ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 5, da 7 a
14,  16, 18, da 24 a 29 del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157
(Disposizioni   correttive  ed  integrative  al  decreto  legislativo
22 gennaio  2004,  n. 42,  in relazione al paesaggio), modificativi e
sostitutivi di vari articoli del decreto legislativo 22 gennaio 2004,
n. 42,  promossi  con  ricorsi  delle  Regioni  Toscana,  Calabria  e
Piemonte,   notificati   il   23  e  26  giugno 2006,  depositati  in
cancelleria  il  27, il 28 ed il 30 giugno 2006 ed iscritti al n. 81,
n. 82 e n. 83 del registro ricorsi 2006;
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  9 ottobre  2007  il  giudice
relatore Paolo Maddalena;
    Uditi  gli  avvocati  Fabio  Lorenzoni  per  la  Regione Toscana,
Giuseppe  Naimo  per  la  Regione  Calabria,  Emiliano  Amato e Anita
Ciavarra  per  la  Regione Piemonte e l'avvocato dello Stato Maurizio
Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ricorso  notificato  il  23 giugno 2006 e depositato il
successivo  27 giugno, la Regione Toscana ha promosso, in riferimento
agli  artt. 76,  114, 117 e 118 della Costituzione ed al principio di
leale  collaborazione,  questioni  di  legittimita' costituzionale di
numerose  disposizioni  del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157
(Disposizioni   correttive  ed  integrative  al  decreto  legislativo
22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio), e segnatamente:
        dell'art. 12,   che   sostituisce   l'art. 142   del  decreto
legislativo  22 gennaio  2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del
paesaggio,  ai  sensi  dell'articolo 10  della  legge  6 luglio 2002,
n. 137),  con  particolare  riferimento  ai commi 1 e 3 del novellato
art. 142;
        dell'art. 13, che sostituisce l'art. 143 del d.lgs. n. 42 del
2004, con particolare riferimento al comma 4 del novellato art. 143;
        dell'art. 16, che sostituisce l'art. 146 del d.lgs. n. 42 del
2004,  con  particolare  riferimento  ai  commi 3  e  8 del novellato
art. 146;
        dell'art. 25,  che  modifica  l'art. 157 del d.lgs. n. 42 del
2004,  nella  parte in cui inserisce la lettera f-bis) al comma 1 del
suddetto art. 157;
        dell'art. 26, che sostituisce l'art. 159 del d.lgs. n. 42 del
2004, con particolare riferimento al comma 3 del novellato art. 159.
    1.1. - La   Regione   Toscana   premette  che,  a  seguito  delle
modificazione apportate dal d.lgs. n. 157 del 2006 al Codice dei beni
culturali  e  del  paesaggio  di  cui  al  d.lgs.  n. 42 del 2004, e'
scaturito  un  sistema  volto  a  rafforzare,  in  contrasto  con  la
valorizzazione delle autonomie locali, «la partecipazione dello Stato
nell'esercizio  delle  funzioni  amministrative  gia' attribuite alle
Regioni  in  materia  di  tutela  e  valorizzazione  del  paesaggio»;
sistema,   peraltro,   gia'   valutato   negativamente  dalla  stessa
Conferenza  unificata  in  sede  di  parere espresso sullo schema del
decreto legislativo nella seduta del 26 gennaio 2006.
    La  ricorrente  osserva  che nella materia in esame insistono una
pluralita'  di  interessi ed oggetti che non attengono esclusivamente
alla competenza statale in materia di tutela dell'ambiente e dei beni
culturali, ma riguardano anche ambiti di competenza concorrente delle
Regioni   e,   in   particolare,  il  governo  del  territorio  e  la
valorizzazione  dei  beni  culturali  ed  ambientali,  come  peraltro
riconosciuto  dalla  stessa  giurisprudenza  costituzionale  (tra  le
altre:  sentenze  n. 232  del  2005  e  n. 182 del 2006). Cio' posto,
argomenta  ancora la ricorrente, le impugnate disposizioni del d.lgs.
n. 157  del  2006  in  materia  di paesaggio non sarebbero rispettose
delle  prerogative  regionali  costituzionalmente garantite, giacche'
non assicurano alle stesse «un ruolo primario anche in considerazione
del  delicato  intreccio tra diverse materie, di competenza statale e
regionale».
    1.2. - E'   denunciato,   anzitutto,  l'art. 12  che  sostituisce
l'art. 142  del d.lgs. n. 42 del 2004, con particolare riferimento al
comma 1  del  novellato  art. 142  in  esame,  «nella  parte  in  cui
reintroduce  l'illimitata  vigenza  del  vincolo paesaggistico per le
categorie  di beni tutelati ai sensi della legge n. 431/1985, nonche'
con  particolare  riferimento al comma 3 dello stesso art. 142, nella
parte  in  cui  preclude  alle  regioni  di  individuare con il piano
paesaggistico  i  corsi  d'acqua  irrilevanti  dal punto di vista del
paesaggio».
    La Regione Toscana sostiene che, diversamente da quanto stabilito
nella  formulazione  originaria  dell'art. 142  del  d.lgs. n. 42 del
2004,  la  novella in esame impone «la vigenza illimitata del vincolo
paesaggistico  con  riferimento  alle  categorie  di beni individuate
dalla  legge  n. 431/1985  (cosiddetta  legge  Galasso)», in tal modo
eliminando   la   possibilita',   gia'   affidata  alle  Regioni,  di
specificare  e  disciplinare,  tramite  il piano paesaggistico, detti
beni  «sulla  base  di  analisi puntuali dei contesti regionali e dei
relativi  elementi  caratterizzanti».  Inoltre, alle Regioni e' stata
preclusa,  in  forza  del comma 3 del medesimo art. 142 novellato, la
facolta' di individuare, nell'ambito del piano paesaggistico, i corsi
d'acqua  irrilevanti  dal punto di vista del paesaggio, sulla base di
una  verifica  dei  casi concreti, cosi' da impedire l'esercizio «del
potere  di  accertare  l'adeguatezza  della  tutela  paesaggistica in
relazione  alle  aree  presenti  sul  proprio territorio, e quindi di
verificare la perdurante effettivita' del vincolo paesaggistico».
    Ad  avviso  della  ricorrente,  tale normativa determinerebbe «un
inammissibile  passo  indietro rispetto alle prerogative riconosciute
alle regioni dal previgente d.lgs. n. 42/2004», secondo cui la tutela
paesaggistica  dei  beni in esame era prescritta in via transitoria e
cioe'   fino   all'approvazione   e/o   all'adeguamento   del   piano
paesaggistico,  con il quale le Regioni dettano la disciplina d'uso e
di  tutela  dei  beni,  «sulla  base  delle  specifiche  esigenze  di
salvaguardia,  attualizzando  i  vincoli  posti in modo astratto ed a
prescindere  dalla  reale  consistenza dei beni». Con la conseguenza,
peraltro,  che  sarebbe  vanificata  tutta «l'attivita' nel frattempo
gia'  posta  in  essere  dalle  Regioni  -  proprio in attuazione del
previgente  d.lgs. n. 42/2004 - in vista della riconsiderazione delle
categorie  dei  beni tutelati ex lege e della loro individuazione sul
proprio territorio».
    Il  denunciato  art. 12  del  d.lgs.  n. 157 del 2006 violerebbe,
pertanto,   l'art. 117,   terzo   comma,   Cost.,   incidendo  «sullo
svolgimento delle funzioni, attinenti al governo del territorio, alla
valorizzazione  dei  beni  culturali  ed  ambientali,  riservate alla
potesta' concorrente delle Regioni».
    Inoltre, sussisterebbe il contrasto con l'art. 118 Cost. e con il
principio di leale collaborazione, giacche' l'individuazione dei beni
da tutelare ed il regime di tutela, in quanto incidenti su competenze
regionali,  «dovrebbero essere statuiti d'intesa con le Regioni». Del
resto, la concreta individuazione delle aree da tutelare era rimessa,
secondo  il d.lgs. n. 42 del 2004, al piano paesaggistico, che veniva
elaborato dalle Regioni d'intesa con lo Stato.
    La  norma censurata sarebbe affetta, infine, dal vizio di eccesso
di  delega in violazione dell'art. 76 Cost., in quanto - diversamente
dalle limitate integrazioni e/o correzioni facoltizzate dall'art. 10,
comma 4,  della  legge  n. 137  del  2002  - introdurrebbe «rilevanti
innovazioni  rispetto  al  sistema  delineato  con l'approvazione del
d.lgs. n. 42/2004», cosi' da compromettere, come gia' evidenziato, le
prerogative  regionali  in  materia  di  governo  del territorio e di
valorizzazione dei beni ambientali.
    1.3. - Vengono,   poi,  denunciati:  l'art. 13,  che  sostituisce
l'art. 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, «con particolare riferimento al
comma 4  del  novellato art. 143 in esame, nella parte in cui prevede
che  il  parere  della Soprintendenza nel procedimento autorizzatorio
sia  oltre  che  obbligatorio anche vincolante, fino all'approvazione
del  piano paesaggistico elaborato di intesa»; nonche' l'art. 16, che
sostituisce  l'art. 146  del  d.lgs. n. 42 del 2004, «con particolare
riferimento  ai  commi 3  e  8  del  novellato  art. 146 in esame: il
comma 3,   nella   parte   in   cui   prevede  che  il  parere  della
Soprintendenza,   ai   fini   autorizzatori,  e'  sempre  vincolante,
allorche'  la  regione  abbia  delegato le funzioni amministrative ai
comuni;  il  comma 8,  laddove prevede che, fino all'approvazione del
piano   paesaggistico   elaborato   di   intesa,   il   parere  della
Soprintendenza, ai fini dell'autorizzazione, e' vincolante».
    Le  censurate disposizioni impongono la vincolativita' del parere
espresso  dalla  soprintendenza,  in  sede  di  procedimento  per  il
rilascio  dell'autorizzazione  paesaggistica, nelle seguenti ipotesi:
a)   allorche'   il  piano  paesaggistico  non  sia  stato  elaborato
congiuntamente  tra  Stato  e Regione (art. 143, comma 4, e art. 146,
comma 8,    come    sostituiti,   rispettivamente,   dall'art. 13   e
dall'art. 16  del d.lgs. n. 157 del 2006) secondo quanto previsto dal
novellato art. 143, comma 3 (ossia: stipula dell'intesa Stato-Regione
per   l'elaborazione   congiunta  del  Piano  paesaggistico;  accordo
preliminare sul contenuto del Piano; approvazione del Piano elaborato
congiuntamente da parte della Regione; eventuale esercizio del potere
sostitutivo  da  parte dello Stato in caso di inerzia della Regione);
b)  ove  la  Regione decida - in deroga a quanto stabilito dal Codice
dei  beni culturali e del paesaggio attualmente vigente - di affidare
le  funzioni  in  materia di autorizzazione paesaggistica ai comuni e
non  alle  province  e/o comunque ad enti aventi ambito sovracomunale
(art. 146,  comma 3,  come  sostituito dall'art. 16 del d.lgs. n. 157
del 2006).
    Secondo  la  Regione  Toscana,  siffatta disciplina comporterebbe
«un'illegittima  ingerenza  dello Stato nelle funzioni amministrative
in  materia  di  autorizzazioni paesaggistiche affidate, per espressa
disposizione dello stesso Codice, alle Regioni». Infatti, l'art. 146,
comma 2,  del  d.lgs. n. 42 del 2004, come sostituto dall'art. 16 del
d.lgs. n. 157 del 2006, obbliga i proprietari, possessori o detentori
a  qualsiasi  titolo dei beni indicati al comma 1, a «sottoporre alla
regione o all'ente locale al quale la regione ha delegato le funzioni
i  progetti  delle  opere  che  intendano  eseguire,  corredati della
documentazione prevista, affinche' ne sia accertata la compatibilita'
paesaggistica  e  sia  rilasciata  l'autorizzazione  a  realizzarli».
Sicche',    osserva    la   ricorrente,   «vincolare   la   decisione
sull'autorizzazione    paesaggistica    alle   determinazioni   della
soprintendenza  significa  privare  la  regione, e/o l'ente da questa
individuato,  dell'effettivo  esercizio della funzione autorizzatoria
in  parola»,  affidandola,  di fatto, allo Stato. Peraltro, la stessa
Corte  costituzionale,  con  la sentenza n. 183 del 2006, ha ritenuto
«legittimo il parere vincolante della Soprintendenza nei procedimenti
di  accertamento  di  conformita'  paesaggistica  degli  abusi,  solo
perche' limitato ai profili penali», mentre le censurate disposizioni
non  investono  ambiti  di  rilevanza  penale,  ma riguardano «ambiti
attribuiti  alla  competenza  concorrente  delle  regioni,  quali  il
governo del territorio (in particolare sotto i profili urbanistico ed
edilizio)  e la valorizzazione dei beni ambientali, oltre ad incidere
pesantemente    sulla   potesta'   autorizzatoria   regionale»,   con
conseguente violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    Ad avviso della ricorrente, l'intervento dello Stato non potrebbe
giustificarsi in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
giacche' «il paesaggio, cosi' come l'ambiente, va configurato come un
«valore»  costituzionalmente protetto, ossia come ambito materiale la
cui  tutela  e'  idonea a investire trasversalmente una pluralita' di
materie,   al   cui   perseguimento   sono  chiamati  a  contribuire,
nell'ambito  delle  rispettive competenze, tutti livelli territoriali
di  governo»; la competenza statale relativa alla tutela ambientale e
paesaggistica  non  potrebbe,  quindi,  «intervenire in maniera cosi'
incisiva  -  come  e' nel caso di specie - nelle attribuzioni proprie
delle  regioni». Inoltre, imporre per il rilascio dell'autorizzazione
il  parere  vincolante  della soprintendenza significherebbe impedire
alla  Regione - o agli enti locali cui la Regione abbia trasferito le
funzioni - «di far valere eventualmente diverse valutazioni in ordine
alla  compatibilita'  dell'opera  proposta»,  cosi'  da  allocare  la
funzione  di  valutare detta compatibilita' in capo allo Stato, senza
pero'  che  sussistano  esigenze  di carattere unitario e, dunque, in
violazione  dell'art. 118 Cost. Peraltro, il contrasto con l'art. 118
Cost.  sussisterebbe  in  ogni  caso,  per  la  mancata previsione di
adeguate  procedure d'intesa con le Regioni, «invece imprescindibili,
in   caso   di   allocazione  in  capo allo  Stato  di  funzioni  che
interferiscono  con materie di competenza regionale», come avverrebbe
nel  caso  di  specie in quanto «la valutazione in ordine al rilascio
dell'autorizzazione   paesaggistica   incide   anche,   e   in   modo
consistente,   sull'assetto   urbanistico   ed   edilizio   e   sulla
pianificazione territoriale».
    La  Regione  Toscana  sostiene,  infine,  che  anche i denunciati
artt. 13 e 16 del d.lgs. n. 157 del 2006 violerebbero l'art. 76 Cost.
per eccesso di delega, giacche' apporterebbero «rilevanti innovazioni
al  previgente  d.lgs.  n. 42/2004», in contrasto con i principi ed i
criteri direttivi di cui all'art. 10, comma 4, della legge n. 137 del
2002.
    1.4. - La ricorrente impugna, altresi', l'art. 16 che sostituisce
l'art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, «con particolare riferimento al
comma 3  del  novellato  art. 146  in esame, in quanto prevede che la
regione   deleghi   le   funzioni   in   materia   di  autorizzazione
paesaggistica alle province e/o a forme associative sovracomunali».
    La  disposizione  denunciata porrebbe un vincolo alle Regioni che
decidano  di  non esercitare direttamente la funzione autorizzatoria,
giacche'   individua   «ex  lege  i  possibili  destinatari  di  tali
competenze   nelle   province   e/o  nelle  forme  associative  e  di
cooperazioni degli enti locali di livello sovracomunale».
    La  ricorrente  rammenta  che gia' l'art. 82 del d.P.R. 24 luglio
1977,  n. 616  (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge
22 luglio   1975,   n. 382),  attribuiva  alle  Regioni  le  funzioni
amministrative  riguardanti  la gestione del vincolo paesaggistico e,
quindi,  la  competenza  in  ordine  al  rilascio dell'autorizzazione
paesaggistica;  competenza  che  e'  stata  confermata dall'art. 146,
comma 2,   del  d.lgs.  n. 42  del  2004,  anche  nella  formulazione
modificata dallo stesso art. 16 del d.lgs. n. 157 del 2006. Peraltro,
si  argomenta  ancora  nel  ricorso, la Regione Toscana, con la legge
regionale 2 novembre 1979, n. 52 (Sub-delega ai comuni delle funzioni
amministrative  riguardanti  la  protezione delle bellezze naturali),
«ha  dapprima  sub-delegato  ai  comuni le funzioni autorizzatorie in
parola  [...]  ed  ha  quindi  confermato la competenza dei comuni al
rilascio  delle autorizzazioni con la recente l.r. 1/2005 (artt. 87 e
ss.)».
    Sicche',  ad  avviso  della  ricorrente,  la norma denunciata, in
violazione   degli  artt. 117  e  118  Cost.,  lederebbe  l'autonomia
regionale    nell'organizzazione    delle   funzioni   autorizzatorie
attribuite dallo stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio.
    Inoltre,  il  censurato  art. 16  reintrodurrebbe «il concetto di
"delega" delle funzioni amministrative non piu' ammessa dall'art. 118
Cost. il quale prevede il pieno conferimento delle funzioni agli enti
locali   nel   rispetto   dell'art. 114   Cost.   che   sancisce   la
equi-ordinazione degli enti medesimi».
    Infine,  sussisterebbe anche il contrasto con l'art. 76 Cost. per
eccesso di delega per le medesime ragioni in precedenza evidenziate.
    1.5. - La Regione censura, poi, l'art. 25 che modifica l'art. 157
del  d.lgs. n. 42 del 2004, inserendo, al comma 1, la lettera f-bis),
«nella  parte  in cui stabilisce che conservano efficacia a tutti gli
effetti  i  provvedimenti  di  imposizione dei vincoli paesaggistici,
emanati in attuazione della legge n. 431/1985».
    La   norma  denunciata  «reintroduce  la  validita'  dei  vincoli
paesaggistici  imposti in via transitoria, con i decreti ministeriali
emanati  ai  sensi  della  legge Galasso» e, tuttavia, «detti vincoli
risultano, quanto meno con riferimento alla Regione Toscana, superati
e/o ridefiniti attraverso la pianificazione paesaggistica».
    La  ricorrente  sostiene  che  ripristinare  i  vincoli predetti,
«anche  in contrasto con i piani paesaggistici gia' predisposti dalle
regioni,  a  prescindere  da  una concreta valutazione dell'effettiva
esigenza  di  tutela  dei  beni in questione, determina evidentemente
un'inammissibile  ingerenza  nelle  funzioni  regionali in materia di
governo  del  territorio  e  di  valorizzazione dei beni ambientali e
culturali»;   cio',   peraltro,  senza  la  previsione  di  forme  di
concertazione  idonee  con  le  stesse  Regioni.  Di  qui, la dedotta
violazione  degli  artt. 117  e  118  Cost.  e del principio di leale
collaborazione.
    Infine, per le stesse ragioni innanzi illustrate, sarebbe violato
l'art. 76 Cost. per eccesso di delega.
    1.6. - Da  ultimo,  la  Regione  Toscana  impugna  l'art. 26  che
sostituisce  l'art. 159  del  d.lgs. n. 42 del 2004, «con particolare
riferimento  al  comma 3  del  novellato art. 159 in esame, in quanto
estende  il  potere di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica
da parte della Soprintendenza, anche per motivi di merito».
    La  norma  predetta  rafforzerebbe il potere della soprintendenza
nel    rilascio    delle    autorizzazioni    paesaggistiche,    sino
all'adeguamento  del  piano  paesaggistico  elaborato  d'intesa dalla
Regione  con  lo  Stato,  giacche'  - diversamente da quanto previsto
dall'originario   d.lgs.   n. 42   del   2004   -  introdurrebbe  «la
possibilita'  della  Soprintendenza di intervenire per l'annullamento
delle  autorizzazioni  rilasciate  dall'ente competente, alla luce di
valutazioni    non    piu'    solo    attinenti   alla   legittimita'
dell'autorizzazione    ma   anche   al   merito   del   provvedimento
autorizzatorio».
    Vi  sarebbe,  pertanto,  «un  inammissibile  accentramento  delle
funzioni in materia di autorizzazione paesaggistica, la cui effettiva
gestione  e'  in  definitiva  individuata  in capo allo Stato (per il
tramite  delle  Soprintendenze)»,  in  assenza  «di  adeguati modelli
concertativi aderenti al principio di leale collaborazione».
    Donde  la  violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio
di leale collaborazione.
    La  ricorrente  sostiene, infine, che anche il denunciato art. 26
contrasterebbe, per le ragioni gia' evidenziate, con l'art. 76 Cost.,
per eccesso di delega.
    2. - Con  ricorso  notificato  il  23 giugno 2006 e depositato il
successivo  28  giugno,  la  Regione  Calabria,  previa  richiesta di
sospensione  ai  sensi dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
ha  promosso,  con riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., in relazione
all'art. 10 della legge n. 137 del 2002, e agli artt. 114, 117, 118 e
119 Cost., nonche' al principio di leale collaborazione, questione di
legittimita'  costituzionale  di  numerose  disposizioni  del decreto
legislativo 24 marzo 2006, n. 157.
    In  particolare, sono denunciati gli artt. 1, 5, 7, 8, 9, 10, 11,
12,  13,  14,  16, 18, 27, 28 e 29, nella parte in cui sostituiscono,
modificano  e/o  integrano gli artt. 5, 135, 137, 138, 139, 140, 141,
142,  143,  144, 146, 148, 167, 181 e 182 del d.lgs. 22 gennaio 2004,
n. 42, «nei limiti meglio appresso indicati».
    La  portata  delle  denunce  e',  difatti, cosi' delimitata dalla
ricorrente:
        quanto  all'art. 1,  si  censura  la sostituzione all'art. 5,
comma 6,   delle  parole  «conferite  alle  regioni»  con  le  parole
«esercitate  dallo Stato e dalle regioni», ed al comma 7 delle parole
«di cui ai» con le parole: «esercitate dalle regioni ai sensi dei»;
        quanto  all'art. 5,  si  censura  l'introduzione  del comma 3
dell'art. 135, nonche' il comma 1, nella parte in cui inserisce nuove
competenze statali;
        quanto  all'art. 7,  si censura il comma 2 del nuovo art. 137
ove  dispone che le Commissioni regionali sono composte anche da «due
dirigenti  preposti  agli  uffici  regionali competenti in materia di
paesaggio. I restanti membri, in numero non superiore a quattro, sono
nominati  dalla  regione  tra soggetti con qualificata, pluriennale e
documentata   professionalita'   ed   esperienza   nella  tutela  del
paesaggio,  eventualmente  scelti  nell'ambito  di  terne  designate,
rispettivamente,  dalle  universita' aventi sede nella regione, dalle
fondazioni  aventi  per  statuto finalita' di promozione e tutela del
patrimonio  culturale  e  dalle  associazioni portatrici di interessi
diffusi  individuate  ai  sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio
1986,   n. 349.   Decorsi   infruttuosamente  sessanta  giorni  dalla
richiesta di designazione, la regione procede comunque alle nomine»;
        quanto  all'art. 8, si censura il comma 3 del nuovo art. 138,
ove  dispone che «La commissione delibera entro sessanta giorni dalla
presentazione  dell'atto  di  iniziativa. Decorso infruttuosamente il
predetto termine, la proposta e' formulata dall'organo richiedente o,
in  mancanza,  dagli  altri  soggetti  titolari  di  organi statali o
regionali  componenti  della commissione, entro il successivo termine
di trenta giorni»;
        quanto  all'art. 9, si censura il comma 5 del nuovo art. 139,
ove  riduce  da  60  a  30  giorni  il  termine  per  comuni,  citta'
metropolitane e province per presentare osservazioni e documenti;
        quanto all'art. 10, si censura il comma 1 del nuovo art. 140,
nella  parte  in  cui  fissa  alla  Regione  un termine perentorio di
sessanta   giorni   dalla   data  di  scadenza  dei  termini  di  cui
all'articolo 139, comma 5, per l'emanazione del provvedimento;
        quanto all'art. 11, si censura il comma 1 del nuovo art. 141,
nella  parte  in  cui rinvia ai termini fissati dagli artt. 138 e 139
(nella nuova formulazione);
        quanto all'art. 12, si censura l'alinea del comma 1 del nuovo
art. 142,  nella parte in cui dispone che «Sono comunque di interesse
paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo»;
        quanto all'art. 13, si censura il comma 3 del nuovo art. 143,
nella  parte  in  cui  dispone che «Entro i novanta giorni successivi
all'accordo  il  piano  e'  approvato  con  provvedimento  regionale.
Decorso  inutilmente  tale  termine,  il  piano  e'  approvato in via
sostitutiva   con   decreto   del   Ministro,   sentito  il  Ministro
dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio», ed il comma 4, ove
prevede  che,  nel caso in cui il piano sia stato approvato a seguito
dell'accordo  di  cui  al comma 3, nel procedimento autorizzatorio di
cui agli articoli 146 e 147, sia obbligatorio (pur se non vincolante)
il parere del soprintendente, prima non previsto;
        quanto   all'art. 14,   si   censura  l'aggiunta  al  comma 1
dell'art. 144,  che  prevede:  «A  tale  fine le regioni disciplinano
mediante  apposite  norme  di  legge i procedimenti di pianificazione
paesaggistica,   in   particolare   stabilendo   che   a   fare  data
dall'adozione  o  approvazione  preliminare del piano, da parte della
giunta  regionale  o del consiglio regionale, non sono consentiti per
gli  immobili e nelle aree di cui all'articolo 134 tali interventi in
contrasto  con  le prescrizioni di tutela per essi previste nel piano
stesso»;
        quanto  all'art. 16,  si  censura la modifica al comma 10 del
previgente  art. 146  (ora  diventato  comma 12),  nella parte in cui
dall'espresso  divieto di rilascio di autorizzazione paesaggistica in
sanatoria   vengono   ora   espressamente  esclusi  i  «casi  di  cui
all'articolo 167,  commi 4  e  5», nonche' il comma 8, nella parte in
cui  introduce un parere vincolante del soprintendente ed il comma 3,
nella parte in cui disciplina eccessivamente in dettaglio la facolta'
di delega delle Regioni;
        quanto  all'art. 18, si censura la previsione del comma 2 del
nuovo  art. 148,  nella  parte  in  cui individua le Commissioni come
«competenti  per  ambiti  sovracomunali,  in  modo  da  realizzare il
necessario coordinamento paesaggistico»;
        quanto  all'art. 27,  si  censura  la  previsione del comma 4
dell'art. 167,  nella  parte  in  cui  consente ora l'accertamento di
compatibilita'  paesaggistica  per gli stessi lavori compiuti dopo il
30 settembre  2004,  che  sono  elencati  secondo lo stesso testo del
comma 1-ter  dell'art. 181  del  d.lgs.  n. 42  del  2004, nonche' il
successivo  comma 5,  che consente di presentare in qualunque momento
«apposita domanda all'autorita' preposta alla gestione del vincolo ai
fini   dell'accertamento  delle  compatibilita'  paesaggistica  degli
interventi  medesimi»,  ma  dispone  che  «qualora venga accertata la
compatibilita'  paesaggistica, il trasgressore e' tenuto al pagamento
di  una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e
il profitto conseguito mediante la trasgressione», mentre «in caso di
rigetto  della domanda si applica la sanzione demolitoria», e precisa
altresi'   che  «la  domanda  di  accertamento  della  compatibilita'
paesaggistica  presentata ai sensi dell'articolo 181, comma 1-quater,
si  intende  presentata  anche  ai  sensi e per gli effetti di cui al
presente comma», nonche' il comma 6, nella parte in cui sottrae somme
precedentemente    assegnate    alle    amministrazioni   competenti,
sostituendo  il  riferimento  all'art. 1, comma 37, lettera b), n. 1,
della  legge  15 dicembre  2004,  n. 308  (Delega  al  Governo per il
riordino,  il  coordinamento  e  l'integrazione della legislazione in
materia ambientale e misure di diretta applicazione);
        quanto  all'art. 28,  si  censura  la modifica dell'art. 181,
comma 1-ter,  del  d.lgs.  n. 42  del  2004,  nella  parte  in cui ha
soppresso     l'applicazione     delle    «sanzioni    amministrative
ripristinatorie»;
        quanto  all'art. 29,  viene  censurato,  nella  parte  in cui
aggiunge  all'art. 182  il  comma 3-bis,  secondo  cui  «In deroga al
divieto    di   cui   all'articolo 146,   comma 12,   sono   conclusi
dall'autorita'  competente  alla gestione del vincolo paesaggistico i
procedimenti relativi alle domande di autorizzazione paesaggistica in
sanatoria presentate entro il 30 aprile 2004 non ancora definiti alla
data  di  entrata  in  vigore del presente comma, ovvero definiti con
determinazione  di improcedibilita' della domanda per il sopravvenuto
divieto,    senza   pronuncia   nel   merito   della   compatibilita'
paesaggistica   dell'intervento.  In  tale  ultimo  caso  l'autorita'
competente  e'  obbligata,  su  istanza  della  parte  interessata, a
riaprire  il  procedimento  ed  a  concluderlo  con atto motivato nei
termini    di    legge.    Si    applicano   le   sanzioni   previste
dall'articolo 167, comma 5», e il comma 3-ter, ai sensi del quale «Le
disposizioni  del  comma 3-bis  si  applicano  anche  alle domande di
sanatoria presentate nei termini ai sensi dell'articolo 1, commi 37 e
39,   della   legge  15 dicembre  2004,  n. 308,  ferma  restando  la
quantificazione  della  sanzione  pecuniaria ivi stabilita. Il parere
della  soprintendenza  di  cui  all'articolo 1, comma 39, della legge
15 dicembre 2004, n. 308, si intende vincolante».
    2.1. - La   Regione   Calabria  argomenta,  in  via  preliminare,
sull'interesse  che  sorreggerebbe  il  proposto  ricorso, assumendo,
anzitutto,  che - alla stregua dell'art. 117, terzo comma, Cost. (ove
prevede la competenza concorrente regionale in tema di valorizzazione
dei beni ambientali), dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. (ove
prevede,  in  materia  di  edilizia  ed  urbanistica,  la  competenza
residuale  delle  Regioni)  e  dell'art. 118 (in ordine alle funzioni
proprie  degli  enti  locali  in ordine al governo delle destinazioni
urbanistiche  del  territorio) - alle «regioni ed agli enti locali e'
oggi   riconosciuta  al  riguardo  una  competenza  legislativa  (e/o
amministrativa)  piu'  ampia,  per  oggetto,  di  quella  contemplata
nell'originario  testo  dell'art. 117 Cost.». Malgrado cio', sostiene
la  ricorrente,  «le  norme  impugnate  incidono  pesantemente  sulle
competenze pianificatorie regionali [...] e sulla possibilita' per la
regione di disciplinare autonomamente i correlati procedimenti per la
parte  che  le  compete,  ponendo  vincoli  eccessivamente stringenti
(anche  sotto  il  profilo  temporale) ai margini operativi dell'ente
regionale,  vanificando la legislazione regionale adottata in materia
(nel  caso  di  specie,  leggi  regionali  nn. 19/2002  e  10/2003) e
compatibile  con  la  precedente formulazione, nonche' sulle funzioni
proprie  di  comuni  e province, ex artt. 114 e 118 Cost.». Si pensi,
infatti, alla nuova formulazione dell'art. 142, comma 1, che comporta
«il  ritorno  ad  una  illimitata  vigenza del vincolo gravante sulle
categorie   di   beni  individuati  dalla  legge  Galasso,  non  piu'
condizionata   dalla  approvazione  del  piano  paesistico»;  ovvero,
ancora,  alla  modifica  dell'art. 5  da parte dell'art. 1 del d.lgs.
n. 157  del 2006, che ha determinato «un complessivo arretramento del
livello  delle  funzioni pianificatorie proprie delle regioni, che la
precedente formulazione - in linea di continuita' con quanto disposto
dal  d.P.R.  n. 8/1972 -  riteneva  competessero  esclusivamente alle
regioni».
    Peraltro,  si  deduce ancora nel ricorso, la normativa oggetto di
denuncia  escluderebbe  «totalmente  i  comuni  dalla possibilita' di
gestire  i  vincoli  urbanistici  ed  ambientali all'interno del loro
territorio»  ed imporrebbe «sia all'ente regione sia agli enti locali
presenti  nella  regione  ambiti  territoriali  predeterminati  senza
alcuna  logica».  Ed  inoltre,  afferma  sempre  la  ricorrente,  «il
sostanziale  allentamento  del vincolo e la riduzione delle sanzioni,
con  conseguente  maggiore  possibilita' di ottenere la sanatoria per
"lavori  di  qualsiasi natura" realizzati in zona vincolata, non solo
dal  punto  di  vista strettamente ambientale, ma anche, in concreto,
sotto   il  profilo  urbanistico  (si  veda,  ad  esempio,  la  nuova
formulazione  dell'art. 146, comma 12), incide non solo sulla materia
del  governo  del  territorio, ma anche sulla valorizzazione dei beni
ambientali,  la  cui  fruibilita'  sara' obiettivamente ridotta dalla
piu'  semplice  e quasi automatica concessione della sanatoria a fini
ambientali,  con conseguente - in ipotesi di opere edilizie - maggior
carico  urbanistico  in  zone  protette,  e conseguente maggior onere
anche  finanziario  per  tutti gli enti regionali e sub regionali». E
cio' in quanto si sarebbe «in concreto introdotta una "condonabilita'
edilizia  permanente",  che  prima  delle  modifiche apportate con il
d.lgs.  n. 157/2006  non  era  possibile  ottenere  anche  per  abusi
commessi   in   zona  vincolata,  dal  momento  che  il  rilascio  di
"autorizzazioni    paesaggistiche    postume"    o    "autorizzazioni
paesaggistiche in sanatoria" e' sempre stato escluso dalla disciplina
previgente».
    La  Regione  Calabria  sostiene,  quindi,  che  sarebbe  evidente
l'«arretramento  rispetto  a  posizioni  ormai  ritenute  acquisite»,
richiamando  a  tal fine la disciplina recata dal decreto legislativo
n. 112  del  1998  e, segnatamente, gli artt. 5, 52, 54, 56, 57 e 73,
«che  illustrano  perfettamente  l'inammissibile regresso in punto di
competenze regionali operato dalla norme censurate».
    Infine,  la ricorrente evidenzia che «la sanatoria sopra indicata
e   la   modifica   all'art. 167,   comma 6,   operata  dall'art. 27,
sottraggono  risorse  alla  regione agli enti locali, comportando per
contro spese particolarmente ingenti e di vario genere a carico della
regione  e  degli  enti  locali, a fronte di una compartecipazione al
gettito   delle   operazioni   di  sanatoria  realmente  esigua,  con
conseguente violazione dell'art. 119 Cost.».
    2.2. - Tanto  premesso  in  punto  di  interesse  a ricorrere, la
Regione  ricorrente  deduce  che  «le  norme sopra indicate» violano,
anzitutto, gli artt. 76 e 77 Cost. - in riferimento all'art. 10 della
legge  n. 137  del  2002  nonche'  il «principio di effettiva e leale
collaborazione».
    La   ricorrente,  richiamando  i  pareri  resi  dalla  Conferenza
unificata  in  sede  di  approvazione  del d.lgs. n. 157 del 2006, in
forza  di  quanto  previsto dall'art. 10, comma 3, della legge n. 137
del  2002,  afferma  che,  diversamente da quanto avvenuto in sede di
approvazione  del  d.lgs. n. 42 del 2004, «il Ministero ha sottoposto
alle  Regioni un articolato autonomamente definito da una Commissione
di  esperti,  senza  alcun  preliminare  confronto,  che aveva invece
caratterizzato   l'approvazione  del  c.d.  "Codice  Urbani"».  Donde
l'evidente  contrasto delle norme impugnate con il principio di leale
collaborazione,  che  dovrebbe  avere  un  carattere di effettivita',
«pena la riduzione dello stesso ad uno sterile e vuoto rituale».
    Peraltro,  soggiunge  la  Regione Calabria, il comma 4 del citato
art. 10  della  legge  n. 137  del  2002  prevede  che  «Disposizioni
correttive  ed  integrative dei decreti legislativi di cui al comma 1
possono essere adottate, nel rispetto degli stessi principi e criteri
direttivi  e  con le medesime procedure di cui al presente articolo»;
sicche', non potrebbe revocarsi in dubbio «che l'iter procedurale che
ha  portato all'approvazione del d.lgs. n. 42 del 2004 sia totalmente
diverso  dall'iter  che  ha condotto all'approvazione delle norme qui
censurate».
    Ed  ancora,  secondo  la  ricorrente,  la  violazione della legge
delega  non si esaurirebbe «sotto l'invocato profilo procedimentale»,
giacche'  sussisterebbero  anche  «gravi violazioni sostanziali». Non
potrebbe  infatti  sostenersi  «che  le  norme dettagliatamente sopra
indicate  si  siano  limitate  a  "correggere  ed integrare" le norme
preesistenti»,  in  quanto  «esse  si  sostanziano  in  quanto segue:
l'introduzione  ex  novo di una dettagliata definizione del contenuto
dei   piani  paesistici  (art. 5);  il  regresso  dalla  attribuzione
esclusiva   alle   regioni   delle  funzioni  di  valorizzazione  del
territorio  al mero esercizio congiunto (art. 5); il porre un vincolo
prima  inesistente  alla  potesta'  legislativa regionale (art. 14) e
disciplinare  eccessivamente in dettaglio la facolta' di delega delle
regioni  (art. 16)  o l'ambito territoriale di riferimento (art. 18);
la  modifica  della  composizione delle Commissioni regionali, per le
quali  lo  stesso  Capo dell'Ufficio Legislativo del Ministero B.A.C.
riconosce  (p.  5  memoria  del  25 gennaio 2006) che la competenza a
disciplinare  le Commissioni "spetta alle regioni", salvo poi dettare
una   norma  di  eccessivo  dettaglio,  che  impedisce  alla  regione
qualunque  margine  di  autonomia  sul  punto (art. 7); fissazione di
termini  perentori  prima  non previsti e/o riduzione di termini gia'
fissati  ad  una  misura  assolutamente incongrua, con istituzione di
poteri   sostitutivi   in   capo al   Ministro   (artt. 8,  11,  13);
eliminazione  della  potesta'  pianificatoria regionale, riconosciuta
dalla   precedente  formulazione  "Fino  all'approvazione  del  piano
paesaggistico   ai  sensi  dell'articolo 156,  [...]"  (art. 12);  la
previsione  di  un parere obbligatorio prima non richiesto (art. 13);
l'aver introdotto, per i lavori relativi ad abusi di tipo formale, la
possibilita'   del   rilascio   della  "autorizzazione  paesaggistica
postuma".  Infatti,  ora  l'autorizzazione  paesaggistica puo' essere
rilasciata  "in  sanatoria" successivamente alla realizzazione, anche
parziale,   degli   interventi:  il  disposto  legislativo  suddetto,
infatti, non e' riferito all'art. 181 del "Codice" non attiene quindi
alla  "sanatoria"  dei  reati  penali,  ma  riguarda espressamente la
disciplina  urbanistica  della  "concessione  in sanatoria" per abusi
formali   in  zona  vincolata  di  cui  sia  stato  verificato  tanto
l'accertamento  di  conformita'  urbanistica quanto l'accertamento di
compatibilita'    paesaggistica    mediante    il    rilascio   della
autorizzazione  paesaggistica postuma (art. 16); l'introduzione di un
parere vincolante, peraltro con riferimento ad altra norma (art. 143,
comma 4), che invece prevede un parere obbligatorio ma non vincolante
(sempre  l'art. 16);  la  soppressione  delle sanzioni amministrative
ripristinatorie  (art. 28);  l'introduzione della sopra indicata (con
formula  sintetica)  condonabilita'  permanente  (artt. 27  e 29); la
sottrazione di risorse precedentemente assegnate (art. 27)».
    Ad   avviso   della  Regione  Calabria,  un  ulteriore  argomento
conforterebbe  la  dedotta  violazione della delega, e cioe' il fatto
che  «a  fine 2004,  per  apportare  alcune  modifiche sostanziali al
d.lgs.  42/2004,  il Legislatore - ritenuta evidentemente esaurita la
delega concessa al Governo - ha sostituito e/o modificato i commi 3 e
4  dell'art. 167,  nonche'  aggiunto  i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater
dell'art. 181  con  la  legge  15 dicembre 2004, n. 308». Sicche', il
legislatore  delegato non solo avrebbe «attivato impropriamente - per
apportare  modifiche  rivoluzionarie  all'intero corpo normativo - la
potesta'  "integrativa"  ormai esaurita, ma ha addirittura modificato
alcune  delle  modifiche  apportate  direttamente dal Parlamento». In
particolare,   l'art. 27   avrebbe   riformulato   i   commi 3   e  6
dell'art. 167, gia' inseriti - con diversa numerazione - dall'art. 1,
comma 36,  lettere a)  e  b)  della  legge  n. 308  del  2004; mentre
l'art. 28  avrebbe  soppresso alcune previsioni inserite dall'art. 1,
comma 36,  lettera c),  della  legge  15 dicembre  2004,  n. 308,  ed
implicitamente abrogato il comma 39 della medesima legge.
    In  definitiva,  le  norme  denunciate  avrebbero «comportato una
complessiva   rinconsiderazione   ab   imis  della  materia,  con  un
considerevole  ampliamento  dei  compiti  dello  Stato  rispetto alle
funzioni  attribuite  alle  regioni dal testo previgente, regioni che
dovranno  subire  (unitamente  agli  enti locali) gli effetti - anche
sotto  il  profilo  di  un maggiore e non previsto aggravio di carico
delle   proprie   strutture  amministrative  -  della  indiscriminata
sanatoria sopra esposta».
    2.3. - Secondo  la  ricorrente,  sarebbero  vulnerati  anche  gli
artt. 114,  117  e  118 Cost., giacche', in costanza della competenza
regionale  e  comunale  «in materia di interventi di pianificazione e
controllo  locale», le norme denunciate ridurrebbero «drasticamente i
margini  di  autonomia  delle  regioni  e  degli enti locali, i quali
saranno  costretti  a  subire,  anziche'  governare,  le destinazioni
urbanistiche  del  territorio  e la ridotta valorizzabilita' dei beni
ambientali,   con   un   radicale   svuotamento   del   principio  di
sussidiarieta».
    In   particolare,  verrebbe  ancora  in  rilievo  «la  previsione
(artt. 8,   11   e   13)   di   termini  concretamente  troppo  brevi
(rispettivamente, 30, 60 e 90 gg.) alla luce della complessita' delle
valutazioni richieste agli enti interessati».
    Inoltre,  i poteri sostitutivi in capo al Ministero (previsti, ad
esempio  dall'art. 11,  in  relazione alla proposta di istituzione di
nuovi   vincoli   paesaggistici)   contrasterebbero  con  i  principi
affermati    dalla    giurisprudenza   costituzionale   in   materia,
«soprattutto   in  relazione  alla  mancata  previsione  di  adeguate
garanzie  procedurali in favore dell'ente "sostituito" in ordine alla
possibilita'   di   interloquire  col  Ministero  (ord.  Corte  cost.
n. 53/2003),    fondandosi   l'esercizio   del   potere   sostitutivo
esclusivamente  sul  decorso dei brevissimi termini sopra indicati, e
in  ordine  alla  tipologia  di  attivita'  per le quali il potere e'
azionabile,  non  risultando  rivolto  -  nel  caso  di  specie  - al
compimento "di atti o attivita' prive di discrezionalita'"».
    Ed  ancora, la previsione di un parere vincolante, in riferimento
ad  una disposizione (art. 143, comma 4) che invece prevede un parere
obbligatorio    ma    non    vincolante    (art. 16),   comporterebbe
«l'istituzione  di  un  sindacato  di  merito  che priva di qualunque
autonomia» le Regioni e gli enti locali.
    Per  di  piu',  sostiene  sempre  la  Regione ricorrente, le gia'
evidenziate    innovazioni    introdotte    dalle   norme   censurate
sembrerebbero  «tutte finalizzate [...] a ridurre i margini di azione
riconosciuti   dalla   precedente  formulazione  principalmente  alle
regioni  (sia  sotto  il  profilo  normativo  che  sotto  il  profilo
amministrativo,  soprattutto in materia di delega) ed anche agli enti
locali,  nonche'  ad imporre - a seguito delle innovazioni introdotte
dagli  artt. 16,  27, 28 e 29 [...] - ai medesimi enti carichi (anche
finanziari,  sia  in  termine  di  riduzione  di trasferimenti sia in
termini   di   mancate  entrate  per  ridotta  fruibilita'  dei  beni
ambientali)  in relazione ai quali non viene riconosciuto loro alcuna
concreta incidenza».
    La  Regione Calabria deduce, infine, la sussistenza del contrasto
delle  norme  impugnate  con  l'art. 119  Cost.,  il cui quarto comma
afferma  che  «le  normali  entrate  dei comuni devono consentire "di
finanziare  integralmente  le  funzioni  pubbliche loro attribuite"»;
mentre,  «la  modifica  (da  "per  effetto dell'articolo 1, comma 38,
secondo   periodo"   a   "per   effetto   dell'articolo 1,  comma 37,
lettera b),   n. 1),   della   legge   15 dicembre   2004,   n. 308")
dell'art. 167 comporta una illegittima sottrazione di risorse».
    2.4. - Da  ultimo, quanto alla proposta istanza di sospensione ai
sensi dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953, la ricorrente sostiene
che  sussisterebbe  «la  ragionevole possibilita' nelle more di veder
conformare  rapporti  in base ad una normativa la cui legittimita' e'
contestata,  e  cio'  determinerebbe  una situazione di fatto tale da
rendere  assai  difficile  e costoso riportare lo status quo ante nel
caso  di  esito  positivo  della  decisione  nel  merito,  mentre non
deriverebbe   nessun   pregiudizio  ad  interessi  costituzionalmente
garantiti ove invece quest'ultima fosse sospesa».
    3. - Con  ricorso  notificato  il  26 giugno 2006 e depositato il
successivo 30 giugno, la Regione Piemonte ha promosso, in riferimento
agli  artt. 76,  97,  117,  118  e 120 Cost., nonche' ai «principi di
leale  collaborazione, sussidiarieta', adeguatezza, proporzionalita',
buon   andamento   della   Pubblica  Amministrazione»,  questioni  di
legittimita'   costituzionale   di  varie  disposizioni  del  decreto
legislativo 24 marzo 2006, n. 157 e, segnatamente, «degli artt. 1, 5,
8,  10,  11,  12,  13,  16,  24  in quanto modificano e sostituiscono
rispettivamente  gli  artt. 5, 135, 138, 140, 141, 142, 143, 146, 156
del d.lgs. n. 42/2004».
    3.1. - La  ricorrente  osserva,  anzitutto, che la Conferenza dei
presidenti  delle  Regioni  e delle Province autonome ha espresso, in
data  26 gennaio  2006,  parere  sullo  schema di decreto legislativo
recante disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo
del  22 gennaio  2004, n. 42, evidenziando «gravi rilievi di negativo
giudizio  per il metodo e per il merito». Nel richiamare il contenuto
di detto parere, la Regione Piemonte sostiene che i «rilievi espressi
dalle  regioni non hanno avuto seguito alcuno», cio' determinando una
«puntuale  violazione  del  procedimento  di  formazione  delle norme
considerate  con  riguardo  ai limiti ed alle specifiche prescrizioni
della  legge  di  delega,  integrandosi violazione dell'art. 76 della
Costituzione»,   oltre   al  contrasto  con  il  principio  di  leale
collaborazione  per  le «modalita' concrete con le quali si e' svolto
il  procedimento  ed  in  relazione  altresi' all'affidamento riposto
dalle   regioni  nelle  modalita'  di  concertazione  precedentemente
attuate con il Ministro competente».
    L'assenza  del  dovuto  confronto  con  le Regioni e le autonomie
locali  avrebbe comportato, secondo la difesa della Regione Piemonte,
«un'impostazione   fortemente  accentratrice  sulle  attivita'  degli
organi  statali  e  la  sottovalutazione  delle effettive esigenze di
integrazione  di  atti pianificatori attinenti a diversi oggetti e di
tempestivita'  e  puntualita'  di  atti  ed interventi gestionali sul
territorio».  E  cio'  proprio  in  materia  in  cui la compresenza e
l'intreccio  di  competenze  statali  e  regionali  avrebbe richiesto
«necessariamente  un  modus operandi improntato al canone della leale
collaborazione»,  il  cui  mancato  rispetto  «si  riverbera su tutta
l'impostazione della novella considerata».
    Inoltre,  argomenta  sempre la Regione Piemonte, il d.lgs. n. 157
del  2006  avrebbe  «introdotto  una  serie di importanti innovazioni
modificando  significativamente  parti di disciplina con mutamento di
impostazione  e  di  contenuti essenziali, concretizzando esorbitanza
dai  limiti  della  legge  di  delega  come  sopra ricordati e quindi
violazione  dell'art. 76  Cost.  che rileva in ordine alle competenze
regionali,   che   vengono   sotto  piu'  aspetti  significativamente
compresse o pretermesse».
    Ed  ancora,  si  evidenzia  nel  ricorso,  il decreto legislativo
n. 157  del  2006  avrebbe proceduto «ad un rifacimento ex novo della
disciplina  della  parte  terza del Codice Urbani, senza apprezzabile
razionale  giustificazione  in  ordine  al  perseguimento di esigenze
unitarie  e  superando  senza tenerne conto la legislazione regionale
vigente  in  materia,  particolarmente  intesa  al  coordinamento  ed
integrazione   delle  diverse  competenze  settoriali,  insieme  alla
organizzazione  di funzioni gia' attuata nel territorio, in contrasto
anche   con   il   principio   di   buon   andamento  della  pubblica
amministrazione,   per   l'ingiustificato  rivolgimento  apportato  a
funzioni  e  procedure attualmente vigenti ed efficacemente operative
in ambito regionale».
    La ricorrente assume, altresi', che il principio di sussidarieta'
non    avrebbe    trovato    corretta   applicazione,   non   essendo
«oggettivamente giustificata da esigenze di considerazione unitaria a
livello nazionale degli interessi coinvolti» l'attrazione di funzioni
a  livello  statale compiuta dal decreto legislativo n. 157 del 2006,
senza  che,  peraltro,  siano  state  perseguite  procedure  di leale
collaborazione  e  di  intesa  per  la codeterminazione dei contenuti
interessanti anche l'ambito di competenza regionale.
    3.2. - Ad   avviso   della   Regione   Piemonte,   tali   rilievi
troverebbero  concretezza  nei  seguenti specifici profili di censura
concernenti le singole disposizioni denunciate.
    3.2.1. - L'art. 1,   comma 1,   lettera a),   reca   la  modifica
dell'art. 5,  comma 6,  del d.lgs. n. 42 del 2004, il quale, «in tema
di  cooperazione  delle regioni e degli enti pubblici territoriali in
materia   di  tutela  del  patrimonio  culturale,  aveva  sancito  il
conferimento alle regioni delle funzioni amministrative di tutela dei
beni  paesaggistici  in relazione alle disposizioni della parte terza
del  codice». La norma denunciata prevede, invece, che dette funzioni
amministrative  sono  «esercitate dallo Stato e dalle regioni», cosi'
da contemplare «una parallela competenza dello Stato che si estende a
tutti  gli  ambiti  amministrativi  considerati,  ben  al  di la' dei
compiti  essenziali  di tutela e di salvaguardia di valori, principi,
criteri  unitari»,  finendo  «per  soverchiare e comunque in sostanza
controllare  l'attivita'  amministrativa regionale anche in ambiti di
competenza di quest'ultima».
    3.2.2. - L'art. 5,  che  sostituisce  l'art. 135 del d.lgs. n. 42
del   2004,   determina   «una   significativa   modificazione  della
individuazione   dell'oggetto  della  pianificazione  paesaggistica»,
specificando,  ai commi 1 e 2, che il piano, pur riguardando l'intero
territorio  regionale,  deve procedere alla puntuale individuazione e
regolamentazione  d'uso  con  riferimento alle sole aree sottoposte a
vincolo  paesaggistico,  cosi'  da  abbandonare  «la  visione  di una
pianificazione volta alla tutela del valore paesaggistico diffuso del
territorio  per  tornare  ad  un pianificazione meramente strumentale
alla  conservazione  delle aree vincolate». Ne conseguirebbe, secondo
la  ricorrente,  che l'ambito di applicazione della pianificazione di
competenza    regionale    «diviene    residuale,    con   l'evidente
compromissione  del  significato e dell'utilita' dell'elaborazione di
piani   urbanistico-territoriali  con  valenza  paesaggistica»,  cio'
comportando   anche   una   «sostanziale   riduzione   dell'attivita'
pianificatoria  del  territorio nella sua complessita' e capacita' di
soddisfare piu' esigenze pubbliche e di salvaguardia dei valori della
tutela  del  paesaggio  e  dei  beni  culturali ed ambientali che sul
territorio  si  radicano  e  si  presentano  in  una molteplicita' di
aspetti anche al di la' delle aree sottoposte a vincolo». Inoltre, il
terzo  comma  dello  stesso  art. 135  oggetto  di modificazione «non
riporta  piu' l'obbligo per il piano paesaggistico di individuare gli
"obbiettivi   di   qualita'  paesaggistica"  quale  fondamento  della
disciplina di tutela e valorizzazione di ciascun ambito territoriale,
nonostante  che  cio'  sia  stabilito  dalla  Convenzione europea del
paesaggio,  peraltro  appena  ratificata  dallo Stato italiano con la
legge 9 gennaio 2006, n. 14».
    3.2.3. - La  Regione  Piemonte sostiene, altresi', che concorrano
ulteriormente  «alla  diminuzione  e  limitazione della portata delle
funzioni regionali di pianificazione paesaggistica le disposizioni di
cui  agli  artt. 142 e 143 del d.lgs. n. 42/2004 come sostituti dagli
artt. 12  e  13  del decreto impugnato». Sempre richiamando il citato
parere  della  Conferenza  unificata, nel ricorso si evidenzia che il
novellato  art. 142  reintroduce relativamente alle categorie oggetto
di tutela per legge «la illimitata vigenza del vincolo paesaggistico,
eliminando  la  competenza  del  piano  paesaggistico a specificare e
disciplinare  detti  ambiti,  sulla  base  di  analisi  puntuali  dei
contesti regionali e dei relativi elementi caratterizzanti».
    3.2.4. - In  riferimento,  poi, al novellato art. 143, questo, al
comma 1, presenta «le limitazioni gia' sopra rilevate con riferimento
all'art. 135»,  mentre,  ai  commi 3,  4  e  5,  impone  «in  maniera
perentoria l'obbligo delle regioni di elaborare i piani paesaggistici
congiuntamente  al  Ministero,  previa  conclusione  di  un  apposito
accordo,  al  fine  di  accedere  a  forme  di  semplificazione della
gestione  dei  vincoli,  peraltro  individuate  in modo piu' limitato
rispetto a quanto anteriormente previsto».
    3.2.5. - Quanto   al   regime  autorizzativo,  si  evidenzia  una
«accentuata  limitazione  degli  ambiti  di  autonomia legislativa ed
organizzativa  regionale,  anche rispetto al conferimento di funzioni
agli  enti  locali,  con  pervasivo vincolo alle determinazioni degli
organi  ministeriali,  senza  che  le innovazioni introdotte appaiano
effettivamente  necessarie per il rispetto di esigenze di unitarieta'
e  giustificate secondo i canoni di proporzionalita' ed adeguatezza».
La  censura  si appunta specificatamente sull'art. 16 che sostituisce
l'art. 146,  commi 3  e  10,  del  d.lgs. n. 42 del 2004, rispetto al
quale   si   richiamano  anche  i  rilievi  negativi  espressi  dalla
Conferenza   unificata   nel  parere  del  gennaio  2006,  dai  quali
risulterebbe  evidente  anche  la  violazione  del principio del buon
andamento della P.A.
    3.2.6. - Sotto   altro   profilo   -   che  investe  segnatamente
l'art. 138,  comma 3,  del  d.lgs.  n. 42  del  2004,  novellato  dal
denunciato  art. 8,  nonche' l'art. 140, comma 1, dello stesso d.lgs.
n. 42,  novellato  dal  denunciato  art. 10 -  si  registrerebbe  una
fissazione  di  termini  procedurali  per  l'emanazione  di  atti  di
competenza  regionale,  «che  non  sono  giustificati  da esigenze di
generale  tutela  od  uniformita'  di  comportamenti e che oltretutto
vengono  stabiliti  in  tempi  assai ristretti ed incongruenti con la
natura  ed  il  contenuto  delle  attivita'  a  cui  si  riferiscono»
(l'art. 138,   comma 3,   citato,  prevede  sessanta  giorni  per  la
deliberazione   della   commissione   regionale   di  proposta  della
dichiarazione  di  notevole  interesse pubblico; l'art. 140, comma 1,
citato, stabilisce il termine di sessanta giorni per l'emanazione del
provvedimento   regionale  di  dichiarazione  di  notevole  interesse
pubblico).
    3.3. - Ad     avviso     della     ricorrente,     l'impostazione
«pregiudizialmente centralistica che impronta la novella si manifesta
infine  con  particolare  evidenza  nella  accentuazione  del  potere
sostitutivo  statale,  il cui esercizio e' attribuito al Ministero ed
alle  Sovrintendenze  con  automatico effetto allo scadere di termini
prefissati  all'attivita'  regionale e, come si e' prima rilevato, in
taluni   casi   anche   troppo   restrittivamente  ed  incongruamente
stabiliti».
    3.3.1. - A  tal  riguardo rileva, anzitutto, l'art. 141, comma 1,
del  d.lgs.  n. 42  del 2004, come sostituito dal denunciato art. 11,
«che  fa  scattare  l'attivita'  sostitutiva  del  competente  organo
ministeriale  periferico  allo scadere dei termini di sessanta giorni
di  cui  agli  artt. 138  e  140,  [...]  che riguardano attivita' di
valutazione  ampiamente  discrezionale».  La  censura  investe  anche
l'art. 143,  comma 3,  del d.lgs. n. 42 del 2004, come sostituito dal
denunciato  art. 13,  «che  stabilisce  che,  qualora  la regione non
provveda   entro   novanta  giorni  dalla  stipulazione  dell'accordo
relativo  al  piano  paesaggistico formato con elaborazione congiunta
alla  sua  approvazione,  ad  essa  provveda  in  via  sostitutiva il
Ministro».  Ed  ancora,  viene  in evidenza l'art. 146, comma 10, del
d.lgs.  n. 42  del 2004, come sostituito dal denunciato art. 16, «che
assegna alla soprintendenza competente l'attivita' in via sostitutiva
per il mancato rilascio entro sessanta giorni dell'autorizzazione sui
progetti  di  opere».  Infine,  rileva  l'art. 156,  commi 1 e 3, del
d.lgs.  n. 42  del  2004, come sostituto dal denunciato art. 24, «che
prevedono  l'attivita' in via sostitutiva del Ministro al decorso dei
termini   stabiliti  per  la  verifica  e  l'adeguamento  alle  nuove
disposizioni dei piani paesaggistici gia' redatti».
    Le    richiamate    disposizioni    oggetto    di    impugnazione
contrasterebbero,  secondo  la  Regione  ricorrente,  con  l'art. 120
Cost.,   giacche',  in  violazione  delle  condizioni  e  dei  limiti
individuati  dalla  giurisprudenza costituzionale per l'esercizio del
potere  sostitutivo  (vengono  richiamate,  tra le altre, le sentenze
n. 227   del  2004  e  n. 43  del  2004),  nella  specie  «il  potere
sostitutivo  e'  configurato come un ovvio automatismo che interviene
sulla  cadenzata attivita' delle regioni e degli enti locali anziche'
quale   intervento  di  natura  comunque  eccezionale  rispetto  allo
svolgimento  delle  funzioni  amministrative da parte delle regioni e
degli enti locali».
    4. - In  tutti  i  giudizi  si  e'  costituito  il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale   dello  Stato,  il  quale,  rinviando  a  separate  memorie
l'esposizione  della  proprie  ragioni,  ha concluso in ogni caso per
l'inammissibilita' o per l'infondatezza dei ricorsi.
    5. - Nell'imminenza   dell'udienza   hanno   depositato   memorie
illustrative la Regione Calabria e la Regione Toscana.
    5.1. - La      Regione      Calabria,      nell'insistere     per
l'incostituzionalita'  delle  disposizioni  denunciate,  contesta  le
generiche  conclusioni  formulate  dalla  difesa erariale in punto di
inammissibilita'  del  ricorso  e  ribadisce,  quanto al merito delle
questioni  sollevate,  il  contrasto  delle  norme  impugnate sia con
l'art. 76 Cost., che con gli artt. 114, 117 e 118 Cost.
    In  particolare,  quanto  alla  dedotta  violazione  dell'art. 76
Cost.,  nella  memoria  si  sostiene  che  le  modifiche apportate al
decreto    originario   sarebbero   intervenute   a   delega   «ormai
completamente  esaurita»,  come  sarebbe  comprovato dal fatto che il
Governo,  con  proprio  emendamento presentato in sede di discussione
parlamentare,  ha  introdotto  il  comma 36  dell'art. 1  della legge
15 dicembre  2004,  n. 308,  con  il quale ha apportato «sostanziali»
modifiche al d.lgs. n. 42 del 2004.
    In  definitiva,  secondo  la  Regione  Calabria,  pur  essendo il
Governo  ancora  nei  termini  per utilizzare la delega, ha ritenuto,
invece,   che   essa  «fosse  completamente  esaurita»  e  quindi  ha
utilizzato,   per   modificare   il   codice   Urbani,  lo  strumento
dell'emendamento ad una legge ordinaria.
    La  ricorrente  ribadisce, inoltre, che il d.lgs. n. 157 del 2006
non   si   sarebbe  limitato  a  correggere  ed  integrare  il  testo
originario,   ma   avrebbe   apportato  modifiche  «strutturali»  che
apparirebbero  «addirittura  estranee  al  contenuto  minimale  della
delega conferita».
    5.2. - La   Regione   Toscana   evidenzia,   anzitutto,  di  aver
raggiunto,  successivamente  al deposito del ricorso, l'intesa con lo
Stato  (e  per  esso  con  il  Ministero  per  i  beni e le attivita'
culturali)  per  l'elaborazione  congiunta  del  piano  paesaggistico
(protocollo  d'intesa  definitivamente stipulato il 24 luglio 2007 ed
approvato dalla Regione con delibera della Giunta n. 512 del 9 luglio
2007)  e  con  essa sarebbe venuto meno l'interesse alla decisione di
merito  sulle  questione  relative  ai  denunciati  artt. 13 e 16 del
d.lgs.   n. 157  del  2006  (che  rispettivamente  sostituiscono  gli
artt. 143  e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004), chiedendo, pertanto, che
in  riferimento  a  dette  specifiche  questioni  venga dichiarata la
cessazione della materia del contendere.
    La   ricorrente   insiste,   invece,   per   la  declaratoria  di
incostituzionalita' degli artt. 12, 25, 26 del d.lgs. n. 157 del 2006
(che,  rispettivamente,  sostituiscono  gli  artt. 142, 157 e 159 del
d.lgs. n. 42 del 2004) per le ragioni gia' illustrate nel ricorso.

                       Considerato in diritto

    1. - Con tre distinti ricorsi (iscritti rispettivamente ai numeri
81,  82 e 83 del registro ricorsi dell'anno 2006) le Regioni Toscana,
Calabria   e   Piemonte  hanno  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale  di  numerose  disposizioni  del  decreto  legislativo
24 marzo  2006,  n. 157  (Disposizioni  correttive  ed integrative al
decreto   legislativo   22 gennaio   2004,  n. 42,  in  relazione  al
paesaggio).
    In  particolare,  sono stati impugnati: dalla Regione Toscana gli
artt. 12,  13, 16, 25 e 26; dalla Regione Calabria gli artt. 1, 5, da
7  a  14, 16, 18, 27, 28 e 29; e dalla Regione Piemonte, gli artt. 1,
5, 8, da 10 a 13, 16 e 24.
    1.1. - Tutte  le  Regioni  ricorrenti lamentano, in riferimento a
ciascuna  disposizione  denunciata,  la violazione dell'art. 76 (e la
Regione  Calabria anche dell'art. 77) della Costituzione, per eccesso
di delega, evocando a norma interposta l'art. 10 della legge 6 luglio
2002, n. 137 (Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e
della   Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'  di  enti
pubblici),  il  cui comma 4 prevede la possibilita' per il Governo di
adottare,  in  materia  di  beni  culturali  ed  ambientali (comma 1,
lettera a),  «disposizioni  correttive  ed  integrative  dei  decreti
legislativi  [...]  nel  rispetto  degli  stessi  principi  e criteri
direttivi e con le medesime procedure di cui al presente articolo».
    Ci   si  duole  del  fatto  che,  mentre  la  delega  autorizzava
esclusivamente  l'introduzione  di  «limitate disposizioni correttive
e/o integrative», che risultassero eventualmente necessarie a seguito
«di  un  primo  monitoraggio  della  sua  applicazione»,  il  decreto
legislativo  n. 157  del  2006  avrebbe  invece  apportato «rilevanti
innovazioni»  al sistema disegnato dal decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), incidendo in
modo  pregiudizievole  sulle potesta' regionali in materia di governo
del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali.
    La  Regione  Calabria  lamenta,  peraltro, che l'iter procedurale
adottato  per  l'emanazione  del  d.lgs. n. 42 del 2004 sarebbe stato
totalmente  diverso rispetto a quello che ha portato all'approvazione
delle  norme «correttive» contenute nel d.lgs. n. 157 del 2006 e cio'
appunto  in  contrasto  con  il  citato art. 10, comma 4, della legge
n. 137 del 2002.
    1.2. - Le  ulteriori  censure  evocano a parametri gli artt. 114,
117,  118,  119  e  120  Cost. (e la Regione Piemonte anche l'art. 97
Cost.),  secondo  profili  differenziati, ma tutti riconducibili alla
prospettata   lesione   delle  competenze  regionali  in  materia  di
valorizzazione  dei  beni  ambientali,  di  governo  del  territorio,
nonche'  alla  violazione del principio di leale collaborazione anche
in riferimento all'esercizio del potere sostitutivo. In particolare:
        l'art. 1 del d.lgs. n. 157 del 2006 (che sostituisce l'art. 5
del  Codice)  e'  impugnato  dalla  Regione  Calabria e dalla Regione
Piemonte, in quanto prevede «una parallela competenza dello Stato che
si  estende  a tutti gli ambiti amministrativi considerati, ben al di
la'  dei  compiti  essenziali  di tutela e di salvaguardia di valori,
principi, criteri unitari»;
        l'art. 5   (che   sostituisce   l'art. 135  del  Codice),  e'
impugnato  dalla Regione Calabria, nella parte in cui, ai commi 1 e 3
dell'art. 135,  prevede  nuove  competenze  statali;  e dalla Regione
Piemonte  in  quanto determina «una significativa modificazione della
individuazione  dell'oggetto della pianificazione paesaggistica», con
conseguente  «sostanziale riduzione dell'attivita' pianificatoria del
territorio nella sua complessita»;
        l'art. 7 (che sostituisce l'art. 137 del Codice) e' censurato
dalla  Regione  Calabria  ove,  al  comma 2  dell'art. 137, regola la
composizione  delle commissioni regionali con il compito di formulare
proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico dei beni
paesaggistici;
        l'art. 8  (che sostituisce l'art. 138 del Codice) e l'art. 10
(che  sostituisce l'art. 140) sono impugnati dalle Regioni Calabria e
Piemonte nella parte in cui, rispettivamente al comma 2 dell'art. 138
ed  al  comma 1  dell'art. 140,  fissano  termini  procedurali per il
compimento   di   atti   di   competenza   regionale,   asseritamente
ingiustificati  secondo esigenze di generale tutela od uniformita' di
comportamenti  e  che  oltretutto  prevedono tempi assai ristretti ed
incongruenti  con  la natura ed il contenuto delle attivita' a cui si
riferiscono;
        per motivi analoghi e' impugnato dalla Regione Calabria anche
l'art. 11  (che  sostituisce  l'art. 141  del d.lgs. n. 42 del 2004),
nella  parte  in  cui,  al  comma 1  dell'art. 141, rinvia ai termini
fissati dagli artt. 138 e 139;
        l'art. 12   (che   sostituisce   l'art. 142  del  Codice)  e'
impugnato  dalla  Regione  Toscana  «nella  parte  in cui reintroduce
l'illimitata  vigenza  del  vincolo paesaggistico per le categorie di
beni   tutelate   ai  sensi  della  legge  n. 431/1985,  nonche'  con
particolare riferimento al comma 3 dello stesso art. 142, nella parte
in   cui   preclude   alle   Regioni  di  individuare  con  il  piano
paesaggistico  i  corsi  d'acqua  irrilevanti  dal punto di vista del
paesaggio»;  e'  impugnato,  altresi',  dalla  Regione Calabria nella
parte in cui dispone che le aree indicate «Sono comunque di interesse
paesaggistico  e  sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo»
(alinea  del  comma 1);  infine,  e' censurato dalla Regione Piemonte
perche'  comporterebbe una ulteriore «diminuzione e limitazione della
portata delle funzioni regionali di pianificazione paesaggistica»;
        l'art. 13   (che   sostituisce   l'art. 143  del  Codice)  e'
impugnato  dalla  Regione  Toscana, nella parte in cui prevede che il
parere  del  soprintendente nel procedimento autorizzatorio sia oltre
che  obbligatorio  anche  vincolante, fino all'approvazione del piano
paesaggistico  elaborato  di  intesa;  e'  denunciato  dalla  Regione
Calabria, nella parte in cui prevede che il parere del soprintendente
nel  procedimento  autorizzatorio  sia  oltre  che obbligatorio anche
vincolante,  fino  all'approvazione del piano paesaggistico elaborato
di  intesa;  e',  inoltre,  censurato dalla stessa Regione Calabria e
dalla  Regione  Piemonte,  nella  parte  in  cui si prevede il potere
sostitutivo  del Ministro per l'approvazione del piano paesaggistico,
nel caso in cui la Regione non provveda nel termine di 90 giorni; e',
infine,  impugnato dalla Regione Piemonte, sempre in riferimento alla
portata  delle  funzioni  regionali  di pianificazione paesaggistica,
perche'  impone  «in  maniera  perentoria  l'obbligo delle regione di
elaborare i piani paesaggistici congiuntamente al Ministero»;
        l'art. 16   (che   sostituisce   l'art. 146  del  Codice)  e'
impugnato  dalla  Regione  Toscana  nella parte in cui qualifica come
vincolanti  i  previsti  pareri  del  soprintendente  (commi  3 e 8);
prevede   «che   la   Regione  deleghi  le  funzioni  in  materia  di
autorizzazione  paesaggistica  alle  Province e/o a forme associative
sovracomunali»;  e'  denunciato  dalla Regione Calabria, oltre per il
gia'  ricordato carattere vincolante dei pareri della soprintendenza,
anche  nella  parte  in  cui  dall'espresso  divieto  di  rilascio di
autorizzazione  paesaggistica  in sanatoria vengono ora espressamente
esclusi «i casi di cui all'art. 167, commi 4 e 5»; e' impugnato dalla
Regione  Piemonte  nella  parte  in  cui  sostituisce  i commi 3 e 10
dell'art. 146, d.lgs. n. 42 del 2004;
        l'art. 25  (che  modifica l'art. 157 del Codice) e' censurato
dalla  Regione  Toscana,  nella parte in cui inserisce al comma 1 del
suddetto  art. 157  la  lettera  f-bis),  stabilendo  «che conservano
efficacia  a  tutti  gli  effetti  i provvedimenti di imposizione dei
vincoli    paesaggistici,   emanati   in   attuazione   della   legge
n. 431/1985»;
        l'art. 26   (che   sostituisce   l'art. 159  del  Codice)  e'
impugnato  dalla  Regione  Toscana  «con  particolare  riferimento al
comma 3,    in    quanto    estende   il   potere   di   annullamento
dell'autorizzazione  paesaggistica  da  parte  della  Soprintendenza,
anche per motivi di merito»;
        gli    artt. 11,    13,   16   e   24   (che   sostituiscono,
rispettivamente, gli artt. 141, comma 1, 143, comma 3, 146, comma 10,
e 156, commi 1 e 3, del Codice) sono impugnati dalla Regione Piemonte
in    quanto   evidenzierebbero   l'impostazione   «pregiudizialmente
centralistica»   della   novella,   una   «accentuazione  del  potere
sostitutivo  statale,  il cui esercizio e' attribuito al Ministero ed
alle  Sovrintendenze  con  automatico effetto allo scadere di termini
prefissati  all'attivita'  regionale,  in  taluni  casi  anche troppo
restrittivamente ed incongruamente stabiliti»;
        gli artt. 27 (che sostituisce l'art. 167 del Codice), 28 e 29
che, rispettivamente, modificano gli artt. 181 e 182 del Codice, sono
impugnati   dalla  Regione  Calabria  in  riferimento  alla  prevista
articolata regolamentazione dei procedimenti relativi alle domande di
autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
    2. - I  giudizi  vanno  riuniti  per  essere  decisi con un'unica
pronuncia   in  quanto  le  questioni  investono  lo  stesso  decreto
legislativo  n. 157  del  2006  e,  in  parte, le stesse disposizioni
recate da detto decreto.
    3. - Preliminarmente,  deve  essere dichiarata l'inammissibilita'
del  ricorso  proposto  dalla  Regione Calabria, giacche' la delibera
della  Giunta  con  la  quale l'impugnazione e' stata autorizzata non
reca   l'indicazione   delle  norme  da  sottoporre  a  scrutinio  di
costituzionalita'.
    La delibera si limita, infatti, a dedurre la lesivita' del d.lgs.
n. 157  del  2006  quanto alle modifiche introdotte relativamente «al
sistema  di  pianificazione  paesaggistica, alla gestione dei vincoli
attraverso  il  sistema  delle  autorizzazioni  e  le ripartizioni di
funzioni  tra  Ministero,  Regioni  ed  Enti  locali», indicando solo
genericamente  settori  od oggetti di disciplina che, invero, trovano
articolata  e  complessa regolamentazione in plurime disposizioni del
d.lgs.  n. 157 del 2006 (il quale consta di 30 articoli). A fronte di
cio',  l'impugnazione  da  parte  della  difesa tecnica della Regione
Calabria  ha  riguardato,  proprio  nell'ambito di ciascun oggetto di
disciplina   innanzi   menzionato,   talune   norme   e   non  altre,
sostituendosi  dunque  all'organo politico nell'individuazione stessa
delle disposizioni suscettibili di censura.
    Di qui appunto l'inammissibilita' del ricorso (sentenze n. 98 del
2007, n. 216 del 2006, n. 50 del 2005 e n. 425 del 2004), che assorbe
anche   ogni   pronuncia   sull'istanza   di   sospensione  ai  sensi
dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    4. - Sempre   in  via  preliminare,  deve  essere  dichiarata  la
cessazione  della  materia del contendere in ordine alle questioni di
costituzionalita' degli artt. 13 e 16 del d.lgs. n. 157 del 2006 (che
rispettivamente  sostituiscono  gli  artt. 143 e 146 del d.lgs. n. 42
del  2004),  promosse,  in  riferimento agli artt. 76, 114, 117 e 118
Cost.,  dalla  Regione  Toscana,  in  quanto, come fatto palese dalla
stessa  Regione, e' venuto meno il suo interesse ad una decisione nel
merito  a  seguito dell'intesa raggiunta, successivamente al deposito
del  ricorso,  con  lo  Stato  per l'elaborazione congiunta del piano
paesaggistico (protocollo d'intesa sottoscritto il 23 gennaio 2007 ed
approvato dalla Regione con la delibera di Giunta n. 512 del 9 luglio
2007).
    5. - Sia  la  Regione  Toscana, in riferimento alle denunce degli
artt. 12,  25  e  26  del  d.lgs.  n. 157  del  2006,  che la Regione
Piemonte,  in relazione a tutte le norme impugnate (artt. 1, 5, 8, da
10  a  13,  16  e  24  dello  stesso  d.lgs.  n. 157), prospettano la
violazione dell'art. 76 Cost.
    5.1. - La   Regione   Toscana  ritiene  violato  l'art. 76  della
Costituzione,  sotto  il  profilo  dell'eccesso di delega, in quanto,
mentre   la   legge   n. 137   del  2002  autorizzava  esclusivamente
l'introduzione di «limitate disposizioni correttive e/o integrative»,
che  risultassero  eventualmente  necessarie  a  seguito «di un primo
monitoraggio  della  sua applicazione», il decreto legislativo n. 157
del   2006  avrebbe  apportato  «rilevanti  innovazioni»  al  sistema
disegnato dal d.lgs. n. 42 del 2004.
    Con  particolare  riferimento  all'art. 12  del d.lgs. n. 157 del
2006,  che  sostituisce  l'art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004, sempre
secondo  la  ricorrente, l'eccesso di delega inciderebbe direttamente
sulle  potesta'  regionali  in materia di governo del territorio e di
valorizzazione  dei beni ambientali attribuite dagli artt. 117, terzo
comma, e 118 della Costituzione.
    5.1.1. - La  Regione  Piemonte lamenta la violazione dell'art. 76
Cost.  sotto  un  duplice  profilo. Da un punto di vista procedurale,
sostiene  che  l'iter  adottato per l'emanazione del d.lgs. n. 42 del
2004  sarebbe  totalmente  diverso  rispetto  a quello che ha portato
all'approvazione delle norme «correttive» contenute nel d.lgs. n. 157
del  2006.  Nel primo caso, infatti, le norme emanate sarebbero state
il  risultato di un preliminare confronto tra Stato e Regioni, mentre
nel secondo caso tale previo confronto sarebbe del tutto mancato.
    Sotto  il  profilo  sostanziale,  invece,  la medesima Regione si
duole  che  il Governo non si e' limitato a «correggere ed integrare»
il  d.lgs.  n. 42  del  2004.  Le nuove norme invece, ad avviso della
Regione,  avrebbero  stravolto completamente l'impianto originale del
Codice, con un ingiustificato ampliamento dei poteri statali rispetto
alle funzioni gia' attribuite alle Regioni.
    5.2. - Le   questioni   sono   in  parte  infondate  e  in  parte
inammissibili.
    5.2.1. - L'art. 10,  comma 4,  della legge 6 luglio 2002, n. 137,
prevede  la  possibilita'  per  il Governo di adottare, in materia di
beni  culturali  e  ambientali  (comma  1,  lettera a), «disposizioni
correttive  ed integrative dei decreti legislativi [...] nel rispetto
degli stessi principi e criteri direttivi e con le medesime procedure
di cui al presente articolo, entro quattro anni dalla data della loro
entrata  in  vigore».  Le  procedure sono quelle previste dal secondo
periodo  del  precedente  comma 3  dello  stesso  art. 10 e cioe': «I
decreti  legislativi  di  cui  al  comma 1  sono adottati, sentita la
Conferenza  unificata  di  cui all'articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto  1997, n. 281, previo parere delle Commissioni parlamentari
competenti  per  materia,  resi  nel  termine  di sessanta giorni dal
ricevimento della relativa richiesta».
    Tali  procedure  sono  state  seguite nell'emanazione del decreto
legislativo n. 157 del 2006, sicche' la prima censura sollevata dalla
Regione Piemonte non e' fondata.
    5.2.2. - Sotto  altro  profilo  le  censure  mosse  dalle Regioni
ricorrenti  al  decreto  legislativo  n. 157 del 2006, in riferimento
all'art. 76  della  Costituzione,  si  sostanziano  nel  fatto che le
disposizioni impugnate avrebbero carattere innovativo e non sarebbero
delle semplici integrazioni e correzioni del testo originario.
    A tal riguardo, questa Corte, con la sentenza n. 206 del 2001, ha
affermato  che  i  decreti  correttivi ed integrativi devono avere lo
stesso  oggetto del decreto originario e seguire gli stessi criteri e
principi direttivi ai quali quest'ultimo si e' ispirato.
    Ne  consegue  che  le  censure  rivolte  al  decreto correttivo e
integrativo, sollevate in riferimento all'art. 76 della Costituzione,
devono  necessariamente  indicare  quali criteri e principi direttivi
posti  dalla legge delega sono stati violati dal decreto correttivo e
integrativo medesimo.
    Le ricorrenti, invece, nel dolersi di un eccesso di delega per la
presunta  carica  «innovativa» del d.lgs. n. 157 del 2006 rispetto al
precedente  d.lgs.  n. 42  del 2004, nel senso di una riduzione delle
attribuzioni   regionali,   non   indicano,   in   modo  puntuale  ed
argomentato,  rispetto a quali specifici principi e criteri direttivi
della delega del 2002 le norme denunciate si porrebbero in contrasto.
Le  questioni,  in  quanto  genericamente  prospettate, sono, dunque,
inammissibili.
    6. - Vanno,  altresi',  dichiarate inammissibili, per genericita'
della   prospettazione,   le  questioni  di  costituzionalita'  degli
artt. 1,  5,  8,  10  e  12 del d.lgs. n. 157 del 2006 promosse dalla
Regione  Piemonte  in riferimento agli artt. 97, 117, 118 e 120 della
Costituzione.
    Il   ricorso   non  correla  strettamente  ciascuna  disposizione
impugnata  alle  argomentazioni  che sorreggono la dedotta violazione
del parametro. In definitiva, rispetto alle predette disposizioni, le
censure  muovono  da doglianze piu' generali sull'impianto del d.lgs.
n. 157  del  2006,  che,  come tali, potrebbero utilmente corroborare
qualsivoglia  denuncia,  senza  pero'  che  si  riesca  a distinguere
chiaramente  l'aggancio con la singola disposizione che recherebbe il
vulnus a quel determinato parametro.
    7. - La Regione Toscana impugna l'art. 12 del decreto legislativo
n. 157  del  2006, che sostituisce l'art. 142 del decreto legislativo
n. 42  del 2004, «nella parte in cui reintroduce l'illimitata vigenza
del  vincolo paesaggistico per le categorie di beni tutelate ai sensi
della  legge n. 431 del 1985, nonche', con particolare riferimento al
comma 3  dello  stesso  art. 142,  nella  parte  in cui preclude alle
Regioni  di  individuare  con  il piano paesaggistico i corsi d'acqua
irrilevanti  dal  punto  di  vista  del  paesaggio».  Si prospetta il
contrasto  della  predetta  disposizione  con:  1)  l'art. 117, terzo
comma,  della  Costituzione,  giacche' essa incide «sullo svolgimento
delle   funzioni,   attinenti  al  governo  del  territorio  ed  alla
valorizzazione  dei  beni  culturali  ed  ambientali,  riservate alla
potesta' concorrente delle Regioni»; 2) l'art. 118 della Costituzione
ed il principio di leale collaborazione, poiche' l'individuazione dei
beni  da  tutelare  ed  il  regime  di tutela, in quanto incidenti su
competenze  regionali,  «dovrebbero  essere  statuiti d'intesa con le
Regioni».
    7.1. - La questione non e' fondata.
    Come  si  e'  venuto  progressivamente chiarendo gia' prima della
riforma  del  Titolo  V  della  parte  seconda della Costituzione, il
concetto   di  paesaggio  indica,  innanzitutto,  la  morfologia  del
territorio,  riguarda  cioe' l'ambiente nel suo aspetto visivo. Ed e'
per  questo  che  l'art. 9 della Costituzione ha sancito il principio
fondamentale   della   «tutela   del   paesaggio»  senza  alcun'altra
specificazione. In sostanza, e' lo stesso aspetto del territorio, per
i contenuti ambientali e culturali che contiene, che e' di per se' un
valore costituzionale.
    Si tratta peraltro di un valore «primario», come ha gia' da tempo
precisato  questa  Corte  (sentenza  n. 151  del  1986; ma vedi anche
sentenze  n. 182 e n. 183 del 2006), ed anche «assoluto», se si tiene
presente  che il paesaggio indica essenzialmente l'ambiente (sentenza
n. 641 del 1987).
    L'oggetto  tutelato  non  e' il concetto astratto delle «bellezze
naturali»,  ma  l'insieme  delle  cose,  beni  materiali,  o  le loro
composizioni, che presentano valore paesaggistico.
    Sul   territorio   gravano   piu'   interessi   pubblici:  quelli
concernenti  la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura
spetta  in  via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo
del  territorio  e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali
(fruizione   del  territorio),  che  sono  affidati  alla  competenza
concorrente dello Stato e delle Regioni.
    La  tutela  ambientale  e  paesaggistica,  gravando  su  un  bene
complesso    ed    unitario,    considerato    dalla   giurisprudenza
costituzionale  un  valore  primario  ed assoluto, e rientrando nella
competenza  esclusiva  dello Stato, precede e comunque costituisce un
limite  alla  tutela  degli  altri  interessi pubblici assegnati alla
competenza  concorrente  delle  Regioni  in  materia  di  governo del
territorio  e  di  valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In
sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici
diversi:  quello  alla  conservazione  del  paesaggio,  affidato allo
Stato,  e  quello  alla fruizione del territorio, affidato anche alle
Regioni.
    Si  tratta  di  due  tipi  di  tutela,  che  ben  possono  essere
coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti.
E  in  proposito  la  legislazione statale ha fatto ricorso, ai sensi
dell'art. 118  della Costituzione, proprio a forme di coordinamento e
di  intesa  in questa materia, ed ha affidato alle Regioni il compito
di redigere i piani paesaggistici, ovvero i piani territoriali aventi
valenza  di tutela ambientale, con l'osservanza delle norme di tutela
paesaggistica  poste  dallo  Stato.  In  particolare,  l'art. 143 del
d.lgs.  n. 42  del 2004, novellato dall'art. 13 del d.lgs. n. 157 del
2006,  ha  previsto  la  possibilita',  per  le Regioni, di stipulare
intese  con  il Ministero per i beni culturali ed ambientali e con il
Ministero   dell'ambiente   e   della   tutela   del  territorio  per
«l'elaborazione congiunta dei piani paesaggistici», precisando che il
contenuto   del  piano  elaborato  congiuntamente  forma  oggetto  di
apposito  accordo  preliminare  e che lo stesso e' poi «approvato con
provvedimento regionale».
    In  buona sostanza, la tutela del paesaggio, che e' dettata dalle
leggi   dello   Stato,   trova  poi  la  sua  espressione  nei  piani
territoriali,  a  valenza  ambientale,  o  nei  piani  paesaggistici,
redatti dalle Regioni.
    In  questo  stato  di  cose,  la  Regione  Toscana non puo' certo
lamentarsi  di  non poter statuire d'intesa l'individuazione dei beni
da tutelare ed il regime di tutela, in quanto incidenti su competenze
regionali.  Come  sopra  si  e' chiarito, le competenze regionali non
concernono   le   specifiche   modalita'   della   tutela   dei  beni
paesaggistici  (rimessa alla competenza esclusiva dello Stato), ma la
concreta  individuazione e la collocazione di questi ultimi nei piani
territoriali o paesaggistici.
    Quanto  alla  reintroduzione  nel Codice dei beni culturali e del
paesaggio   della  tipologia  dei  beni  paesaggistici  previsti  dal
decreto-legge  27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni,
dalla  legge  8 agosto 1985, n. 431, si deve inoltre sottolineare che
detta  legge  ha  dato  attuazione  al disposto del citato articolo 9
della   Costituzione,  poiche'  la  prima  disciplina  che  esige  il
principio  fondamentale  della  tutela  del  paesaggio  e' quella che
concerne  la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi
essenziali contenuti ambientali.
    Alla  luce  di  quanto  detto  cade  anche  l'altra censura della
Regione  Toscana, secondo la quale non le dovrebbe essere preclusa la
possibilita'  di  «individuare  con  il  piano  paesaggistico i corsi
d'acqua irrilevanti dal punto di vista paesaggistico».
    8. - La  Regione  Toscana  denuncia  anche  l'art. 25  del d.lgs.
n. 157  del 2006 (che modifica l'art. 157 del d.lgs. n. 42 del 2004),
«nella  parte  in  cui  inserisce al comma 1 del suddetto art. 157 la
lettera  f-bis)»,  stabilendo  «che  conservano efficacia a tutti gli
effetti  i  provvedimenti  di  imposizione dei vincoli paesaggistici,
emanati  in attuazione della legge n. 431/1985», per violazione degli
artt. 117  e  118  Cost.  e del principio di leale collaborazione, in
quanto  il ripristino dei vincoli predetti, «anche in contrasto con i
piani  paesaggistici gia' predisposti dalle regioni, a prescindere da
una  concreta  valutazione dell'effettiva esigenza di tutela dei beni
in  questione,  determina  evidentemente  un'inammissibile  ingerenza
nelle  funzioni  regionali  in materia di governo del territorio e di
valorizzazione  dei  beni  ambientali  e  culturali»; cio', peraltro,
senza  la  previsione  di forme di concertazione idonee con le stesse
Regioni.
    8.1. - La questione non e' fondata.
    La  disposizione  censurata  fa  rivivere le cosiddette misure di
salvaguardia, di cui all'art. 1-ter del decreto-legge 27 giugno 1985,
n. 312  (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse  ambientale),  convertito,  con  modificazioni, nella legge
8 agosto  1985,  n. 431,  nei  casi  in  cui,  alla  luce delle nuove
disposizioni  di  tutela  paesaggistica, si impone la redazione di un
nuovo piano paesaggistico o la modifica di quello esistente. In detti
casi,   il  ripristino  dei  vincoli  di  cui  al  citato  art. 1-ter
costituisce  una  diretta conseguenza delle modifiche alla disciplina
della  tutela  del  paesaggio  legittimamente previste dallo Stato in
base alla sua competenza esclusiva in materia.
    9. - Ancora  la  Regione  Toscana  impugna  l'art. 26  del d.lgs.
n. 157  del  2006  (che  sostituisce  l'art. 159 del d.lgs. n. 42 del
2004), «con particolare riferimento al comma 3 del novellato art. 159
in   esame,   in   quanto   estende   il   potere   di   annullamento
dell'autorizzazione  paesaggistica  da  parte  della  Soprintendenza,
anche  per  motivi  di  merito», per violazione degli artt. 117 e 118
Cost.   ed   il   principio   di   leale  collaborazione,  in  quanto
determinerebbe  «un  inammissibile  accentramento  delle  funzioni in
materia di autorizzazione paesaggistica, la cui effettiva gestione e'
in  definitiva  individuata  in capo allo Stato (per il tramite delle
Soprintendenze)», in assenza «di adeguati modelli concertativi».
    9.1. - La questione non e' fondata.
    La norma denunciata, infatti, non attribuisce all'amministrazione
centrale  un  potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico per
motivi  di merito, cosi' da consentire alla stessa amministrazione di
sovrapporre  una propria valutazione a quella di chi ha rilasciato il
titolo  autorizzativo,  ma  riconosce  ad  essa  un controllo di mera
legittimita'  che,  peraltro, puo' riguardare tutti i possibili vizi,
tra cui anche l'eccesso di potere.
    10. - La  Regione  Piemonte,  infine, denuncia congiuntamente gli
artt. 11, 13, 16 e 24 del d.lgs. n. 157 del 2006 - nella parte in cui
sostituiscono, rispettivamente, gli artt. 141, comma 1, 143, comma 3,
146,  comma 10,  e  156,  commi 1 e 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 - in
quanto     evidenzierebbero     l'impostazione     «pregiudizialmente
centralistica»   della   novella,   una   «accentuazione  del  potere
sostitutivo  statale,  il cui esercizio e' attribuito al Ministero ed
alle  Sovrintendenze  con  automatico effetto allo scadere di termini
prefissati  all'attivita'  regionale e, come si e' prima rilevato, in
taluni   casi   anche   troppo   restrittivamente  ed  incongruamente
stabiliti».
    10.1. - La   questione   non  e'  fondata,  in  quanto,  anche  a
prescindere  da  regolamentazioni  espresse,  l'esercizio  del potere
sostitutivo  implica,  in  ogni  caso,  il  rispetto  delle  garanzie
procedimentali   improntate  al  principio  di  leale  collaborazione
(sentenze nn. 227 e 43 del 2004 e n. 313 del 2003).