IL TRIBUNALE

    A scioglimento della riserva espressa all'udienza 10 maggio 2007,
letti  gli  atti di causa ha emesso la seguente ordinanza nella causa
civile   iscritta  al  n. 1034  del  Ruolo  Generale  dell'anno  1991
riservata  in data 10 maggio 2007 avente ad oggetto «azione negatoria
servitu»  e  vertente tra Laginestra Ottorino piu' 7, rappresentati e
difesi  giusto  mandato  dall'avv.  R.  Lettino, presso il cui studio
elettivamente  domicilia,  come  in  atti,  attori  e  Claps Antonia,
rappresentata  e  difesa  dagli  avv. Favale e Giorgio, presso il cui
studio elettivamente domicilia, come in atti, convenuta.

                     F a t t o  e  d i r i t t o
    Con  atto  di  citazione  del 20 maggio 1991 i germani Laginestra
convenivano  in  apposito  giudizio la sig.ra Claps per l'apertura di
una  serie  di  luci  e  vedute sulla proprieta' degli istanti di cui
chiedevano la chiusura perche' abusive ovvero in contrasto sia con le
norme  dei  legge  sia  con l'impegno contenuto nell'atto notarile di
acquisto di un vano di casa ad uso deposito della superficie di mq 42
sito in Banzi, successivamente ristrutturato.
    Con successiva comparsa si costituiva la sig.ra Claps opponendosi
in  toto  alle  avverse  determinazioni  ed  eccependo  il difetto di
legittimazione attiva degli attori.
    Ammessa dopo varie udienze c.t.u., anche sulla destinazione della
proprieta'  degli attori, all'udienza del 23 settembre 2002 la difesa
del  convenuto  ribadiva  il  difetto  di legittimazione attiva degli
istanti,  in  quanto  il  terreno  in oggetto, sul quale insistono le
ipotetiche  luci  e  vedute  aperte  dal  convenuto,  non  risulta di
proprieta'  degli  attori  ma  in  virtu'  di visura catastale del 20
settembre  2002  in  atti,  risulta concedente il demanio dello stato
asse  ecclesiatico  (diritti  di usi civici), con livellario Polidoro
Rosina cui non era stata mai concessa la necessaria legittimazione ai
sensi della normativa sugli usi civici.
    Parte  attorea  si  opponeva  e  rilevava che anche il fabbricato
della convenuta era stato costruito su terreno gravato da uso civico.
    La  Regione  Basilicata  confermava  con  apposito certificato la
natura  c.d.  demaniale  (in  realta'  di  uso civico) del bene degli
attori.  Specificava,  altresi',  che  vi  era  stata  domanda per la
legittimazione  ma  la  stessa  non era mai intervenuta, in quanto le
operazioni di sistemazione demaniale non furono portate a termine.
    Richiesta   la   chiamata   in   causa   del  nuovo  proprietario
dell'immobile  della  parte  convenuta,  figlio  della  Claps, veniva
disposta  c.t.u.  per  individuare  la  natura  giuridica dei terreni
prospicienti,  a questo punto incerta, per sciogliere successivamente
i   nodi   sulle   rispettive   proprieta'   e   sui   profili  della
legittimazione.
    Interrotto  il  processo  successivamente  riassunto  dopo alcune
udienze  veniva  sollevata  la  seguente  questione  di  legittimita'
costituzionale determinante per la prosecuzione del giudizio stesso.
    Questo  giudice  onorario  aggregato  ritiene,  infatti, di dover
sollevare  questione di legittimita' costituzionale ex officio, posto
che  nella  fattispecie  in  esame  emerge  chiaramente la violazione
combinata  degli  artt. 2,  3, 24, 28, 97 e 111 della Costituzione da
parte della normativa, statale e regionale, sulla c.d. legittimazione
dei  terreni in uso civico, applicabile nel presente giudizio, stante
i  numerosi  rilievi sul piano del difetto di legittimazione connesso
alla fruizione dei terreni da parte dei rispettivi contendenti.
    Paradossalmente l'eccezione sul difetto di legittimazione, attiva
e  passiva,  riguarda  il diritto di proprieta' connesso alla mancata
evasione  dell'istanza  di  legittimazione, avanzata dagli occupatori
dei  terreni  di  uso  civico,  per motivi non imputabili alle parli,
istituto  nominalmente  identico a quello procedurale del difetto, ma
relativo sostanzialmente all'estinzione del gravame di uso civico sul
terreno attraverso una procedura amministrativa del tutto peculiare.
    Emerge  infatti,  una  distonia di fondo, innanzitutto ex art. 97
Cost.,   tra   la  previsione  certa  di  termini  specifici  per  la
conclusione  di  qualsiasi procedimento amministrativo ai sensi e per
gli  effetti  della  legge  n. 241/1990  (in particolare ex art. 2) e
successive  modifiche  (con  la  legge  n. 15  del  2006) e la totale
incertezza  che,  invece,  si  determina  per  la  risoluzione  delle
richieste  di  provvedimenti di legittimazione riguardanti la materia
complessa   degli   usi   civici,  avanzate  in  ambito  regionale  e
difficilmente  definite  in  molte  zone d'Italia ovvero denegate per
motivi non imputabili ai privati.
    Risultano  pertanto violati nel caso di specie i principi di buon
andamento,   trasparenza  ed  efficienza  dell'azione  amministrativa
nonche'  gli artt. 24 e 111 Cost. sotto il profili della garanzia del
giusto   processo  connesso  ad  un  giusto  procedimento,  non  solo
normativo ma anche amministrativo.
    Valga citare, altresi', la dubbia formulazione dell'art. 11 della
legge  regionale  Basilicata  n  .  57  del 2000 secondo cui gli atti
amministrativi  derivanti  dalla applicazione della legge n. 1766 del
1927 e della presente normativa hanno carattere complesso e come tali
hanno  la  «temporizzazione»  stabilita  da  apposito regolamento, in
evidente contrasto con il principio di legalita' ordinario consacrato
nell'art. 97 Cost.
    Non  a  caso il Consiglio di Stato ha piu' volte sostenuto che la
pubblica    amministrazione    nel   diniego   della   richiesta   di
legittimazione deve motivare il provvedimento negativo.
    Tale  motivazione  non appare sicuramente appropriata nel momento
in  cui  le  c.d.  legittimazione  non  si  e'  conclusa  perche'  le
operazioni  di  sistemazione  demaniale  non  sono  state  portate  a
termine,  come  emerge  nel caso di specie nel certificato esibito in
atti.  Tale profilo della motivazione equivale indubbiamente alla non
adozione  del provvedimento di legittimazione ovvero al suo abbandono
con  conseguenze  gravi sia per il privato sia per l'ente gestore sia
per la collettivita'.
    Risulta  ricorrente,  poi,  che, nella maggior parte dei casi, le
istanze  di legittimazione vengono del tutto ignorate e/o dimenticate
in  ambito regionale ovvero non definite e non rese, come avviene nel
caso  di  specie,  tra  l'altro  in  tempi  alquanto  brevi,  con una
situazione  di  evidente  disparita'  ex  artt. 3,  24  e  111 Cost.,
rispetto  alla tutela di altre situazioni giuridiche soggettive, piu'
o meno corrispondenti.
    Cio'  incide  negativamente  su tutte le questioni che riguardano
controversie sui beni di uso civico, come avviene nel caso di specie,
e  sulla  configurazione  esatta del diritto di proprieta' ex art. 42
Cost. e sulla sua difesa ex art. 24 Cost.
    La   proprieta'  collettiva  diviene,  cosi',  un  tertium  genus
rispetto alla proprieta' pubblica e privata, sganciata e ignorata dal
rispetto  delle  regole generali sul procedimento amministrativo, che
possono  paradossalmente  non deteminarsi, senza generare conseguenze
negative  per  la  pubblica  amministrazione  e positive a favore del
privato.
    Come e' noto, la c.d. legittimazione e' un passaggio fondamentale
per  sanare le occupazioni irregolari, in presenza di presupposti ben
determinati.  Infatti,  una  volta ottenuta la legittimazione sorge a
favore  del  possessore  abusivo  un  diritto  soggettivo  di  natura
privatistico,   di   talche'   il   provvedimento  di  legittimazione
conferisce  al  destinatario  la titolarita' di un diritto soggettivo
perfetto   di   natura   reale   sul  terreno  che  ne'  e'  oggetto,
costituendone  titolo  legittimo  di  proprieta'  e di possesso (cfr.
Cass. n. 6940 del 1993).
    Di   contro,   spesso   ci   si   trova  di  fronte  procedimenti
amministrativi di legittimazione quasi mai inopinanatamente conclusi,
che  rendono  incerta  la  situazione  proprietaria o possessoria sui
terreni  di  uso  civico  e  ostacolano  la  definizione celere delle
relative controversie ex artt. 24 e 111 Cost.
    A  nulla  vale  sottolineare  che  si  tratta di beni formalmente
inusucapibili ed intangibili nel corso del tempo. Nonostanfe cio', se
lo  spatium  temporis  trascorre inesorabilmente, la mancata adozione
del provvedimento formale incide negativamente sui diritti soggettivi
presenti  e  futuri,  creando una situazione di' indeterminatezza sul
piano storico-giuridico-giurisdizionale.
    La  stessa  Consulta,  poi, recentemente nella sentenza n. 39 del
2007,  ha  qualificato il procedimento di legittimazione come un atto
di  amministrazione  attiva  di  competenza  esclusiva  regionale, in
residua  applicazione  del quasi non piu' esistente d.P.R. n. 616 del
1977.  Cio'  comporta  che anche tale atto non possa essere sganciato
dal  rispetto  dei  principi tipici che caratterizzano sin dagli anni
'90  ed  hanno  caratterizzato  in passato l'attivita' della pubblica
amministrazione.  D'altronde,  in  sede  giurisprudenziale,  e' stato
posto  in luce che il procedimento di legittimazione dell'occupazione
di terre del demanio civico ha carattere amministrativo e si conclude
con  un  provvedimento  di natura concessoria (cfr. Cass. n. 2471 del
1982).
    In  tale  direzione,  lo  stesso  principio  della  certezza  del
diritto, come garanzia formale e sostanziale, risulta stravolto da un
meccanismo infernale per quanto riguarda la materia degli usi civici,
che  andrebbe  ri-meditata,  al fine di sbloccare tante situazioni di
dubbia  legittimita'  sul  piano  della  definizione  delle  numerose
occupazioni  abusive  ricadenti  sulle terre e che permangono tali in
conseguenza  del mancato completamento delle operazioni demaniali non
imputabili  ai  privati.  Non appare, quindi, ragionevole lasciare il
non decidere senza utili conseguenze per il cittadino.
    Appare,  dunque,  necessario  frantumare  e/o  integrare  il dato
legislativo  statale  del  1927 e del 1928, comunque vetusto, nonche'
regionale (anche l'art. 8 della legge n. 57 del 2000 sui procedimenti
amministrativi  di legittimazione della Regione Basilicata risulta di
dubbia  formulazione)  e  stabilire  si  un termine finanche maggiore
rispetto   ai  canonici  90  giorni  (e  quindi  non  necessariamente
parificato  o  ridotto),  oprando  con  i  parametri  della legge sul
procedimento amministrativo, ma soprattutto idonee conseguenze per la
mancata  adozione del provvedimento, se dovuto, al solo fine di porre
rimedio  ad una situazione di stallo amministrativo del non-decidere,
che  risulta  diffusa  in ambito nazionale e genera incomprensione in
sede giudiziaria, per il soddisfacimento di tali diritti inviolabili,
storicamente  determinatisi,  riconducibili  indubbiamente nel novero
dell'art. 2 Cost., violato al pari degli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost.,
gia' citati.
    Tra  l'altro, nella materia degli usi civici, quasi dimenticata a
livello  parlamentare, connessa alla tutela del patrimonio culturale,
paesaggistico  e  ambientale ex art. 9 e 32 Cost., non e' applicabile
il  meccanismo  del  «silenzio  assenso»,  per  cui  si determina una
situazione  di evidente deficit istituzionale cui e' necessario porre
rimedio  per  orientare  la risoluzione dei giudizi di prime cure. E'
indubbio  che  la domanda di legittimazione di un fondo di uso civico
introduce   una   questione   di   interesse  legittimo,  poiche'  il
provvedimento  amministrativo di legittimazione ha natura concessoria
e presenta profili di ampia discrezionalita'.
    Sarebbe,  dunque,  utile  frantumare  e/o  integrare  il  dettato
legislativo statale e regionale menzionando non solo ulteriori tempi,
comunque   deducibili,  ma  le  speciali  conseguenze  della  mancata
adozione  del  provvedimento, positivo o negativo, di legittimazione:
lo  stesso  si  configura,  vale  ripeterlo,  come  un  provvedimento
amministrativo  formale.  Non  appare, infatti, idoneo, alla luce dei
principi  invocati, che un provvedimento amministrativo, come avviene
nel  caso  di  specie,  determini che la legittimazione richiesta non
risulti  mai  intervenuta  in  quanto  le  operazioni di sistemazione
demaniale  non  sono  state  portate  a  termine,  con  gravi danni e
conseguenze sia nella tutela delle posizioni giuridiche coinvolte sia
nella  situazione  oggettiva  anomala  in  cui permane il bene di uso
civico, anche sul piano della sua gestione pubblica.
    La  rilevanza  della  questione  di  legittimita' costituzionale,
intesa  come nesso di pregiudizialita' strumentale tra la definizione
della  questione di prime cure sulla tutela del diritto di proprieta'
e  quella  di  «ultima  scure»  della  Consulta  sull'istituto  della
legittimazione,  dunque,  discende,  sulla  scorta  delle indicazioni
fornite,  dalla situazione di estrema incertezza che si determina con
riferimento ad istanze di legittimazione non evase in tempi certi e/o
non  definite  per motivi imputabili a situazioni organizzative della
p.a. e che potrebbero obbligare il giudice ad operare, data la natura
comunque  c.d.  demaniale del bene (che rimane tale nel tempo, secula
seculorum)  anche  con il meccanimo del difetto di legittimazione, al
di  la'  della  configurazione  di  una  situazione  di mero possesso
protrattosi   ab   immemorabili,   senza  entrare  nel  merito  della
questione,   con   forte   dispendio   di   energie   processuali  ed
organizzative.
    Si  tenga  conto  che,  nel  caso di specie, la maggior parte dei
terreni  ricadenti  nel Comune di Banzi (Potenza) sono gravati da usi
civici, con un contenzioso non indifferente su diversi fronti e piani
di riferimento.
    Risulta  necessario  che  la  Corte  si  pronunci,  anche in sede
monitoria,   al   fine  di  porre  un  freno  ad  una  situazione  di
inadempienza  sul piano strettamente amministrativo e di creazione di
una  sorta  di sub procedimento amministrativo, appunto del tutto sui
generis,  rispetto  alla  generalita'  dei  comportamenti della p.a.,
obbligata a decidere sulla materia.
    Tale  situazione  di  incertezza  si  riverbera  anche nella fase
successiva,  qual  e'  quella  dell'affrancazione  (su cui si veda la
dettagliata   circolare  dell'Agenzia  del  territorio  n. 2  del  26
febbraio 2004) del canone di legittimazione, che non viene completata
e  lo  stesso  canone  monetario  non  verra'  mai riscosso dall'ente
competente (in assenza di una definizione della legittimazione che ne
rappresenta  il  presupposto),  con  evidenti  risvolti finanziari ed
erariali  ex  art.  28  Cost.,  vantaggi  del privato che non paga il
dovuto  (e  lo  stesso  nel  frattempo si prescrive), e svantaggi per
l'ente gestore e la collettivita', unica proprietaria dei beni di uso
civico,  che  non  vedono re-investite le somme da introitare, per il
miglioramento della fruibilita' dei beni stessi.
    La  non  manifesta  infondatezza  della questione di legittimita'
costituzionale  discende,  quindi,  dall'esistenza  del  dubbio sulla
legittimita' di tale «situazione normativa» sia sul piano statale sia
su quello regionale, che, come gia' evidenziato, non risultano idonei
e  sufficienti  a  definire  le  forme  di eventuale acquisizione del
diritto  di  proprieta', laddove possibile e plausibile, nel rispetto
dei   requisiti  richiesti  dall'ordinamento  di  riferimento,  ed  a
sciogliere  i  nodi  della  tutela  soggettiva.  Come  avviene  nella
presente  causa  l'istanza  di  legittimazione e' stata proposta e la
causa  si  protrae  sin  dal 1991 con evidenti risvolti sul piano del
difetto   di  legittimazione  di  entrambe  le  parti  coinvolte  nel
giudizio.  Lo stesso possesso del bene protratto nel tempo e di volta
in  volta  trasferito  tra  eredi  e/o  parenti  si  tramuta  in  una
situazione  di  diniego-inconfigurazione di un vero e proprio diritto
di proprieta'.
    Per  le  considerazioni  suesposte  in  fatto  e  diritto, questo
giudice  onorario aggregato, prima di decidere in sede di prime cure,
ritiene  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la  suindicata
questione di legittimita' costituzionale, cosi' come prospettata