ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di   procedura   penale,  come  sostituito  dall'art. 1  della  legge
20 febbraio  2006,  n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e
dell'art. 10  della  medesima  legge, promossi nell'ambito di diversi
procedimenti  penali, con ordinanze del 31 marzo e del 12 maggio 2006
dalla  Corte  d'assise  d'appello  di  Trieste,  del  20  aprile, del
29 marzo  (nn. 2  ordd.),  del 5 (nn. 3 ordd.) e del 19 aprile (nn. 3
ordd.),  del  3  maggio,  del  31  ottobre,  del  30 novembre, del 26
ottobre,   del   20  aprile,  dell'8 agosto  (nn. 2  ordd.),  del  21
settembre,  del  26  e  del 31 ottobre 2006 dalla Corte di appello di
Trieste,  rispettivamente  iscritte  ai  nn. 365  e  430 del registro
ordinanze  2006  ed ai nn. 137, da 321 a 329, 332, 333, 343, da 366 a
371 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica  nn. 40  e  43, 1ª serie speciale, dell'anno 2006 e
nn. 13, 18, 19 e 20, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 24 ottobre 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con ventuno ordinanze, sostanzialmente coincidenti
nella  parte  motiva,  la  Corte  di  appello  di  Trieste e la Corte
d'assise  d'appello  di  Trieste hanno sollevato, in riferimento agli
artt. 3   e   111   della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 593  del  codice  di procedura penale, come
sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche
al  codice  di  procedura penale in materia di inappellabilita' delle
sentenze di proscioglimento), e dell'art. 10 della medesima legge;
        che,   sotto   il   profilo  della  rilevanza,  i  rimettenti
premettono  che in forza dell'art. 10 della legge n. 46 del 2006 - il
cui  art. 1,  sostituendo l'art. 593 cod. proc. pen., ha sottratto al
pubblico   ministero   il   potere   di   appellare  le  sentenze  di
proscioglimento  - i giudizi dovrebbero essere definiti con ordinanze
non impugnabili di inammissibilita';
        che,  nel  merito,  i  rimettenti dubitano della legittimita'
costituzionale  dell'art. 593  cod.  proc.  pen., nel testo novellato
dalla  legge  n. 46  del  2006,  nella  parte  in cui non consente al
pubblico  ministero  di  proporre  appello  avverso  le  sentenze  di
proscioglimento,  se  non  nel  caso previsto dall'art. 603, comma 2,
cod.  proc.  pen.,  quando,  cioe', sopravvengano o si scoprano nuove
prove  dopo  il  giudizio  di  primo  grado  e  sempre che tali prove
risultino decisive;
        che  la  disciplina  censurata  violerebbe  gli artt. 3 e 111
Cost.  per  ingiustificata  disparita'  di trattamento tra le parti e
violazione del principio della ragionevole durata del processo;
        che   i   rimettenti  premettono  che,  secondo  la  costante
giurisprudenza della Corte costituzionale, la previsione di limiti al
potere  di  impugnazione  del  pubblico  ministero, di per se' non in
contrasto   con   la  Costituzione,  deve  trovare  una  «ragionevole
giustificazione» nella peculiare posizione istituzionale del pubblico
ministero,  nella  funzione  allo  stesso  affidata  e nelle esigenze
connesse alla corretta amministrazione della giustizia;
        che  nei  lavori  preparatori  della  legge n. 46 del 2006 le
ragioni dell'intervento normativo sono ricondotte esclusivamente alla
necessita'  di dare attuazione al principio affermato dall'art. 2 del
Protocollo   addizionale   n. 7  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
adottato   a  Strasburgo  il  22 novembre  1984,  ratificato  e  reso
esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, con riferimento al «diritto
al doppio grado di giurisdizione in materia penale per chiunque venga
dichiarato colpevole di una infrazione penale da un tribunale»;
        che  tali ragioni si paleserebbero non solo estranee a quelle
che, secondo la giurisprudenza richiamata, potrebbero legittimare una
limitazione  dei  poteri  di  impugnazione del pubblico ministero, ma
anche   «del   tutto  prive  di  fondamento»,  atteso  che  la  Corte
costituzionale  ha  ripetutamente  affermato  che «il doppio grado di
giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia costituzionale»
e  che  l'art. 2  sopra menzionato «non legittima una interpretazione
per  cui  il  riesame  ad  opera  di  un  tribunale  superiore  debba
coincidere con un giudizio di merito»;
        che  la  limitazione  del potere di impugnazione del pubblico
ministero  non  sarebbe  neppure  giustificata  dalla circostanza che
l'appello  sia  formalmente precluso anche all'imputato, «ben diverso
essendo  il  rispettivo interesse sostanziale a proporre impugnazione
avverso  una sentenza di proscioglimento», con conseguente violazione
degli artt. 3 e 111 Cost.;
        che  i rimettenti censurano, inoltre, la disciplina impugnata
in  riferimento  al  principio  della ragionevole durata del processo
(art. 111,  secondo  comma,  Cost.) ed a tal fine evidenziano come la
novella del 2006, per effetto della eliminazione dell'appello e della
possibilita'  di proporre ricorso in cassazione, determini un aumento
dei  gradi  di giudizio e dunque l'allungamento dei tempi processuali
con diretta incidenza sulla prescrizione dei reati;
        che  cio'  risulterebbe tanto piu' evidente in relazione alla
disciplina  transitoria  contenuta nell'art. 10 della legge n. 46 del
2006:  infatti,  la previsione di una «indiscriminata declaratoria di
inammissibilita»  degli appelli proposti prima dell'entrata in vigore
della  legge,  «derogando al principio tempus regit actum che governa
la materia processuale, non solo sacrifica ineludibilmente un atto di
gravame tempestivamente proposto, costringendo la parte interessata a
presentarne  un  altro,  ma comporta l'inevitabile differimento della
presentazione  di  esso  all'eseguita  notifica  del provvedimento di
inammissibilita' e, pertanto, ad un termine futuro ed incerto».
    Considerato  che  il  dubbio  di  costituzionalita'  sottoposto a
questa  Corte  ha  per  oggetto  la  preclusione  -  conseguente alla
modifica  dell'art. 593  del  codice  di  procedura  penale  ad opera
dell'art. 1  della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice
di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di
proscioglimento)  -  dell'appello  delle  sentenze  dibattimentali di
proscioglimento   da  parte  del  pubblico  ministero  e  l'immediata
applicabilita'  di tale regime, in forza dell'art. 10 della legge, ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;
        che,  stante l'identita' delle questioni proposte, i relativi
giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
        che,  successivamente  alle  ordinanze  di rimessione, questa
Corte,  con  sentenza  n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  sia  dell'art. 1  della  citata legge n. 46 del 2006,
«nella  parte  in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura
penale,  esclude  che il pubblico ministero possa appellare contro le
sentenze  di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste
dall'art. 603,  comma 2,  del  medesimo  codice, se la nuova prova e'
decisiva»;  sia  dell'art. 10,  comma 2,  della medesima legge «nella
parte  in  cui  prevede che l'appello proposto contro una sentenza di
proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in
vigore della medesima legge e' dichiarato inammissibile»;
        che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte,
gli  atti devono essere pertanto restituiti ai giudici rimettenti per
un nuovo esame della rilevanza delle questioni.