2007 il difensore ha depositato
la   prova   del   pagamento   dell'ultima  «rata»  dell'oblazione  e
l'attestazione  di congruita' del pagamento rilasciata dal competente
organo   comunale,  sollecitando  la  definizione  del  processo  con
sentenza  di  non  doversi  procedere  per  estinzione  del reato per
oblazione.
    La  norma invocata dall'imputato, di cui il giudice dovrebbe fare
applicazione (rilevanza della questione), e' l'art. 32, comma 36, del
decreto  legge  30 settembre  2003,  n. 269,  convertito  nella legge
24 novembre 2003, n. 326.
    Detta  norma  prevede  che  «la  presentazione  nei termini della
domanda    di   definizione   dell'illecito   edilizio,   l'oblazione
interamente  corrisposta  nonche'  il decorso di trentasei mesi dalla
data  da  cui risulta il suddetto pagamento, producono gli effetti di
cui  all'articolo  38,  comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
Trascorso  il  suddetto  periodo  di  trentasei  mesi si prescrive il
diritto al conguaglio o al rimborso spettante».
    I  richiamati  effetti  di  cui all'art. 38, comma 2, della legge
n. 47/1985 si sostanziano, per quanto qui rileva, nell'estinzione del
reato:  detta  norma  prevede  infatti  che  l'oblazione  interamente
corrisposta estingue il reato.
    L'art. 32   del   d.l.  n. 269/2003,  dunque,  annette  l'effetto
estintivo alla ricorrenza di tre presupposti: 1) la presentazione nei
termini  della  domanda  di  definizione  dell'illecito  edilizio, 2)
l'oblazione  interamente corrisposta, 3) il decorso di trentasei mesi
dal pagamento.
    Il  tenore della disposizione e' fin troppo chiaro e non consente
altra interpretazione «adeguatrice».
    Ne  discende  che  la  definizione  del  presente processo penale
dovrebbe  attendere  almeno  altri  sedici mesi, pur non essendo piu'
necessario alcun atto istruttorio od attivita' processuale.
    Si  pone quindi il problema di verificare se l'art. 32, comma 36,
del  decreto-legge  30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge
24 novembre  2003,  n. 326, sia ragionevole (art. 3 Cost.) e conforme
al  principio  costituzionale  della  ragionevole durata del processo
(art. 111  Cost.) e del buon andamento della pubblica amministrazione
(art. 97).
    La  norma  cardine in materia di estinzione dei reati edilizi per
oblazione  e',  come  gia' ricordato, l'art. 38, comma 2, della legge
28 febbraio  1985,  n. 47.  Tale  norma  prevede  la necessita' della
corresponsione  integrale  della  somma dovuto a titolo di oblazione.
Anche  nell'ambito  del c.d. «terzo condono» (d.l. 30 settembre 2003,
n. 269,  conv.  con  modifiche  in  legge  24 novembre 2003, n. 326),
l'art. 32  del  d.l.  n. 269/2003  prevede  che  l'effetto  estintivo
consegue alla corresponsione integrale della somma dovuto a titolo di
oblazione.
    Il  pagamento  dev'essere integrale. La suprema Corte ha chiarito
che  il regime dell'oblazione per i reati edilizi, in mancanza di una
deroga  legislativa  espressa,  non si discosta da quello «ordinario»
previsto  dagli  artt. 162, 162-bis c.p.p., per cui sono il giudice e
l'autorita' amministrativa (nella specie il sindaco) ed accertare sia
il  diritto  all'oblazione  sia  la  congruita'  e  tempestivita' del
versamento effettuato. Ne consegue che il versamento dell'interessato
costituisce  una  fase soltanto del procedimento di sanatoria ai fini
dell'oblazione   e   che  questa  dev'essere  formalmente  dichiarata
dall'autorita'  preposta, previo esperimento di apposito procedimento
amministrativo (Cassazione penale, sez. III, 28 ottobre 1987).
    Puo'  pero'  succedere,  come  nel caso di specie, che nonostante
l'attestazione  di  congruita',  non siano trascorsi i trentasei mesi
dal pagamento, previsti dall'art. 32 del d.l. n. 269/2003.
    Nella  materia  in  esame  e'  intervenuta  piu' volte la suprema
Corte,   al   fine   di   scongiurare   il   rischio   che  l'inerzia
dell'amministrazione   ricadesse   sull'imputato  (Cass.,  sez.  III,
24 gennaio 1990, Antico).
    Cosi', in relazione all'inerzia del sindaco (poi del responsabile
del  procedimento)  nel  rilasciare  l'attestazione  di congruita', i
giudici   di   legittimita',   anche   sulla   base   della  modifica
dell'art. 35,  comma 12, della legge n. 47/1985, ad opera dell'art. 4
del  d.l.  n. 2/1998,  conv. con mod. in legge n. 68/1988 («trascorsi
trentasei  mesi  si  prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al
rimborso»),  avevano  ritenuto  che  l'effetto estintivo del reato si
realizzasse dopo tre anni alla presentazione della domanda di condono
(Cass., sez. III, 24 gennaio 1991, Di Corato).
    Dirimendo   il  contrasto  sul  punto,  le  sezioni  unite  hanno
successivamente  stabilito che il decorso dei ventiquattro mesi dalla
presentazione  della  domanda  di condono equivale ad un accoglimento
tacito  della  stessa,  conseguendone  la  realizzazione dell'effetto
estintivo.  Secondo  la  Cassazione, altro e' l'estinzione del reato,
altro  il  diritto del comune a richiedere, per un anno ancora dopo i
ventiquattro mesi sufficienti per il intendersi condonato l'abuso, le
eventuali  somme  maggiori a titolo di conguaglio (Cassazione penale,
sez. un., 19 dicembre 1990).
    L'attenzione    per    quest'ultimo   diritto   dell'ente,   pure
specificamente  riconosciuto dalla norma in questione (art. 32, comma
36,  d.l.  n. 269/2003:  «trascorso  il suddetto periodo di trentasei
mesi  si prescrive il diritto al conguaglio delle somme o al rimborso
spettante»)  pare  avere  trasmodato  in  elemento  costitutivo della
fattispecie estintiva.
    In  realta', come manifesta l'evoluzione giurisprudenziale cui si
e'  fatto cenno, l'effetto estinto dovrebbe ritenersi compiuto con il
pagamento dell'oblazione, mentre l'interesse (del privato al rimborso
di  eventuali  eccedenze o del comune al conguaglio delle differenze)
attiene   ad   altro  profilo.  Invece,  il  legislatore  ha  elevato
quest'ultimo  interesse  al rango di elemento costitutivo della causa
estintiva del reato. Ci si chiede se sia ragionevole tale previsione,
e  conforme  ai principio costituzionali della ragionevole durata del
procedimento e del buon andamento della pubblica amministrazione.
    In  linea  generale, si evidenzia la diversita' dei piani toccati
dal condono, e degli interessi coinvolti.
    La   distinzione   tra   gli   effetti   penali   e  gli  effetti
amministrativi  del  condono  e' chiara al legislatore da oltre venti
anni   (cfr.   art. 38,   commi  2  e  4,  legge  n. 47/1985),  e  la
giurisprudenza   di   legittimita'   ne  ha  tratto  subito  notevoli
conseguenze pratiche (Cass., sez. III, 13 aprile 1988).
    Trattasi   di   piani   ed   interessi   diversi,  quello  penale
(suscettibile   di   esaurirsi   con   il  pagamento  dell'oblazione,
formalmente accertata, a tacitazione dell'interesse al ristabilimento
della  legalita'  violata  per ragioni di politica «fiscale»), quello
amministrativo  (soddisfatto  dalla  riserva dei poteri di gestione e
controllo  in materia urbanistica) e quello civilistico (implicato da
eventuali arricchimenti ingiustificati). Ebbene, gia' sui piani della
struttura  e  della funzione, il primo interesse e' soddisfatto, e si
esaurisce, con il pagamento dell'oblazione.
    Quanto  all'interesse al recupero delle somme ingiustificatamente
pagate  o  alla  riscossione delle differenze omesse dal privato, una
volta  intervenuto  il  riscontro  della  congruita', esso viene gia'
regolato dalla previsione dell'ultimo periodo dell'art. 32, comma 36,
d.l. n. 269/2003: «trascorso il suddetto periodo di trentasei mesi si
prescrive  il  diritto  al  conguaglio  delle  somme  o  al  rimborso
spettante»).
    Una  volta che il responsabile del procedimento abbia riscontrato
la     congruita'     del     pagamento,     pertanto,    l'interesse
dell'amministrazione   scema   verso  ipotesi  residuali  di  errore,
rimediabili  sul piano amministrativo, mentre l'interesse del privato
e' gia' tutto sul piano civilistico.
    Per   tali   motivi,  la  norma  sembra  violare  l'art. 3  della
Costituzione (irragionevolezza).
    Sotto altro aspetto, la norma pare arrecare un vulnus ai principi
costituzionali  della  ragionevole  durata del procedimento (art. 111
della   Costituzione)   e   del   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione (art. 97).
    S'impone  l'interesse  del  cittadino alla rapida definizione del
procedimento   penale,  dopo  il  pagamento  dell'oblazione  ritenuta
congrua.  Ogni  giorno  che  passa  dal pagamento (nel caso in esame,
l'ultima  rata  e' stata pagata il 30 settembre, per cui l'estinzione
del  reato  si  avra'  solo il 30 settembre 2008) e' ultroneo ai fini
dell'accertamento   penale,   eppur  imposto  dal  termine  dilatorio
previsto dalla norma in questione. Inoltre avviene di frequente, come
nel  caso di specie, che il protrarsi dell'attesa della decisione sia
ulteriormente aggravato dal sequestro dell'opera abusiva, normalmente
destinata ad uso abitativo, sicche' la pendenza del processo comporta
il perdurare del vincolo sul bene determinandone la totale o parziale
indisponibilita'.
    Non va infine dimenticato l'ulteriore effetto di aggravamento del
lavoro giudiziario, visto anche il numero di procedimenti pendenti in
situazioni analoghe, attesa la necessita' di procrastinare per lunghi
periodi   la  decisione  in  attesa  della  maturazione  del  termine
triennale,   sovraccaricando   il   ruolo,  con  intuibili  riverberi
sull'impegno  delle  risorse  -  gia'  scarse  - dell'amministrazione
giudiziaria.
    Tutto   quanto   esposto   induce  a  ritenere  rilevante  e  non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 32,  comma 36, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269,
convertito  nella  legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui
prevede  che gli effetti di cui all'articolo 38, comma 2, della legge
28 febbraio 1985, n. 47 si producono con il decorso di trentasei mesi
dalla data da cui risulta il pagamento, in relazione agli articoli 3,
97 e 111 della Costituzione.