ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge
3 ottobre  2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto
societario),  e  degli  articoli  da  2  a 17 del decreto legislativo
17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei procedimenti in materia di
diritto  societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche' in
materia  bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 2 della legge
3 ottobre  2001,  n. 366),  promossi  dal  Tribunale  di  Napoli  con
ordinanze  del  2 novembre  2005, del 3 maggio, del 10 febbraio e del
15 marzo  2006,  rispettivamente  iscritte ai nn. 122, 193, 240 e 291
del  registro  ordinanze  2007  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della   Repubblica   nn. 12,   15,   16  e  17,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2007.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 4 luglio 2007 il giudice
relatore Francesco Amirante.
    Ritenuto  che il Tribunale di Napoli, nel corso di tre giudizi in
materia   societaria,   con   altrettante   ordinanze   di  contenuto
sostanzialmente identico, rispettivamente emesse il 10 febbraio 2006,
il  15 marzo  2006  e il 3 maggio 2006, ha sollevato - in riferimento
all'art. 76   della   Costituzione   -   questione   di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 12  della  legge  3 ottobre  2001,  n. 366
(Delega  al  Governo  per  la  riforma del diritto societario), nella
parte  in  cui  non  indica  i  principi  e  i  criteri direttivi che
avrebbero  dovuto  guidare  le  scelte  del  legislatore  delegato in
relazione al giudizio ordinario di primo grado nell'indicata materia,
e,  «per  derivazione», degli artt. da 2 a 17 del decreto legislativo
17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei procedimenti in materia di
diritto  societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche' in
materia  bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 2 della legge
3 ottobre 2001, n. 366);
        che,  ad  avviso  del  Tribunale  remittente, l'insufficiente
determinazione  da  parte  del  legislatore  delegante dei principi e
criteri  normativi  ai quali avrebbe dovuto conformarsi l'operato del
legislatore  delegato  -  rispetto  all'unico obiettivo dichiarato di
assicurare una piu' rapida ed efficace definizione dei procedimenti -
ha, di fatto, lasciato libero quest'ultimo di creare un nuovo modello
processuale,   del   tutto  estraneo  allo  schema  del  procedimento
ordinario disciplinato dal codice di procedura civile;
        che  il  remittente ritiene la questione rilevante, in quanto
l'applicabilita'  della  nuova  disciplina  processuale alla concreta
fattispecie dipende dalla pronunzia della Corte costituzionale;
        che,  inoltre, il Tribunale di Napoli - «in via subordinata e
per  l'ipotesi  in  cui  la Corte dovesse ritenere costituzionalmente
legittimo l'art. 12 della legge n. 366/2001» - ha sollevato questione
di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  da  2 a 17 del citato
d.lgs.  n. 5  del  2003, sempre per contrasto con l'art. 76 Cost., in
quanto emanati eccedendo i principi e criteri direttivi dettati dalla
legge n. 366 del 2001;
        che  - secondo quanto afferma al riguardo il remittente - per
evitare  il  sospetto  di  incostituzionalita' della legge delega per
indeterminatezza   e  genericita',  la  si  dovrebbe  necessariamente
interpretare  nel  senso  che  il legislatore delegante, indicando il
principio   di   «concentrazione   del   procedimento»,  abbia  fatto
riferimento  alle  scansioni  previste  per  il  processo  ordinario,
articolato  in  una successione di udienze fisse ed obbligatorie, per
cui  il  legislatore  delegato avrebbe potuto «riempire» il principio
ispiratore  della  delega  solo  riducendo  i  termini  previsti  nel
giudizio  di cognizione ordinario per la fissazione di tali udienze e
per il deposito di memorie e comparse difensive;
        che,   viceversa,   il   decreto   legislativo  -  lungi  dal
«concentrare»  l'attuale  rito  ordinario  - ha in realta' introdotto
nell'ordinamento  il diverso rito prefigurato dal testo redatto dalla
Commissione ministeriale per la riforma del processo civile;
        che  identiche questioni sono state sollevate, in riferimento
al  medesimo  parametro  costituzionale,  dal  giudice  relatore  del
Tribunale di Napoli con ordinanza del 2 novembre 2005;
        che  in  tutti  i  giudizi  e'  intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato, concludendo per la manifesta inammissibilita'
delle  questioni,  essendo  esse identiche a quelle gia' esaminate da
questa Corte nell'ordinanza n. 209 del 2006.
    Considerato  che  le  ordinanze di rimessione sollevano questioni
identiche,  riguardanti  la  delega  legislativa  per  la riforma dei
procedimenti  in  materia  di  diritto  societario,  onde  i relativi
giudizi devono essere riuniti e decisi con unica pronuncia;
        che tutte le questioni sono manifestamente inammissibili;
        che   questa   Corte   -   gia'   investita   del  vaglio  di
costituzionalita'  di  identiche  questioni,  sollevate  dal medesimo
Tribunale di Napoli - ne ha dichiarato la manifesta inammissibilita',
escludendo (considerate le modalita' e le argomentazioni con le quali
sono   state   prospettate)   l'asserito   nesso   di  subordinazione
logico-giuridica  della  seconda  rispetto  alla prima ed affermando,
invece,    la    radicale    contraddizione   tra   l'interpretazione
«subordinata»,  esposta  dal remittente a sostegno della legittimita'
della  legge  di  delega  (da  esso compiutamente argomentata e quasi
«suggerita»  alla  Corte),  e la diversa lettura della medesima norma
premessa  alla  questione «principale» (ordinanze n. 209 e n. 360 del
2006, n. 70 del 2007);
        che  anche  le presenti questioni (sollevate in modo identico
alle  precedenti)  presentano lo stesso difetto di prospettazione, in
quanto  i  remittenti  non  solo non adempiono l'obbligo di ricercare
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  di  ciascuna delle
norme  impugnate, ma propongono, nel medesimo contesto motivazionale,
due   opzioni   ermeneutiche   sostanzialmente   alternative,   cosi'
inammissibilmente demandando alla Corte la scelta fra queste;
        che, in riferimento, in particolare, alle questioni sollevate
dal  giudice  relatore  del  Tribunale di Napoli, va anche richiamato
l'indirizzo gia' espresso da questa Corte (si veda la sentenza n. 321
del  2007),  secondo  il  quale  la  legittimazione di quest'organo a
sollevare le questioni stesse, nella specifica situazione dei giudizi
assoggettati  al  nuovo rito societario riservati alla competenza del
collegio, incontra precisi limiti.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.