ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 4, commi 2
e 3; 5; 6, comma 9, lettera a); 7, comma 8; 10, comma 1; 11, comma 4;
48; 53, comma 1; 54, comma 4; 55, comma 6; 56; 57; 62, commi 1, 2, 4,
7; 70; 71; 72; 75; 81; 82; 83; 84; 85; 86; 87; 88; 91, commi 1 e 2 (e
disposizioni  di  cui  alla  Parte  II,  Titolo I e Titolo II, cui si
rinvia);  93;  98,  comma 2;  112,  comma 5,  lettera b);  113;  118,
comma 2;  120,  comma 2;  121, comma 1;122, commi da 1 a 7; 123; 124,
commi 2,  5 e 6; 125, commi 5, 6, 7, 8, 14; 130, comma 2, lettera c);
131;  132; 141; 153; 197; 204; 205; 240, commi 9 e 10; 252, commi 3 e
6; 253, commi 3, 10, 11 e 22, lettera a), e 257, comma 3, del decreto
legislativo  12 aprile  2006,  n. 163  (Codice dei contratti pubblici
relativi  a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE  e 2004/18/CE), promossi con ricorsi delle Regioni Toscana
e  Veneto,  della  Provincia  autonoma  di  Trento  e  delle  Regioni
Piemonte, Lazio e Abruzzo notificati il 4 luglio e il 30 giugno 2006,
depositati  in  cancelleria  il  5, il 6, il 7 e il 10 luglio 2006 ed
iscritti ai numeri 84, 85, 86, 88, 89 e 90 del registro ricorsi 2006.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23 ottobre  2007  il  giudice
relatore Alfonso Quaranta;
    Uditi gli avvocati Lucia Bora per la Regione Toscana, Luigi Manzi
e  Vittorio Domenichelli per la Regione Veneto, Giandomenico Falcon e
Luigi  Manzi  per  la  Provincia autonoma di Trento, Emiliano Amato e
Anita  Ciavarra  per la Regione Piemonte, Vincenzo Cerulli Irelli per
la  Regione  Lazio,  Sandro Pasquali e Vincenzo Cerulli Irelli per la
Regione  Abruzzo  e  l'avvocato  dello  Stato Danilo Del Gaizo per il
Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato il 30 giugno 2006 e depositato il
successivo  6 luglio  (ricorso  n. 85 del 2006), la Regione Veneto ha
impugnato  gli  artt. 4,  commi 2  e  3; 5, commi 1, 2, 4, 7, e 9; 6,
comma 9,  lettera a);  7,  comma 8;  10,  comma 1;  11,  comma 4; 53,
comma 1; 54, comma 4; 55, comma 6; 56; 57; 62, commi 1, 2, 4 e 7; 70;
71;  72;  75;  81;  82;  83;  84;  85; 86; 87; 88; 91, commi 1 e 2 (e
disposizioni  di  cui  alla  Parte  II,  Titolo I e Titolo II, cui si
rinvia);  93;  98,  comma 2;  112,  comma 5,  lettera b);  113;  118,
comma 2;  120, comma 2; 122, commi da 1 a 7; 123; 125, commi 5, 6, 7,
8,  14;  130, comma 2, lettera c); 131; 132; 141; 153; 197; 204; 205;
240,  commi 9  e  10;  252,  commi 3  e 6; 253, commi 3, 10, 11 e 22,
lettera a);  257,  comma 3,  del  decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163  (Codice  dei  contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), per
violazione  degli  artt. 76,  117,  secondo,  terzo, quarto, quinto e
sesto comma, e 118 della Costituzione, nonche' del principio di leale
collaborazione.
    1.1.  -  La ricorrente premette che il predetto d.lgs. n. 163 del
2006 e' stato emanato in attuazione della delega conferita al Governo
con  l'art. 25  della  legge  18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per
l'adempimento  di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza dell'Italia
alle   Comunita'   europee.   Legge   comunitaria   2004),   ai  fini
dell'attuazione  della  direttiva  2004/17/CE  del  31 marzo 2004 del
Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  che coordina le procedure di
appalto  degli  enti  erogatori di acqua e di energia, degli enti che
forniscono  servizi di trasporto e servizi postali, e della direttiva
2004/18/CE  del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio,
relativa  al  coordinamento  delle  procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.
    La  predetta  legge  n. 62  del  2005  ha  conferito, inoltre, al
Governo una ulteriore e distinta delega avente ad oggetto la adozione
di  «testi  unici  delle  disposizioni  dettate  in  attuazione delle
deleghe  conferite  per  il  recepimento di direttive comunitarie, al
fine di coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle
stesse   materie,  apportando  le  sole  modificazioni  necessarie  a
garantire  la  semplificazione  e  la  coerenza logica, sistematica e
lessicale della normativa» (art. 5, comma 1).
    1.2.  -  Sempre in via preliminare, la ricorrente sottolinea come
il  settore  dei  contratti  pubblici  relativi  a  lavori, servizi e
forniture  rientri  nell'ambito  delle  competenze  della Regione, ai
sensi  degli  artt. 117,  terzo  e quarto comma, 118, primo e secondo
comma, Cost.
    La  ricorrente  afferma,  richiamando il contenuto della sentenza
n. 303  del  2003  della  Corte  costituzionale,  come non esista una
materia  relativa  ai  lavori  pubblici, «i quali vanno qualificati a
seconda  dell'oggetto  al  quale  afferiscono»; pertanto, tali lavori
possono,  di  volta  in  volta,  rientrare nell'ambito della potesta'
legislativa  esclusiva  statale,  ovvero  concorrente,  ovvero ancora
residuale   delle  Regioni  «come  nel  caso  di  lavori  concernenti
infrastrutture di interesse esclusivamente regionale o locale».
    Dal  descritto riparto di competenze «deriva la imprescindibile e
fondamentale distinzione tra "lavori pubblici di interesse nazionale"
e "lavori pubblici di interesse regionale"».
    Tale  distinzione  varrebbe,  sempre nella prospettiva regionale,
anche  per  i  contratti  aventi  ad  oggetto  servizi  o  forniture,
trattandosi  di contratti strumentali alla esecuzione e alla gestione
di  lavori e di opere pubbliche ovvero di contratti indispensabili al
funzionamento  di  enti  ed apparati. In particolare, si osserva come
rientrerebbero  nella  potesta'  legislativa  residuale relativa alla
organizzazione  amministrativa  i  contratti  per servizi e forniture
posti in essere dalla Regione «per esigenze del proprio apparato».
    Nell'ambito  delle  competenze  regionali  ricadrebbero  anche  i
contratti  conclusi  da altri enti territoriali «nei limiti in cui la
Regione  puo'  determinarne le funzioni, in applicazione dei principi
di cui all'art. 118, primo e secondo comma, Cost.».
    1.3.  -  Svolte  le  premesse  sin  qui  riportate, la ricorrente
assume,  innanzitutto,  la illegittimita' costituzionale dell'art. 4,
comma 2,  seconda parte, limitatamente alle parole «programmazione di
lavori   pubblici»,   «organizzazione   amministrativa»,  «compiti  e
requisiti   del   responsabile   del  procedimento»,  per  violazione
dell'art. 117 Cost.
    Per  quanto  attiene alla «programmazione di lavori pubblici», si
sottolinea  come la stessa non sia una materia in senso proprio ma un
«modo  di  esercizio  delle competenze», che deve essere disciplinato
«di   volta  in  volta  con  fonti  statali  o  regionali  a  seconda
dell'attinenza   dell'attivita'   di   programmazione  ad  ambiti  di
competenza  dello  Stato o delle Regioni». Si conclude, pertanto, nel
senso che la programmazione di lavori pubblici di interesse regionale
rientra nella competenza residuale regionale.
    In  relazione  alla  materia  «organizzazione amministrativa», la
ricorrente  pone  in  evidenza che tale materia, con riferimento agli
enti  non  statali,  come  riconosciuto  dalla  stessa giurisprudenza
costituzionale  (si  cita la sentenza numero 17 del 2004), e' oggetto
di   potesta'  legislativa  regionale  residuale  e  non  concorrente
(sottolineandosi   come  il  Governo,  sul  punto,  abbia,  altresi',
disatteso  le  considerazioni  svolte dal Consiglio di Stato, Sezione
consultiva  per  gli  atti normativi, Adunanza del 28 settembre 2006,
n. 355).
    Infine,   per   quanto   riguarda  i  «compiti  e  requisiti  del
responsabile  del  procedimento», si rileva come non si tratti, anche
in  questo  caso,  di  un  aspetto  oggetto  di  potesta' legislativa
concorrente,  attenendo  essi  ai  profili  organizzativi  «che  sono
lasciati alla libera regolazione del legislatore regionale».
    1.4.  - La ricorrente assume, poi, la illegittimita' dell'art. 4,
comma 3,  per  violazione  dell'art. 76  Cost.  -  in  relazione agli
artt. 1,  comma 6,  e  5,  comma 5,  della  legge  n. 62 del 2005 - e
dell'art. 117, quinto comma, Cost.
    La  difesa regionale sottolinea che, con riferimento ai contratti
«di  rilevanza comunitaria», il Governo era stato delegato ad emanare
solamente  «le  norme  occorrenti  per dare attuazione alle direttive
comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B», tra le quali sono
indicate le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (art. 1, comma 1, della
legge n. 62 del 2005).
    Sul   piano   dei  rapporti  con  l'ordinamento  comunitario,  si
evidenzia  come  l'art. 117,  quinto  comma,  Cost.  attribuisca alle
Regioni,  nelle  materie  di  loro  competenza,  il  potere  di  dare
attuazione  ed esecuzione agli atti dell'Unione europea, nel rispetto
delle  norme  di  procedura  stabilite  dalla  legge dello Stato, che
disciplina  le  modalita' di esercizio del potere sostitutivo in caso
di  inadempienza.  Tali modalita' sono state determinate con la legge
4 febbraio   2005,   n. 11   (Norme   generali  sulla  partecipazione
dell'Italia   al  processo  normativo  dell'Unione  europea  e  sulle
procedure  di esecuzione degli obblighi comunitari), la quale prevede
che  le  Regioni  hanno  il  potere di dare immediata attuazione alle
direttive  comunitarie  in  tutte  le materie di loro competenza, con
possibilita'  dello  Stato  di  svolgere,  in  caso  di inadempimento
regionale,   un   intervento  esclusivamente  sostitutivo  di  natura
preventiva, suppletiva e cedevole.
    La  legge  delega  n. 62  del  2005  (in  particolare,  l'art. 1,
comma 6) consentiva, in ragione della sussistenza di ambiti materiali
di pertinenza regionale, l'attuazione delle direttive comunitarie nei
limiti previsti dalla legge n. 11 del 2005.
    Invero,  l'art. 4,  comma 4,  del d.lgs. n. 163 del 2006 contiene
una  norma in linea con quanto consentito dalla legge n. 11 del 2005;
sennonche',  questa  «e'  insanabilmente  contraddetta dal precedente
comma 3  dello  stesso  art. 4,  che  vincola  le Regioni al rispetto
incondizionato  di  una serie di norme, fatte rientrare in oggetti di
legislazione  statale  esclusiva».  Da  qui, l'assunta illegittimita'
costituzionale   del  predetto  comma 3  dell'art. 4,  in  quanto  il
Governo, con riferimento ai contratti di «rilevanza comunitaria», non
si sarebbe limitato a prevedere norme statali con esclusivo carattere
suppletivo e cedevole.
    Per  quanto attiene, invece, ai «contratti di interesse regionale
"sotto  soglia"»,  si assume la violazione dell'art. 76 Cost., atteso
che  il  vincolo  a dettare soltanto norme suppletive e cedevoli, pur
non   derivando  dall'art. 117,  quinto  comma,  Cost.,  era  imposto
dall'art. 5,  comma 5, della legge delega n. 62 del 2005. Tale norma,
attraverso  il  rinvio all'art. 1, comma 6, infatti, stabiliva che il
Governo,  nell'adottare  testi  unici  di  raccolta  delle  norme  di
attuazione  comunitarie  e  le  norme  meramente interne sulle stesse
materie,  avrebbe  dovuto  emanare  esclusivamente norme suppletive e
cedevoli.
    1.5.  -  La  ricorrente  formula,  poi,  una serie di censure nei
confronti   dell'art. 4,   comma 3,   per  violazione  dell'art. 117,
commi 2,  3  e  4,  nella  parte in cui stabilisce che le Regioni non
possono  prevedere  una disciplina diversa in una serie di settori di
seguito indicati.
        A) Innanzitutto,  si  contesta  l'inclusione del «subappalto»
nell'ambito   applicativo   della  norma  censurata,  atteso  che  il
collegamento con la tutela della concorrenza sarebbe cosi' labile che
se  fosse  sufficiente  a  radicare  la  potesta' legislativa statale
«determinerebbe  una  espansione abnorme della stessa "tutela"». Cio'
in  quanto  «nelle  relazioni  economico-contrattuali  non  vi  e' un
elemento che non possa in astratto essere riguardato sotto il profilo
concorrenziale».  Nell'ottica  della  difesa regionale, il subappalto
apparterrebbe  piuttosto  «alle  modalita'  attraverso le quali viene
raggiunto  il  risultato  "economico"  al  quale  e'  preordinato  il
contratto».
        B) Per    quanto    concerne,    invece,    l'«attivita'   di
progettazione»  di opere e impianti, «per come e' intesa nel Codice»,
alla  luce  anche  del  parere  reso  dal  Consiglio  di Stato, sopra
richiamato,  si  sottolinea  come  la  stessa  attenga  alla  materia
«governo  del  territorio»,  comprensiva delle materie urbanistica ed
edilizia.
        C) In  relazione al riferimento, contenuto sempre nella norma
in  esame, ai «piani di sicurezza», si osserva che, come riconosciuto
anche  dal Consiglio di Stato nel citato parere, gli stessi attengono
alla materia concorrente «sicurezza sul lavoro» (che e', tra l'altro,
indicata nel secondo comma dello stesso art. 4 come, appunto, materia
concorrente)  per cio' che concerne la riduzione al minimo dei rischi
di  infortuni  dei lavoratori impiegati nell'appalto, al «governo del
territorio»,  per  la  parte  relativa  alla progettazione esecutiva,
nonche', infine, alla «istruzione professionale».
        D) Per quanto attiene alla «stipulazione e all'esecuzione dei
contratti,  ivi  compresi  direzione  dell'esecuzione,  direzione dei
lavori,   contabilita'   e  collaudo,  ad  eccezione  di  profili  di
organizzazione e contabilita' amministrative», si sottolinea che tali
settori  coinvolgono  aspetti organizzativi e procedurali dell'azione
amministrativa   e   andrebbero,   pertanto,   inclusi,   a   seconda
dell'oggetto,  tra  le materie di competenza concorrente o residuale;
nella   specie,   si   puntualizza,  non  verrebbero  in  rilievo  la
stipulazione  e l'esecuzione come regolate dal codice civile e dunque
rientranti nell'ambito della materia dell'ordinamento civile.
        E) In  relazione  all'inclusione  dell'istituto  del collaudo
nell'ambito  della norma censurata, si osserva come non sussisterebbe
alcun  titolo in grado di giustificare «il condizionamento statale su
una   disciplina   regionale   che,  regolando  la  materia,  preveda
l'adozione  di  atti finalizzati ad assicurare comportamenti uniformi
delle  stazioni appaltanti nella realizzazione dei lavori pubblici di
interesse regionale».
        F) Per  quanto  attiene,  infine, ai «contratti relativi alla
tutela  dei  beni  culturali»,  si deduce che, pur essendo la materia
relativa    alla   tutela   dei   beni   culturali   distinta   dalla
«valorizzazione»,  essa attiene anche ad aspetti della disciplina che
non  assolvono  «ad una funzione di salvaguardia, come e' ad esempio,
per   la   determinazione   della   cauzione,   per  l'organizzazione
amministrativa    degli   interventi,   per   il   responsabile   dei
procedimenti,  o  per  la  stessa approvazione dei progetti». Ne', si
aggiunge,  sarebbe  possibile  svolgere  il  giudizio di prevalenza a
favore  della  competenza  statale,  in  quanto  cio' sarebbe vietato
dall'art. 118,  terzo  comma, Cost., il quale proprio con riferimento
alla  tutela  dei  beni  culturali,  impone  alla  legge  statale  di
disciplinare «forme di intesa e di coordinamento».
    1.6. - La Regione Veneto assume, altresi', la incostituzionalita'
dell'art. 4,   comma 3,   nella   parte   in   cui,   con   norma  di
«autoqualificazione»,  prevede  che le Regioni «non possono prevedere
una  disciplina diversa da quella del presente Codice», anziche' «non
possono   prevedere   una  disciplina  contrastante  con  i  principi
desumibili  dal  presente  Codice,  in  relazione  alla  tutela della
concorrenza»,  per  asserita violazione degli artt. 76, 117, secondo,
terzo,   quarto   e   quinto   comma,   Cost.,  e  del  principio  di
ragionevolezza.
    In particolare, si contesta che lo Stato, anche in presenza della
materia  della  tutela della concorrenza, «possa vincolare le Regioni
con   un   insieme   di   norme,  dettagliate  ed  eterogenee,  tutte
indiscriminatamente accomunate dal vincolo della inderogabilita».
    A  tale  proposito, dopo avere sottolineato che la giurisprudenza
costituzionale  ha ritenuto che gli interventi nella predetta materia
debbono    essere   improntati   al   rispetto   dei   canoni   della
proporzionalita'  e  della  adeguatezza, la Regione ritiene che per i
contratti sopra soglia le finalita' di tutela della concorrenza siano
gia'  garantite dalla normativa comunitaria; per questi motivi «per i
contratti  di  interesse regionale (...) una disciplina nazionale che
si  interponga  tra  quella  comunitaria e quella regionale appare di
regola  sproporzionata rispetto al fine, salvi casi eccezionalissimi,
che il legislatore statale dovrebbe avere l'onere di prospettare e di
dimostrare».
    Per  quanto  attiene,  invece,  ai  contratti  sotto  soglia,  si
sottolinea  come  «le  esigenze  di tutela della concorrenza appaiono
attenuate,  dovendo tutt'al piu', in circostanze particolari, come ad
esempio  l'affidamento  di  una  concessione  comportante  un  valore
economico  molto  limitato»,  rispondere  a condizioni di trasparenza
senza che sia necessario fare ricorso a procedure di gara.
    In  definitiva,  la  ricorrente  ritiene  che,  per  ricondurre a
costituzionalita'   la   previsione  generale  dell'art. 4,  comma 3,
sarebbe  necessario  ridurre  la  portata  del  vincolo  imposto alle
Regioni,  costringendole  al  rispetto dei soli principi fondamentali
ricavabili dalla norme richiamate.
    1.7.  -  Nel  ricorso  in esame si assume, altresi', il contrasto
dell'art. 4,   commi 2   e  3,  con  l'art. 76  Cost.,  in  relazione
all'art. 25, comma 2, della legge n. 62 del 2005.
    Quest'ultima  disposizione,  infatti,  prescriveva che il decreto
legislativo dovesse essere emanato sentito il parere della Conferenza
unificata  di  cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281   (Definizione   ed   ampliamento   delle  attribuzioni  della
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie
ed  i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei
comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali).
    Invero,  lo schema di decreto legislativo e' stato effettivamente
assoggettato  al  previo parere della Conferenza unificata, la quale,
pero',   si  e'  pronunciata  su  un  testo  che,  in  reazione  alle
disposizioni  ora  censurate, era «completamente differente» rispetto
al testo poi definitivamente pubblicato.
    Infatti,  l'art. 4,  nella sua versione originaria, si limitava a
richiamare  genericamente  i  limiti  costituzionali  della  potesta'
legislativa  regionale  ed  individuava  due soli specifici ambiti di
disciplina  (qualificazione  e selezione dei concorrenti; svolgimento
delle  procedure  di  gara) riconducibili alla competenza legislativa
esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza.
    Successivamente  il  Governo,  nonostante  «il  parere reso dalla
Conferenza   fosse   (...)   gia'   fortemente   negativo»,   avrebbe
«completamente   riscritto»   la  disposizione  in  esame  «in  senso
fortemente   limitativo   della   competenza   normativa  regionale»,
identificando   «ben   cinque   ambiti  di  disciplina  asseritamente
riconducibili alla competenza concorrente (mentre il testo originario
della  norma  nulla  stabiliva  sul  punto),  ed elencando al comma 3
addirittura diciassette "oggetti" (rispetto ai soli due contenuti nel
testo originario)» riservati alla competenza statale esclusiva.
    In  ragione  delle  considerazioni  sin qui svolte, la ricorrente
assume  come  il  limite stabilito dall'art. 25 della legge n. 62 del
2005 sia stato «sostanzialmente violato».
    1.8.  -  La  ricorrente  deduce, inoltre, la violazione, da parte
dell'art. 5,  comma 1,  del  d.lgs. n. 163 del 2006, degli artt. 117,
sesto comma, 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
    La  norma  impugnata prevede che il Governo detti con regolamento
la   disciplina   esecutiva  e  attuativa  del  Codice,  seguendo  un
procedimento  al  quale partecipano il Consiglio superiore dei lavori
pubblici e il Consiglio di Stato, ma non anche le Regioni.
    La  incostituzionalita'  della  disposizione in esame deriverebbe
non  soltanto  dal  fatto  che  l'art. 4, comma 3, ricomprende tra le
materie statali esclusive settori ed oggetti che afferiscono invece a
competenze  regionali, ma anche dalla circostanza che, per le materie
trasversali   di   competenza  legislativa  statale,  lo  Stato  puo'
intervenire  soltanto  in  via legislativa e non anche regolamentare,
non  sussistendo  motivi per differenziare tra i vincoli espressi dai
principi  fondamentali  e  i  vincoli espressi dalla disciplina delle
materie trasversali. Ne' ad una diversa conclusione si puo' pervenire
richiamando  la giurisprudenza costituzionale (sentenza numero 88 del
2003)  la  quale  ha  ammesso  in  una  materia  trasversale (livelli
essenziali  delle  prestazioni)  che atti amministrativi sviluppino e
ulteriormente  determinino  finalita'  ed  obiettivi  specifici, gia'
puntualmente  fissati  dalla  legge, con il coinvolgimento necessario
delle Regioni. Cio' in quanto il rapporto tra legge e regolamento non
puo'   essere   assimilato  a  quello  esistente  tra  legge  e  atto
amministrativo.
    Si  assume,  inoltre, che «l'autonomia politica» di cui godono le
Regioni puo' essere «limitata solo da atti riconducibili direttamente
o   in   via   mediata  al  Parlamento,  luogo  della  rappresentanza
nazionale»,  e non anche dal solo Governo e dalla «maggioranza che lo
sostiene».
    In  definitiva,  pertanto, la norma in esame sarebbe illegittima,
nella  parte  in  cui  prevede  l'applicabilita'  alle  Regioni  e ai
contratti  di  interesse  regionale  delle disposizioni regolamentari
riferite  ai settori che l'art. 4, comma 3, ascrive alla tutela della
concorrenza.
    1.9. - In via subordinata, la ricorrente assume la violazione del
principio  di  leale  collaborazione.  Infatti,  si  osserva  come la
materia della tutela della concorrenza interferisca con le competenze
regionali  sui  lavori  pubblici, sulla organizzazione amministrativa
propria  e  degli  enti  da  essa  dipendenti, sulla disciplina delle
funzioni amministrative.
    Da  qui  la  necessita'  che  la  predetta  materia  statale  sia
coordinata   con   le   competenze   regionali   mediante  il  modulo
collaborativo  dell'intesa  (si  richiama,  tra le altre, la sentenza
della Corte costituzionale numero 303 del 2003). E', a tal proposito,
significativo,  si  aggiunge,  che  lo  stesso decreto legislativo in
relazione  a taluni aspetti preveda l'adozione di norme regolamentari
previa  «intesa in sede di Conferenza unificata» (artt. 201, comma 3,
204,  comma 3,  252,  comma 3)  o  «sentita  la Conferenza unificata»
(art. 204,  comma 4)  ovvero  «sentita  la  Conferenza Stato-Regioni»
(art. 253, comma 10).
    1.10.  -  In via ulteriormente subordinata, la Regione assume che
la  legge  n. 11  del  2005  prevede  alcune interferenze statali nel
compito  regionale  di  attuazione  e  «nessuna  di  esse consente la
adozione di norme regolamentari vincolanti».
    Il  primo tipo di intervento statale permette l'adozione di norme
con funzione di «sostituzione preventiva» delle Regioni inadempienti:
«ed  anche  ad  ammettere  che  la  "sostituzione  preventiva"  possa
avvenire  in  via  regolamentare,  i conseguenti regolamenti dovranno
avere  pur  essi  il  medesimo carattere suppletivo e cedevole», cio'
contrariamente a quanto contenuto nella disposizione censurata.
    Un  secondo  tipo  di  intervento statale riguarda casi in cui la
disciplina  comunitaria  afferisca  sia  a  materie  regionali  che a
materie statali elencate nel secondo comma dell'art. 117 Cost.
    Quando   vengono  in  rilievo  competenze  legislative  esclusive
statali  di cui all'art. 117, secondo comma, Cost. «il Governo indica
i  criteri  e  formula  le  direttive  ai quali si devono attenere le
Regioni  e  le  province  autonome  ai  fini  del  soddisfacimento di
esigenze  di  carattere  unitario,  del perseguimento degli obiettivi
della programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti
dagli  obblighi  internazionali»  (art. 16,  comma 4, legge n. 11 del
2005).  La  legge  di  attuazione dell'art. 117, quinto comma, Cost.,
pertanto,  non  contemplerebbe un «esproprio di competenze regionali,
ma  solo  la  prefissione  di  obiettivi  rientranti  nell'ambito  di
specifiche finalita». Il citato art. 16, comma 4, stabilisce poi, che
i  criteri  e  le  direttive  siano dettati: «a) con legge o con atto
avente   forza   di  legge»;  b)  ovvero,  «sulla  base  della  legge
comunitaria,  con i regolamenti previsti dall'articolo 11»; c) ovvero
ancora   «mediante  deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri,  su
proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per
le  politiche comunitarie, d'intesa con i ministri competenti secondo
le modalita' di cui all'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59».
    In  definitiva,  nelle  materie  del  secondo comma dell'art. 117
Cost.  che  interferiscono  con  materie  regionali  (quale quella in
esame) non sarebbe consentita l'adozione di norme regolamentari.
    Infatti,  i  regolamenti  previsti dall'art. 11 della legge n. 11
del   2005   sono   quelli  specificamente  autorizzati  dalla  legge
comunitaria   a   dare   attuazione   alle  direttive,  con  puntuale
prefissione  di  principi  e criteri direttivi, «qualora le direttive
consentano  scelte  in  ordine alle modalita' della loro attuazione».
Ma, sottolinea la difesa regionale, nessuna autorizzazione del genere
sarebbe contenuta nella legge delega n. 62 del 2005 che, anzi, quando
non  da'  diretta  attuazione  alle  direttive, fa sempre riferimento
all'attuazione mediante decreti legislativi.
    Inoltre,  la  deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri  sopra
indicata,  con la quale si volessero stabilire criteri e direttive ai
fini di tutela degli interessi statali nelle materie trasversali, per
essere   valida,  dovrebbe  essere  adottata  previa  intesa  con  la
Conferenza unificata.
    La  difesa  regionale  conclude  sul  punto  ritenendo, pertanto,
costituzionalmente  illegittima  la norma in esame nella parte in cui
prevede  che la potesta' regolamentare valga anche per i contratti di
interesse  regionale  di  rilevanza  comunitaria; in subordine, nella
parte  in  cui  non prevede che il regolamento sia adottato di intesa
con  lo  Stato  ai  sensi  dell'art. 8 della predetta legge n. 59 del
1997.
    A  queste  conclusioni  la  ricorrente  perviene  sulla  base del
rilievo  secondo cui la legge n. 11 del 2005 non puo' essere derogata
da  una  fonte  primaria,  essendo  una  legge di «diretta attuazione
dell'art. 117  Cost.» (si cita la sentenza della Corte costituzionale
numero 12 del 2006).
    In  secondo luogo, una deroga cosi' rilevante a quanto prescritto
dalla  legge n. 11 del 2005 avrebbe richiesto uno specifico principio
o  criterio  direttivo  che  nella  specie  manca. Da qui l'ulteriore
contrasto della norma in esame con l'art. 76 Cost., avendo il Governo
ecceduto  la  delega  conferita  «e  potendo la Regione dolersi della
violazione,  in  quanto  si tratta del mancato rispetto di previsioni
dirette  a  conformare  la  propria  autonomia nella attuazione delle
direttive comunitarie».
    1.11.   -   La  Regione  Veneto  censura,  per  violazione  degli
artt. 117,  terzo  e quarto comma, e 76 Cost., l'art. 5, comma 2, del
d.lgs.n. 163  del  2006  nella parte in cui rimette al regolamento di
determinare  le  disposizioni  di  esso  che,  in  quanto esecutive o
attuative  di disposizioni rientranti, ai sensi dell'art. 4, comma 3,
in  ambiti  di legislazione statale esclusiva, sono applicabili anche
alle Regioni.
    La ricorrente sottolinea che una autoqualificazione statale delle
norme  applicabili alle Regioni «pur potendosene apprezzare la ratio,
non  puo'  essere operata con un regolamento governativo, soprattutto
quando,  come  nel  caso,  al  regolamento  e' lasciato un margine di
discrezionalita'  assai  ampio».  Si  aggiunge  che  «la disposizione
impugnata  finisce  con  il  rimettere  al  regolamento  sia i limiti
orizzontali della competenza della Regione (attraverso la definizione
"in  negativo" dei suoi ambiti di competenza), sia i limiti verticali
(attraverso la posizione di vincoli piu' o meno penetranti, destinati
ad  operare  all'interno  delle  materie  regionali  interferenti con
quelle   statali)».   Tale   compito,  nella  prospettiva  regionale,
dovrebbe,  pero', essere assolto dalla legge o da un atto equiparato,
come  richiesto  dall'art. 117,  terzo  e  quarto  comma, Cost. e dal
principio di legalita' che regola i rapporti Stato-Regioni.
    1.12. - Vengono poi impugnati dalla stessa Regione Veneto anche i
commi 7  e  9  dell'art. 5,  nella parte in cui consentono a tutte le
stazioni  appaltanti  di  adottare  propri  capitolati, oppure di far
proprio   il   capitolato   generale   adottato  dal  Ministro  delle
infrastrutture,  per  contrasto con l'art. 117, terzo e quarto comma,
Cost. Cio', in quanto detti commi - escludendo che la legge regionale
possa  prevedere  l'approvazione  di un apposito capitolato generale,
oppure  l'adozione da parte di tutte le stazioni appaltanti di schemi
uniformi di capitolati speciali - lederebbe la competenza legislativa
spettante  alla  Regione sui lavori pubblici «di interesse regionale»
oltre  che la competenza sulla organizzazione propria e degli enti da
essa dipendenti.
    1.13.  -  La  Regione  Veneto  ha, altresi', impugnato l'art. 10,
comma 1,   nella   parte   in   cui  prevede  che  debba  esservi  un
«responsabile   del   procedimento,   unico   per   le   fasi   della
progettazione,  dell'affidamento,  dell'esecuzione»,  in  quanto tale
norma  avrebbe  un  oggetto  rientrante  nell'ambito della competenza
residuale  della  Regione relativa all'organizzazione amministrativa,
cosi'   come   sostenuto  dalla  stessa  ricorrente  con  riferimento
all'art. 4, comma 2.
    Qualora   la  Corte  costituzionale,  si  aggiunge,  non  dovesse
condividere    tale    soluzione,   si   argomenta   l'illegittimita'
costituzionale  della norma in esame per il suo carattere dettagliato
che  non  lascerebbe alcuna possibilita' di adattamento: infatti, non
si  comprende  perche'  le  suddette  fasi,  essendo strutturalmente,
funzionalmente  ed  economicamente  autonome, debbano necessariamente
avere un unico responsabile dei procedimenti.
    1.14. - L'art. 98, comma 2, viene, invece, impugnato, nella parte
in  cui  stabilisce  che  «l'approvazione  dei progetti definitivi da
parte del consiglio comunale costituisce variante urbanistica a tutti
gli effetti». La ricorrente, pur riconoscendo come la norma afferisca
all'ambito  materiale  del governo del territorio, nondimeno contesta
che  essa  «esprima  una  regola  inderogabile  assai  pervasiva, che
sottrae  al  controllo  della  Regione  competente  la verifica della
variante   urbanistica,  con  conseguente  lesione  delle  competenze
costituzionalmente  ad  essa  spettanti»  (si  cita la sentenza della
Corte costituzionale numero 206 del 2001).
    1.15.  -  La ricorrente impugna anche i commi 3 e 22, lettera a),
dell'art. 253,  nella  parte  in cui essi prevedono, rispettivamente,
che   «per   i  lavori  pubblici,  fino  all'entrata  in  vigore  del
regolamento  di  cui  all'articolo 5,  continuano  ad  applicarsi  il
decreto  del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, il
decreto  del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34, e le
altre  disposizioni  regolamentari  vigenti  che, in base al presente
Codice,   dovranno   essere   contenute   nel   regolamento   di  cui
all'articolo 5,  nei limiti di compatibilita' con il presente Codice.
Per  i  lavori  pubblici,  fino  all'adozione  del  nuovo  capitolato
generale,  continua  ad  applicarsi il decreto ministeriale 19 aprile
2000, n. 145, se richiamato nel bando» (comma 3); e che «in relazione
all'articolo 125  (lavori,  servizi, forniture in economia) fino alla
entrata  in  vigore  del  regolamento:  a)  i lavori in economia sono
disciplinati  dal decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre
1999,  n. 554,  nei  limiti di compatibilita' con le disposizioni del
presente Codice» (comma 22, lettera a).
    Tali  norme  violerebbero,  secondo  la  Regione,  gli artt. 117,
secondo,  terzo,  quarto  e  quinto  comma,  e  118  Cost., in quanto
rinviano  alla  disciplina  regolamentare statale di attuazione della
disciplina  primaria  gia'  denunciata per tutti i lavori pubblici di
«interesse regionale».
    1.16. - In via subordinata, la Regione Veneto impugna, infine, le
seguenti   disposizioni   contenute  nel  Codice:  artt. 6,  comma 9,
lettera a);  7,  comma 8;  11, comma 4; 53, comma 1; 54, comma 4; 55,
comma 6;  56;  57;  62, commi 1, 2, 4, 7; 70; 71; 72; 75; 81; 82; 83;
84; 85; 86; 87; 88; 91, commi 1 e 2 (e disposizioni di cui alla Parte
II,  Titolo  I  e  Titolo  II,  cui ivi si rinvia); 93; 112, comma 5,
lettera b);  113;  118,  comma 2;  120, comma 2; 122, commi da 1 a 7;
123;  125,  commi 5, 6, 7, 8, 14; 130, comma 2, lettera c); 131; 132;
141;  153;  197;  204;  205; 240, commi 9 e 10; 252, commi 3, 6; 253,
commi 10 e 11; 257, comma 3.
    Nel caso, infatti, di mancato accoglimento delle censure relative
all'art. 4,   comma 3,  le  norme  sopra  indicate  vengono  ritenute
incostituzionali  in  quanto,  pur  se riferibili alla materia tutela
della concorrenza, «presentano un carattere di estremo dettaglio e di
eccessiva   analiticita'   e   comprimono   dunque   illegittimamente
l'autonomia  normativa regionale, prevedendo misure sproporzionate ed
eccessive rispetto al fine».
    In   particolare,  si  assume  la  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 91,  commi 1 e 2, nonche' le disposizioni di cui alla Parte
II,  Titolo I e Titolo II, alle quali la predetta norma fa rinvio. Al
riguardo,  si  osserva  come,  per  quanto attiene in via generale ai
contratti   di   importo   inferiore   alla  soglia  comunitaria,  il
legislatore  statale  dovrebbe  limitarsi alla fissazione di principi
fondamentali, volti ad assicurare trasparenza, parita' di trattamento
e  non  discriminazione  ovvero  a  regolare  il mercato e a favorire
rapporti  concorrenziali  nell'ambito  dello stesso, senza spingersi,
come  e'  avvenuto  nel  caso  di  specie,  a  porre  «una  pervasiva
disciplina   di   dettaglio»   (si   cita  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 345 del 2004).
    Per  le  medesime  ragioni,  e  cioe'  per  la  esistenza  di una
regolamentazione   eccessivamente   analitica   e  dettagliata,  sono
censurate le seguenti disposizioni:
        --  gli  artt. 6,  comma 9,  lettera a), e 7, comma 8, «nella
misura  in  cui,  per la loro eccessiva analiticita', precludono alle
Regioni la possibilita' di legiferare definendo procedure piu' snelle
e  compatibili  con  l'organizzazione propria delle sezioni regionali
dell'Osservatorio dei contratti pubblici»;
        --  l'art. 11,  comma 4, e gli artt. da 81 a 88 relativi alla
disciplina  dei  criteri  di aggiudicazione, «che per la loro estrema
analiticita'  non  lasciano  alcun  effettivo  spazio ad una autonoma
disciplina di dettaglio di fonte regionale»;
        --  l'art. 53,  comma 1, nella parte in cui individua in modo
tassativo   ed  esclusivo  le  tipologie  di  contratti,  di  importo
inferiore  alla  soglia  comunitaria, mediante i quali possono essere
realizzati  i  lavori  pubblici,  tra  l'altro  in  senso restrittivo
rispetto alle modalita' consentite dall'ordinamento comunitario;
        --  gli  artt. 54,  comma 4, 56, 57, 62, commi 1, 2, 4 e 7, e
122,   comma 7,   «in  quanto  per  la  loro  eccessiva  analiticita'
precludono  alle  Regioni  la  possibilita'  di  dettare  una propria
autonoma   disciplina   relativamente   alla   procedura   negoziata,
soprattutto  con  riferimento (anche in questo caso) al settore degli
appalti sotto soglia»;
        --  l'art. 55,  comma 6, e 62, commi 1, 2 e 4, nella parte in
cui,  «prevedendo  la possibilita' di limitare il numero di candidati
idonei  da invitare nelle procedure ristrette con riferimento ai soli
"lavori  di  importo  pari  o  superiore a quaranta milioni di euro",
sembrano precludere irragionevolmente alle Regioni la possibilita' di
dettare   una   propria  disciplina  dell'istituto  della  cosiddetta
"forcella" anche con riferimento ai contratti sotto soglia»;
        -- gli artt. 75 e 113 «che dettano una pervasiva ed analitica
disciplina   delle  forme  di  garanzia»,  nonche'  in  correlazione,
l'art. 252, comma 6»;
        --   l'art. 93   «laddove   pone  una  dettagliata  e  rigida
disciplina dei livelli di progettazione»;
        --  l'art. 112,  comma 5, lettera b), in tema di verifica dei
progetti;
        --  l'art. 118, comma 2, che disciplina «in modo estremamente
analitico il subappalto»;
        --  gli  artt. 120,  comma 2,  e 141, in materia di collaudo,
data  la estrema analiticita' della disciplina ivi contenuta, «di cui
e'  addirittura  prevista  l'ulteriore  specificazione  ad  opera del
regolamento»;
        --  l'art. 122,  commi  da  1 a 6, e gli artt. 70, 71, 72, in
quanto  applicabili  agli  appalti  di  importo inferiore alla soglia
comunitaria  in  forza  di  specifici  richiami ovvero della clausola
generale  di  rinvio  di  cui  all'art. 121, comma 1; analoga censura
viene  svolta,  per  le  medesime ragioni, in relazione all'art. 252,
comma 3, nonche' all'art. 253, commi 10 e 11;
        --  l'art. 123 «in considerazione del fatto che la "procedura
ristretta  semplificata"  (ivi  disciplinata)  e'  istituto che trova
applicazione agli appalti di lavori sotto soglia»;
        --  l'art. 125,  commi  da  5  a  8  e  14, che disciplina le
acquisizioni  in  economia  di  beni,  servizi  e  lavori, per il suo
carattere di eccessivo dettaglio;
        --  l'art. 130,  comma 2,  lettera c),  nella  parte  in  cui
prevede  l'affidamento  dell'attivita'  di  direzione  dei  lavori  a
«soggetti  scelti  con  le procedure previste dal presente Codice per
l'affidamento degli incarichi di progettazione»;
        -- l'art. 131, «che regolamenta in termini dettagliatissimi i
piani di sicurezza»;
        --  l'art. 132,  «nella misura in cui la analitica disciplina
delle  varianti  in  corso  d'opera,  ivi contenuta, non lascia alcun
autonomo spazio di intervento al legislatore regionale»;
        --  l'art. 153,  «che  regolamenta  la  fase  di  raccolta  e
selezione  delle  proposte  con  riferimento all'istituto del project
financing»;
        --  gli artt. 197, 204 e 205, «i quali, pur se ipoteticamente
riferibili  alla  materia  «tutela dei beni culturali» (di competenza
esclusiva  dello  Stato), presentano comunque un carattere di estremo
dettaglio   e   di   eccessiva   analiticita',  e  comprimono  dunque
illegittimamente  l'autonomia  normativa  regionale, prevedendo (...)
misure sproporzionate ed eccessive rispetto al fine»;
        --  l'art. 240,  commi 9  e  10,  in  quanto, pur essendo gli
artt. 239  e  seguenti  «certamente  riconducibili  ad una materia di
esclusiva  competenza  statale  che consente l'introduzione di limiti
piu'  penetranti  rispetto a quelli ammessi relativamente alla tutela
della concorrenza e dei beni culturali», nondimeno i predetti commi 9
e   10   disciplinano   «in  modo  eccessivamente  analitico  aspetti
prettamente   organizzativi   dell'istituto   dell'accordo   bonario,
precludendo  alle Regioni qualsiasi possibilita' di dettare sul punto
una propria autonoma disciplina»;
        --  l'art. 257, comma 3, che per l'anno 2006 cristallizza gli
elenchi  previsti  dall'art. 23  della legge 11 febbraio 1994, n. 109
(Legge quadro in materia di lavori pubblici).
    1.17.  -  Nel ricorso la Regione aveva, inoltre, proposto istanza
di  sospensione  ai  sensi  degli  artt. 35 e 40 della legge 14 marzo
1953, n. 87.
    2.  -  Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, il
quale,  in  via preliminare, ha prospettato la inammissibilita' della
questione riferita alla violazione dei principi contenuti nella legge
delega  alla  luce  della  giurisprudenza  costituzionale che ritiene
inammissibili  le censure proposte dalla Regioni, con le quali non si
adduce  una  lesione  diretta  delle proprie competenze (si citano le
sentenze  della  Corte  costituzionale  numeri 287 del 2004 e 274 del
2003).
    2.1.  -  In  relazione  alle  altre  questioni, la difesa statale
sottolinea   come   la   disciplina   dei   lavori   pubblici  -  non
rappresentando  questi  ultimi  una  vera e propria materia - investa
diversi   ambiti   materiali   (si   cita  la  sentenza  della  Corte
costituzionale  numero  303 del 2003). In particolare, si ritiene che
gli aspetti relativi alla qualificazione e selezione dei concorrenti,
alle procedure di gara, ai criteri di aggiudicazione, al subappalto e
alla  vigilanza  sul  mercato  affidata ad un'autorita' indipendente,
atterrebbero  alla  tutela  della  concorrenza  nell'accezione  fatta
propria  dalla  Corte  costituzionale con le sentenze numeri 272 e 14
del   2004.   La   natura   trasversale  della  competenza  in  esame
giustificherebbe l'intervento del legislatore statale anche in ambiti
di  materia  di  competenza  regionale sia concorrente che residuale,
«senza  tuttavia  consumarsi  tutto  l'ambito, cosicche' rimangono di
regola  spazi  non  sensibili  a  tale problematica nei cui confronti
resta fermo il normale riparto di competenze».
    L'Avvocatura  generale  dello Stato ritiene, inoltre, richiamando
il  parere  del  Consiglio di Stato n. 355 del 2006, come, accanto ai
profili   della   concorrenza,   «sussistano  profili  non  marginali
organizzativi,  procedurali,  economici  e  di  altro  tipo, quali la
progettazione,  la  direzione  dei lavori, il collaudo, i compiti e i
requisiti  del  responsabile  del  procedimento,  i  quali, a seconda
dell'oggetto, possono rientrare (oltre che nella competenza esclusiva
statale)  sia  nella  competenza  concorrente che in quella residuale
regionale:  nel  primo caso, l'attivita' legislativa regionale rimane
soggetta ai principi fondamentali desumibili dal Codice; nel secondo,
la legislazione regionale puo' esprimersi liberamente "fatta salva la
possibile  rilevanza  di  vincoli  diversi" (dettati dall'esigenza di
garantire  la trasparenza o dai principi della legge sul procedimento
amministrativo)».
    Infine,  si  osserva  come  la  disciplina dei contratti pubblici
intersechi,   altresi',  altre  materie  attribuite  alla  competenza
esclusiva   statale:   ordinamento   civile   (con  riferimento  alla
esecuzione  dei  contratti),  giurisdizione  e  norme  processuali  e
giustizia amministrativa, con riferimento al contenzioso.
    2.2.  -  Svolta  questa premessa di carattere generale, la difesa
erariale  quanto  alle censure riferite all'art. 4, comma 2, ritiene,
innanzitutto,  che  la  disciplina  inerente  la  «programmazione dei
lavori  pubblici»  e l'«approvazione dei progetti ai fini urbanistici
ed  espropriativi»  rientra nell'ambito della materia concorrente del
governo del territorio (art. 117, terzo comma, Cost.).
    Quanto  alla organizzazione amministrativa («che, fatta eccezione
per gli enti ed organismi statali, compete, di regola, alle Regioni»)
si  sottolinea  come, con la sua riconduzione ad essa nell'ambito del
secondo  comma dell'art. 4, il legislatore statale non avrebbe inteso
sottrarre alle Regioni l'intera materia in esame, ma sottolineare che
«possono  sussistere  particolari  profili  relativi  a  principi che
devono essere rispettati dal legislatore regionale (quali la garanzia
della trasparenza o la presenza del responsabile del procedimento)».
    2.3. - Per quanto attiene alle censure specificamente rivolte nei
confronti dell'art. 4, comma 3, si osserva quanto segue.
    Per  gli  appalti sotto soglia, contrariamente a quanto sostenuto
dalla  ricorrente,  compete  allo  Stato  «la  fissazione  di  comuni
principi,  che  assicurino  trasparenza, parita' di trattamento e non
discriminazione».
    Le procedure di affidamento attengono, invece, alla materia della
tutela  della  concorrenza  e  non  a  profili  organizzativi, con la
puntualizzazione,  contenuta  nella  disposizione  censurata, che per
tali profili vale comunque la competenza esclusiva statale.
    Per  quanto attiene al riferimento contenuto nella norma in esame
alla progettazione, si assume che questa, nei suoi molteplici aspetti
di  affidamento  degli  incarichi  di  progettazione,  di  livelli  e
contenuto  della  progettazione,  di esecuzione dei progetti, rientra
«per  molti  aspetti  nella competenza esclusiva statale», venendo in
rilievo: «la tutela della concorrenza; l'ordinamento civile; le opere
dell'ingegno  (tali  sono  i  progetti); la determinazione di livelli
essenziali  delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
che  devono  essere  assicurati  su tutto il territorio nazionale, in
quanto  i livelli della progettazione mirano a garantire l'esecuzione
a regola d'arte di opere pubbliche che sono destinate ad assicurare i
diritti   civili   e   sociali   della   collettivita';   la   tutela
dell'ambiente,  dell'ecosistema e dei beni culturali, che si realizza
attraverso   una  corretta  progettazione».  La  difesa  dello  Stato
precisa,  pero',  che  dalla  competenza  esclusiva  statale  debbano
escludersi  i  profili  relativi  al governo del territorio afferenti
alla   competenza   concorrente   e  «che  sono  stati  correttamente
richiamati  dal  comma 2  dell'impugnato  art. 4  (programmazione  di
lavori  pubblici,  approvazione  dei  progetti ai fini urbanistici ed
espropriativi)».
    Quanto  sin  qui  rilevato,  varrebbe,  sempre  nella prospettiva
dell'Avvocatura  generale,  per i piani di sicurezza, in relazione ai
quali  la  competenza  legislativa esclusiva statale sarebbe relativa
soltanto alla loro formazione, mentre rientrerebbero nella competenza
concorrente   gli  aspetti  contenutistici  relativi  alla  normativa
antinfortunistica.
    In  relazione all'assunto contrasto con l'art. 117, quinto comma,
Cost.,  si  sottolinea  come  il  Codice  abbia  mantenuto  ferma  la
competenza delle Regioni a dare attuazione alle direttive comunitarie
nelle  materie  di  loro  competenza;  in  tali  ambiti, infatti, per
l'espressa previsione contenuta nell'art. 4, comma 4, le disposizioni
del  Codice  stesso  avrebbero  natura  cedevole applicandosi, sino a
quando le Regioni non introducano una loro normativa.
    Non  fondata  sarebbe, infatti, secondo la difesa erariale, anche
la   censura   di   asserita   violazione   del  principio  di  leale
collaborazione,  atteso  che,  nella  specie,  il  testo  del decreto
legislativo   e'   stato   sottoposto   all'esame   della  Conferenza
Stato-Regioni,  non  assumendo rilevanza la circostanza che non siano
state accolte le richieste regionali.
    In   ogni  caso,  si  aggiunge,  non  sarebbe  individuabile  «un
fondamento   costituzionale  dell'obbligo  di  procedure  legislative
ispirate  alla  leale collaborazione tra Stato e Regioni (ne' risulta
sufficiente   il   sommario   riferimento   all'art. 11  della  legge
costituzionale  n. 3  del  2001»  (si  cita  la  sentenza della Corte
costituzionale numero 196 del 2004).
    2.4.  - Per quanto riguarda le censure formulate nei confronti di
ulteriori  norme  contenute  nel d.lgs. n. 163 del 2006, l'Avvocatura
generale  sottolinea  l'infondatezza  delle  stesse,  atteso  che  in
relazione   ai  profili  ivi  disciplinati  lo  Stato  avrebbe  agito
nell'esercizio  della  propria  competenza nelle materie tutela della
concorrenza e ordinamento civile.
    2.5.  - In relazione all'impugnazione dell'art. 5, si osserva che
la stessa si fonda sull'assunto secondo cui l'art. 4 ricomprenderebbe
ambiti   materiali   di  competenza  regionale,  con  la  conseguente
illegittimita'  della  previsione  di un potere regolamentare statale
che possa esercitarsi in tali ambiti. Una volta invece che, alla luce
delle  considerazioni  sopra  svolte, si ritenesse la conformita' del
citato   art. 4   al  riparto  costituzionale  delle  competenze,  ne
conseguirebbe  la  legittimita'  dell'art. 5,  che allo stesso art. 4
rinvia   per   l'individuazione  dei  settori  in  cui  e'  possibile
l'emanazione di regolamenti statali.
    Ne'  sarebbero  fondate  le  ulteriori censure rivolte sempre nei
confronti   dell'art. 5,  per  la  mancata  previsione  di  procedure
concertative  con le Regioni, atteso che la richiamata giurisprudenza
costituzionale  (sentenza  numero 196 del 2004) avrebbe affermato che
non sarebbe individuabile un «fondamento costituzionale» in relazione
a tali procedure.
    2.6. - Si conclude sottolineando che non sarebbero sussistenti le
ragioni per disporre la sospensione dell'efficacia delle disposizioni
impugnate  alla  luce  della «giurisprudenza applicativa dell'art. 35
della legge n. 87 del 1953».
    3.  -  Con  ricorso  notificato il 30 giugno 2006 e depositato il
successivo  7 luglio (ricorso n. 88 del 2006), la Regione Piemonte ha
impugnato  gli  artt. 4, commi 2 e 3, e 5 del d.lgs. n. 163 del 2006,
per  violazione  degli artt. 117, 118 Cost., nonche' «dei principi di
leale collaborazione, sussidiarieta', adeguatezza, proporzionalita».
    La  ricorrente,  dopo  avere  ripercorso  le tappe principali che
hanno portato all'emanazione del decreto legislativo, ha sottolineato
come   essa  abbia  una  propria  disciplina  relativa  all'attivita'
contrattuale,  recata  dalla  legge  regionale  23 gennaio 1984, n. 8
(Norme   concernenti   l'amministrazione   dei   beni  e  l'attivita'
contrattuale   della  Regione),  applicabile,  in  particolare,  agli
appalti  al  di  sotto della soglia comunitaria. La stessa ricorrente
sottolinea  che  la  Regione  stava per approvare un disegno di legge
recante  la  disciplina  unitaria  in  materia di appalti di servizi,
forniture  e  lavori  pubblici  volta  a  determinare  un  quadro  di
riferimento  coerente  con  le direttive comunitarie e con i principi
fondamentali  e  che  tenesse  conto delle peculiarita' riferibili al
territorio  regionale  in relazione a tutti gli aspetti riconducibili
alla  sfera  di  competenza regionale. Sennonche', il Codice in esame
avrebbe  «esaurito»  la  regolamentazione della materia, incidendo in
ambiti  propriamente  riconducibili  alla  competenza  concorrente  o
residuale delle Regioni.
    La  difesa  regionale,  sempre  in  via  preliminare, richiama il
contenuto  delle  sentenze  della Corte costituzionale numero 303 del
2003,  in  relazione alla competenza in materia di lavori pubblici, e
numero  345 del 2004, in relazione alla competenza statale in materia
di tutela della concorrenza e ai suoi limiti.
    Evidenzia,   inoltre,  che  nel  settore  in  esame  occorrerebbe
distinguere  tra  contratti  di  amministrazioni  o  enti  statali  e
contratti  di  interesse regionale e che la compresenza e l'intreccio
di  competenze  statali  e regionali richiederebbe necessariamente il
rispetto del principio di leale collaborazione.
    3.1.  -  Detto  cio',  la  ricorrente  deduce,  innanzitutto,  la
illegittimita'  dell'art. 4,  comma 2,  del  d.lgs.  n. 163 del 2006,
sottolineando  come  con tale norma il legislatore abbia definito, in
maniera  non corretta e in via unilaterale senza concertazione con le
Regioni,   quali   siano  le  materie  rientranti  nell'ambito  della
competenza  concorrente. In particolare, contesta che la disposizione
impugnata  abbia incluso, in assenza di esigenze unitarie, la materia
della  organizzazione  amministrativa  rientrante, «tranne che per lo
Stato  e  gli  enti pubblici nazionali», nell'ambito della competenza
residuale regionale.
    3.2.  -  La ricorrente ha impugnato anche il comma 3 dello stesso
art. 4,  nella  parte  in  cui  prevede che le Regioni, «nel rispetto
dell'articolo 117,  secondo  comma,  della Costituzione», non possono
prevedere  una  disciplina  diversa da quella contenuta nel Codice in
relazione  ad  una  serie  di settori e senza indicare quali siano le
materie che vengono in rilievo.
    La  difesa  regionale  ha  sottolineato  come, pur ammettendo che
venga in considerazione la materia della tutela della concorrenza, la
disposizione  in esame non rispetterebbe i canoni di ragionevolezza e
proporzionalita'  (si  citano  le sentenze della Corte costituzionale
numeri  272  e  14  del  2004) «in quanto determina l'assoggettamento
indiscriminato  alla  normativa  anche  di  dettaglio  del  Codice in
relazione  a  tutti gli oggetti individuati dalla norma, per ciascuno
dei quali e' ravvisabile invece uno spazio in cui legittimamente puo'
esprimersi  l'intervento normativo regionale». Di conseguenza, «anche
per  gli  ambiti  della  qualificazione  e selezione dei concorrenti,
procedure  di affidamento, criteri di aggiudicazione, subappalto, ove
il  principio  di  tutela  della  concorrenza  trova  piu' importante
esplicazione,  sono  pur  sempre  riscontrabili  aspetti  ove la piu'
puntuale  soddisfazione  di  peculiarita' differenziate dei territori
regionali o di esigenze dell'autonomia organizzativa dei diversi enti
pubblici  puo'  legittimamente ed utilmente fondare l'esplicazione di
normativa  regionale.  E  cio'  particolarmente rispetto ai contratti
pubblici "sotto soglia"».
    Ad  analoga conclusione si perviene, nell'ottica regionale, anche
qualora si prenda in esame la materia dell'ordinamento civile.
    Nell'ambito  della  stipulazione  ed  esecuzione  dei  contratti,
infatti,  oltre  agli aspetti di direzione dei lavori, contabilita' e
collaudo  che  attengono  all'organizzazione  degli  enti,  sarebbero
ravvisabili  «spazi  significativi che vanno ascritti all'ordinamento
ed  organizzazione  amministrativa» che appartengono alla Regione, ad
eccezione  di  quanto  e'  riferibile allo Stato e agli enti pubblici
nazionali.
    Si   contesta,   inoltre,  l'inclusione  del  settore  «piani  di
sicurezza»   nell'ambito   della   competenza  legislativa  esclusiva
statale,  in  quanto  tale  settore,  dovendo garantire ai lavoratori
impiegati  le  necessarie  misure  antinfortunistiche, afferisce alla
materia concorrente della sicurezza del lavoro.
    Analoghe    argomentazioni    critiche    vengono   rivolte   per
l'inserimento   nella  disposizione  in  esame  della  «attivita'  di
progettazione»  la  quale,  per  quanto  riguarda  i lavori pubblici,
rientrerebbe  nell'ambito della materia del governo del territorio e,
per  quanto  attiene a forniture e servizi, «non puo' che appartenere
all'ente  titolare  della  competenza  sostanziale» e quindi ricadere
«per i profili non riguardanti lo Stato e gli enti pubblici nazionali
nella  competenza  legislativa regionale in materia di ordinamento ed
organizzazione amministrativa».
    3.3. - Infine, si censura l'art. 5 nella parte in cui prevede che
«lo  Stato  detta con regolamento la disciplina esecutiva e attuativa
del  presente  Codice  in  relazione ai contratti pubblici di lavori,
servizi   e   forniture   di   amministrazioni  ed  enti  statali  e,
limitatamente   agli  aspetti  di  cui  all'articolo 4,  comma 3,  in
relazione  ai  contratti  di  ogni  altra  amministrazione o soggetto
equiparato».
    La  ricorrente  assume  che  tale  norma  sia  costituzionalmente
illegittima per due ordini di motivi.
    Innanzitutto,  perche',  per  le  ragioni esposte, il comma terzo
dell'art. 4,  cui  la  disposizione in esame rinvia, fa riferimento a
materie   di  competenza  regionale,  ragione  per  cui  non  sarebbe
ammissibile un regolamento statale.
    In  secondo  luogo,  perche'  anche  per le materie di competenza
legislativa esclusiva statale di tipo trasversale, per l'interferenza
con  competenze  regionali,  e'  necessario  che  la  formazione  del
regolamento  statale  sia sottoposto a procedura di intesa in sede di
Conferenza   unificata,   in   ossequio   al   principio   di   leale
collaborazione.
    4.  - Anche in questo giudizio si e' costituito il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  con il patrocinio dell'Avvocatura generale
dello Stato.
    In  particolare,  in relazione alle censure concernenti l'art. 4,
comma 2,  fondate  sulla  inclusione  nel  suo ambito di applicazione
delle  materie  «organizzazione  amministrativa»  e «ordinamento», si
ribadiscono le argomentazioni gia' contenute nella memoria depositata
nel giudizio promosso dalla Regione Veneto.
    Allo  stesso  modo  si  ribadiscono  i  motivi gia' in precedenza
dedotti  volti  a  giustificare  la  non  fondatezza  delle doglianze
relative agli artt. 4, comma 3, e 5.
    5.  -  Con  ricorso  notificato  il 4 luglio 2006 e depositato il
successivo  giorno 5  (ricorso n. 84 del 2006), la Regione Toscana ha
anch'essa  impugnato  una  serie di disposizioni contenute nel d.lgs.
n. 163 del 2006.
    La  ricorrente,  dopo  avere  svolto una ampia premessa in ordine
all'iter che ha portato all'emanazione del Codice, ha sottolineato di
aver dettato una propria disciplina organica in materia di appalti di
servizi  e  forniture  con  la  legge  regionale  8 marzo 2001, n. 12
(Disciplina  dell'attivita'  contrattuale  regionale), ed il relativo
regolamento  di  attuazione adottato con decreto del Presidente della
Giunta  regionale  5 settembre 2001, n. 45, in relazione agli appalti
della  Regione  medesima  e  degli enti regionali, e di apprestarsi a
predisporre  una  legge  unitaria  in  materia di appalti di servizi,
forniture  e  lavori  pubblici  da  applicarsi  anche  alle autonomie
locali.   Il   Codice,  evidenzia  la  ricorrente,  «scardina  quindi
l'assetto  normativo  regionale  gia'  costituito  e lascia ben pochi
spazi  alla  futura  regolamentazione  della  materia  da parte della
Regione medesima».
    5.1.  -  La  ricorrente  deduce,  innanzitutto,  il contrasto del
comma 2  dell'art.  4,  con gli artt. 117 e 118 Cost., nella parte in
cui includono tra le materie concorrenti la programmazione dei lavori
pubblici,  l'approvazione  dei progetti, i compiti ed i requisiti del
responsabile  del  procedimento, i quali non sarebbero riconducibili,
nella  prospettiva della difesa regionale, nell'ambito della potesta'
legislativa ripartita.
    Allo   stesso   modo   si  osserva  come  anche  l'organizzazione
amministrativa  appartenga,  per  gli enti diversi da quelli statali,
alla  potesta'  legislativa residuale delle Regioni (si richiamano le
sentenze  della  Corte  costituzionale  numeri  17 e 2 del 2004). Ne'
sussisterebbero   ragioni   unitarie   in   grado   di   giustificare
l'assunzione in sussidiarieta' da parte dello Stato.
    5.2.  -  E'  stato,  altresi',  impugnato il comma 3 dell'art. 4,
nella  parte  in  cui stabilisce che le Regioni non possono prevedere
una  disciplina  diversa da quella dettata dal Codice con riferimento
ai  piani  di sicurezza e all'attivita' di progettazione, per assunta
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    In  particolare,  in  relazione all'inclusione nell'elenco di cui
alla  norma  in  esame  anche  dei piani di sicurezza, si osserva che
questi  attengono,  come riconosciuto dallo stesso Consiglio di Stato
con  il  citato  parere numero 355 del 2006, alla materia concorrente
della   sicurezza  del  lavoro,  in  quanto  «l'individuazione  delle
tipologie  dei  piani  di  sicurezza  e degli appalti in relazione ai
quali  sia ritenuta necessaria la predisposizione dei piani medesimi,
la  determinazione  dei  contenuti  minimi dei piani, le modalita' di
scorporo degli oneri per la sicurezza da sottrarsi al ribasso di gara
non   possono  che  essere  finalizzati  a  garantire  ai  lavoratori
impiegati  nell'appalto condizioni tali da ridurre al minimo i rischi
di   infortuni».  In  altri  termini,  la  disciplina  dei  piani  e'
preordinata  alla  sola  individuazione,  analisi  e  valutazione dei
rischi  concreti in riferimento alle lavorazioni interessate, nonche'
all'individuazione  di  misure  preventive  e  protettive  dirette al
contenimento dei rischi derivanti dalle lavorazioni medesime.
    In secondo luogo, la ricorrente mette in evidenza come i piani di
sicurezza   costituiscono   parte   integrante   della  progettazione
esecutiva  delle  opere  e,  come tali, sono destinati ad avere anche
ricadute  nell'ambito  del  governo  del  territorio rientrante nella
competenza concorrente.
    Analoghe    argomentazioni   vengono   svolte   con   riferimento
all'attivita'   di   progettazione:   tale  attivita',  sempre  nella
prospettiva  regionale,  rientrerebbe  nell'ambito  della  competenza
residuale delle Regioni, non essendo indicato in nessuno degli ambiti
materiali di cui al secondo e terzo comma dell' art. 117 Cost.
    In  alternativa,  si  ritiene che la progettazione dei lavori, in
quanto  «volta a portare alla realizzazione di opere sul territorio»,
sarebbe  riconducibile  alla  materia  concorrente  del  governo  del
territorio. La progettazione di forniture e servizi dovrebbe, invece,
essere  comunque  attribuita alla competenza residuale regionale, non
essendo riconducibile ad alcuna competenza statale costituzionalmente
prevista.  A  cio'  si  aggiunge  che la progettazione di forniture e
servizi  «nella  sostanza  viene  a  coincidere con la disciplina dei
capitolati  generali  e  speciali, strumenti diretti alla definizione
degli  aspetti  giuridici  e  tecnici  dei contratti e, come tali, da
ricondursi  necessariamente nella sfera di autonomia del singolo ente
appaltante».   Rimane  estranea  alla  materia  della  progettazione,
puntualizza  la  ricorrente,  la  disciplina  degli affidamenti degli
incarichi  di  progettazione,  attratti  nelle  materie espressamente
enucleate  dalla  norma  censurata sotto la rubrica «Qualificazione e
selezione dei concorrenti» e «Procedure di affidamento».
    5.3.  -  L'art. 5, commi 1, 2 e 4, viene ritenuto illegittimo per
violazione  degli  artt. 117  e  118  Cost.,  in quanto, autorizzando
l'emanazione  del  regolamento  per  i  settori  indicati  al comma 3
dell'art. 4,   invaderebbe  competenze  che  spettano  alle  Regioni.
Infatti,  tra  tali  settori  sono  compresi  anche  le  attivita' di
progettazione  e  i  piani di sicurezza, i quali sono, per le ragioni
esposte,   da  ricondurre  a  materie  di  competenza  concorrente  o
residuale delle Regioni, con conseguente impossibilita' per lo Stato,
stante  la previsione del sesto comma dell'art. 117 Cost., di emanare
regolamenti.
    In via subordinata, qualora si ritenessero «legittimi i commi 1 e
2 dell'art. 5, sarebbe comunque incostituzionale il comma 4, il quale
disciplina   la   procedura  per  l'adozione  del  regolamento  senza
prevedere   alcun  coinvolgimento  regionale»:  infatti,  «l'ampio  e
dettagliato   contenuto   del   regolamento  va  ad  interferire  con
competenze regionali per cui, in attuazione del principio della leale
collaborazione,  sarebbe  necessario che l'emanando regolamento fosse
subordinato ad attivita' concertative con le Regioni».
    5.4.  -  Viene  impugnato l'art. 48 del d.lgs. in esame, il quale
prevede  quanto segue: «1. Le stazioni appaltanti, prima di procedere
all'apertura  delle  buste delle offerte presentate, richiedono ad un
numero  di  offerenti  non  inferiore  al  10 per cento delle offerte
presentate,  arrotondato  all'unita'  superiore, scelti con sorteggio
pubblico,   di  comprovare,  entro  dieci  giorni  dalla  data  della
richiesta   medesima,   il   possesso   dei  requisiti  di  capacita'
economico-finanziaria    e    tecnico-organizzativa,    eventualmente
richiesti  nel  bando di gara, presentando la documentazione indicata
in  detto  bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia
fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda
di  partecipazione  o  nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono
all'esclusione  del  concorrente  dalla  gara,  all'escussione  della
relativa   cauzione   provvisoria   e  alla  segnalazione  del  fatto
all'Autorita'   per  i  provvedimenti  di  cui  all'art. 6  comma 11.
L'Autorita'  dispone  altresi'  la  sospensione  da uno a dodici mesi
dalla partecipazione alle procedure di affidamento.
    2.  La richiesta di cui al comma 1 e', altresi', inoltrata, entro
dieci  giorni  dalla  conclusione  delle  operazioni  di  gara, anche
all'aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria, qualora
gli  stessi  non  siano compresi fra i concorrenti sorteggiati, e nel
caso  in  cui  essi  non forniscano la prova o non confermino le loro
dichiarazioni  si  applicano  le  suddette sanzioni e si procede alla
determinazione  della  nuova  soglia  di anomalia dell'offerta e alla
conseguente eventuale nuova aggiudicazione».
    Tali norme, secondo la ricorrente, sarebbero in contrasto con gli
artt. 117   e   118  Cost.,  in  quanto,  se  la  scelta  del  regime
sanzionatorio «e' logicamente riconducibile ad una competenza di tipo
statale  che assicuri uniformita' in relazione ad un aspetto di cosi'
notevole  rilevanza,  non  altrettanto puo' dirsi in riferimento agli
altri contenuti della norma in questione». Infatti, si sottolinea che
la  percentuale  dei  soggetti  da  controllare, nonche' le modalita'
procedurali  con  cui  la  singola  stazione  appaltante  procede  al
suddetto    controllo    devono    essere   ricondotte   «nell'ambito
dell'autonomia organizzativa della stazione appaltante».
    Fermo  restando il principio dettato dall'art. 71 del decreto del
Presidente  della  Repubblica  28 dicembre  2000, n. 445 (Testo unico
delle   disposizioni   legislative  e  regolamentari  in  materia  di
documentazione  amministrativa),  in base al quale le amministrazioni
sono  tenute  ad effettuare idonei controlli, anche a campione, sulle
autodichiarazioni  rese dai concorrenti, le modalita' procedurali con
cui  questo  principio  viene  attuato  sono,  secondo la ricorrente,
«espressione    di    scelte    autonome   ed   organizzative   delle
amministrazioni medesime».
    Le disposizioni impugnate mutuano il loro contenuto dall'art. 10,
comma 1-quater, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in
materia  di  lavori  pubblici),  estendendolo  anche ai settori delle
forniture e dei servizi senza, pero', «tenere in ragionevole conto le
differenze  e  le  peculiarita'  che  questi settori hanno rispetto a
quello  dei  lavori  pubblici».  Si  osserva,  infatti, che mentre il
controllo   sul   possesso  dei  requisiti  tecnico-organizzativi  ed
economico-finanziari   degli   esecutori   pubblici   puo'  ritenersi
soddisfatto in tempi brevi con l'acquisizione delle attestazioni SOA,
non  altrettanto  puo'  dirsi  per  i  settori  delle forniture e dei
servizi  in  relazione  ai  quali,  mancando  appositi  organismi, il
controllo  viene  svolto  dalla stazione appaltante «separatamente ed
analiticamente  con  conseguente dilatazione dei tempi necessari alla
conclusione  dei  controlli medesimi». Per queste ragioni, le singole
stazioni   appaltanti   potrebbero   decidere  modalita'  diverse  di
controllo, al fine di limitare gli effetti negativi della sospensione
della  gara,  «laddove la mancata conferma dei requisiti posseduti da
un concorrente, e quindi la sua illegittima partecipazione non infici
il procedimento di gara nel suo complesso». Si osserva, infatti, che,
nel  caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo piu' basso, la
valutazione della singola offerta non dipende da una comparazione tra
le   offerte  medesime  che  rende  ragionevole,  come  nel  caso  di
aggiudicazione  con  il  criterio  dell'offerta  economicamente  piu'
vantaggiosa,  anticipare  il momento del controllo. «Tutto cio' senza
tenere  conto  -  puntualizza la ricorrente - che, oltre ai requisiti
tecnico-organizzativi    ed   economico-finanziari,   i   concorrenti
dichiarano, ai fini della partecipazione alla gara, anche il possesso
dei  requisiti  di  ordine  generale previsti dall'art. 38 del Codice
(...). Le stazioni appaltanti, quindi, si trovano davanti alla scelta
o  di  effettuare una duplice procedura di controllo (durante la gara
sui  requisiti  tecnico-economici e dopo l'aggiudicazione provvisoria
sui requisiti giuridici), ovvero di unificare i due procedimenti, con
conseguente  eccessiva  dilatazione  dei tempi della gara stessa ed a
discapito del generale principio della semplificazione».
    Analoghe argomentazioni vengono svolte con riferimento al secondo
comma  dell'impugnato  art. 48,  nella  parte in cui lo stesso impone
alle  stazioni  appaltanti  di controllare, oltre all'aggiudicatario,
anche  il  concorrente  che segue in graduatoria. La censura si fonda
sul   fatto  che,  fermo  il  principio  dell'obbligo  di  effettuare
controlli a campione e puntuali, la determinazione delle modalita' di
individuazione  dei  concorrenti  oggetto del controllo devono essere
ricondotti  nell'ambito  dell'autonomia  organizzativa  della singola
stazione appaltante.
    In   definitiva,  in  assenza  di  esigenze  unitarie,  la  norma
censurata  sarebbe  costituzionalmente  illegittima in quanto prevede
una «disciplina dettagliata ed autoapplicativa» relativa al controllo
delle  autodichiarazioni rese dai concorrenti, afferente alla materia
dell'organizzazione  amministrativa  di  competenza  residuale  delle
Regioni,  alle  quali  spetta  modulare  il  contenuto della predetta
disciplina  in  maniera  differenziata per meglio contemperare i vari
interessi in gioco.
    5.5.  -  La  ricorrente  impugna  anche l'art. 75, comma 1, nella
parte  in  cui  prevede  che «l'offerta e' corredata da una garanzia,
pari  al  due  per  cento  del  prezzo  base  indicato  nel  bando  o
nell'invito,  sotto  forma  di  cauzione  o di fideiussione, a scelta
dell'offerente», per violazione dell'art. 117 Cost.
    In  particolare - dopo avere premesso che detta disposizione vale
anche per i contratti sotto soglia comunitaria, ed avere riconosciuto
che  le  modalita'  di  costituzione  della  cauzione  e  i contenuti
specifici  della  stessa  possono  considerarsi  attinenti  a profili
concernenti   l'ordinamento   civile   -  si  osserva  che  la  norma
specificamente censurata avrebbe un contenuto riconducibile a profili
organizzativi  di  competenza residuale regionale. Potrebbe, infatti,
risultare  «eccessivo»  per  alcune  procedure  di  gara  di  importo
limitato,   da   un   lato,   obbligare   tutti  i  concorrenti  alla
presentazione  della  cauzione  provvisoria, dall'altro, «appesantire
l'attivita' amministrativa degli uffici con gli adempimenti necessari
concomitanti e successivi alla procedura di gara medesima». A cio' si
aggiunge che potrebbero essere anche altre le modalita' attraverso le
quali  assicurare  la serieta' della presentazione dell'offerta, come
previsto,  ad  esempio,  dalla  legge della Regione Toscana n. 12 del
2001,  che  prescrive,  tra  le altre, la costituzione della cauzione
provvisoria da parte del solo concorrente aggiudicatario.
    Da   qui   la   violazione,   da   parte  della  norma  censurata
dell'art. 117  Cost,  in  quanto  non  consentendo  alle  Regioni  di
modulare la richiesta di cauzione in modo differenziato a seconda del
tipo  di  procedura  e di importo, violerebbe la competenza residuale
delle Regioni stesse in materia di organizzazione.
    5.6.  - I commi 2, 3, 8 e 9, dell'art. 84 vengono censurati nella
parte  in  cui disciplinano la composizione ed il funzionamento della
Commissione  aggiudicatrice  nel caso in cui l'aggiudicazione avvenga
con il criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa, sia per
le  procedure  di  importo superiore alla soglia comunitaria, sia, in
virtu'   del  richiamo  operato  dall'art. 121  del  Codice,  per  le
procedure di importo inferiore. Tali commi violerebbero gli artt. 117
e   118   Cost.,   in   quanto,  in  assenza  di  esigenze  unitarie,
l'individuazione del numero dei componenti (comma 2), della qualifica
del  presidente  (comma  3)  e  dei  commissari (comma 8), nonche' le
modalita'  della  loro  scelta  (commi  8  e  9),  dovrebbero  essere
ricondotte   nell'ambito   organizzativo   della   singola   stazione
appaltante,  che  puo'  modularli  tenendo  conto  della complessita'
dell'oggetto della gara, nonche' dell'importo della medesima.
    Nella  «denegata  ipotesi» in cui si ritenga che la disciplina ed
il   funzionamento   della   Commissione  di  aggiudicazione  rientri
nell'ambito  delle  procedure  di  affidamento  e dunque della tutela
della  concorrenza,  non  ricorrerebbero nella specie i caratteri che
connotano  tale materia. In particolare, non sarebbe configurabile il
carattere  macroeconomico  dell'intervento, ne' sarebbe rispettato il
principio della ragionevolezza ed adeguatezza, che impone di limitare
l'intervento  statale stesso a «disposizioni di carattere generale» e
non a disposizioni di dettaglio, quali sarebbero quelle in esame.
    Si  assume,  inoltre,  anche la violazione dell'art. 76 Cost., in
quanto  i  criteri direttivi posti dall'art. 25 della legge n. 62 del
2005  non consentivano «l'emanazione di nuove disposizioni se non per
ragioni  di  semplificazione», non ravvisabili certamente nel caso di
specie.   Tale   eccesso   di   delega,  secondo  la  ricorrente,  si
puntualizza,   si   tradurrebbe   in  una  lesione  delle  competenze
regionali.
    5.7.   -   L'art. 88   viene   censurato   nella  parte  in  cui,
disciplinando in maniera dettagliata il procedimento di verifica e di
esclusione  delle  offerte ritenute «anormalmente basse», si porrebbe
in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto il procedimento
attraverso  il quale provvedere alla verifica dell'offerta anomala in
contraddittorio     con     l'impresa     atterrebbe    ai    profili
dell'organizzazione rientranti nell'ambito della competenza residuale
delle  Regioni  per i contratti della Regione, degli enti regionali e
locali.
    Ne'   sarebbe  possibile  per  lo  Stato  evocare  il  titolo  di
competenza  rappresentato  dalla tutela della concorrenza, atteso che
la  disciplina  del  procedimento  con cui eseguire la verifica delle
offerte  anomale,  da  un  lato,  non  avrebbe un impatto complessivo
sull'economia  e,  dall'altro,  sarebbe  dettagliata e minuziosa, con
conseguente   inosservanza   dei   criteri   dell'idoneita'  e  della
proporzionalita'.
    5.8.  -  La  Regione Toscana impugna gli artt. 121, comma 1, 122,
commi 2,  3,  5  e 6, e 124, commi 2, 5 e 6, assumendone il contrasto
con gli artt 76, 117 e 118 Cost.
    L'art. 121,  comma 1, prevede che ai contratti pubblici aventi ad
oggetto  lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie
di  rilevanza comunitaria si applicano le disposizioni della Parte I,
della  Parte  IV  e  della  Parte V nonche' quelle della Parte II del
Codice,  in  quanto non derogate dalle norme contenute nel Titolo II,
in  cui  e' inserita la norma impugnata. In definitiva, la disciplina
di  tutti i contratti pubblici sotto soglia verrebbe cosi' assimilata
a  quella  dei contratti sopra soglia, salva la previsione di tempi e
pubblicazioni  ridotte,  ancorche'  sia  stato  introdotto  l'obbligo
generalizzato  di  pubblicazione  di  tutti  i  bandi  nella Gazzetta
Ufficiale.
    L'art. 122,   ai  commi 2,  3,  5  e  6,  disciplina  in  maniera
dettagliata  le modalita' e i tempi di pubblicita' e di comunicazione
dei contratti di lavori pubblici sotto soglia. L'art. 124 regolamenta
gli  stessi  aspetti,  con  riferimento  agli  appalti  di  servizi e
forniture sotto soglia.
    Secondo  la ricorrente, tali norme si porrebbero in contrasto con
gli  artt. 117  e  118  Cost.,  in  quanto,  in  mancanza di esigenze
unitarie, disciplinano profili che, per il loro contenuto dettagliato
e  per  la  rilevanza  economica  assai  modesta  degli  appalti, non
potrebbero,  alla luce della giurisprudenza costituzionale (si citano
le  sentenze  della  Corte  costituzionale  numeri 272 e 14 del 2004)
afferire alla materia della tutela della concorrenza.
    In  particolare,  per quanto attiene all'art. 121, il legislatore
statale  avrebbe  disciplinato in relazione agli appalti sotto soglia
tutta  una  serie  di  istituti fino ad oggi attribuiti, senza alcuna
censura  da parte dello Stato, alla competenza legislativa regionale.
La  ricorrente,  a tale proposito, richiama l'obbligo di acquisire la
cauzione  in  tutte  le  procedure  di  gara  (art. 75),  nonche'  il
procedimento  di  individuazione  delle  offerte  anormalmente  basse
(art. 86,  commi 1  e 2). Il livello di dettaglio sarebbe ancora piu'
evidente  «se  si  pensa  al  procedimento  per  l'acquisizione delle
giustificazioni   in   relazione   alle   offerte   anomale,  dettato
dall'art. 86,  comma 5,  laddove  il  legislatore si spinge a sancire
l'obbligo  inderogabile per i concorrenti di corredare l'offerta, sin
dalla  presentazione,  delle giustificazioni delle voci di prezzo che
concorrono  a  formare  l'offerta  stessa».  Non  sarebbe conforme ai
criteri   di   ragionevolezza  e  proporzionalita'  far  gravare  sul
concorrente,  anche  per  le  gare  di  rilevanza ed importo modesto,
l'onere di «dettagliare nell'offerta i singoli elementi costitutivi».
In  tale  ambito  si  potrebbe eventualmente posticipare la richiesta
degli  elementi  giustificativi dell'offerta ad un momento successivo
all'espletamento  della  gara  «indirizzandola  al  solo  concorrente
aggiudicatario»,  con  notevole  semplificazione  del  procedimento a
vantaggio del concorrente e della stazione appaltante.
    Per  quanto attiene agli artt. 122 e 124, si censura il carattere
dettagliato  ed  esaustivo  con cui tali disposizioni disciplinano le
modalita'  di  pubblicita'  e  comunicazione per gli appalti pubblici
sotto  soglia, in relazione ai contratti di competenza della Regione,
degli  enti  dipendenti  e  locali.  Si osserva come, da un lato, gli
appalti  sotto  soglia  non  avrebbero una valenza macroeconomica non
incidendo in modo rilevante sul mercato, dall'altro, la materia della
tutela  della  concorrenza  legittimerebbe  il  legislatore statale a
«vincolare   il   legislatore  regionale  solo  con  disposizioni  di
carattere generale». Infine, le norme censurate non rispetterebbero i
criteri  di proporzionalita' ed adeguatezza: «una volta, infatti, che
il  legislatore  statale ha posto la regola che tutte le procedure di
gara devono essere pubblicizzate con forme e tempi adeguati, ben puo'
essere   demandata   all'autonomia   regionale   la  modulazione  del
procedimento  nel  dettaglio,  modulazione che potra' tener conto, se
del  caso, della maggiore o minore rilevanza economica dell'appalto».
Cio'  varrebbe soprattutto per le forme di pubblicita', atteso che la
pubblicazione  nella Gazzetta Ufficiale comporterebbe per la stazione
appaltante   una   rilevante   esposizione   economica,   che  appare
ragionevole  soltanto  qualora l'importo e la complessita' della gara
la   giustifichino.  Si  aggiunge,  inoltre,  che,  in  relazione  ai
contratti   sotto   soglia,   le   leggi  regionali  hanno  da  tempo
disciplinato  il procedimento, ivi comprese le forme di pubblicita' e
di comunicazione, senza che lo Stato eccepisse alcunche'.
    A  conforto  delle  conclusioni  rassegnate  si  fa riferimento a
quanto  affermato  in  argomento  dal  Consiglio di Stato con il piu'
volte citato parere n. 355 del 2006.
    Non   sussisterebbero,  inoltre,  le  esigenze  unitarie  di  cui
all'art. 118  Cost.  in  grado  di giustificare le norme impugnate, e
comunque  non  sarebbe  stato  previsto  alcun  coinvolgimento  della
Regione,   in   contrasto   con  i  principi  stabiliti  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza numero 303 del 2003.
    Infine,  si  assume la violazione dell'art. 76 Cost., in quanto i
criteri  direttivi  posti dall'art. 25 della legge n. 62 del 2005 non
avrebbero   consentito  l'emanazione  di  una  normativa  completa  e
dettagliata  anche  per  i  contratti  sotto  soglia. Tale eccesso di
delega si tradurrebbe in una lesione delle competenze regionali.
    5.9.  -  La ricorrente ha, infine, impugnato l'art. 131, comma 1,
nella  parte in cui prevede che «il Governo, su proposta dei ministri
del   lavoro   e   delle   politiche  sociali,  della  salute,  delle
infrastrutture  e  dei  trasporti,  e  delle  politiche  comunitarie,
sentite  le  organizzazioni  sindacali e imprenditoriali maggiormente
rappresentative,  approva  le  modifiche che si rendano necessarie al
regolamento  recato  dal  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
3 luglio  2003, n. 222, in materia di piani di sicurezza nei cantieri
temporanei  o  mobili,  in  conformita' alle direttive comunitarie, e
alla  relativa  normativa  nazionale  di  recepimento». Tale norma si
porrebbe  in  contrasto  con  gli  artt. 117  e 118 Cost., in quanto,
rientrando  la  materia  relativa  ai  piani di sicurezza nell'ambito
della   potesta'  legislativa  concorrente  (sicurezza  del  lavoro),
dovrebbe ritenersi non legittima l'emanazione di un regolamento.
    In   via   subordinata,  qualora  si  ritenesse  sussistente  una
competenza  esclusiva  dello Stato, la Regione assume che non sarebbe
stato  comunque garantito il necessario coinvolgimento dei livelli di
governo regionali.
    6.  -  Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
prospettando,  in  relazione  alle  censure  specificamente formulate
dalla  Regione  Toscana,  argomentazioni  analoghe a quelle contenute
nella memoria depositata per i ricorsi numeri 86 e 88 del 2006.
    7.  -  Con  ricorso  notificato il 30 giugno 2006 e il successivo
10 luglio  (ricorso numero 89 del 2006) la Regione Lazio ha impugnato
l'art. 4,  commi 2  e 3, e 5 del d.lgs. n. 163 del 2006, per asserita
violazione degli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione.
    La  ricorrente ricostruisce, innanzitutto, l'iter che ha condotto
all'emanazione  del  Codice,  per  poi svolgere le singole censure in
ordine alle norme impugnate.
    7.1. - Quanto al censurato art. 4, comma 2, la Regione ricorrente
assume,  in  primo  luogo, che la materia relativa all'organizzazione
amministrativa  non  riguardante  gli  appalti  di  spettanza statale
rientrerebbe  nell'ambito  della  competenza residuale regionale, con
conseguente  violazione  degli  artt. 97  e  117  Cost., aggiungendo,
inoltre,  in relazione all'art. 97 Cost., che non si comprende «quali
principi  in materia di organizzazione amministrativa, oltre a quelli
di imparzialita' e buon andamento fissati dalla Costituzione, possano
essere  contenuti nel Codice, cosi' da dequotare, in tale settore, la
competenza regionale, da residuale a concorrente».
    Per  quanto attiene al riferimento contenuto nella norma in esame
ai  «compiti  e  requisiti  del  procedimento», si sottolinea come la
Costituzione  non  contempli,  tra le materie di competenza esclusiva
dello   Stato,  quella  relativa  ai  principi  generali  dell'azione
amministrativa  o  del procedimento. Di conseguenza, «la questione se
la  disciplina generale dell'azione amministrativa o del procedimento
possa  essere  oggetto di legislazione regionale si trasforma tutt'al
piu' in un problema di rapporti tra legislazione regionale e principi
stabiliti  (non  dal  Codice,  ma)  dalla legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove  norme  in materia di procedimento amministrativo e di diritto
di  accesso  ai  documenti  amministrativi),  come  modificata  dalle
novelle   del   2005,   nella  parte  in  cui  vengono  espressamente
riconosciuti come direttamente attuativi del sistema costituzionale».
    Quanto   sin  qui  detto  viene  ritenuto  valido  anche  per  la
programmazione  di  lavori pubblici e per l'approvazione dei progetti
ai  fini urbanistici ed espropriativi, i quali «rappresentano tipiche
manifestazioni  di  esercizio di amministrazione attiva che, nei casi
di  appalti di interesse regionale, non si vede come possano attrarre
la  competenza  statale  a  dettare  (attraverso  il Codice) norme di
principio per la potesta' normativa regionale».
    Si  osserva,  inoltre,  come  la  norma  in esame rappresenti «un
assoluto  fuor  d'opera  rispetto  alla  delega attribuita al Governo
dalla  legge n. 62 del 2005, la quale non contiene alcuna indicazione
circa  la  possibilita'  del  Codice  di  incidere  sul riparto delle
competenze normative concorrenti di Stato e Regioni (men che mai, nei
termini attuati dal Codice e fin qui descritti)».
    Infine,   si   assume   la  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione  tra  i  diversi  livelli di governo territoriali, che
deve   essere   rispettato  tutte  le  volte  in  cui  si  verificano
interferenze e sovrapposizioni tra competenze statali e regionali.
    7.2.  -  La  Regione Lazio assume, poi, il contrasto dell'art. 4,
comma 3,  con  gli  artt. 76,  97,  117  e  118  Cost., nonche' con i
principi di ragionevolezza, proporzionalita' e leale collaborazione.
    La  ricorrente,  dopo  avere  riportato  il contenuto della norma
impugnata  ed  avere  sottolineato  che,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale,  gli  appalti  pubblici non costituiscono una materia
omogenea  (si  cita la sentenza della Corte costituzionale numero 303
del  2003),  delinea  i  tratti  caratterizzanti  della materia della
tutela   della   concorrenza,   cosi'   come   definita  dalla  Corte
costituzionale (si citano le sentenze numeri 345 e 14 del 2004).
    Si  sottolinea,  inoltre,  sul  punto,  che  «la disciplina degli
appalti  pubblici  non  e'  assorbita  interamente  dalle esigenze di
tutela  della  concorrenza»  ne'  rientra integralmente nelle materie
dell'ordinamento  civile  e  del  contenzioso, «essendo anche altro e
principalmente  esercizio  di attivita' di amministrazione attiva, di
cura  in concreto di interessi pubblici, a cominciare dalle procedure
di  aggiudicazione,  per finire alle attivita' di progettazione, alla
direzione  dei  lavori  ecc;  e  in tali ambiti, va riconosciuta alla
Regione (...) una incomprimibile competenza normativa».
    Si  conclude,  infine, ritenendo che l'art. 4, comma 3, atteso il
suo   contenuto   dettagliato,   non   rispetterebbe   i   canoni  di
proporzionalita' ed adeguatezza.
    Costituzionalmente  illegittima  sarebbe la norma in esame, anche
nella  parte in cui attribuisce alla competenza legislativa esclusiva
statale  i  piani di sicurezza, senza tenere conto che il terzo comma
dell'art. 117  Cost. assegna alla legislazione concorrente la materia
della tutela e sicurezza del lavoro.
    In  relazione  al  riferimento  alle  procedure  di  affidamento,
contenuto  sempre  nella  disposizione  in  esame,  si osserva che le
procedure  di  aggiudicazione  sono  dei  veri  e propri procedimenti
amministrativi,   anzi   «rappresentano   storicamente  il  paradigma
dell'azione  dell'amministrazione  in forme procedimentalizzate». Pur
essendo  indubbio che in tali procedure sussistano esigenze di tutela
della concorrenza, si osserva come la disciplina di tali procedimenti
dovrebbe   avvenire   secondo   il   criterio   di  riparto  indicato
dall'art. 29,  comma 2,  della  legge  n. 241 del 1990 «che sul punto
applica  fedelmente  il  nuovo  impianto  costituzionale,  negando la
competenza  esclusiva  dello Stato». Tale norma, infatti, prevede che
«le   Regioni   e  gli  enti  locali,  nell'ambito  delle  rispettive
competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel
rispetto  del  sistema  costituzionale e delle garanzie del cittadino
nei  riguardi  dell'azione  amministrativa,  cosi'  come definite dai
principi stabiliti dalla presente legge».
    L'art. 4,  comma 3, colliderebbe, inoltre, con l'art. 117, quinto
comma,  Cost.,  secondo  il  quale  le  Regioni nelle materie di loro
competenza  provvedono  all'attuazione  e  all'esecuzione  degli atti
dell'Unione  europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite
da legge dello Stato.
    L'art. 16  della  legge  n. 11  del  2005  prevede che le Regioni
possono  dare  immediata attuazione alle direttive comunitarie, salvo
il  rispetto:  a) dei principi fondamentali non derogabili, stabiliti
dalla legge nazionale (legge comunitaria) nelle materie di competenza
concorrente;  b)  dei  criteri  e  delle direttive contenute in leggi
statali  o  in  regolamenti  attuativi della legge comunitaria, nelle
materie  attribuite  alla  competenza  esclusiva  dello Stato. Rimane
fermo  il potere dello Stato, puntualizza la ricorrente, di procedere
all'attuazione  delle  direttive  comunitarie  in ambiti materiali di
competenza  residuale  delle  Regioni,  nel caso di inerzia regionale
rispetto  all'obbligo  di  attuazione;  in  questo  caso,  pero',  la
disciplina  statale  risulta  cedevole,  rispetto  alla  sopravvenuta
disciplina  regionale (art. 11, comma 8, della citata legge n. 11 del
2005).
    Il Codice avrebbe violato tale complessiva impostazione: la legge
statale,  infatti, non avrebbe lasciato alle Regioni alcun margine di
autonomia normativa, «coprendo con la propria legislazione vincolante
e  di dettaglio (anche per gli appalti sotto soglia) ambiti materiali
pacificamente  attribuiti  dalla Costituzione alla potesta' normativa
regionale residuale e concorrente».
    Da  quanto  sopra  emergerebbe,  inoltre,  come  il Governo abbia
ecceduto la delega conferita.
    I principi della delega indicavano: a) la necessita' di compilare
un unico testo normativo che recepisse le due direttive in materia di
procedure di appalto, coordinando anche le altre vigenti disposizioni
ai principi del diritto comunitario; b) la necessita' di semplificare
le   procedure   di   affidamento   che   non  costituiscono  diretta
applicazione delle normative comunitarie, ai fini di contenimento dei
tempi e di massima flessibilita' degli strumenti giuridici.
    In  relazione  al  principio  sub  a),  si  osserva  come,  nelle
intenzioni  del legislatore delegante, il recepimento delle direttive
avrebbe   dovuto   seguire   il  descritto  iter  attuativo  previsto
dall'ordinamento  nazionale,  senza  alcuna  forzatura del sistema di
riparto delle competenze normative tra lo Stato e le Regioni.
    In   relazione   al   principio   sub   b),   «le   finalita'  di
semplificazione,  di flessibilita' giuridica e di accelerazione delle
procedure  appaiono  contraddette  dall'impostazione accentrativa del
Codice,  che  ha  trasformato, da cedevole, in vincolante, la propria
disciplina  di dettaglio anche in materie pacificamente attribuite in
Costituzione alla competenza normativa delle Regioni».
    Infine, si assume che sarebbe stato violato il principio di leale
collaborazione,  in  quanto, pur vertendosi in settori caratterizzati
da  interferenze  e  sovrapposizioni di materie e pur in presenza del
parere  negativo  della  Conferenza unificata, il legislatore statale
avrebbe  «proceduto  unilateralmente»  alla  formulazione delle norme
impugnate.
    7.3.   -  Infine,  si  assume  la  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 5  per  violazione  degli  artt. 76,  97,  117 e 118 Cost.,
nonche'   «per   violazione   dei  principi  costituzionali  relativi
all'esercizio del potere regolamentare e del principio di legalita».
    In  particolare,  si  osserva  che «in forza del parallelismo tra
competenza legislativa e regolamentare, previsto dall'art. 117, sesto
comma,  Cost.  (...),  laddove  l'art. 4,  comma 3,  ha ascritto alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato materie che invece debbono
ritenersi non ricadenti nell'art. 117, secondo comma, Cost. (...), il
Codice  ha  finito  per  attribuire  allo  Stato,  in quelle materie,
un'indebita  potesta'  regolamentare  di  attuazione  delle norme del
Codice,  ampia  e  omnicomprensiva, vincolante (e non cedevole) anche
per  gli  appalti  pubblici  di  interesse regionale (in relazione al
principio in base al quale i regolamenti governativi, compresi quelli
delegati,  non  sono legittimati a disciplinare materie di competenza
regionale»  (si  citano,  tra  le  altre,  le  sentenze  della  Corte
costituzionale numeri 302 del 2003, 408 del 1998, 482 del 1995).
    8.  -  Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
con  il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, mediante una
memoria  dal  contenuto  analogo, in relazione alla censure formulate
dalla  Regione Lazio, a quello delle memorie depositate per gli altri
giudizi sopra riportati.
    9.  -  La  Regione  Abruzzo  con  ricorso  notificato  in data 30
giugno 2006  e  depositato il successivo 10 luglio (ricorso numero 90
del  2006)  ha  proposto  le  stesse  questioni  di costituzionalita'
contenute nel ricorso della Regione Lazio.
    10. - Anche in questo giudizio si e' costituito il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  con il patrocinio dell'Avvocatura generale
dello Stato, ribadendo le stesse argomentazioni contenute nelle altre
memorie relative ai giudizi sopra riportati.
    11.  -  Con  ricorso notificato il 30 giugno 2006 e depositato il
successivo  6 luglio  la Provincia autonoma di Trento (ricorso numero
86 del 2006) ha impugnato l'art. 4, comma 3, e l'art. 5, commi 1, 2 e
4  del  d.lgs.  n. 163  del 2006, per asserita violazione dell'art. 8
(recte:   11),   numeri   1,  17,  19,  e  dell'art. 16  della  legge
costituzionale  26 febbraio  1948,  n. 5  (Statuto  speciale  per  il
Trentino-Alto  Adige),  del  decreto  del Presidente della Repubblica
22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per
la  regione  Trentino-Alto  Adige  in materia di urbanistica ed opere
pubbliche),  degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992,
n. 266   (Norme   di   attuazione   dello  statuto  speciale  per  il
Trentino-Alto  Adige  concernenti  il  rapporto  tra atti legislativi
statali  e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale
di indirizzo e coordinamento), nonche' dell'art. 117, terzo, quarto e
sesto  comma,  Cost.  in combinato disposto con l'art. 10 della legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3  (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione).
    11.1.  -  La  Provincia  ricorrente premette di essere dotata, ai
sensi  dell'art. 11, numero 17, dello statuto di potesta' legislativa
primaria  in  materia  di  lavori  pubblici di interesse provinciale,
nonche' in materia di ordinamento degli uffici provinciali (numero 1)
e  di  assunzione  diretta  di  servizi  pubblici  (numero 19). Nelle
medesime  materie  la  Provincia  e'  anche titolare della competenza
amministrativa.
    L'art. 1  del  d.P.R. n. 381 del 1974 ha trasferito alle Province
autonome le «attribuzioni dell'amministrazione dello Stato in materia
di  urbanistica, di edilizia comunque sovvenzionata, di utilizzazione
delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di prevenzione e
pronto  soccorso  per  calamita'  pubbliche,  di  espropriazione  per
pubblica  utilita',  di  viabilita',  acquedotti e lavori pubblici di
interesse  provinciale,  esercitate  sia  direttamente  dagli  organi
centrali  e  periferici  dello  Stato sia per il tramite di enti e di
istituti pubblici a carattere nazionale o sovraprovinciali».
    L'art. 19  tiene  ferma la competenza statale in ordine ad alcune
categorie  di  opere  pubbliche;  tuttavia  l'art. 2,  secondo comma,
dispone  che «In caso di delega alle province di funzioni concernenti
la  realizzazione  di  opere  pubbliche  di  competenza  statale,  le
province  stesse  procederanno  alle  espropriazioni  ed  occupazioni
necessarie  in  nome  e  per  conto  dello  Stato  sulla  base  della
disciplina  vigente  per  le  opere  pubbliche di loro competenza». E
l'art. 19-bis  stabilisce  che ai «fini dell'esercizio delle funzioni
delegate  con il presente decreto le province di Trento e di Bolzano,
per  il  rispettivo territorio, applicano la normativa provinciale in
materia di organizzazione degli uffici, di contabilita', di attivita'
contrattuale,   di  lavori  pubblici  e  di  valutazione  di  impatto
ambientale».
    La   ricorrente   sottolinea,  inoltre,  come  abbia  piu'  volte
legiferato  in  materia  di  lavori  pubblici.  Essa  richiama, a tal
proposito:  la  legge  provinciale 10 settembre 1993, n. 26 (Norme in
materia  di  lavori  pubblici  di  interesse  provinciale  e  per  la
trasparenza  negli  appalti);  la  legge  provinciale 19 luglio 1990,
n. 23  (Disciplina dell'attivita' contrattuale e dell'amministrazione
dei  beni  della  Provincia autonoma di Trento); la legge provinciale
14 settembre   1979,   n. 7  (Norme  in  materia  di  bilancio  e  di
contabilita' generale della Provincia autonoma di Trento).
    Nel  ricorso  si  rileva, poi, come la Provincia abbia esercitato
anche  la propria potesta' regolamentare con l'emanazione del decreto
del   Presidente   della   Giunta   provinciale   30 settembre  1994,
n. 12-10/Leg  (Regolamento  di  attuazione  della  legge  provinciale
10 settembre  1993,  n. 26  concernente  «Norme  in materia di lavori
pubblici   di  interesse  provinciale  e  per  la  trasparenza  negli
appalti»,  come modificata dalla legge provinciale 12 settembre 1994,
n. 6,  recante  «Disposizioni modificative della normativa vigente in
materia  di  lavori pubblici di interesse provinciale e in materia di
edilizia abitativa»); nonche' del decreto del Presidente della Giunta
provinciale  22 maggio 1991, n. 10-40/Leg. (Regolamento di attuazione
della   legge   provinciale   19 luglio   1990,  n. 23,  concernente:
«Disciplina  dell'attivita'  contrattuale  e dell'amministrazione dei
beni della Provincia autonoma di Trento»).
    11.2  -  Tanto  premesso,  la  ricorrente  osserva che le censure
formulate  valgono  sia per la materia dei lavori pubblici, sia per i
servizi  e  le forniture, la cui disciplina rientra nell'ambito della
potesta'  primaria  della  Provincia,  attenendo  -  ad eccezione dei
profili civilistici - all'ordinamento degli uffici.
    La  difesa  della  Provincia  sottolinea  come l'art. 4, comma 5,
contenga una clausola di salvaguardia (le «Regioni a statuto speciale
e  le  province  autonome  di  Trento  e  Bolzano adeguano la propria
legislazione  secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle
relative  norme  di  attuazione»), «che si adatta bene alla posizione
della  Provincia di Trento», in quanto l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del
1992 prevede un regime di separazione tra fonti statali e provinciali
nelle  materie  di  competenza  provinciale  (qual  e' la materia dei
lavori  pubblici  di  interesse  regionale)  imponendo  alle Province
autonome   l'adeguamento   della   propria  legislazione  alle  norme
legislative   statali  costituenti  limiti  ai  sensi  dello  statuto
speciale e prevedendo che, nel frattempo, continuino ad applicarsi le
leggi provinciali preesistenti.
    Esisterebbero,  pero',  nella prospettiva della ricorrente, altre
norme  che contrasterebbero con la predetta clausola di salvaguardia.
In  questo  senso,  susciterebbe  perplessita'  gia' il contenuto del
comma 1   dell'art. 4,  che  vincolerebbe  le  Province  autonome  al
rispetto  anche  delle  disposizioni relative a materie di competenza
esclusiva  statale  che,  «verosimilmente»,  sarebbero  quelle di cui
all'art. 117,  secondo  comma,  Cost.,  e  non  quelle  di competenza
statale  sulla  base  di quanto previsto dallo statuto. Ad ogni modo,
tale  comma  sarebbe  suscettibile  di  essere  interpretato  in modo
conforme  a  Costituzione  e  allo  statuto.  Inoltre, si sottolinea,
l'attuazione  della disposizione in esame spetterebbe alla Provincia,
la   quale  provvedera'  avendo  riguardo  agli  effettivi  contenuti
statutari  e non alla astratta formulazione dell'art. 4, comma 1. Per
queste ragioni la norma in esame non viene fatta oggetto di censura.
    11.3.-   In  relazione  al  contenuto  dell'art. 4,  comma 3,  si
premette  come la competenza legislativa esclusiva statale troverebbe
titolo  nella  tutela della concorrenza, ancorche' i settori in esame
eccederebbero tale ambito materiale.
    Inoltre,  si  osserva  che tale disposizione, in se' considerata,
potrebbe  non  essere  lesiva  delle attribuzioni provinciali, atteso
che,  da  un  lato, essa menziona soltanto le Regioni, dall'altro, la
questione  circa la sua effettiva capacita' vincolante potrebbe porsi
in  occasione  di  un  eventuale giudizio relativo a specifiche norme
legislative provinciali.
    Sennonche',  detta lesivita' discenderebbe da quanto previsto dal
successivo  art. 5.  Quest'ultimo,  infatti,  coinvolgerebbe anche la
Provincia  di  Trento,  stabilendo,  da  un  lato, al comma 1, che il
regolamento  statale  si  applica  «limitatamente agli aspetti di cui
all'articolo 4,  comma 3,  in  relazione  ai  contratti di ogni altra
amministrazione»,  dall'altro, al comma 2, che il «regolamento indica
quali  disposizioni, esecutive o attuative di disposizioni rientranti
ai  sensi dell'articolo 4, comma 3, in ambiti di legislazione statale
esclusiva, siano applicabili anche alle Regioni e Province autonome».
    Di  conseguenza, anche l'art. 4, comma 3, richiamato dall'art. 5,
troverebbe applicazione nei confronti della ricorrente.
    In  definitiva,  pertanto,  tali norme, disponendo l'applicazione
alle   Province  autonome  del  secondo  comma  dell'art. 117  Cost.,
incidono  su ambiti materiali spettanti alle Province stesse ai sensi
dello statuto e delle relative norme di attuazione.
    Cio'  non  sarebbe  conforme a Costituzione, atteso che l'art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001 consente l'applicazione alle
Regioni  speciali  e  alle  Province  autonome di norme contenute nel
nuovo  titolo V soltanto se piu' favorevoli e non, come nella specie,
per  restringere  l'autonomia legislativa della ricorrente (si citano
le  sentenze  della Corte costituzionale numeri 134 del 2006, 103 del
2003 e 536 del 2002).
    Si  puntualizza che «con cio' la Provincia non puo' pretendere di
escludere  in  toto  lo  Stato  dagli  oggetti  indicati dall'art. 4,
comma 3, ma cio' accadra' in base alla ripartizione statutaria, e non
in  base  al  Titolo  V.  Lo Stato puo' interferire con le competenze
provinciali solo sulla base di limiti previsti dallo stesso Statuto e
secondo  i  meccanismi  di  cui al d.lgs. n. 266 del 1992, non invece
utilizzando i criteri riguardanti le Regioni ordinarie».
    11.4.   -   La  ricorrente  assume,  inoltre,  la  illegittimita'
costituzionale dell'art. 5, commi 1 e 2, in quanto tale norma prevede
il  potere  dello  Stato  di emanare regolamenti nelle materie di cui
all'art. 4,  comma 3.  Ma  detto  articolo  incide  sulla materia dei
lavori  pubblici  di interesse provinciale che lo statuto attribuisce
alla   competenza   primaria   della  Provincia  autonoma.  Cio'  non
significa,  si  chiarisce,  che  nei  settori  indicati  dal  comma 3
dell'art. 4,  la  ricorrente  non  debba  osservare  limiti,  ma  che
potranno  venire  in  rilievo  soltanto  quelli propri della potesta'
legislativa  primaria,  e  cioe'  il  limite  delle  riforme  e degli
obblighi   internazionali,   che  dovranno  essere  rispettati  dalla
legislazione  provinciale,  la  quale dovra' essere adeguata a quella
statale nei sei mesi successivi secondo il meccanismo prefigurato dal
d.lgs. n. 266 del 2002.
    Da  qui  la  illegittimita'  costituzionale dell'art. 5, comma 2,
nella  parte  in  cui  esso prevede che il regolamento indichi «quali
disposizioni,  esecutive  o  attuative  di disposizioni rientranti ai
sensi  dell'articolo 4,  comma 3,  in  ambiti di legislazione statale
esclusiva, siano applicabili anche alle regioni e province autonome».
In  proposito,  varrebbero  anche  le  argomentazioni contenute nella
sentenza della Corte costituzionale numero 482 del 1995 che, sia pure
con pronuncia interpretativa di rigetto in ragione della peculiarita'
delle disposizioni all'epoca impugnate, ha escluso che il regolamento
dei  lavori  pubblici  previsto  dalla  legge n. 109 del 1994 potesse
trovare applicazione nei confronti della Provincia ricorrente.
    11.5.  -  In  via  subordinata, si rileva che, qualora si dovesse
ritenere   che   i   settori  indicati  dall'art. 4,  comma 3,  siano
riconducibili   non   alla  materia  statutaria  lavori  pubblici  di
interesse   provinciale   ma   alla   materia  statale  tutela  della
concorrenza,   nondimeno   dovrebbe   essere   censurata   «l'abnorme
estensione»  che tale disposizione attribuisce a tale materia, tenuto
conto che la mera autoqualificazione ad opera del legislatore statale
non  sarebbe  comunque  vincolante (si cita ancora la sentenza numero
482  del  1995;  a  dimostrazione della illegittimita' della norma in
esame  si  richiama  anche il parere n. 355 del 2006 del Consiglio di
Stato).
    La  ricorrente  fa  leva  sulla  natura trasversale della materia
tutela  della  concorrenza,  al  fine di dimostrare la illegittimita'
della  disposizione censurata, la quale occupa per intero determinati
settori  materiali  (si  cita,  tra le altre, la sentenza della Corte
costituzionale numero 272 del 2004).
    Infine,  si contesta la norma contenuta nell'art. 4, comma 3, che
vieta  alle Regioni l'emanazione di disposizioni «diverse» rispetto a
quelle contenute nel Codice.
    Infatti,  se  per  «diverse»  si intende «contrastanti», la norma
sarebbe illegittima per le ragioni esposte, e cioe' perche' qualifica
come  «vincolanti  tutte  le  disposizioni  del  Codice relative agli
ambiti  indicati,  in  base  ad  una  «rivendicazione»  di competenza
statale assoluta ed aprioristica».
    Ma,  si  aggiunge,  l'espressione  impiegata  sembra destinata ad
impedire   in   tali  settori  l'emanazione  da  parte  regionale  di
«qualunque   altra   norma»   e,   dunque,  persino  di  disposizioni
integrative e di sviluppo rispetto a quelle statali.
    11.6.   -   Da   quanto  esposto  deriverebbe  la  illegittimita'
costituzionale  anche  dell'art. 5,  commi 1  e 2: «una volta che non
tutti  gli  oggetti indicati nell'art. 4, comma 3, sono di competenza
esclusiva  statale,  la  previsione  del potere regolamentare statale
risulta  illegittima,  per  violazione  dell'art. 117,  sesto  comma,
dell'art. 2  del  d.lg.s n. 266 del 1992 (che prevede l'intervento di
sole  legge  statali  in  materie provinciali) e dei principi gia' da
tempo fissati dalla giurisprudenza costituzionale».
    11.7.  -  Sempre  in via subordinata, si assume la illegittimita'
costituzionale  dell'art. 4,  comma 3,  e degli artt. 5, commi 1 e 2,
«in  quanto  sanciscono  l'inderogabilita'  della  disciplina statale
sugli  oggetti  indicati  anche in relazione ai contratti al di sotto
della soglia comunitaria».
    In  relazione  a  tali contratti, infatti, e' legittima soltanto,
come  sottolineato  dal  Consiglio  di Stato con il citato parere, la
«fissazione  di  comuni principi, che assicurino trasparenza, parita'
di  trattamento  e  non  discriminazione,  senza  che  pero'  ricorra
l'esigenza  (di  derivazione  comunitaria)  di  estendere il grado di
uniformita'  alla  disciplina  di  dettaglio». Sul punto, si richiama
anche la sentenza della Corte costituzionale numero 345 del 2004, che
avrebbe   riconosciuto   «la  legittimita'  dell'applicabilita'  alle
Regioni  dei  soli  principi  desumibili dalla normativa nazionale di
recepimento della disciplina comunitaria, la' dove impongono la gara,
fissano l'ambito soggettivo ed oggettivo di tale obbligo, limitano il
ricorso   alla   trattativa   privata  e  collegano  alla  violazione
dell'obbligo sanzioni civili e forme di responsabilita».
    11.8.  -  Infine,  si  assume  la  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 5,   comma 4,   per   violazione  del  principio  di  leale
collaborazione.
    Anche,  infatti,  a  volere  ritenere  sussistente una competenza
legislativa  esclusiva  statale  in  relazione  ai  settori  indicati
dall'art. 4,  comma 3, sarebbe comunque necessario che il regolamento
venisse adottato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.
    Cio'  in  quanto, attesa la natura trasversale della tutela della
concorrenza,  «le  norme  secondarie  dettate  nell'esercizio di tali
competenze   vanno   ad   intrecciarsi   con  le  materie  regionali,
condizionando  l'esercizio  della  relativa potesta' legislativa». Si
verificherebbe  una  situazione  analoga  a  quella  che, prima della
riforma del titolo V, caratterizzava la funzione statale di indirizzo
e  coordinamento,  nel  senso  di creare una sorta di eccezione «alla
normale  gerarchia  delle fonti», con conseguente possibilita' che la
legge regionale «rimane vincolata a norme di rango non legislativo».
    Sarebbe, pertanto, necessario l'osservanza del principio di leale
collaborazione nella fase di adozione delle norme secondarie.
    12.  - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
censure prospettate vengano dichiarate inammissibili.
    Si  sottolinea,  infatti, che il comma 5 dell'art. 4 contiene una
clausola  di  salvaguardia,  prevedendo  che  le  «regioni  a statuto
speciale  e  le  province  autonome  di  Trento e Bolzano adeguano la
propria  legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti
e nelle relative norme di attuazione».
    La  difesa  erariale mette in evidenza come «di tale disposizione
la  stessa  ricorrente  prende  atto, per cui la censura appare volta
unicamente  ad  ottenere  dalla  Corte  un  «parere»  in  ordine alla
inapplicabilita' diretta alla provincia ricorrente delle disposizioni
del  Codice,  circostanza  peraltro  enunciata  a  chiare lettere dal
provvedimento impugnato».
    A  cio'  si  aggiunge  che,  diversamente dalle Regioni che hanno
impugnato  il  d.lgs.  n. 163  del  2006, la Provincia autonoma si e'
limitata  a  censurare il solo comma 3 dell'art. 4, che, diversamente
da  quanto  previsto  dal  comma 2,  «non fa neanche riferimento alle
Province   autonome,   ad  ulteriore  conferma  della  specificazione
contenuta nel citato comma 5».
    Sotto  altro  profilo,  si  sottolinea  come la stessa ricorrente
ammetta  di essere sottoposta all'osservanza di limiti, specificando,
pero',  che  deve  trattarsi  unicamente  dei limiti statutari. A tal
proposito,  l'Avvocatura  generale rileva come l'art. 4 dello statuto
speciale  della  Regione  Trentino-Alto  Adige  preveda l'osservanza,
anche nelle materie di competenza legislativa primaria, dei «principi
dell'ordinamento  giuridico  della Repubblica e con il rispetto degli
obblighi  internazionali  e  degli  interessi nazionali (...) nonche'
delle   norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali  della
Repubblica».
    Da quanto esposto consegue l'applicabilita' alla ricorrente delle
disposizioni  rientranti  nell'ambito  della  competenza  legislativa
esclusiva  statale  in  materia  di  tutela  della concorrenza di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la quale non potrebbe
considerarsi  «come  sovrapposizione di un nuovo limite per Regioni e
Province autonome (e in quanto tale inapplicabile ai sensi del citato
art. 10 legge cost. n. 3 del 2001)».
    13.  - Nell'imminenza dell'udienza pubblica, tutte le Regioni, ad
eccezione  della  Regione  Piemonte, nonche' la Provincia autonoma di
Trento  hanno  depositato  memorie,  con  le  quali  hanno ribadito e
ampliato le argomentazioni contenute nei ricorsi introduttivi.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Le  Regioni  Veneto,  Piemonte,  Toscana, Lazio e Abruzzo,
nonche'  la Provincia autonoma di Trento hanno impugnato gli artt. 4,
commi 2  e  3;  5,  commi 1, 2, 4, 7, e 9; 6, comma 9, lettera a); 7,
comma 8;  10, comma 1; 11, comma 4; 48; 53, comma 1; 54, comma 4; 55,
comma 6;  56;  57; 62, commi 1, 2, 4 e 7; 70; 71; 72; 75; 81; 82; 83;
84; 85; 86; 87; 88; 91, commi 1 e 2 (e disposizioni di cui alla Parte
II,  Titolo  I  e  Titolo  II,  cui si rinvia); 93; 98; 112, comma 5,
lettera b); 113; 118, comma 2; 120, comma 2; 121, comma 1; 122, commi
da  1 a 7; 123; 124, commi 2, 5 e 6; 125, commi 5, 6, 7, 8 e 14; 130,
comma 2,  lettera c); 131; 132; 141; 153; 197; 204; 205; 240, commi 9
e  10;  252, commi 3 e 6; 253, commi 3, 10, 11 e 22, lettera a); 257,
comma 3,  del  decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei
contratti   pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e  forniture  in
attuazione  delle  direttive  2004/17/CE  e 2004/18/CE), per asserita
violazione  degli  artt. 76,  97,  117 e 118 della Costituzione e del
principio di leale collaborazione; dell'art. 8 (recte: 11), numeri 1,
17,  19  e  dell'art. 16 della legge costituzionale 26 febbraio 1948,
n. 5  (Statuto  speciale per il Trentino-Alto Adige), del decreto del
Presidente   della   Repubblica   22 marzo  1974,  n. 381  (Norme  di
attuazione  dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige
in  materia di urbanistica ed opere pubbliche), degli artt. 2 e 4 del
decreto  legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello
statuto  speciale  per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto
tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche'
la   potesta'   statale   di   indirizzo  e  coordinamento),  nonche'
dell'art. 117,  terzo,  quarto  e  sesto  comma,  Cost.  in combinato
disposto  con  l'art. 10  della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
    Ponendo  i  predetti  ricorsi  questioni  analoghe,  deve  essere
disposta  la riunione dei relativi giudizi ai fini di una trattazione
unitaria e di un'unica decisione.
    2.  -  Nel  procedere  all'esame  delle questioni di legittimita'
costituzionale   proposte,  appare  opportuno,  in  via  preliminare,
ricostruire l'iter normativo che ha portato all'emanazione del citato
d.lgs. n. 163 del 2006 e dei successivi decreti correttivi.
    2.1.   -   Con   l'art. 25  della  legge  18 aprile  2005,  n. 62
(Disposizioni     per    l'adempimento    di    obblighi    derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   comunita'   europee.   Legge
comunitaria  2004),  il  Governo e' stato delegato ad adottare «uno o
piu'  decreti  legislativi  volti  a  definire  un  quadro  normativo
finalizzato  al  recepimento  della direttiva 2004/17/CE del 31 marzo
2004  del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  che  coordina  le
procedure  di  appalto  degli  enti  erogatori di acqua e di energia,
degli  enti  che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, e
della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e
del   Consiglio,   relativa   al  coordinamento  delle  procedure  di
aggiudicazione  degli  appalti  pubblici di lavori, di forniture e di
servizi».  Cio'  nel rispetto, tra gli altri, dei seguenti principi e
criteri  direttivi:  «a)  compilazione  di  un  unico testo normativo
recante  le  disposizioni  legislative  in  materia  di  procedure di
appalto  disciplinate  dalle due direttive coordinando anche le altre
disposizioni  in  vigore  nel  rispetto  dei  principi  del  Trattato
istitutivo dell'Unione europea; b) semplificazione delle procedure di
affidamento   che   non   costituiscono  diretta  applicazione  delle
normative  comunitarie,  finalizzata  a  favorire il contenimento dei
tempi  e  la massima flessibilita' degli strumenti giuridici» (citato
art. 25, comma 1).
    L'emanazione  della  legge  di  delega  e  del successivo decreto
legislativo  e' stata, pertanto, imposta soprattutto dalla necessita'
di  attuare  nel nostro ordinamento le prescrizioni sancite a livello
comunitario per il perseguimento di precise finalita'.
    In  particolare,  l'adozione  della direttiva 2004/18/CE e' stata
guidata  dall'esigenza di procedere alla raccolta in un unico testo -
al   fine  di  rispondere  alle  esigenze  di  semplificazione  e  di
modernizzazione  formulate  sia  dalle amministrazioni aggiudicatrici
che  dagli  operatori  economici nel contesto delle risposte al Libro
verde   adottato  dalla  Commissione  il  27 novembre  1996  -  delle
direttive  del Consiglio 92/50/CEE del 18 giugno 1992, che coordinava
le  procedure  di  aggiudicazione  degli appalti pubblici di servizi,
93/36/CEE   del  14  giugno 1993,  che  coordinava  le  procedure  di
aggiudicazione  degli  appalti pubblici di forniture, e 93/37/CEE del
14  giugno 1993,  che coordinava le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori.
    La  finalita' perseguita con la direttiva n. 2004/18/CE e' stata,
in  primo  luogo,  quella  di  garantire  che nei singoli ordinamenti
nazionali l'aggiudicazione degli appalti per conto dello Stato, degli
enti  pubblici  territoriali e di altri organismi di diritto pubblico
avvenisse  nel rispetto dei principi del Trattato ed, in particolare,
dei principi della libera circolazione delle merci, della liberta' di
stabilimento  e  della  libera  prestazione  dei servizi, nonche' dei
«principi   che   ne   derivano,  quali  i  principi  di  parita'  di
trattamento,  di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di
proporzionalita'  e  di  trasparenza»  (Considerando  numero  2 della
citata  direttiva  18  del  2004).  Si e' voluto, infatti, assicurare
l'apertura  degli  appalti  pubblici  alla concorrenza anche mediante
«regole   dettagliate»   volte   a   garantire   «procedure  di  gara
concorrenziali   a   livello  della  Unione  europea»  (comunicazione
interpretativa  della  Commissione,  relativa  al diritto comunitario
applicabile  alle  aggiudicazioni  di appalti non o solo parzialmente
disciplinate dalle direttive «appalti pubblici», del 1° agosto 2006).
    La stessa Corte di giustizia delle Comunita' europee ha, inoltre,
piu'  volte  sottolineato  -  sia  pure con riferimento a particolari
settori,   ma   con   affermazioni  di  portata  generale  -  che  il
coordinamento a livello comunitario delle procedure di aggiudicazione
degli  appalti  pubblici  ha  come fine essenziale «di proteggere gli
interessi degli operatori economici stabiliti in uno Stato membro che
intendano  offrire beni o servizi alle amministrazioni aggiudicatrici
stabilite in un altro Stato membro e, a tal fine, di escludere sia il
rischio che gli offerenti nazionali siano preferiti nell'attribuzione
di  appalti sia la possibilita' che un'amministrazione aggiudicatrice
si  lasci  guidare da considerazioni non economiche» (si veda, tra le
altre,  sentenza  27 novembre  2001, nelle cause riunite C-285/1999 e
C-286/1999).  Ne  consegue  che  tale  amministrazione  e'  tenuta ad
osservare  «il  principio di parita' di trattamento degli offerenti»,
nonche'  l'«obbligo  di trasparenza» al fine di garantire il rispetto
del  «divieto  di discriminazione in base alla nazionalita» (sentenza
27 novembre 2001, cit.).
    Con  la  direttiva  2004/17/CE  del 31 marzo 2004, il legislatore
comunitario  -  «in  occasione  di nuove modificazioni alla direttiva
93/38/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993» - ha ritenuto opportuno,
per  motivi  di chiarezza, procedere alla raccolta delle disposizioni
previste dalla predetta direttiva in un unico testo.
    Il  legislatore  comunitario ha, inoltre, affermato che una delle
ragioni  principali  per  cui  si e' reso necessario un coordinamento
delle  procedure di aggiudicazione degli appalti degli enti erogatori
di  acqua  e di energia, nonche' degli enti che forniscono servizi di
trasporto  e  servizi  postali,  e'  stato  «il  carattere chiuso dei
mercati  in cui operano, dovuto alla concessione da parte degli Stati
membri  di diritti speciali o esclusivi, per l'approvvigionamento, la
messa a disposizione o la gestione di reti che forniscono il servizio
in  questione».  In  questo ambito, dunque, viene anche in rilievo un
altro,  ma  connesso, aspetto relativo alla tutela della concorrenza:
l'esigenza  di prevedere misure di liberalizzazione dei settori sopra
indicati  finalizzate a garantire la graduale e completa apertura dei
mercati alla libera concorrenza (vedi, sia pure con riferimento ad un
settore diverso da quello in esame, la sentenza numero 336 del 2005).
    2.2.  -  Al  fine  di  dare  attuazione  alla  suddetta normativa
comunitaria  e  alla  legge  delega  n. 62 del 2005, il Consiglio dei
ministri  ha  approvato  uno schema di decreto legislativo recante il
«Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture».
    Su  tale schema il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli
atti  normativi,  Adunanza  del  6 febbraio  2006,  ha reso il parere
richiesto, proponendo talune modifiche e integrazioni.
    In   relazione   allo  stesso  schema,  la  Conferenza  unificata
Stato-Regioni  ha  espresso apposito parere, lamentando la violazione
di   specifiche   competenze  regionali  e  svolgendo,  a  tal  fine,
osservazioni  critiche  in relazione ad una serie di disposizioni ivi
contemplate.
    Acquisiti i suddetti pareri, unitamente a quelli delle competenti
commissioni  parlamentari,  il  Governo ha emanato il decreto oggetto
delle odierne impugnazioni.
    2.3.  -  Successivamente  -  in  attuazione  di quanto prescritto
dall'art. 25,  comma 3,  della  legge  n. 62  del  2005, che consente
l'adozione di disposizioni correttive ed integrative del Codice entro
due  anni dalla sua entrata in vigore - il Governo ha predisposto uno
schema  di  decreto  correttivo  trasmesso alla Conferenza unificata.
Quest'ultima  ha  chiesto  l'inserimento  nel testo del Codice di una
norma  secondo  la  quale,  fino  alla  data di entrata in vigore del
decreto  correttivo  ed  integrativo,  si applichino, anche in deroga
all'art. 4  dello  stesso  Codice,  «le  disposizioni normative delle
Regioni  e  delle  Province autonome in materia di appalti di lavori,
servizi  e forniture concernenti la stipulazione e l'approvazione dei
contratti,  il  responsabile unico del procedimento, la pubblicazione
dei  bandi  e  le  procedure  di  affidamento degli appalti d'importo
inferiore  alla  soglia  comunitaria,  se  non  in  contrasto  con la
normativa comunitaria».
    Anche  su  tale  schema di decreto si e' espresso il Consiglio di
Stato,  Sezione  consultiva  per  gli  atti  normativi,  Adunanza del
28 settembre  2006,  il  quale  ha,  tra  l'altro,  suggerito  di non
inserire  la  norma  richiesta  in  sede di Conferenza, ritenendo non
opportuno,   prima   della   decisione  di  questa  Corte,  apportare
modificazioni agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 163 del 2006.
    All'esito della acquisizione, tra l'altro, dei predetti pareri e'
stato   emanato   il   decreto   legislativo  26 gennaio  2007,  n. 6
(Disposizioni  correttive  ed  integrative  del  decreto  legislativo
12 aprile  2006,  n. 163,  recante  il  Codice dei contratti pubblici
relativi  a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE  e  2004/18/CE,  a  norma dell'articolo 25, comma 3, della
legge  18 aprile  2005, n. 62. Legge comunitaria 2004); tale decreto,
in  conformita'  al  citato  parere  del  Consiglio  di Stato, non ha
apportato  modifiche  agli  artt. 4  e  5,  ne'  ha  inciso  in  modo
significativo sul contenuto delle altre disposizioni impugnate.
    2.4. - Infine, e' stato predisposto dal Governo un secondo schema
di  decreto correttivo in relazione al quale hanno espresso parere la
Conferenza  unificata e il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per
gli  atti  normativi,  Adunanza  del  6  giugno 2007.  All'esito  del
suddetto   procedimento  e'  stato  emanato  il  decreto  legislativo
31 luglio   2007,   n. 113   (Ulteriori   disposizioni  correttive  e
integrative  del  decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante
il  Codice  dei  contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi e
forniture,  a  norma dell'articolo 25, comma 3, della legge 18 aprile
2005,  n. 62).  Anche  tale  secondo  decreto  non  ha inciso in modo
rilevante,  salvo  quanto  verra'  di  seguito precisato in relazione
all'impugnazione   dell'art. 84,  sul  contenuto  delle  disposizioni
censurate.
    3.  -  Cio' chiarito, deve rilevarsi, in via preliminare, come le
disposizioni   contenute   nel   d.lgs.   n. 163  del  2006,  per  la
molteplicita'  degli  interessi perseguiti e degli oggetti implicati,
non siano riferibili ad un unico ambito materiale.
    Questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  affermare  che i lavori
pubblici «non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano
a  seconda  dell'oggetto  al  quale  afferiscono»  e pertanto possono
essere  ascritti, di volta in volta, a potesta' legislative statali o
regionali   (sentenza   numero   303   del  2003).  Non  e',  dunque,
configurabile  ne' una materia relativa ai lavori pubblici nazionali,
ne'  tantomeno  un  ambito  materiale afferente al settore dei lavori
pubblici di interesse regionale.
    Tali affermazioni non valgono soltanto per i contratti di appalto
di  lavori,  ma  sono  estensibili  all'intera attivita' contrattuale
della  pubblica  amministrazione  che  non  puo' identificarsi in una
materia  a  se',  ma  rappresenta, appunto, un'attivita' che inerisce
alle singole materie sulle quali essa si esplica.
    Ne  consegue  che i problemi di costituzionalita' sollevati dalle
ricorrenti   devono   essere   esaminati  in  rapporto  al  contenuto
precettivo delle singole disposizioni impugnate, al fine di stabilire
quali siano gli ambiti materiali in cui esse trovano collocazione.
    Ancora in via preliminare, appare opportuno precisare - alla luce
delle  osservazioni  sin  qui svolte - che non e' possibile tracciare
una  netta  linea  di  demarcazione  che  faccia unicamente perno sul
profilo  soggettivo,  distinguendo  le  procedure  di gara indette da
amministrazioni  statali da quelle poste in essere da amministrazioni
regionali  o sub-regionali, per inferirne che solo le prime sarebbero
di  spettanza  statale,  mentre le seconde rientrerebbero nell'ambito
della  potesta'  legislativa regionale. La perimetrazione delle sfere
materiali  di competenza non puo', infatti, essere determinata avendo
riguardo esclusivamente alla natura del soggetto che indice la gara o
al  quale  e' riferibile quel determinato bene o servizio, in quanto,
come   gia'   sottolineato,  occorre  fare  riferimento,  invece,  al
contenuto  delle  norme censurate al fine di inquadrarlo negli ambiti
materiali indicati dall'art. 117 Cost.
    4.  -  Svolta  questa  premessa,  puo'  passarsi  all'esame delle
questioni  di  costituzionalita' formulate con riferimento a ciascuna
delle disposizioni del Codice oggetto d'impugnazione.
    5.  -  In  relazione  all'impugnazione dell'art. 4, comma 2, deve
preliminarmente   osservarsi   che  tale  disposizione  contiene,  in
realta',  due  norme:  la prima fa generico riferimento alla potesta'
legislativa statale di determinazione dei principi fondamentali nelle
materie  disciplinate  dal  Codice;  la  seconda  fa riferimento, «in
particolare»,  ad  una  serie  di  settori  specifici individuati con
riguardo  a rilevanti aspetti dell'attivita' volta alla realizzazione
di opere pubbliche.
    Orbene, per cio' che concerne la prima parte del comma oggetto di
censura, e' da porre in rilievo come essa si limiti ad affermare che,
salvo  quanto  sara'  puntualizzato  di  seguito  a  proposito  delle
Province  autonome, relativamente «alle materie oggetto di competenza
concorrente, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
esercitano   la   potesta'   normativa   nel  rispetto  dei  principi
fondamentali contenuti» nel Codice.
    Tale disposizione, per il suo contenuto generale, si sottrae alle
censure  proposte,  in quanto e' incontestabile che spetti alla legge
dello  Stato la fissazione dei principi fondamentali nelle materie di
competenza  concorrente. E' pertanto solo con riferimento specifico a
tali  materie,  e  dunque  alle  singole  disposizioni  contenute nel
Codice, che, di volta in volta, puo' venire in rilievo un problema di
superamento  dei limiti delle competenze statali nella determinazione
dei  principi  fondamentali  destinati  a  regolare ciascuna di dette
materie.
    Sotto tale aspetto assume, invece, rilievo la censura prospettata
dalle  ricorrenti con riguardo alla seconda parte del comma in esame,
con  cui  il legislatore statale ha disposto, «in particolare», che i
principi  fondamentali,  che  devono essere osservati dalle Regioni e
dalle  Province  autonome,  vertono  «in  tema  di programmazione dei
lavori  pubblici,  approvazione  dei  progetti ai fini urbanistici ed
espropriativi, organizzazione amministrativa, compiti e requisiti del
responsabile   del   procedimento,   sicurezza   del  lavoro».  Nella
prospettiva  delle  ricorrenti,  tali settori rientrerebbero, invece,
nell'ambito di materie di competenza residuale delle Regioni.
    5.1.   -  Alla  luce  di  quanto  sopra,  prima  di  valutare  la
riconducibilita'  a  materie di competenza ripartita delle specifiche
discipline richiamate «in particolare» dal comma in questione, appare
opportuno  prendere  in  esame  le censure proposte con riferimento a
parametri  diversi  dagli artt. 117 e 118 Cost., nonche' al principio
di leale collaborazione.
    5.2.  -  Innanzitutto,  deve ritenersi inammissibile la questione
concernente  la  violazione  dell'art. 97  Cost.,  prospettata  dalle
Regioni Lazio e Abruzzo.
    Secondo,  infatti,  un consolidato indirizzo della giurisprudenza
costituzionale  (vedi, tra le altre, le sentenze numeri 116 del 2006;
383  del 2005; 287, 196, e 4 del 2004; 274 del 2003), le Regioni sono
legittimate  a  censurare,  in  via di impugnazione principale, leggi
dello  Stato  esclusivamente per questioni attinenti al riparto delle
rispettive  competenze.  Si e', tuttavia, ammessa la deducibilita' di
altri  parametri  costituzionali  soltanto  ove  la  loro  violazione
comporti    una    compromissione    delle   attribuzioni   regionali
costituzionalmente  garantite.  Nel  caso  di  specie,  la violazione
lamentata,  oltre  ad  essere  generica, non ridonda nella lesione di
competenze  delle  Regioni,  con  conseguente  inammissibilita' della
questione.
    5.3.   -   Quanto   alle   questioni  concernenti  la  violazione
dell'art. 76  Cost.,  proposte con diversita' di argomentazioni dalle
Regioni  Lazio  e  Abruzzo,  da  un  lato,  e  dalla  Regione Veneto,
dall'altro, va osservato che anche a volerle considerare ammissibili,
in  quanto  intese,  alla luce dell'orientamento della giurisprudenza
costituzionale  sopra  riportato,  a  far valere in via indiretta una
lesione  delle  competenze  della  Regione,  esse  non  sono comunque
fondate.
    In particolare, le ricorrenti Regioni Lazio e Abruzzo deducono la
violazione  della  citata norma costituzionale per asserito contrasto
tra  quanto  previsto  dal  decreto legislativo e la delega contenuta
nella   legge  n. 62  del  2005,  la  quale  non  conterrebbe  alcuna
disposizione circa la possibilita' del Codice di incidere sul riparto
delle competenze legislative concorrenti.
    Tale  deduzione non puo' trovare accoglimento, dal momento che il
Codice,  sotto  l'indicato aspetto, ha fatto diretta applicazione dei
principi  e  delle disposizioni della Costituzione e, a tal riguardo,
non era necessaria alcuna delega legislativa. E' infatti indubitabile
che  il  legislatore  delegato,  anche  nel  silenzio  della legge di
delega,   sia   tenuto   comunque   alla   osservanza   dei  precetti
costituzionali,  indipendentemente,  dunque,  da ogni richiamo che di
essi faccia la norma delegante.
    Del  pari  non  fondata  deve  ritenersi la censura di violazione
dell'art. 76  Cost.,  prospettata  dalla Regione Veneto, per asserita
inosservanza  dei cosiddetti limiti ulteriori della delega, in quanto
non  sarebbe  stato  rispettato  il  vincolo  procedimentale previsto
dall'art. 25,  comma 2,  della  citata  legge  n. 62  del  2005,  che
imponeva   di  sentire  il  parere  della  Conferenza  unificata.  In
particolare,  la  ricorrente  lamenta  che  tale parere sarebbe stato
richiesto  ed  acquisito  in  relazione  ad  uno  schema  di  decreto
legislativo diverso da quello poi adottato dal Consiglio dei ministri
nella seduta del 23 marzo 2006.
    Sul  punto,  e'  bene  chiarire,  in  via  generale, come - nella
perdurante   assenza   di   una   trasformazione   delle  istituzioni
parlamentari e, piu' in generale, dei procedimenti legislativi, anche
solo   nei   limiti  di  quanto  previsto  dall'art. 11  della  legge
costituzionale  n. 3 del 2001 (vedi sentenze numeri 423 e 6 del 2004)
- il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo
nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali
che  incidono  su  materie  di competenza regionale e' costituito dal
sistema delle Conferenze. Esso - disciplinato dal decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le  province  autonome  di  Trento  e Bolzano ed unificazione, per le
materie  ed  i  compiti  di  interesse  comune  delle  regioni, delle
province  e  dei  comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie
locali)  - realizza una forma di cooperazione di tipo organizzativo e
costituisce  «una  delle  sedi piu' qualificate per l'elaborazione di
regole    destinate   ad   integrare   il   parametro   della   leale
collaborazione» (sentenza numero 31 del 2006).
    Chiarito  cio',  deve,  pero', ritenersi, per quanto interessa in
questa sede, che, in linea di massima, non sussiste alcuna violazione
del  principio  di  leale collaborazione nel caso in cui le modifiche
introdotte  allo  schema  di decreto legislativo successivamente alla
sua  sottoposizione  alla  Conferenza  unificata  siano imposte dalla
necessita'  di  adeguare  il  testo  alle modifiche suggerite in sede
consultiva  (vedi la sentenza numero 179 del 2001). In tale caso, non
e'   necessario   che  il  testo  modificato  torni  nuovamente  alla
Conferenza  per  un  ulteriore  parere,  anche  perche' altrimenti si
innescherebbe  un  complesso  e non definibile meccanismo di continui
passaggi dall'uno all'altro dei soggetti coinvolti.
    In  ogni  caso,  anche  per le norme introdotte dal Governo nello
schema  di  decreto,  senza  che  tale  esigenza  sia  stata  stretta
conseguenza  delle  osservazioni  svolte in sede consultiva, non puo'
ritenersi  che cio' determini una automatica violazione del principio
di leale collaborazione.
    Questa  Corte  ha,  infatti, gia' avuto modo di affermare che «le
procedure  di  cooperazione e di concertazione» in sede di Conferenza
unificata  possono  «rilevare ai fini dello scrutinio di legittimita'
degli  atti legislativi, solo in quanto l'osservanza delle stesse sia
imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione» (sentenza
numero  437  del 2001). Pertanto, affinche' il mancato coinvolgimento
di  tale  Conferenza,  pur  previsto  da un atto legislativo di rango
primario,  possa  comportare un vulnus al principio costituzionale di
leale  cooperazione, e' necessario che ricorrano i presupposti per la
operativita'  del  principio  stesso e cioe', in relazione ai profili
che  vengono  in  rilievo  in  questa  sede,  la  incidenza su ambiti
materiali  di  pertinenza regionale. Nel caso in esame, la ricorrente
non  ha  neppure  indicato  quali  siano  le specifiche disposizioni,
introdotte dal Governo ex novo nel comma in esame, idonee ad incidere
su competenze regionali.
    In  definitiva,  pertanto,  la  censura,  a prescindere dalla sua
genericita', deve essere disattesa.
    5.4.  - Parimenti disattesa deve essere la censura, dedotta dalle
Regioni  Lazio  e  Abruzzo,  di  violazione  del  principio  di leale
collaborazione, sotto il profilo della mancata previsione di adeguate
forme  di coordinamento tra i diversi livelli territoriali coinvolti,
pur  vertendo  la disposizione impugnata in settori caratterizzati da
interferenza e sovrapposizioni di materie.
    Tale  censura,  a  prescindere  dalla  sua  genericita',  non  e'
comunque  pertinente  con riferimento alla disposizione contenuta nel
comma 2  dell'art. 4,  dal  momento  che  un  eventuale  problema  di
coordinamento,  nella  fase  di  attuazione, tra i livelli di governo
coinvolti,  potrebbe,  in  ipotesi,  porsi  esclusivamente rispetto a
singole  disposizioni contenute nel Codice e non gia' rispetto ad una
norma  recante  un  principio  generale  attinente  al  riparto delle
competenze statali e regionali.
    5.5.  -  Puo'  ora passarsi all'esame delle questioni relative ai
particolari  settori  indicati  nella  norma  impugnata  proposte per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    Viene  in  rilievo,  innanzitutto,  la  «programmazione di lavori
pubblici», il cui inserimento nell'ambito della disposizione in esame
e'  stato  specificamente  censurato  dalle  Regioni Veneto, Toscana,
Lazio e Abruzzo.
    In  via preliminare, appare opportuno sottolineare che l'esigenza
sottesa  alla  programmazione dei lavori «e' quella di determinare le
opere  pubbliche  che  possono  essere effettivamente e completamente
realizzate,  in  base  alle  disponibilita'  finanziarie e secondo un
ordine  di  priorita'  che  si basa sulla valutazione dei costi e dei
benefici» (sentenza numero 482 del 1995).
    Chiarito   cio',  deve  rilevarsi  -  al  di  la'  del  contenuto
facoltizzante della norma che specificamente disciplina il settore in
esame  (art. 128)  e  che  non  e'  oggetto  di  impugnazione  -  che
l'attivita'  di programmazione di tali lavori non essendo una materia
a  se'  stante,  ne' risultando riconducibile ad uno specifico ambito
materiale,  segue  il  regime  giuridico  proprio della realizzazione
delle relative opere, le quali possono rientrare, a seconda dei casi,
in  settori di competenza esclusiva statale o residuale delle Regioni
ovvero ripartita tra Stato e Regioni.
    Orbene,  alla  luce  del  contenuto precettivo della disposizione
impugnata, appare evidente che nel contesto della disposizione stessa
il riferimento all'attivita' di programmazione riguarda soltanto quei
procedimenti  preordinati  alla  realizzazione delle opere pubbliche,
che esulino sia dalla competenza esclusiva dello Stato, sia da quella
residuale  delle Regioni, per rientrare, invece, in una delle materie
di  competenza  concorrente individuate dal terzo comma dell'art. 117
Cost.
    Cosi'  interpretata, la norma contenuta nel comma in questione si
sottrae  alle  censure  di  violazione  degli  artt. 117 e 118 Cost.,
atteso  che  non  e'  profilabile la dedotta violazione di competenze
regionali.
    5.6.  -  Ad  analoghe  conclusioni di rigetto deve pervenirsi per
quanto  attiene alla censura, proposta dalle Regioni Toscana, Lazio e
Abruzzo, riferita alla «approvazione dei progetti ai fini urbanistici
ed espropriativi».
    Deve,   infatti,   ritenersi   che,  come  risulta  dalla  stessa
formulazione  letterale della norma, l'«approvazione dei progetti» e'
strettamente  correlata  a  scopi  di disciplina urbanistica e dunque
alla   pianificazione  territoriale.  Nella  specie,  inoltre,  anche
l'espropriazione  viene  in  rilievo  nella  sua  valenza strumentale
all'acquisizione  di  suoli  necessari  per la realizzazione di opere
pubbliche  inserite  in  un  complessivo  contesto pianificatorio. In
definitiva,   l'ambito   di   incidenza   della  norma  in  esame  e'
rappresentato  dalla  urbanistica,  con  conseguente inclusione nella
sfera  delle  potesta'  legislative inerenti alla materia concorrente
del governo del territorio. Questa Corte ha piu' volte affermato che,
se  e'  pur  vero  che «la parola «urbanistica» non compare nel nuovo
testo dell'art. 117», nondimeno «cio' non autorizza a ritenere che la
relativa  materia  non  sia  piu'  ricompresa  nell'elenco  del terzo
comma»,  facendo parte, appunto, del governo del territorio (sentenza
numero  303  del  2003;  nello stesso senso vedi, ex multis, anche le
sentenze numeri 383 e 336 del 2005).
    Ne  consegue,  pertanto,  che  non  puo' ritenersi illegittima la
norma  in  esame,  nella parte in cui impone il rispetto dei principi
fondamentali  posti  dallo  Stato  nella  fase  di  «approvazione dei
progetti ai fini urbanistici ed espropriativi».
    5.7.  -  Deve  essere  ora  esaminata  la questione derivante dal
riferimento   contenuto  nel  comma  in  esame  alla  «organizzazione
amministrativa»  e  ai  «compiti  e  requisiti  del  responsabile del
procedimento».
    La censura, proposta in termini sostanzialmente analoghi da tutte
le  Regioni ricorrenti, investe questa parte della disposizione sotto
il  profilo  secondo  cui sia l'organizzazione amministrativa, sia la
disciplina  del  responsabile  del procedimento, attenendo ad aspetti
propri dell'organizzazione regionale, rientrerebbero nella competenza
residuale  delle Regioni, sicche' la disposizione in esame recherebbe
un vulnus alle prerogative legislative delle stesse.
    La questione non e' fondata.
    Deve,     innanzitutto,     chiarirsi    che    il    riferimento
all'organizzazione  amministrativa non puo' che riguardare il settore
della  realizzazione  delle  opere  pubbliche,  nonche'  quello delle
forniture  o  dei  servizi,  e non certamente l'altro, piu' generale,
concernente  la struttura ed il funzionamento dell'ente Regione. Cio'
e' desumibile dalla stessa formulazione della disposizione impugnata,
la  quale - nell'indicare i singoli settori per i quali e' richiamata
la   competenza   dello   Stato  nella  determinazione  dei  principi
fondamentali - ha riguardo alla programmazione ed alla esecuzione dei
lavori necessari per tale realizzazione. L'organizzazione dunque, cui
la  norma  si  riferisce,  e'  quella  propria  dell'apparato o degli
apparati incaricati di operare nel settore preso in considerazione e,
in  particolare, del responsabile del procedimento, di cui si prevede
l'istituzione   e   non   le  modalita'  organizzative.  La  suddetta
connessione   tra  l'organizzazione  e  i  compiti  e  requisiti  del
responsabile del procedimento consente, con riferimento al settore in
esame,  di  interpretare  la norma in senso conforme a Costituzione e
ritenere  che  essa  non  sia  invasiva  della  sfera  di  competenza
legislativa residuale delle Regioni, collocandosi invece, in funzione
strumentale,   nell'ambito  di  procedimenti  che  appartengono  alla
competenza  ripartita  Stato-Regioni e seguendone, in conseguenza, le
sorti.
    5.8.  -  Per esigenze di connessione, deve essere trattata ora la
questione  proposta  dalla Regione Veneto in riferimento all'art. 10,
comma 1,  nella parte in cui prevede che «Per ogni singolo intervento
da  realizzarsi  mediante  un  contratto pubblico, le amministrazioni
aggiudicatrici  nominano,  ai sensi della legge 7 agosto 1990 n. 241,
un   responsabile   del   procedimento,   unico  per  le  fasi  della
progettazione, dell'affidamento, dell'esecuzione». I commi successivi
(da  2  a 9) disciplinano, in particolare, la nomina e le funzioni di
tale soggetto.
    La questione e' inammissibile.
    Innanzitutto,  essa  e'  carente di validi elementi argomentativi
atti  a  sorreggerla. La ricorrente ha prospettato la sua censura nei
confronti  del  solo comma 1, mentre avrebbe dovuto coinvolgere anche
tutte  le  altre disposizioni concernenti la nomina e le attribuzioni
del responsabile unico del procedimento. Ne' si comprende, infine, se
la  doglianza  concerne,  in generale, la figura del responsabile del
procedimento ovvero la sua unicita' nel procedimento.
    Anche,   tuttavia,  se  si  volesse  prescindere  dalle  suddette
considerazioni,  deve  osservarsi  che, sulla base di quanto poc'anzi
precisato  in  ordine  alla organizzazione degli uffici preposti alla
realizzazione  delle  opere  pubbliche, essa sarebbe in ogni caso non
fondata  dal  momento  che la previsione di un responsabile unico dei
relativi procedimenti non reca un vulnus alle competenze regionali.
    6.  -  Le  Regioni  ricorrenti  e la Provincia autonoma di Trento
hanno,  altresi',  impugnato  il  comma 3  dell'art. 4 del Codice, il
quale  cosi'  dispone:  «Le  Regioni, nel rispetto dell'articolo 117,
comma   secondo,   della  Costituzione,  non  possono  prevedere  una
disciplina  diversa  da quella del presente Codice in relazione: alla
qualificazione   e  selezione  dei  concorrenti;  alle  procedure  di
affidamento,  esclusi  i profili di organizzazione amministrativa; ai
criteri  di aggiudicazione; al subappalto; ai poteri di vigilanza sul
mercato  degli  appalti  affidati  all'Autorita' per la vigilanza sui
contratti  pubblici di lavori, servizi e forniture; alle attivita' di
progettazione   e   ai   piani  di  sicurezza;  alla  stipulazione  e
all'esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione dell'esecuzione,
direzione  dei  lavori,  contabilita'  e  collaudo,  ad eccezione dei
profili   di   organizzazione   e   contabilita'  amministrative;  al
contenzioso.  Resta  ferma  la  competenza  esclusiva  dello  Stato a
disciplinare  i  contratti relativi alla tutela dei beni culturali, i
contratti  nel  settore  della  difesa,  i  contratti segretati o che
esigono  particolari  misure di sicurezza relativi a lavori, servizi,
forniture».
    6.1.  -  In  via  preliminare, deve essere esaminata la questione
proposta  dalla  Provincia  autonoma  di  Trento,  con  la  quale  si
asserisce   che  la  norma  impugnata  sarebbe,  in  particolare,  in
contrasto   con   le   disposizioni   dello   statuto  speciale,  che
attribuiscono  nel settore in esame alla legge provinciale competenza
legislativa primaria.
    La questione e' inammissibile, per difetto di interesse.
    L'art. 4,  comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006 contiene, infatti,
una  clausola  di salvaguardia secondo la quale «Le regioni a statuto
speciale  e  le  province  autonome  di  Trento e Bolzano adeguano la
propria  legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti
e nelle relative norme di attuazione».
    A   tale   fine,   pertanto,   opera  il  meccanismo  prefigurato
dall'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, secondo il quale l'emanazione
di nuove norme statali non determina una diretta abrogazione di leggi
provinciali  preesistenti,  ma solo un obbligo di adeguamento entro i
sei  mesi successivi alla pubblicazione dell'atto legislativo statale
nella Gazzetta Ufficiale o nel piu' ampio termine da esso stabilito.
    Il  mancato  adempimento  di  siffatto  obbligo puo' essere fatto
valere  dal  Governo  con  ricorso  contro  le  leggi provinciali non
adeguate (vedi, tra le altre, la sentenza numero 302 del 2003).
    Il  legislatore  statale ha, pertanto, espressamente previsto una
clausola  che,  per  il  suo contenuto puntuale in ordine al relativo
ambito applicativo (vedi le sentenze numeri 384, 287 e 263 del 2005),
e' idonea ad escludere, come afferma la stessa difesa dello Stato, il
vizio di costituzionalita' della disposizione. Del resto, il medesimo
art. 4,  comma 3,  fa espressamente riferimento alle sole «regioni» e
non anche alle Province autonome.
    6.2.  -  Per  quanto attiene ai ricorsi regionali, deve, in primo
luogo,  essere  esaminata la questione proposta dalla Regione Veneto,
con   la   quale  si  deduce  l'illegittimita'  costituzionale  della
disposizione    impugnata,    per   violazione   dell'art. 76   della
Costituzione  -  in  relazione  agli  artt. 1, comma 6, e 5, comma 5,
della  legge  n. 62 del 2005 - e dell'art. 117, quinto comma. Analoga
censura  e'  stata  proposta  dalle Regioni Lazio e Abruzzo, le quali
deducono,  in particolare, la violazione dell'art. 117, quinto comma,
Cost.  sotto  il  profilo  che,  pur intervenendo in ambiti materiali
«pacificamente  attribuiti dalla Costituzione alla potesta' normativa
regionale  residuale  e  concorrente»,  la disposizione impugnata non
lascerebbe  alcuno spazio alle Regioni nella fase di attuazione della
normativa comunitaria.
    In  particolare, si osserva che la legge delega (art. 1, comma 6)
ha  attribuito  alla  Regione  il  potere  di  dare  attuazione  alle
direttive  comunitarie  nei  limiti  previsti  dalla legge 4 febbraio
2005,  n. 11  (Norme  generali  sulla  partecipazione  dell'Italia al
processo   normativo   dell'Unione   europea  e  sulle  procedure  di
esecuzione  degli  obblighi comunitari). Tale legge, in attuazione di
quanto  disposto  dall'art. 117, quinto comma, Cost., ha conferito il
predetto  potere  in  tutte  le  materie di competenza regionale, con
possibilita'  dello Stato di svolgere, in caso di inadempimento della
Regione,   esclusivamente   un   intervento   sostitutivo  di  natura
preventiva, suppletiva e cedevole.
    La  Regione  Veneto  assume,  inoltre,  che  la  norma  impugnata
violerebbe  l'art. 76  Cost.  «anche in relazione alla disciplina dei
contratti  di  interesse  regionale  «sotto  soglia»»,  in  quanto il
vincolo a dettare solo norme suppletive e cedevoli, pur non derivando
dall'art. 117,  quinto  comma,  Cost.,  si  imponeva  al  Governo per
effetto dell'art. 5, comma 5, della legge n. 62 del 2005.
    Le questioni non sono fondate.
    L'art. 1,  comma 6,  della  legge delega n. 62 del 2005, al quale
rinvia  il  comma 5  dell'art. 5,  prevede,  in  relazione  a  quanto
disposto dalla citata norma costituzionale, che i decreti legislativi
eventualmente  adottati nelle materie di competenza legislativa delle
Regioni  e  delle Province autonome entrano in vigore, quando in sede
locale non sia stata emanata l'apposita normativa di attuazione, alla
data  di  scadenza  del  termine  stabilito  per il recepimento della
normativa  comunitaria e perdono comunque efficacia a decorrere dalla
data  di  entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da
ciascuna  Regione  e  Provincia  autonoma  nel  rispetto  dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e, nelle materie di competenza
concorrente,  dei  principi fondamentali stabiliti dalla legislazione
dello Stato. Lo stesso comma 6 prosegue disponendo che «A tale fine i
decreti   legislativi   recano  esplicita  indicazione  della  natura
sostitutiva e cedevole delle disposizioni in esse contenute».
    Orbene,  tale  essendo  il  contenuto  delle  norme alle quali le
ricorrenti fanno riferimento, deve escludersi che esse possano essere
invocate  a  fondamento delle doglianze volte al riconoscimento della
esistenza  di  un vincolo, per il legislatore delegato, di introdurre
la  clausola  di  cedevolezza  di  norme che, per le ragioni esposte,
intervengono  a  disciplinare  un  settore  rientrante, nei limiti di
seguito precisati, nell'ambito della competenza legislativa esclusiva
statale.
    Ne  consegue  che  la  sussistenza di un titolo di legittimazione
dello  Stato a disciplinare, in via esclusiva, i profili di attivita'
indicati dalla norma impugnata, consente allo Stato, contrariamente a
quanto  sostenuto,  in  particolare,  dalle  Regioni Lazio e Abruzzo,
l'adozione  di  una  normativa non soltanto di principio, ma anche di
dettaglio, avente carattere esaustivo.
    Per  le  medesime  ragioni,  come sara' precisato in prosieguo in
sede  propria, non puo' considerarsi fondata la questione relativa ai
contratti  sotto soglia comunitaria, in quanto, anche in questo caso,
la sussistenza di titoli di competenza legislativa statale esclude la
necessita' di prevedere la clausola di cedevolezza.
    6.3.   -  La  stessa  Regione  Veneto  ha,  inoltre,  dedotto  la
violazione  dell'art. 76  Cost.,  in  relazione all'art. 25, comma 2,
della  legge  n. 62  del 2005, per inosservanza dei cosiddetti limiti
ulteriori  della  delega,  non  essendo  stato  rispettato il vincolo
procedimentale  previsto  dalla suindicata disposizione, che imponeva
di sentire il parere della Conferenza unificata.
    La  questione  non e' fondata. Possono, qui, essere integralmente
richiamate  le  osservazioni  gia'  svolte  in relazione alla analoga
questione  prospettata con riferimento al comma 2 dello stesso art. 4
del Codice (vedi punto 5.3).
    6.4.  -  La  Regione Veneto ha, inoltre, dedotto l'illegittimita'
costituzionale dell'intero art. 4, comma 3, in quanto esso stabilisce
che  le  Regioni  «non  possono  prevedere  una disciplina diversa da
quella  del  presente  Codice»,  anziche'  «non possono prevedere una
disciplina  contrastante  con  i  principi  desumibili  dal  presente
Codice, in relazione alla tutela della concorrenza».
    La  questione e' inammissibile per genericita', atteso che con la
censura    formulata   non   si   prospettano   specifici   vizi   di
incostituzionalita',  ma  si  tende  all'introduzione nel testo della
disposizione  impugnata  di  una  norma  nuova  e  diversa. A cio' si
aggiunga  che  la  doglianza  prospettata  presenta  anche profili di
contraddittorieta',  in quanto si richiama espressamente, da un lato,
la   tutela   della   concorrenza,   contemplata  nel  secondo  comma
dell'art. 117  della  Costituzione, dall'altro, facendosi riferimento
«ai  principi»  contenuti nel Codice, implicitamente il contenuto del
terzo comma dello stesso art. 117.
    6.5.   -   Allo  stesso  modo  inammissibile  deve  ritenersi  la
questione,  proposta  dalla  medesima Regione Veneto, con la quale si
lamenta che per i «contratti relativi alla tutela dei beni culturali»
sarebbe  possibile  individuare  «aspetti  della  disciplina  che non
assolvano ad una funzione di salvaguardia, come e' ad esempio, per la
determinazione  della  cauzione,  per l'organizzazione amministrativa
degli  interventi,  per  il  responsabile  dei  procedimenti o per la
stessa approvazione dei progetti».
    Sul  punto,  appare opportuno premettere che questa Corte ha gia'
avuto  modo di affermare che la tutela dei beni culturali costituisce
un   ambito   materiale   di   competenza  legislativa  statale,  con
possibilita'  per  le  Regioni di integrare la relativa normativa con
misure  diverse  ed  aggiuntive  rispetto a quelle previste a livello
statale (vedi, tra le altre, la sentenza numero 232 del 2005).
    Nel  caso  in  esame,  la  disposizione  impugnata  si  limita  a
prevedere  che  «Resta  ferma  la  competenza esclusiva dello Stato a
disciplinare  i  contratti relativi alla tutela dei beni culturali» -
regolati  dagli  artt.  da  197  a 205 del Codice - mentre la censura
proposta  dalla Regione ricorrente ha ad oggetto aspetti specifici di
tale  disciplina,  in  relazione ai quali manca persino l'indicazione
della   fonte   normativa  che  li  regolamenta  e  sulla  quale,  in
definitiva, dovrebbe incidere la eventuale pronuncia di questa Corte.
    Di  qui  la  inammissibilita'  per  genericita'  della  questione
prospettata.
    6.6.  -  Devono  essere,  altresi',  dichiarate  inammissibili le
questioni   -  che  si  esaminano  in  questa  sede  per  ragioni  di
connessione  -  proposte  dalla  stessa  Regione Veneto e concernenti
specificamente  gli  artt. 197,  204 e 205, contenuti nella parte del
Codice dedicata ai «contratti relativi ai beni culturali».
    In  particolare, la ricorrente assume che dette disposizioni «pur
se ipoteticamente riferibili alla materia "tutela dei beni culturali"
(di   competenza  esclusiva  dello  Stato),  presentano  comunque  un
carattere  di  estremo  dettaglio  e  di  eccessiva  analiticita',  e
comprimono  dunque  illegittimamente l'autonomia normativa regionale,
prevedendo  (...)  misure  sproporzionate  ed  eccessive  rispetto al
fine».
    La censura cosi' specificata ha carattere del tutto generico.
    Le   norme   impugnate  presentano,  infatti,  un  contenuto  non
omogeneo,  in  quanto prevedono: la «Disciplina comune applicabile ai
contratti pubblici relativi ai beni culturali» (art. 197), i «Sistemi
di   scelta   degli   offerenti»  e  i  «criteri  di  aggiudicazione»
(art. 204),  nonche'  i  limiti  di  ammissibilita'  delle «Varianti»
(art. 205).  A  fronte di tale complessa disciplina, la Regione si e'
limitata   ad  indicare  le  disposizioni  censurate,  senza  neanche
specificarne  il  contenuto  e soprattutto senza illustrare - tenendo
conto  della  natura  della competenza statale nel settore in esame e
dei  conseguenti  spazi  di  intervento  concessi  alle Regioni - gli
eventuali profili di contrasto con l'art. 117 della Costituzione.
    6.7.  -  Quanto  al  ricorso  proposto dalla Regione Piemonte, si
contesta che, pur se «per gli ambiti della qualificazione e selezione
dei concorrenti, procedure di affidamento, criteri di aggiudicazione,
subappalto»  sia  effettivamente  riscontrabile  la sussistenza di un
titolo   di   competenza  riconducibile  alla  materia  tutela  della
concorrenza,  nondimeno il legislatore avrebbe violato i canoni della
adeguatezza     e    ragionevolezza    mediante    «l'assoggettamento
indiscriminato   alla  normativa  anche  di  dettaglio  del  Codice»,
nonostante  sia  ravvisabile  invece uno spazio in cui legittimamente
puo'  ammettersi  un  intervento normativo regionale. A sua volta, la
Regione   Veneto,   contesta,   nello   specifico,  l'inclusione  del
subappalto  nell'ambito applicativo della norma censurata, atteso che
il  collegamento con la tutela della concorrenza sarebbe cosi' labile
che, se fosse sufficiente a radicare la potesta' legislativa statale,
«determinerebbe una espansione abnorme della stessa "tutela"».
    In  secondo  luogo,  tutte le Regioni ricorrenti lamentano, sotto
vari  profili, che ciascuna delle specifiche attivita' indicate dalla
norma  impugnata  possano  farsi rientrare nella competenza esclusiva
statale,  ponendo  in  rilievo  come  talune  tra  quelle  richiamate
appartengano,   invece,   alla   competenza   regionale  residuale  o
concorrente.  Esse  deducono, pertanto, la violazione degli artt. 76,
97, 117 e 118 della Costituzione.
    Le questioni cosi' prospettate non sono fondate.
    Innanzitutto,  deve  precisarsi  che  una  parte  rilevante della
disciplina  prevista  dal  comma in esame trova sicura legittimazione
nella materia della tutela della concorrenza, che l'art. 117, secondo
comma,  lettera e),  della  Costituzione  attribuisce  alla  potesta'
legislativa esclusiva statale.
    Sul punto - anche al fine di sgombrare il campo da un equivoco in
cui   sono   incorse  alcune  delle  ricorrenti  -  appare  opportuno
soffermarsi  sulla  nozione di tutela della concorrenza allo scopo di
chiarirne,  per  quanto  puo'  interessare questo giudizio, ambiti di
rilevanza, natura e limiti di incidenza.
    In  relazione  al  primo  profilo, va ricordato come questa Corte
abbia  gia'  avuto  modo  di affermare che la nozione di concorrenza,
riflettendo quella operante in ambito comunitario, include in se' sia
interventi  «di  regolazione  e ripristino di un equilibrio perduto»,
sia interventi mirati a ridurre gli squilibri attraverso la creazione
delle  condizioni  per  la  instaurazione  di  assetti concorrenziali
(sentenza  numero  14 del 2004; vedi anche, tra le altre, le sentenze
numeri  29 del 2006 e 272 del 2004). Rientrano, pertanto, nell'ambito
materiale  in esame le misure di garanzia del mantenimento di mercati
gia'  concorrenziali  e gli strumenti di liberalizzazione dei mercati
stessi.
    In  questa  sede  viene,  pero', soprattutto in rilievo l'aspetto
della  tutela  della  concorrenza che si concretizza, in primo luogo,
nell'esigenza  di  assicurare  la  piu'  ampia apertura del mercato a
tutti  gli  operatori  economici  del settore in ossequio ai principi
comunitari  della  libera circolazione delle merci, della liberta' di
stabilimento  e  della  libera  prestazione  dei servizi (articoli 3,
paragrafo  1,  lettere c e g; 4, paragrafo. 1; da 23 a 31; da 39 a 60
del Trattato che istituisce la comunita' europea, del 25 marzo 1957).
    Si  tratta  di  assicurare  l'adozione  di  uniformi procedure di
evidenza pubblica nella scelta del contraente, idonee a garantire, in
particolare,  il  rispetto dei principi di parita' di trattamento, di
non discriminazione, di proporzionalita' e di trasparenza.
    Sul piano interno, l'osservanza di tali principi costituisce, tra
l'altro,   attuazione   delle   stesse  regole  costituzionali  della
imparzialita' e del buon andamento, che devono guidare l'azione della
pubblica  amministrazione  ai  sensi  dell'art. 97  Cost. Deve, anzi,
rilevarsi   come  sia  stata  proprio  l'esigenza  di  uniformare  la
normativa  interna  a  quella comunitaria, sul piano della disciplina
del  procedimento  di  scelta  del  contraente, che ha determinato il
definitivo  superamento  della  cosiddetta concezione contabilistica,
che  qualificava  tale  normativa  interna  come posta esclusivamente
nell'interesse  dell'amministrazione,  anche  ai  fini della corretta
formazione della sua volonta' negoziale.
    Va,   inoltre,  precisato  che  l'osservanza  delle  prescrizioni
comunitarie  ed  interne  di evidenza pubblica garantisce il rispetto
delle  regole  dell'efficacia  e  dell'efficienza  dell'attivita' dei
pubblici  poteri:  la  selezione  della  migliore  offerta  assicura,
infatti, la piena attuazione degli interessi pubblici in relazione al
bene o al servizio oggetto dell'aggiudicazione.
    In  sintesi,  la nozione comunitaria di concorrenza, che viene in
rilievo   in  questa  sede  e  che  si  riflette  su  quella  di  cui
all'art. 117,  secondo  comma,  lettera e),  Cost.,  e' definita come
concorrenza «per» il mercato, la quale impone che il contraente venga
scelto  mediante procedure di garanzia che assicurino il rispetto dei
valori  comunitari  e  costituzionali sopra indicati. Cio' ovviamente
non  significa  che  nello  stesso settore degli appalti, soprattutto
relativi  ai  servizi a rete, non sussistano concomitanti esigenze di
assicurare  la  cosiddetta  concorrenza  «nel»  mercato attraverso la
liberalizzazione  dei  mercati  stessi, che si realizza, tra l'altro,
mediante l'eliminazione di diritti speciali o esclusivi concessi alle
imprese  (vedi  considerando  n. 3  della  direttiva  31 marzo  2004,
n. 2004/17/CE).
    In  relazione  al  secondo  profilo,  concernente la natura della
materia  in  esame, deve rilevarsi come la tutela della concorrenza -
se  si  eccettuano,  in  particolare,  gli  aspetti  della  specifica
normativa    antitrust    diretta   a   reprimere   i   comportamenti
anticoncorrenziali  delle  imprese  -  abbia  natura trasversale, non
presentando i caratteri di una materia di estensione certa, ma quelli
di  «una  funzione  esercitabile  sui piu' diversi oggetti» (sentenza
numero  14  del  2004; si vedano, altresi', le sentenze numeri 29 del
2006;  336  del  2005  e 272 del 2004). Nello specifico settore degli
appalti  deve,  pero',  ritenersi  che la interferenza con competenze
regionali   si   atteggia,   in  modo  peculiare,  non  realizzandosi
normalmente  un  intreccio  in  senso stretto con ambiti materiali di
pertinenza  regionale,  bensi' la prevalenza della disciplina statale
su  ogni  altra  fonte  normativa.  Ne  consegue  che  la  fase della
procedura  di  evidenza  pubblica,  riconducibile  alla  tutela della
concorrenza,  potra'  essere  interamente  disciplinata, nei limiti e
secondo le modalita' di seguito precisati, dal legislatore statale.
    Infine,  per quanto attiene ai limiti interni, deve sottolinearsi
come,  pur  non  rientrando  nei compiti di questa Corte stabilire in
concreto  la  valenza  economica  degli  interventi statali (sentenze
numeri  14  e  272 del 2004), nondimeno spetti ad essa effettuare uno
scrutinio  di  costituzionalita'  sui  singoli atti legislativi dello
Stato,  al  fine  di  stabilire se la scelta in concreto adottata sia
ragionevole   e   proporzionata  rispetto  all'obiettivo  prefissato,
costituito, nella specie, dalla piu' ampia apertura del mercato degli
appalti alla concorrenza.
    La  ratio  di questo controllo risiede proprio nella natura della
materia  in  esame:  essa,  infatti, non ha un ambito definito, ma si
caratterizza  per  le  specifiche  finalita'  perseguite.  In  questa
prospettiva,  si  giustifica  un  controllo  di  costituzionalita'  -
guidato  dai  criteri  della proporzionalita' e adeguatezza - volto a
saggiare  «la  congruita' dello strumento utilizzato rispetto al fine
di  rendere  attivi  i fattori determinanti dell'equilibrio economico
generale» (citata sentenza numero 14 del 2004).
    Allo  scopo,  pertanto,  di  individuare gli esatti confini della
materia  in  esame,  occorre  svolgere un doppio livello di verifica:
stabilire,  innanzitutto,  se  l'intervento statale sia astrattamente
riconducibile,  nei modi anzidetti, ai principi della concorrenza nel
mercato  o della concorrenza per il mercato o ad entrambi; in secondo
luogo,  accertare  se lo strumento utilizzato sia congruente rispetto
al  fine perseguito alla luce dei criteri di proporzionalita' e della
adeguatezza. Cio' significa che, contrariamente a quanto sostenuto da
alcune  delle  ricorrenti,  una volta che sia stata riconosciuta come
riconducibile  alla  materia  in  questione  la normativa statale, la
stessa puo' avere anche un contenuto analitico. La proporzionalita' e
l'adeguatezza    non    si   misurano,   infatti,   avendo   riguardo
esclusivamente  al  livello di dettaglio che connota quella specifica
normativa.  Se  cosi' fosse si verificherebbe una identificazione non
consentita   tra   materie   concorrenti  e  materie  trasversali  di
competenza  esclusiva  che,  invece,  ricevono dalla Costituzione una
differente disciplina.
    Alla  luce  delle  considerazioni  svolte,  non possono ritenersi
assistite da fondamento le censure formulate dalla Regione Piemonte.
    In  relazione  al primo livello di verifica sopra indicato, deve,
infatti,  rilevarsi  che  -  avendo  riguardo  al fine perseguito dal
legislatore  statale,  di  assicurare  che  le  procedure  di gara si
svolgano  nel  rispetto  delle regole concorrenziali poste a presidio
dei  principi  della  libera  circolazione  delle merci, della libera
prestazione  dei servizi, della liberta' di stabilimento, nonche' dei
principi  della  trasparenza  e  della  parita'  di  trattamento - le
procedure di qualificazione e selezione dei concorrenti, le procedure
di   affidamento  (esclusi  i  profili  attinenti  all'organizzazione
amministrativa), i criteri di aggiudicazione, ivi compresi quelli che
devono  presiedere  all'attivita' di progettazione ed alla formazione
dei  piani  di  sicurezza,  nonche' i poteri di vigilanza sul mercato
degli  appalti,  rientrano nell'ambito della tutela della concorrenza
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Con particolare
riferimento  al subappalto, incluso anch'esso nell'ambito applicativo
della  norma  in  esame,  deve rilevarsi che lo stesso costituisce un
istituto  tipico  del rapporto di appalto, come tale disciplinato dal
codice civile (art. 1656) e inquadrabile nell'ambito dei contratti di
derivazione.  Sebbene  caratterizzato  da  elementi di sicura matrice
pubblicistica,  detto  istituto conserva la sua natura privatistica e
rientra  nell'ambito  materiale  dell'ordinamento  civile. Nondimeno,
esso, per taluni profili non secondari, assolve anche ad una funzione
di  garanzia  della concorrenzialita' nel mercato e quindi, anche per
questo  aspetto,  appartiene  alla  competenza  legislativa esclusiva
dello Stato.
    Chiarito  cio',  deve,  inoltre,  escludersi  che le procedure di
affidamento,  come  invece  sostenuto  dalle Regioni Lazio e Abruzzo,
essendo  dei  «veri  e  propri  procedimenti amministrativi», debbano
essere   disciplinate  secondo  il  riparto  di  competenze  previsto
dall'art. 29, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme
in  materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi), secondo cui le «regioni e gli enti locali,
nell'ambito   delle   rispettive   competenze,  regolano  le  materie
disciplinate   dalla   presente   legge   nel  rispetto  del  sistema
costituzionale   e   delle   garanzie   del  cittadino  nei  riguardi
dell'azione   amministrativa,   cosi'   come  definite  dai  principi
stabiliti  dalla  presente legge». Il procedimento amministrativo non
e'  una  vera  e  propria materia, atteso che lo stesso, in relazione
agli aspetti di volta in volta disciplinati, puo' essere ricondotto a
piu'  ambiti  materiali  di  competenza statale o regionale (sentenza
numero  465  del 1991), entro i quali la disciplina statale regola in
modo  uniforme  i diritti dei cittadini nei confronti delle pubbliche
amministrazioni.   Nella   specie,   avendo   riguardo  alla  censura
specificamente   formulata,   deve  ribadirsi  che  la  procedura  di
affidamento  -  volta  allo  scopo  di  garantire i predetti principi
diretti  a consentire la piena apertura del mercato nel settore degli
appalti - e' fondamentalmente riconducibile alla materia della tutela
della concorrenza.
    Stabilito,  alla  luce  delle considerazioni che precedono, che i
settori  sopra  indicati,  per  le  finalita'  che  ne  connotano  la
disciplina,  rientrano nel suddetto ambito di materia, non e', pero',
possibile, sulla base del contenuto precettivo della norma impugnata,
svolgere  il  secondo livello di verifica, volto a stabilire se siano
stati  rispettati  i  limiti  interni alla materia stessa e dunque se
l'intervento  statale  sia  effettivamente  proporzionato ed adeguato
rispetto  all'obiettivo  perseguito. I giudizi di proporzionalita' ed
adeguatezza  non  possono che riferirsi, per loro stessa natura, alle
specifiche  disposizioni  che  disciplinano  il  settore. La norma in
esame,  invece,  ha  soltanto  una  valenza  di  carattere  generale,
limitandosi  ad  affermare  che  i  singoli ambiti da essa richiamati
attengono   alla   competenza   legislativa  esclusiva  statale,  con
implicito  rinvio  poi  alla  specifica  disciplina  contenuta  nelle
disposizioni  che  riguardano,  appunto,  i settori soltanto indicati
dalla  norma  censurata. Ed e' la regolamentazione di essi che potra'
eventualmente  formare  oggetto  di sindacato di costituzionalita' da
parte di questa Corte nei modi e nelle forme di rito.
    6.8.  -  Le  Regioni  Veneto  e  Piemonte  contestano,  altresi',
l'inclusione  nella  disposizione  in esame del riferimento alle fasi
della  stipulazione  e  dell'esecuzione  dei  contratti, ivi comprese
quelle  della direzione dell'esecuzione e della direzione dei lavori,
contabilita' e collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione e
contabilita'  amministrative.  In  particolare,  la  norma  in  esame
disciplinerebbe  settori  che atterrebbero ad aspetti organizzativi e
procedurali  dell'azione  amministrativa, i quali andrebbero inclusi,
«a  seconda  dell'oggetto, tra le materie di competenza concorrente o
residuale»  (ricorso  della  Regione  Veneto  n. 85 del 2006), ovvero
investirebbe ambiti in cui sarebbero ravvisabili «spazi significativi
che  vanno ascritti all'ordinamento e organizzazione amministrativa»,
che  appartengono  alla  Regione ad eccezione di quanto e' riferibile
allo  Stato  e  agli  enti  pubblici nazionali (ricorso della Regione
Piemonte n. 88 del 2006).
    La questione non e' fondata.
    E'    noto    che   l'attivita'   contrattuale   della   pubblica
amministrazione,    essendo    funzionalizzata    al    perseguimento
dell'interesse  pubblico,  si  caratterizza  per  la esistenza di una
struttura bifasica: al momento tipicamente procedimentale di evidenza
pubblica segue un momento negoziale.
    Nella  prima  fase  di  scelta  del  contraente l'amministrazione
agisce,  come  si  e'  gia'  sottolineato, secondo predefiniti moduli
procedimentali  di  garanzia  per  la tutela dell'interesse pubblico,
ancorche'   siano   contestualmente  presenti  momenti  di  rilevanza
negoziale,  dovendo la pubblica amministrazione tenere, in ogni caso,
comportamenti improntati al rispetto, tra l'altro, delle regole della
buona fede.
    Nella  seconda  fase  -  che  ha  inizio  con la stipulazione del
contratto  (si veda art. 11, comma 7, del Codice) - l'amministrazione
si pone in una posizione di tendenziale parita' con la controparte ed
agisce   non   nell'esercizio   di   poteri   amministrativi,  bensi'
nell'esercizio della propria autonomia negoziale.
    Tale  fase, che ricomprende l'intera disciplina di esecuzione del
rapporto contrattuale, incluso l'istituto del collaudo - il quale e',
tra  l'altro,  anche  specificamente  disciplinato  dal codice civile
(art. 1665  e  seguenti),  valendo  per  esso  le argomentazioni gia'
svolte  a  proposito  del  subappalto  - si connota, pertanto, per la
normale mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico,
sostituiti dall'esercizio di autonomie negoziali.
    Ne  consegue  che  la  norma  censurata  -  disciplinando aspetti
afferenti   a   rapporti   che   presentano   prevalentemente  natura
privatistica,  pur essendo parte di essi una pubblica amministrazione
-  deve essere ascritta all'ambito materiale dell'ordinamento civile.
Sussiste, infatti, l'esigenza, sottesa al principio costituzionale di
eguaglianza,  di  garantire l'uniformita' di trattamento, nell'intero
territorio  nazionale,  della disciplina della fase di conclusione ed
esecuzione  dei  contratti  di  appalto  avente,  tra  l'altro  - per
l'attivita'  di  unificazione  e semplificazione normativa svolta dal
legislatore  -,  valenza  sistematica. Ne' vale obiettare, come fa la
Regione  Veneto,  che non potrebbe ritenersi sussistente il titolo di
competenza  rappresentato  dall'ordinamento  civile,  in  quanto  non
verrebbero  in  rilievo  «la stipulazione e l'esecuzione regolate dal
codice   civile».  Sul  punto,  e'  agevole  osservare  che  l'ambito
materiale  in  esame  ricomprende  tutti gli aspetti che ineriscono a
rapporti  di natura privatistica, in relazione ai quali sussistono le
esigenze  sopra  indicate, senza che detti rapporti debbano rinvenire
la  loro  disciplina  necessariamente sul piano codicistico. In altri
termini,  la sussistenza di aspetti di specialita', rispetto a quanto
previsto   dal   codice   civile,  nella  disciplina  della  fase  di
stipulazione  e  esecuzione  dei  contratti  di  appalto,  non  e' di
ostacolo  al  riconoscimento  della  legittimazione  statale  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
    Quanto  sin  qui  detto non significa, pero', che, in relazione a
peculiari  esigenze  di  interesse pubblico, non possano residuare in
capo alla  pubblica  amministrazione  poteri pubblici riferibili, tra
l'altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase
esecutiva. D'altronde, la norma impugnata esclude espressamente dalla
competenza   legislativa   esclusiva   dello   Stato  i  «profili  di
organizzazione e contabilita' amministrative», con la conseguenza che
in   questi   ambiti,   qualora  parte  del  contratto  non  sia  una
amministrazione   statale,   sarebbe   rinvenibile   un   titolo   di
legittimazione regionale.
    La   riconducibilita',   pertanto,   all'ambito   della   materia
dell'ordinamento  civile  ovvero  a  materie  di competenza regionale
potra' essere stabilita soltanto in relazione alle singole e puntuali
norme   di  disciplina  delle  fasi  attinenti  alla  conclusione  ed
esecuzione del rapporto contrattuale.
    6.9. - Per completezza, allo stesso modo, va aggiunto che rientra
nella  competenza  esclusiva  dello  Stato, in relazione alle materie
della  giurisdizione e della giustizia amministrativa, il contenzioso
cui  fa  riferimento  il  comma 3,  cui - sia pure genericamente - si
richiamano le ricorrenti.
    In  conclusione,  pertanto,  sotto gli aspetti fin qui esaminati,
devono   ritenersi   non   fondate   le   questioni  di  legittimita'
costituzionale  prospettate  con riguardo ai parametri costituzionali
di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    6.10.   -   Resta  da  esaminare  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  promossa dalle Regioni Veneto, Piemonte e Toscana con
riguardo  alla  previsione, contenuta nel comma in esame, secondo cui
il  vincolo  delle Regioni all'osservanza della disciplina del Codice
(vale  a  dire,  il  divieto  di  prevedere  una  disciplina diversa)
riguarda anche le attivita' di progettazione e i piani di sicurezza.
    In  particolare,  si  osserva  che,  da  un  lato, l'attivita' di
progettazione  rientrerebbe  nell'ambito  della  competenza residuale
delle Regioni (non essendo indicata in nessuno degli ambiti materiali
di  cui al secondo e terzo comma dello stesso art. 117 Cost.), ovvero
la  sola  progettazione  di  lavori  (in quanto «volta a portare alla
realizzazione  di  opere  sul territorio») sarebbe riconducibile alla
materia  del  governo  del  territorio (ricorso della Regione Toscana
n. 84  del  2006); dall'altro, i piani di sicurezza atterrebbero alla
materia  concorrente  della  sicurezza  del  lavoro  ovvero  (per  la
connessione  che presentano con la fase della progettazione esecutiva
delle opere) alla materia del governo del territorio. Analoga censura
hanno  proposto,  con  riferimento  ai piani di sicurezza, le Regioni
Lazio e Abruzzo.
    Per  esigenze  di  connessione, possono essere trattate in questa
sede  anche le censure, sollevate dalla sola Regione Veneto, relative
agli   artt. 93  e  112,  comma 5,  lettera b).  In  particolare,  la
ricorrente  lamenta  che  le suddette norme, disciplinando in maniera
eccessivamente    analitica,    rispettivamente,    «i   livelli   di
progettazione» e la «verifica dei progetti», violerebbero l'art. 117,
secondo comma, lettera e), della Costituzione.
    Le questioni non sono fondate.
    In via preliminare, appare opportuno sottolineare che:
        l'art. 4,  comma 3,  stabilisce  che  le  Regioni non possono
prevedere  una disciplina diversa da quella contemplata dal Codice in
materia di progettazione;
        l'art. 93  disciplina  in  maniera  analitica i livelli della
progettazione  per  gli  appalti  e  per  le  concessioni  di lavori,
stabilendo,  tra l'altro, che la progettazione medesima si articola -
secondo  tre  livelli  di  successivi  approfondimenti  tecnici  - in
preliminare, definitiva ed esecutiva;
        l'art. 112,  comma 5,  lettera b) - censurato anch'esso dalla
Regione  Veneto  -  demanda  ad  un  regolamento  la disciplina delle
modalita'  di  verifica  dei progetti, nel rispetto, tra l'altro, del
criterio  secondo  il  quale la verifica puo' essere effettuata dagli
uffici  tecnici  delle  stazioni appaltanti ove il progetto sia stato
redatto  da  progettisti  esterni  o  le  stesse  stazioni appaltanti
dispongano  di un sistema interno di controllo di qualita', ovvero da
altri   soggetti   autorizzati   secondo   i  criteri  stabiliti  dal
regolamento stesso.
    Ai  fini  della delimitazione del thema decidendum, e' necessario
sottolineare  che  in questa sede vengono in rilievo esclusivamente i
criteri   che   presiedono   allo   svolgimento   dell'attivita'   di
progettazione.  In particolare, l'aspetto qualificante della predetta
attivita', previsto dall'impugnato art. 93, attiene all'articolazione
della  progettazione,  che  questa  Corte ha ritenuto essenziale «per
assicurare,  con il progetto esecutivo, l'eseguibilita' dell'opera» e
«indispensabile   per   rendere   certi   i   tempi  ed  i  costi  di
realizzazione» (sentenza numero 482 del 1995).
    E  deve  rilevarsi  come  la previsione di criteri uniformi della
progettazione  relativa  non  solo  ai  lavori  pubblici, ma anche ai
servizi  e  alle  forniture  - essendo essenziale per assicurare, tra
l'altro,  i  principi  di  pari  trattamento e di non discriminazione
sull'intero  territorio  nazionale dei partecipanti alle procedure di
gara  -  debba  essere  ricondotta,  in  via  prevalente, nell'ambito
materiale della tutela della concorrenza.
    La  suddetta  esigenza di uniformita' di disciplina investe anche
le  modalita'  di  verifica  dei  progetti,  prevista  dal  censurato
art. 112, comma 5, lettera b).
    Cio'   precisato,   e'  opportuno  chiarire  che  nella  fase  di
attuazione  dell'attivita' di progettazione (la quale - al pari della
programmazione dei lavori - non costituisce una materia a se' stante,
ma   rappresenta   un   momento  del  complesso  iter  procedimentale
preordinato  alla  realizzazione  dell'opera  pubblica)  sussiste  la
specifica  competenza  dell'amministrazione o del soggetto cui spetti
curare la realizzazione delle opere mediante le apposite procedure di
gara.   In   altri   termini,   la   riconduzione  dell'attivita'  di
progettazione   alla   competenza   esclusiva   dello   Stato   opera
esclusivamente per quanto attiene alla fissazione dei criteri in base
ai  quali  tale attivita' deve essere svolta in modo da assicurare in
ogni caso la piu' ampia competitivita' e la libera circolazione degli
operatori  economici  nel segmento di mercato in questione, ma non si
estende  fino  ad  incidere  sulla spettanza del concreto svolgimento
dell'attivita'     progettuale     alle    singole    amministrazioni
aggiudicatrici,  la  cui  competenza non e' incisa dalla normativa in
esame.
    In  conclusione,  la declaratoria di infondatezza delle questioni
concerne  sia  l'art. 4,  comma 3,  in parte qua, sia le disposizioni
contenute negli artt. 93 e 112, comma 5, lettera b), del Codice.
    Per  quanto attiene, poi, al riferimento contenuto nella norma in
esame  ai  piani  di  sicurezza, deve rilevarsi, sempre ai fini della
delimitazione  del  thema  decidendum, che la disciplina uniforme dei
criteri di formazione dei piani di sicurezza e' anch'essa preordinata
ad assicurare, tra l'altro, i principi di parita' di trattamento e di
non  discriminazione  tra  i  partecipanti  alla  gara.  Nei suddetti
limiti,  pertanto,  la previsione in esame e' riconducile alla tutela
della   concorrenza,   con  conseguente  infondatezza  della  censura
formulata.
    Alla  luce  delle considerazioni innanzi svolte, non suscettibili
di  accoglimento  sono  anche  le questioni involgenti l'art. 131, il
quale regolamenta specificamente i piani di sicurezza.
    In particolare, la Regione Veneto ha prospettato il contrasto del
citato  articolo con l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in
considerazione  della dedotta natura eccessivamente dettagliata della
relativa disciplina.
    La  Regione  Toscana  ha,  invece,  impugnato il solo comma 1 del
medesimo  articolo, il quale prevede che «Il Governo, su proposta dei
ministri  del  lavoro  e delle politiche sociali, della salute, delle
infrastrutture  e  dei  trasporti,  e  delle  politiche  comunitarie,
sentite  le  organizzazioni  sindacali e imprenditoriali maggiormente
rappresentative,  approva  le  modifiche che si rendano necessarie al
regolamento  recato  dal  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
3 luglio  2003, n. 222, in materia di piani di sicurezza nei cantieri
temporanei  o  mobili,  in  conformita' alle direttive comunitarie, e
alla   relativa  normativa  nazionale  di  recepimento».  Secondo  la
ricorrente,  la norma riportata violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost.,
in  quanto,  essendo  la  materia  relativa  ai  piani  di  sicurezza
rientrante   nell'ambito   della   potesta'  legislativa  concorrente
(sicurezza  sul lavoro), deve ritenersi non legittima l'emanazione di
un  regolamento governativo. In via subordinata, la stessa ricorrente
assume  che,  anche  qualora  si  dovesse  ritenere  sussistente  una
competenza  esclusiva  dello  Stato,  non  sarebbe stato garantito il
necessario coinvolgimento dei livelli di governo regionali.
    La  questione  proposta dalla Regione Veneto e' inammissibile per
genericita'.
    Nonostante,  infatti,  la  norma presenti un contenuto articolato
riconducibile  ad una pluralita' di ambiti, sui quali certamente puo'
essere esercitata la competenza legislativa statale in relazione alla
determinazione dei criteri di predisposizione dei piani di sicurezza,
la   ricorrente  si  e'  limitata  a  censurare  la  norma  impugnata
genericamente nella sua interezza.
    Deve,  invece,  ritenersi non fondata la questione proposta dalla
Regione Toscana relativamente al comma 1 dell'art. 131.
    Tale  comma  deve essere interpretato nel senso che e' attribuito
al   Governo   unicamente   il  potere  di  emanare  le  disposizioni
regolamentari  relative  a  criteri  di  predisposizione dei piani di
sicurezza,   che   sono   essenziali   per   assicurare,   come  gia'
sottolineato,  la  uniformita'  di  trattamento dei partecipanti alla
gara  e  dunque  i  principi della tutela della concorrenza. Venendo,
pertanto,  in rilievo una materia di competenza legislativa esclusiva
statale,  deve ritenersi legittima la previsione di un corrispondente
potere regolamentare.
    E  vale  anche  per i piani di sicurezza la constatazione che, in
fase  attuativa,  la  loro  predisposizione segue il regime giuridico
proprio  dell'opera da realizzare, atteso che e' riservata allo Stato
esclusivamente  la  fissazione dei criteri generali per la formazione
di detti strumenti.
    6.11.  -  Le  Regioni  Lazio  e Abruzzo ritengono, infine, che la
norma in esame violi il principio di leale collaborazione, atteso che
essa,  pur  disciplinando  settori  caratterizzati  da interferenze e
sovrapposizioni  di  materie  e  pur  in presenza del parere negativo
della  Conferenza unificata, avrebbe «proceduto unilateralmente» alla
formulazione delle norme impugnate.
    La  censura  non e' fondata per le medesime argomentazioni svolte
con riferimento all'art. 4, comma 2 (vedi punto 5.4).