IL TRIBUNALE

    A scioglimento della riserva che precede;
    Letti gli atti ed esaminati i documenti della causa;

                     Osserva in fatto e diritto

    1.  -  Il  ricorrente  ha lavorato alle dipendenze della Eridania
S.p.A.  presso  lo  zuccherificio  in localita' di Russi (Ravenna) in
qualita'  di operaio manutentore ed addetto al controllo impianto dal
28  gennaio  1963  al  28  febbraio  1991;  e'  andato in pensione di
anzianita'  con  decorrenza  dal 1° marzo 1991, prima dell'entrata in
vigore  della  legge n. 257/1992. In data 28 ottobre 2002 ha ricevuto
dall'INAIL  l'attestazione  positiva  di  esposizione  all'amianto ai
sensi della legge n. 257/1992 essendo stata riconosciuta come provata
la  sua  esposizione  per  tutto  il  periodo  di  lavoro svolto alle
dipendenze  dell'Eridania per piu' di 28 anni (dal 28 gennaio 1963 al
28  febbraio 1991); in particolare, va evidenziato, che il ricorrente
ha  ricevuto  l'attestazione di esposizione all'amianto dall'INAIL ai
sensi  dell'art. 13,  comma  7,  legge  n. 257/1992 in quanto risulta
affetto   da   malattia   professionale   derivante  dall'esposizione
all'amianto  (malattia  riconosciuta  dall'INAIL  in  data  1° agosto
2002).
    Dopo  aver  ricevuto l'attestato di esposizione, il ricorrente ha
richiesto  all'INPS  la  ricostituzione  della  propria pensione e la
corresponsione dell'aumento derivante dall'applicazione dell'art. 13,
comma  7  della legge n. 257/1992 (come mod. dalla legge n. 271/1993)
il  quale  riconosce il beneficio della rivalutazione contributiva in
questi   termini:   Ai   fini  del  conseguimento  delle  prestazioni
pensionistiche  per  i  lavoratori  che  abbiano  contratto  malattie
professionali   a   causa  dell'esposizione  all'amianto  documentate
dall'Istituto  nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro  (INAIL)  il  numero  di  settimane  coperte  da contribuzione
obbligatoria  relativa  a  periodi  di  prestazione lavorativa per il
periodo  di  provata  esposizione  all'amianto e' moltiplicato per il
coefficiente di 1,5 «...».
    2.  -  L'INPS  non  ha  pero' accolto la richiesta del ricorrente
opponendogli  il fatto che alla data di entrata in vigore della legge
n. 257/1992 (28 aprile 1992) egli non fosse in attivita' lavorativa e
si  trovasse  anzi  in  pensione  di anzianita' con decorrenza dal 1°
marzo  1991.  A fondamento del proprio diniego l'INPS richiama poi in
questo  giudizio  l'orientamento  giurisprudenziale  dominante  e  la
sentenza  n. 434/2002  della  Corte  costituzionale  e sostiene che i
benefici   previdenziali  di  cui  all'art. 13  della  legge  non  si
applicherebbero  ai  lavoratori che siano stati collocati in pensione
(di  anzianita'  o  di  vecchiaia) prima dell'entrata in vigore della
legge, ancorche' si tratti di lavoratori che risultano aver contratto
malattie professionali per l'esposizione all'amianto.
    Pur  non  contenendo la legge alcun espresso limite in tal senso,
secondo   la  tesi  richiamata  dall'INPS  il  diniego  dei  benefici
previdenziali  ai pensionati ante 1992 si ricaverebbe dalla finalita'
assegnata   dal   legislatore   alla  maggiorazione  contributiva  in
questione;  in quanto essa sarebbe stata diretta ad agevolare l'esodo
dei  lavoratori  appartenenti  al  dismesso settore amianto ovvero da
applicare a quei lavoratori a rischio di perdere il posto di lavoro a
causa  della  cessazione  della  lavorazione  dell'amianto  oppure in
difficolta' occupazionali per aver corso un rischio alla salute nella
lavorazione   con  l'amianto;  tutte  difficolta',  si  dice,  che  i
lavoratori  pensionati  prima  della  legge n. 257/1992 non avrebbero
potuto correre appunto perche' in pensione.
    In  particolare  e'  stato  ricordato  dall'INPS che anche per la
Corte  costituzionale  il  beneficio della rivalutazione contributiva
non possa spettare ai lavoratori esposti all'amianto pensionati prima
della  legge  257,  avendo essa riconosciuto con la sentenza 434/2002
che  questi benefici abbiano la «principale funzione di permettere ai
lavoratori  coinvolti  nel  processo di dismissione delle lavorazioni
comportanti l'uso dell'amianto di ottenere il diritto alla pensione».
    3.  -  In realta' va rilevato come la Corte costituzionale non si
sia  mai  pronunciata  sulla  questione  oggetto  di questo giudizio;
mentre  e'  pure sbagliato, ad avviso di chi scrive, volere estendere
ai  benefici stabiliti dall'art. 13, comma 7 ricostruzioni esegetiche
effettuate in relazione ai diversi benefici di cui all'art. 13, comma
8.
    Vero  e' peraltro che la giurisprudenza della Corte di cassazione
sembra  aver  accomunato  i  due  diversi  tipi di benefici sotto una
stessa  ottica  finalistica  ed  ha (sentenza n. 2849/2004) parimenti
sostenuto  che anche ai lavoratori ammalati da malattia professionale
da  amianto non possano attribuirsi benefici contributivi qualora gli
stessi  lavoratori  siano  andati  in  pensione  di  anzianita'  o di
vecchiaia,  prima  dell'entrata in vigore della legge n. 257/1992 (28
aprile 1992).
    Se questo individuato dalla Corte di cassazione dovesse essere il
corretto tenore dell'art. 13, comma 7 della legge n. 257/1992, allora
la  stessa  norma  urta,  ad  avviso  dello scrivente, contro diversi
parametri  costituzionali  e  comporta quindi di necessita' che venga
sollevata   la   questione  di  illegittimita'  costituzionale  della
normativa  nella parte in cui impedisce, l'attribuzione del beneficio
a  chi  fosse  pensionato  prima  dell'entrata  in vigore della legge
n. 257/1992,   discriminandolo   pure   in   maniera  irrazionale  ed
immotivata  da  chi  fosse  andato in pensione dopo la medesima legge
n. 257/1992.
    4.  -  La  questione  che deve essere percio' esaminata sul piano
costituzionale  investe  nuovamente  il  problema dei destinatari del
beneficio contributivo di cui alla legge n. 257/1992, ma non riguarda
i destinatari di cui al comma 8 (i lavoratori esposti ultradecennali)
bensi'  quelli  di  cui  al  comma 7 (i lavoratori ammalati anche non
ultradecennali).
    Ritiene  questo giudice che la questione meriti di essere portata
davanti   alla  Corte  costituzionale  per  due  ordini  di  ragioni.
Anzitutto  perche'  il  dialogo  tra gli organi inseriti nel medesimo
circuito  del  giudizio di costituzionalita' puo' servire ad affinare
l'interpretazione  di  una  normativa ed a portare all'individuazione
del  significato  maggiormente aderente al dettato costituzionale. In
secondo  luogo  e  soprattutto  perche'  la  disciplina  del  comma 7
dell'art. 13  della  legge  n. 257/1992 ha, rispetto a quella dettata
dal  comma  8  della  medesima  norma,  una  portata diversa - che si
riflette  anche  sul  terreno  costituzionale  - sia sotto il profilo
soggettivo  (in  quanto  si  riferisce  solo ai lavoratori affetti da
malattie  professionali  derivanti  dall'amianto)  sia per il profilo
oggettivo  (perche'  non richiede alcun periodo minimo di esposizione
al  fine  di accordare la rivalutazione contributiva, potendo bastare
qualsiasi periodo di esposizione anche inferiore al decennio).
    D'altra  parte,  le  differenze  tra  i due tipi di rivalutazione
contributiva   sono   stati   ulteriormente  accentuate  dalla  nuova
normativa   dettata   con  la  legge  24  novembre  2003,  n. 326  di
conversione  dell'art. 47 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269; siccome
per  i  lavoratori ammalati non vale la nuova peggiorativa disciplina
che  e'  stata introdotta con la stessa legge; per gli ammalati nulla
e'  mutato  in  quanto  il  beneficio  si applica sia per l'accesso a
pensione  sia per l'importo, e sempre nella misura originaria del 50%
di aumento previsto dall'originario comma 7.
    Non   vale   nemmeno   per   gli  ammalati  l'onere  della  prova
dell'esposizione  a  piu'  di  100 fibre litro per otto ore al giorno
previsto  nella  nuova  normativa - posto che non avrebbe alcun senso
pretendere  la  prova di un'esposizione qualificata al rischio da chi
ha  gia'  visto tramutarsi quel rischio in un danno conclamato: oltre
alla  malattia,  ai  fini del beneficio occorre soltanto la prova del
periodo  di  esposizione  e  basta.  Infine  non vale neppure per gli
ammalati  il  termine di decadenza introdotto dalla nuova legge; e la
domanda  per ottenere l'indennizzo previdenziale e' sempre possibile;
anche  oltre  il  26  giugno 2005 (individuato come ultima data utile
sulla  scorta  del decreto ministeriale 27 ottobre 2004 pubblicato il
17 dicembre 2004.); anche oggi percio' potrebbe essere presentata una
domanda  ai  sensi  del comma 7 dell'art. 13, legge n. 257/1992 da un
lavoratore affetto da malattia professionale correlata all'asbesto.
    5.  -  Sulla scorta di queste premesse appare del tutto evidente,
ad   avviso   di   questo  giudice,  il  sospetto  di  illegittimita'
costituzionale  che  investe  la  normativa in oggetto ai sensi degli
artt. 3,  primo  comma  e  2 Cost., qualora si volesse condividere la
tesi  sostenuta  dalla Corte di cassazione che esclude dall'ambito di
applicazione  della  normativa  i  lavoratori  affetti da malattie da
amianto che fossero pensionati prima della legge del 1992.
    Si  tratta di uno sbarramento che non appare infatti giustificato
ai   sensi  della  Carta  costituzionale;  ne'  potrebbe  servire  ad
introdurre  una qualche logica giustificazione richiamare la tesi che
vorrebbe   ricondurre   la   finalita'  del  beneficio  in  questione
all'agevolazione dell'esodo ed al raggiungimento della pensione per i
lavoratori appartenenti al dimesso settore amianto.
    Anzitutto   perche'  gli  ammalati  in  discorso,  previsti  come
destinatari  dalla  legge,  possono  essere lavoratori appartenenti a
qualsiasi settore merceologico e non aver mai sofferto della asserita
crisi  occupazionale derivante dalla cessazione dell'amianto; anzi un
lavoratore ammalato potrebbe avere cessato il lavoro ed essere andato
in  pensione  per  il  fatto stesso della malattia; e quindi non c'e'
motivo  per  differenziare  chi  e'  andato in pensione per lo stesso
fatto  di aver contratto la malattia prima o dopo l'entrata in vigore
della legge.
    In  secondo  luogo  va osservato che un lavoratore puo' contrarre
una  malattia  da  esposizione  all'amianto  dopo  anni  e anni dalla
cessazione   dell'attivita'   morbigena  e  dal  conseguimento  della
pensione. Anche chi ha conseguito la pensione dopo il 28 aprile 1992,
puo'  subire  questo  evento,  a  prescindere  da qualsiasi crisi del
settore   amianto;   e   puo'  subirlo  a  lunghissima  distanza  dal
pensionamento.  E'  noto infatti che vi siano malattie da amianto che
potrebbero  essere  causate  da  esposizioni  anche  di basso livello
subite  in  imprese  che  non  rientrano  nel c.d. settore amianto (e
segnatamente   il   mesotelioma  che  e'  una  malattia  che  non  e'
dose-correlata).  Si tratta pure di malattie che sopravvengono sempre
a distanza di tempo, anche lunga e lunghissima (variabile da 10 ai 40
anni),    dall'esposizione    professionale    e   dalla   cessazione
dell'attivita'   lavorativa.   Le   malattie   in   questione  -  che
costituiscono    il    requisito    essenziale   per   l'applicazione
dell'art. 13,  comma 7 - sono dunque eventi futuri ed incerti che non
hanno  alcuna relazione con la data del conseguimento della pensione,
ne'  con  la  crisi  del  settore  amianto;  si  tratta di eventi che
potrebbero  intervenire  in  ogni  momento della vita del lavoratore,
oltrepassata  anche  qualsiasi  possibile  soglia di accesso all'eta'
lavorativa:  non  ha percio', di nuovo, alcun senso ipotizzare che la
rivalutazione  previdenziale  in questione venga accordata invece per
sopperire  a  delle  difficolta'  occupazionali di un soggetto che ha
subito  l'evento  dopo molto tempo dal conseguimento della pensione e
dopo  aver oltrepassato qualsiasi possibile soglia di riammissione al
lavoro.
    Non  esiste  percio' alcuna ragione logica e giuridica per cui la
legge debba accordare il beneficio in oggetto all'ammalato pensionato
dopo  il 28 aprile 1992 e debba negarlo invece al lavoratore ammalato
che  ha  conseguito la pensione prima della stessa data. Si tratta di
una  differenza  che  non  presenta  alcun connotato di razionalita',
perche' in nessuno dei due casi il beneficio potrebbe rimediare ad un
qualsiasi  pregiudizio  occupazionale  ricollegabile al pensionamento
e/o  alla  dismissione del settore amianto; mentre in entrambi i casi
il  beneficio  potrebbe  rivestire  l'eguale effetto di compensare un
pregiudizio effettivo e reale sopraggiunto nella vita di una persona,
senza alcuna connessione con lo stato di pensionato.
    6.  -  Nel  caso  oggetto  di questo giudizio si tratta poi di un
lavoratore  di  uno  zuccherificio che non c'entra niente col settore
amianto;  un  lavoratore  che  si  e'  ammalato  nel  2002 ed ha gia'
ottenuto   dall'INAIL   tanto   il   riconoscimento   della  malattia
professionale,  tanto  il  riconoscimento  dell'esposizione; ad a cui
nondimeno  l'INPS  non  riconosce l'aumento della pensione perche' si
sarebbe  pensionato  ante  1992.  Mentre, e' pacifico, lo stesso INPS
riconoscerebbe  l'aumento pensionistico al collega del ricorrente che
si  fosse  per  ipotesi  ammalato  oggi stesso, pur essendo andato in
pensione il giorno dopo il 28 aprile 1992.
    Ad  avviso  di  questo  giudice  tutto  cio'  risulta  in  aperto
contrasto  con l'art. 3 Cost. che non consente di poter differenziare
il  trattamento di un lavoratore ammalato a seconda che sia andato in
pensione  prima  o  dopo il 28 aprile 1992. Soprattutto non e' giusto
trattare differentemente due casi cosi' simili come appunto quelli di
due  lavoratori  colpiti  da  una  malattia  che  e' sopravvenuta per
entrambi  a  lunga distanza dell'entrata in vigore della stessa legge
n. 25/1992,  e  per il solo fatto che uno dei due abbia conseguito la
pensione   prima  e  l'altro  dopo  il  28  aprile  1992;  quando  il
conseguimento  della  pensione  e'  un  fatto  totalmente  neutro sia
rispetto  alla  malattia,  sia  rispetto alla tutela che e' accordata
dalla legge.
    7.  - Si ripete che la stessa tutela prevista dall'art. 13, comma
7  e'  tutt'ora  vigente,  nonostante  le  modifiche introdotte nella
legislazione, e non e' soggetta a termine di decadenza; per cui anche
domani  la  stessa  tutela  (ad  oltre  15  anni dalla sua entrata in
vigore)  dovrebbe  essere  applicata nei confronti di chi subisca una
malattia correlata all'asbesto e risulti pensionato da oltre 15 anni;
ma  difficilmente  si  potra'  riconoscere  con  fondatezza  che quel
beneficio,  che  la  legge  gli  riconosce comunque ancora oggi, dopo
tanto  tempo,  venga accordato per rimediare alla crisi occupazionale
del settore amianto.
    8.  -  Tutto  cio'  non  solo e' irrazionale e discriminatorio ai
sensi  dell'art. 3,  primo  comma Cost., ma sembra anche in contrasto
con   i   doveri   inderogabili  di  solidarieta'  sociale  ed  umana
solennemente  proclamati  nell'art. 2  della  Costituzione  apparendo
anzitutto disumano a questo giudice che vi siano in Italia lavoratori
ammalati d'amianto che non vengano riconosciuti dall'ordinamento come
«lavoratori   esposti   all'amianto»   ai  fini  della  maggiorazione
previdenziale in discorso, solo perche' sono andati in pensione prima
della  legge  n. 25/1992  e  pur avendo contratto la malattia dopo la
legge  (come altri loro colleghi lavoratori pensionatisi dopo); e non
si  puo' pensare percio' che la Costituzione italiana possa tollerare
questa  assurda discriminazione, anche perche' fino a quando esistono
casi  del genere non puo' esistere vera solidarieta' sociale ai sensi
dell'art. 2  Cost.;  e  non puo' neanche esistere che gli inclusi nel
trattamento  previsto  dalla  legge  possano  sentirsi soddisfatti di
fronte  a  chi  sarebbe  stato  escluso  dalla  legge  in  modo cosi'
irrazionale,  perche'  dalla  sperequazione  non  puo' mai nascere un
sentimento di vera solidarieta' sociale.
    9.   -  Nell'ipotesi  in  cui  la  Corte  costituzionale  dovesse
riaffermare  il «carattere approssimativo della normativa rispetto ai
fini  perseguiti» (cosi' sentenza n. 434/2002) e ritenere che anche i
benefici  previsti  per  i  lavoratori  ammalati dell'amianto debbano
partecipare  della  stessa  logica attribuita ai benefici contemplati
nell'art. 13,  comma  8, legge n. 25/1992 con la sentenza n. 434/2002
ovvero  debbano  essere  riconosciuti  solo  ai  lavoratori andati in
pensione  dopo la legge 257, perche' si suppone che solo essi abbiano
patito  un  preteso  danno  occupazionale; allora questo giudice deve
risollevare  la  questione di costituzionalita' in relazione a questa
diversa  prospettiva,  anche  alla  luce della normativa sopravvenuta
nelle  more della precedente eccezione di costituzionalita' (art. 18,
comma 8, legge 31 luglio 1992 n. 179 e legge n. 326/2003).
    Non  puo'  condividersi  infatti  l'affermazione  secondo  cui  i
benefici  in questione abbiano il solo ed esclusivo fine di agevolare
l'esodo  dei  lavoratori  del  dimesso  settore amianto e non possono
partecipare  anche,  quanto  meno  in via concorrente, di una diversa
finalita'  di  natura  compensativa, atta ad attrarre nell'orbita dei
destinatari  del beneficio anche i lavoratori esposti pensionati ante
1992.
    Va  considerato  in  questa  stessa direzione che il beneficio in
questione  e' stato gia' concesso a circa 150.000 lavoratori e che la
quasi  totalita'  degli stessi lavoratori non appartengono al settore
amianto  che  «rischiavano  di  perdere  il posto di lavoro», come ha
ritenuto  dovesse  essere  la  Corte  costituzionale  nella  sentenza
n. 434/2002.  A  Ravenna  il  beneficio  e'  stato  accordato in sede
amministrativa  e  giudiziaria  a  qualche  migliaio  di lavoratori e
nemmeno  uno di questi lavoratori (portuali, chimici, metalmeccanici,
delle centrali elettriche, degli zuccherifici; ecc.) ha mai rischiato
di  perdere  il  posto di lavoro; si tratta infatti di lavoratori che
dopo  l'abolizione  dell'uso dell'amianto hanno continuato ad operare
in  settori  dove  l'amianto  e'  stato sostituito con altre sostanze
(continuando   percio'   a   produrre   prodotti  chimici,  zucchero,
elettricita',  a  scaricare  sacchi e merci presso il porto, ecc.); e
non avevano percio' bisogno di essere agevolati ad alcun esodo.
    10.  -  Tutt'altro;  gli  stessi  lavoratori  hanno dovuto semmai
difendersi  dalle  pretese  dell'imprese  di  tenerli al lavoro, come
conferma anche l'art. 18, comma 8 della legge 31 luglio 2002, n. 179,
sulle  certificazioni  INAIL,  che  ha  riconosciuto  validita'  alle
certificazioni  amministrative  emesse  sulla base dei tavoli tecnici
del  ministero;  com'e'  noto la finalita' di questa legge (che, caso
piu'  unico  che  raro,  ha riconosciuto per la legge la validita' di
atti  amministrativi) e' stata quella di far cessare le opposizioni e
le  resistenze  che  le  imprese avevano frapposto sotto vari aspetti
contro  i provvedimenti ministeriali (atti d'indirizzo sulla cui base
venivano  emesse  le  certificazioni  INAIL)  impugnandoli davanti al
Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  e al Consiglio di Stato,
proprio allo scopo di impedire che i lavoratori potessero lasciare il
posto di lavoro con il conseguimento dei benefici previdenziali.
    Alla  base  di  questo  provvedimento  di  legge allora non vi e'
dunque  alcuna  «difficolta'  di  mantenere  il  posto di lavoro o di
trovarne  un  altro». Al contrario, i lavoratori volevano abbandonare
il  posto,  mentre  le  imprese  volevano  tenerli  al lavoro e hanno
promosso  addirittura  delle  cause per cercare di trattenerli quanto
piu' a lungo possibile al lavoro.
    Si  tratta  percio' di una ratio esattamente opposta a quella che
si  e' sempre supposta come esistente a fondamento dell'art. 13 della
legge n. 257/1992, e nonostante le esplicite modifiche introdotte nel
corpo  originario  di  questa  disposizione, con apposito emendamento
introdotto  alla  Camera  dei  deputati  in  sede  di conversione del
decreto  legge n. 169/1993, con la legge n. 271/1993 che ha eliminato
quella  parte della norma che delimitava la platea dei destinatari in
relazione all'appartenenza dell'impresa al c.d. settore amianto; e su
cui  fanno  fede  i  lavori parlamentari (vedi resoconto della seduta
della  Camera  dei deputati 12-14 luglio 1993, i quali attestano come
gli  emendamenti, appositamente introdotti dalla Camera ed illustrati
dal relatore on. Morgando, fossero intesi - senza alcuna esitazione -
a  «far  si'  che  per  tutti  i  lavoratori  che siano stati esposti
all'amianto  per  un  periodo superiore a dieci anni l'intero periodo
lavorativo  soggetto  ad  assicurazione obbligatoria sia moltiplicato
per  il coefficiente di 1,5»). Di piu' risulta dai lavori preparatori
che  tutti  i  deputati intervenuti nel dibattito hanno attribuito lo
stesso  significato  alla  norma,  richiamando  il grave rischio alla
salute  che  hanno  corso  i lavoratori; rammaricandosi piuttosto del
limite  di  dieci  anni;  ricordando che la sostanza non ha limite di
soglia;    richiamando   tutte   le   malattie   asbesto   correlate;
ripromettendosi   di  intervenire  in  favore  di  altre  lavorazioni
usuranti;  senza  mai sostenere che il beneficio fosse esclusivamente
limitato  ai  soli  lavoratori  in  difficolta'  occupazionali ovvero
appartenenti a specifiche aree mercelogiche.
    Proprio  per  impedire  che  si  realizzasse  questo risultato il
legislatore  e'  percio' intervenuto piu' volte; per affermare sempre
che  tutti  i  lavoratori  esposti  all'amianto,  seppur  non  aventi
difficolta'    occupazionale,    avessero   comunque   diritto   alla
rivalutazione  contributiva  per l'amianto (legge n. 271/1993); e per
affermare  che le certificazioni loro rilasciate dall'INAIL dovessero
considerarsi  valide  quale  che  fosse  il  settore  di riferimento,
nonostante  le  imprese  si  opponessero  al turn over dei lavoratori
interessati (legge n. 179/1992).
    10.  -  Di piu' vi e' che oggi la medesima logica compensativa e'
stata  posta  alla base della nuova normativa introdotta con la legge
n. 326/2003   (di  conversione  dell'art. 47  del  decreto  legge  30
settembre 2003 n. 269); normativa che, come gia' detto, vale solo dal
1°  ottobre  2003  per  esposti  ultradecennali  e non per lavoratori
ammalati;   ma   che  nondimeno  occorre  pur  tener  presente  nella
prospettiva  di  una  coerente  ricostruzione sistematica, sopratutto
quando  si ragiona attorno alla ratio di una normativa di favore come
questa  (e  tanto  piu'  perche'  la  giurisprudenza qui criticata ha
sempre accomunato le due discipline sotto una medesima ratio).
    Ebbene  nella  nuova  normativa  e'  espressamente  detto  che il
beneficio  previdenziale  in questione non serva per il conseguimento
della  pensione  ma  ai  soli  fini  dell'importo della pensione, per
concedere  un  aumento  della pensione. La nuova normativa stabilisce
infatti  che  il  beneficio  della  rivalutazione contributiva di cui
all'art. 13,  comma  8 a decorrere dal 1° ottobre 2003 «si applica ai
soli   fini   della  determinazione  dell'importo  delle  prestazioni
pensionistiche  e  non  della maturazione del diritto di accesso alle
medesime»;  con  cio'  riconoscendo  che lo stesso beneficio possiede
(quantomeno)  una  co-essenziale  finalita'  di  natura  compensativa
risarcitoria e non gia' la esclusiva finalita' di incentivare l'esodo
o  di rimediare a crisi occupazionali o di allontanare qualcuno da un
pericolo  gia'  consumato;  tant'e'  che  sulla  scorta  della stessa
normativa viene congelato l'effetto dei contributi maturati in virtu'
dell'esposizione   ai   fini   dell'accesso  a  pensione;  e  diventa
necessario   per  il  lavoratore  rimanere  in  servizio,  ancora,  a
tutt'oggi,  fino  a  quando  non  maturi  autonomamente  i prescritti
requisiti  di  anzianita'  contributiva  (oltre  che  anagrafica) per
accedere  al  pensionamento  di  anzianita'  o  di vecchiaia; e poter
utilizzare  poi i benefici amianto ed ai soli fini della misura della
prestazione.
    Anche  la nuova normativa conferma percio' che tutti i lavoratori
che  siano stati riconosciuti esposti all'amianto possano ottenere il
beneficio    ai   soli   fini   dell'incremento   della   prestazione
pensionistica,  senza  che  vi siano ostacoli di sorta in ragione del
loro  status  di  pensionati  al momento dell'entrata in vigore della
normativa.
    Non  vi e' alcun criterio logico e di giustizia che consenta oggi
di  poter  distinguere i lavoratori che siano andati in pensione dopo
il  decreto  legge  n. 269/2003,  da tutti quelli che siano andati in
pensione  in  precedenza (ivi compresi quelli andati in pensione ante
legge  n. 257/1992), dal momento che ciascuno di essi potrebbe godere
dell'aumento  contributivo «ai fini della determinazione dell'importo
delle  prestazioni  pensionistiche»  disposto  con  la nuova norma ed
avendo  tutti  costoro  corso  lo  stesso  rischio essenzialmente nel
passato, prima dell'entrata in vigore della normativa. Sicche' non ha
nessuna  giustificazione  razionale  e  logica  ai sensi dell'art. 3,
primo comma Cost. voler continuare a negare la medesima rivalutazione
contributiva  di  cui  all'art. 13,  comma  7  a  chi fosse andato in
pensione  prima della legge n. 257/1992, come al ricorrente in questo
giudizio.
    11.  -  E'  evidente  infatti che cio' rappresenterebbe una grave
sperequazione   anche  in  considerazione  del  fatto  che  tutta  la
giurisprudenza  (di merito, di legittimita', ed anche costituzionale)
quando  si riferisce ai lavoratori esposti in attivita' ha sempre, in
maniera  unanime,  affermato la natura compensativa del beneficio. In
tali  termini  si e' sempre espressa la Corte di cassazione fin dalla
sentenza n. 4913/2001.
    E  la  stessa  Corte costituzionale ha riconosciuto in almeno due
occasioni  la  stessa ratio compensativa come fondativa del beneficio
in discorso; e cio' sia con la sentenza del 12 gennaio 2000, n. 5, in
materia  di  determinatezza  della fattispecie; e poi con la sentenza
del  22  aprile  2002,  n. 127, in materia di lavoratori addetti alla
Ferrovie dello Stato.
    Proprio  all'interno della sentenza n. 127/2002 (pronunciata solo
pochi  mesi prima della sentenza n. 434/2002) la Corte costituzionale
si  era  soffermata  sul significato e sulla portata della precedente
sentenza  n. 5  del  2000;  ed  aveva ribadito quanto osservato nella
prima sentenza, ovvero «che la norma censurata - nel testo risultante
dalla  soppressione  (operata  in  sede  di  conversione in legge del
decreto-legge  n. 169  del  1993)  della  locuzione "dipendenti dalle
imprese  che  estraggono  amianto  o  utilizzano amianto come materia
prima,  anche  se  in  corso  di dismissione o sottoposte a procedure
fallimentari  o  fallite o dismesse" - conferisce essenziale rilievo,
ai    fini    dell'applicazione    del    beneficio    previdenziale,
all'assoggettamento  dei  lavoratori  alla assicurazione obbligatoria
contro  le malattie professionali derivanti dall'amianto, escludendo,
al  tempo  stesso,  ogni selezione che possa derivare dal riferimento
alla tipologia dell'attivita' produttiva del datore di lavoro».
    Sicche'    la   stessa   Corte   costituzionale   osservava   che
«Coerentemente con tale conclusione, che trova conferma proprio nelle
vicende  normative  che  hanno  preceduto  l'approvazione  del  testo
attuale  del  comma  8  dell'art. 13,  lo  scopo  della  disposizione
medesima e' stato rinvenuto nella finalita' di offrire, ai lavoratori
esposti  all'amianto  per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10
anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di
lavorazioni   che,   in   qualche   modo,   presentano  potenzialita'
morbigene».
    12. - Va poi considerato che nella sentenza n. 434 del 31 ottobre
2002,  con  cui ha negato l'applicazione del beneficio ai pensionati,
la  Corte costituzionale ha sostenuto di non aver mai riconosciuto il
carattere  compensativo del beneficio: «Ne' e' vero che questa Corte,
nella   sentenza   n. 5   del  2000,  abbia  affermato  il  carattere
risarcitorio  del beneficio in esame escludendo che esso abbia invece
la  principale  funzione  di  permettere  ai lavoratori coinvolti nel
processo   di   dismissione   delle   lavorazioni  comportanti  l'uso
dell'amianto di ottenere il diritto alla pensione».
    Su questo rilievo pero' e' sufficiente richiamare le parole della
stessa  Corte  costituzionale dell'11 aprile 2002, n. 127, allorche',
proprio  a  proposito  dell'ambito  di  applicazione soggettivo della
norma,  osservava  come esistano «plurimi elementi esegetici, i quali
portano  a ritenere che essa sia volta a tutelare, in linea generale,
tutti  i  lavoratori esposti all'amianto, in presenza, beninteso, dei
presupposti   fissati   dalla  disposizione  stessa,  secondo  quanto
evidenziato  dalla  gia'  ricordata sentenza di questa Corte n. 5 del
2000.  Presupposti richiesti proprio perche' la legge n. 271 del 1993
ha  voluto tener conto della capacita' dell'amianto di produrre danni
sull'organismo   in   relazione  al  tempo  di  esposizione,  si'  da
attribuire   il   beneficio   della   maggiorazione   dell'anzianita'
contributiva  in  funzione  compensativa dell'obiettiva pericolosita'
dell'attivita' lavorativa svolta».
    Del resto che quello sopraindicato fosse il reale contenuto delle
sentenze rese nella materia dalla Corte cost. non era stato affermato
solo  da qualche giudice di merito; bensi' dopo la sentenza n. 5/2000
della  Corte  cost.  da  tutta  la  giurisprudenza  di  legittimita',
all'unanimita'.  A  partire  da  Cass.  n. 4913/2001  che,  proprio a
proposito  dell'avvenuta modifica della norma e dell'allargamento del
beneficio  oltre  il  settore amianto, evidenziava come nel corso del
dibattito  parlamentare  si  «segui  una soluzione che, tenendo conto
della   capacita'   di  produrre  danni  in  relazione  al  tempo  di
esposizione,  consente una maggiorazione dell'anzianita' contributiva
per  tutti  i dipendenti che siano stati esposti all'amianto per piu'
di  dieci  anni».  Sicche' individuava la ratio dell'attribuzione del
beneficio  in  chiave  di «attuazione dei principi di solidarieta' di
cui  e'  espressione  l'art. 38  Cost.  -  in  funzione  compensativa
dell'obiettiva pericolosita' dell'attivita' lavorativa spiegata».
    E  di  analogo  tenore  sono state le tesi espresse da Cassazione
2926/2002;  10979/2002;  10114/2002; 7048/2002. Quest'ultima sentenza
in  particolare  nota:  «questa  Corte  ha  avuto  modo  di chiarire,
attraverso  decisioni  adottate in epoca successiva alla pronuncia 12
gennaio 2000, n. 5 della Corte costituzionale, dichiarativa della non
fondatezza  delle  questioni  di  costituzionalita'  della  norma  in
oggetto,  sollevate  in  riferimento  agli  art. 3 e 81 Cost., che la
eliminazione,  ad  opera  della legge di conversione n. 271 del 1993,
del  riferimento  -  contenuto  sia  nel testo originario del comma 8
dell'art. 13,  sia in quello sostituito dal d.l. n. 169 del 1993 - ai
"dipendenti delle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto
come  materia  prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a
procedure  fallimentari  o  fallite  o  dismesse"  sia  significativa
dell'intento del legislatore di evitare ogni selezione soggettiva che
possa   derivare   dal   riferimento  alla  tipologia  dell'attivita'
produttiva   del   datore  di  lavoro  e  di  attribuire,  piuttosto,
centralita'  all'avvenuta ultradecennale adibizione del lavoratore ad
attivita'  soggette all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall'amianto».
    Tant'e' che la stessa Cass. n. 7048/2002 conclude esplicitamente:
        «Destinatari  della disposizione in esame non sono, dunque, i
lavoratori  che abbiano perso - o siano esposti al rischio di perdere
-  il  posto  di  lavoro  di  conseguenza  della  soppressione  delle
lavorazioni  dell'amianto,  bensi',  come  si e' detto, i lavoratori,
quale  che sia l'attivita' produttiva dell'Impresa datrice di lavoro,
che abbiano subito una esposizione "qualificata" all'amianto».
    13.  -  Tutto  cio'  va  ricordato  in  quanto  non  e' possibile
ammettere  sul  piano costituzionale che una stessa normativa, quando
e'  riferita  ai  lavoratori  in  attivita',  venga  interpretata  ed
applicata  in sede anministrativa e giurisdizionale come confermativa
di  una  ratio di natura compensativa; mentre, quando viene applicata
ai  lavoratori  pensionati ante legge n. 257/1992, venga interpretata
come  espressione  di  una  ratio  diversa ed opposta, tale da negare
l'attribuzione  del  beneficio che applicando la prima ratio dovrebbe
essere invece riconosciuto anche ai pensionati.