Ordinanza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 69, quarto
comma,  del  codice penale, come modificato dall'art. 3 della legge 5
dicembre  2005,  n. 251  (Modifiche  al codice penale e alla legge 26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di  giudizio  di  comparazione  delle  circostanze  di  reato  per  i
recidivi,  di usura e di prescrizione), promossi con ordinanze del 18
e  20  luglio  2006  dal  Tribunale di Ravenna, del 6 aprile 2006 dal
Tribunale  di  Perugia, del 9 marzo e del 3 aprile 2006 dal Tribunale
di  Firenze,  del  4  novembre  2006  dal Tribunale di Perugia, del 7
novembre  2006  dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Modena,  del  7  novembre  2006  dal Tribunale di Perugia, del 21
settembre  e  del  18  dicembre  2006  dal  giudice  per  le indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Modena, del 13 gennaio 2007 e del 31
luglio  2006  dal  Tribunale di Firenze, del 6 e del 23 febbraio 2007
dal  giudice  per  le  indagini  preliminari del Tribunale di Modena,
rispettivamente  iscritte  ai numeri 698 e 699 del registro ordinanze
2006  ed  ai  numeri  4, 143, 144, 232, 246, 252, 254, 340, 393, 402,
418,  463,  496  e 497 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella
Gazzetta  Ufficiale della Repubblica numeri 7, 13 e 16, nell'edizione
straordinaria del 26 aprile 2007 e numeri 19, 21, 22, 23, 25 e 26, 1ª
serie speciale, dell'anno 2007;
Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7  novembre 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto  che  il  Tribunale di Ravenna, con due ordinanze di analogo
tenore  emesse  il  18 ed il 20 luglio 2006 (r.o. n. 698 e n. 699 del
2006),  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27,
terzo   comma,   della   Costituzione,   questione   di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  69,  quarto comma, del codice penale, come
modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche
al  codice  penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di
attenuanti  generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle
circostanze  di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione),
nella  parte  in  cui  -  nel disciplinare il concorso di circostanze
eterogenee  -  vieta al giudice di ritenere le circostanze attenuanti
prevalenti   sull'aggravante   della   recidiva  reiterata,  prevista
dall'art. 99, quarto comma, cod. pen;
     che  il giudice a quo - chiamato a giudicare persone imputate di
reati  di detenzione e vendita illecite di sostanze stupefacenti, con
l'aggravante  della  recidiva  reiterata  - premette che risulterebbe
configurabile,  nella  specie,  stante la non elevata quantita' dello
stupefacente  detenuto e ceduto, la circostanza attenuante ad effetto
speciale del fatto di lieve entita', di cui all'art. 73, comma 5, del
d.P.R.  9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di
stupefacenti    e    sostanze   psicotrope,   prevenzione,   cura   e
riabilitazione  dei relativi stati di tossicodipendenza): circostanza
che   comporta   una   sensibilissima   mitigazione  del  trattamento
sanzionatorio  (alla  pena  edittale  della reclusione da sei a venti
anni e della multa da euro 26.000 ad euro 260.000, prevista dal comma
1 del citato art. 73, si sostituisce quella della reclusione da uno a
sei anni e della multa da euro 3.000 ad euro 26.000);
     che, cio' premesso, il rimettente osserva come l'art. 69, quarto
comma,  cod. pen., a seguito della modifica operata dall'art. 3 della
legge   n. 251   del   2005,   escluda  dal  cosiddetto  giudizio  di
comparazione  fra  circostanze  eterogenee «i casi previsti dall'art.
99,  quarto  comma,  nonche'  dagli  articoli 111 e 112, primo comma,
numero  4)» cod. pen., per i quali «vi e' divieto di prevalenza delle
circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti»;
     che, pertanto, l'anzidetta attenuante del fatto di lieve entita'
-  che, anteriormente alla novella, sarebbe stata ritenuta prevalente
sulla recidiva reiterata - alla stregua del testo vigente della norma
impugnata   potrebbe   essere   considerata,   al  piu',  equivalente
all'aggravante  contestata:  con  la  conseguenza  che  agli imputati
andrebbe  inflitta  una pena minima di sei anni di reclusione ed euro
26.000  di  multa, manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto
all'oggettiva gravita' dei fatti;
     che  - una volta correttamente contestata dal pubblico ministero
la   recidiva   reiterata  -  resterebbe  difatti  escluso  che  tale
aggravante  possa  venir  sottratta  al  giudizio di comparazione: il
giudice  potrebbe non applicare il corrispondente aumento di pena, da
ritenere  obbligatorio  solo  nei  casi previsti dall'art. 99, quinto
comma,  cod.  pen.  (ossia  quando  si tratti di uno delitti indicati
dall'art.  407,  comma 2, lettera a, del codice di procedura penale);
ma  non  potrebbe, invece - contrariamente alla «prassi [...] seguita
da  alcuni  giudici di merito» - «ignorare una corretta contestazione
di tale forma di recidiva per evitare effetti ritenuti ingiusti»;
     che  il  nuovo  dettato dell'art. 69, quarto comma, cod. pen. si
porrebbe  quindi in contrasto sia «con il principio di ragionevolezza
quale  accezione  particolare  del principio di uguaglianza» (art. 3,
primo  comma,  Cost.), il quale funge da limite alla discrezionalita'
legislativa  nella  determinazione  della  qualita' e quantita' delle
sanzioni  penali;  sia  con  il  principio della funzione rieducativa
della pena (art. 27, terzo comma, Cost.);
     che il giudizio di comparazione tra circostanze mira, infatti, a
consentire  al  giudice  il  perfetto  adeguamento della pena al caso
concreto,   tramite  la  valorizzazione  degli  elementi  positivi  o
negativi  piu' significativi ai fini della qualificazione del fatto e
del suo autore;
     che,  precludendo  in  assoluto  il giudizio di prevalenza delle
attenuanti    sulla    recidiva   reiterata,   la   norma   impugnata
determinerebbe,   per  contro,  un  «appiattimento»  del  trattamento
sanzionatorio, rispetto a situazioni anche assai diverse; col rischio
di   imporre   -   come   nella   specie  -  l'applicazione  di  pene
manifestamente sproporzionate, la cui espiazione non consentirebbe la
rieducazione del condannato;
     che   analoga   questione   di  legittimita'  costituzionale  e'
sollevata  dal  Tribunale  di  Firenze,  con  tre distinte ordinanze,
emesse il 3 aprile 2006, il 13 gennaio 2007 e il 31 luglio 2006 (r.o.
n. 144, n. 418 e n. 463 del 2007);
     che anche secondo tale giudice rimettente - chiamato parimenti a
giudicare persone imputate di reati di detenzione e cessione illecite
di  sostanze stupefacenti, con l'aggravante della recidiva reiterata,
per  fatti  da ritenere di lieve entita' - la preclusione sancita dal
nuovo  testo  dell'art.  69, quarto comma, cod. pen. violerebbe tanto
l'art.  3 Cost., impedendo l'adeguamento della pena alla personalita'
del  colpevole  e  all'entita'  del fatto commesso; quanto l'art. 27,
terzo  comma,  Cost.,  imponendo  l'applicazione  di pene che possono
rivelarsi manifestamente sproporzionate, e come tali contrastanti con
la finalita' rieducativa;
     che  con tre ordinanze di analogo tenore, emesse il 6 aprile, il
4  ed  il  7  novembre  2006  (r.o.  n. 4, n. 232 e n. 252 del 2007),
nell'ambito  di procedimenti penali nei confronti di persone imputate
del  reato  di  illecita  detenzione  di  sostanze  stupefacenti, con
l'aggravante  della  recidiva  reiterata,  il Tribunale di Perugia ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3,  27,  terzo  comma,  e -
limitatamente   all'ordinanza   r.o.  n. 252  del  2007  -  anche  in
riferimento   all'art.   27,   primo   comma,   Cost.,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  69, quarto comma, cod. pen.,
come  modificato dall'art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte
in   cui  esclude  che  possa  ritenersi  prevalente  sulla  recidiva
reiterata  la  circostanza  attenuante  ad  effetto  speciale  di cui
all'art.  73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990: circostanza che il
giudice a quo reputa configurabile nei casi di specie;
     che il Tribunale rimettente muove anch'esso dal rilievo che, per
affermazione  di  questa  Corte,  l'adeguamento  della  pena  ai casi
concreti  - cui il giudizio di bilanciamento fra circostanze di segno
opposto  e'  preordinato  -  costituisce  espressione dei principi di
personalita'   della   responsabilita'   penale   e  della  finalita'
rieducativa  della  pena,  nonche', al tempo stesso, uno strumento di
attuazione dell'eguaglianza di fronte alla sanzione penale;
     che,  su  tale  premessa,  il giudice a quo osserva come sia ben
vero  che  anche nel caso in cui venga preclusa la formulazione di un
giudizio  di  prevalenza  delle attenuanti sulle aggravanti - secondo
quanto  avviene  attualmente  per  la  recidiva  reiterata,  in forza
dall'art. 69, quarto comma, cod. pen. - permane un residuo margine di
graduabilita'  della  pena;  ma  che  tale graduabilita' residua deve
risultare  comunque  idonea  ad  assicurare  la  ricordata  finalita'
rieducativa, oltre che connotata da razionalita' e proporzionalita';
     che  cio'  non avverrebbe, per contro, nell'ipotesi in cui - per
valutazioni   attinenti  alla  concreta  offensivita'  del  reato  di
produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti -
detto  reato possa considerarsi di lieve entita': apparendo del tutto
incongruo  che, in tale ipotesi, venga preclusa la formulazione di un
giudizio  di  prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 73, comma 5,
del d.P.R. n. 309 del 1990, rispetto alla recidiva reiterata;
     che in questo modo, infatti, sulla base di una mera presunzione,
svincolata  dall'apprezzamento  del  fatto concreto e della effettiva
pericolosita'  del  reo  -  il  quale  potrebbe  risultare gravato da
precedenti   assai   tenui  e  di  diversa  indole  -  si  imporrebbe
l'irrogazione  di una pena corrispondente a quella che il legislatore
ha  stabilito in rapporto al «disvalore oggettivo del reato nella sua
dimensione ordinaria»;
     che  con  sei ordinanze, di analogo tenore, emesse il 7 novembre
2006  (r.o.  n. 246  del 2007), il 21 settembre 2006 (r.o. n. 254 del
2007), il 18 dicembre 2006 (r.o. n. 340 del 2007), l'11 febbraio 2007
(r.o.  n. 402 del 2007), il 6 febbraio 2007 (r.o. n. 496 del 2007) ed
il  23  febbraio 2007 (r.o. n. 497 del 2007), nell'ambito di processi
penali  nei  confronti  di  persone  imputate  dei  reati di illecita
cessione  o  detenzione  di  sostanze  stupefacenti, con l'aggravante
della  recidiva reiterata, il giudice per le indagini preliminari del
Tribunale  di  Modena  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 25,
secondo comma, 27, terzo comma, e - limitatamente alle ordinanze r.o.
n. 246,  n. 496  e n. 497 del 2007 - anche in riferimento all'art. 3,
primo   comma,   Cost.,   questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  69,  quarto  comma, cod. pen., come modificato dall'art. 3
della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede il divieto di
prevalenza delle attenuanti sulle circostanze inerenti la persona del
colpevole,  nelle  ipotesi  previste dall'art. 99, quarto comma, cod.
pen;
     che,  ad  avviso  del  rimettente,  la  preclusione assoluta del
giudizio  di prevalenza di una o piu' circostanze attenuanti rispetto
alla  recidiva  reiterata  - oltre a comportare (secondo le ordinanze
n. 246,  n. 496  e  n. 497 del 2007) una omologazione del trattamento
sanzionatorio per situazioni che potrebbero risultare assai diverse -
rischierebbe   di   imporre   l'irrogazione  di  pene  manifestamente
sproporzionate  rispetto al disvalore del fatto, dalla cui espiazione
(proprio  perche'  avvertita come ingiustificatamente afflittiva) non
potrebbe  derivare  la  rieducazione del condannato: ipotesi, questa,
ricorrente  nei  casi  di  specie,  nei  quali  la  norma  denunciata
impedirebbe   di   ritenere   prevalente   sulla  recidiva  reiterata
l'attenuante del fatto di lieve entita', di cui all'art. 73, comma 5,
del d.P.R. n. 309 del 1990;
     che,  al  tempo  stesso, calibrando la risposta sanzionatoria in
funzione della pericolosita' sociale del recidivo secondo un giudizio
sostanzialmente   presuntivo  -  dato  che  nessun  rilievo  verrebbe
riconosciuto  alla  «natura  della  recidiva  ed  alla qualita' della
capacita'  criminale da essa espressa» - il legislatore finirebbe per
scivolare  verso  un  «diritto  penale dell'autore», contrastante con
l'art.  25,  secondo  comma, Cost., che connette indefettibilmente la
responsabilita'  penale  ed  il  trattamento  sanzionatorio  ad  essa
conseguente alla commissione di un «fatto», nella sua materialita';
     che con due ordinanze di analogo tenore, emesse il 9 marzo ed il
13  luglio  2006  (r.o.  n. 143  e  n. 393  del  2007) nell'ambito di
processi  penali  nei  confronti  di  persone  imputate  del reato di
cessione  illecita  di sostanze stupefacenti, il Tribunale di Firenze
ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, secondo
comma,  27,  terzo  comma,  101,  secondo comma, e 111, primo e sesto
comma,  Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69,
quarto  comma,  cod.  pen.,  come  modificato dall'art. 3 della legge
n. 251  del  2005,  nella  parte  in  cui  stabilisce  il  divieto di
prevalenza  delle circostanze attenuanti sulle circostanze aggravanti
inerenti  alla persona del colpevole, nel caso previsto dall'art. 99,
comma 4, cod. pen;
     che  il  giudice a quo - premesso che i fatti per cui si procede
debbono  essere  ritenuti  di lieve entita' ai fini dell'applicazione
dell'attenuante  di  cui  all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del
1990  -  osserva  come  tale  attenuante sia volta a mitigare le pene
particolarmente  severe  stabilite  per  le  violazioni in materia di
stupefacenti,    allorche'   la   condotta   presenti   una   ridotta
offensivita':  rendendo cosi' il sistema sanzionatorio, stabilito dal
citato  d.P.R.  n. 309 del 1990, complessivamente conforme al dettato
costituzionale;
     che la pena inflitta in concreto - specialmente quando si tratti
di  pena  detentiva  -  deve risultare, infatti, sempre adeguata alla
effettiva  offensivita'  della singola condotta criminosa, in base al
disposto  dell'art.  25,  secondo  comma, Cost; e conforme, altresi',
alla  finalita' rieducativa della sanzione penale, prevista dall'art.
27, terzo comma, Cost;
     che  alla  realizzazione  di  tali  principi  costituzionali era
preordinata  anche  la  previsione dell'art. 69 cod. pen. - nel testo
anteriore  alla  novella  -  in  tema di giudizio di comparazione tra
circostanze,   la   quale   consentiva   al   giudice   di   adeguare
discrezionalmente  la  pena  alla  concreta  offensivita'  del  fatto
sottoposto al suo giudizio;
     che  la nuova formulazione della norma - vietando il giudizio di
prevalenza  delle  circostanze attenuanti, anche ad effetto speciale,
rispetto  alla  recidiva  reiterata  -  impedirebbe,  per  contro, il
conseguimento  del  suddetto  obiettivo  in  presenza  di determinate
condizioni personali dell'imputato: ponendosi cosi' in contrasto, non
soltanto  con  i  precetti,  gia'  ricordati, degli artt. 25, secondo
comma,  e 27, terzo comma, Cost; ma anche con quelli degli artt. 101,
secondo   comma,   e   111,   primo  e  sesto  comma,  Cost.,  stante
l'impossibilita', per il, «di adempiere, nel processo, all'obbligo di
legge  di  adeguare  la  sanzione  al  caso  concreto ed irrogare una
sanzione che abbia finalita' rieducative»;
     che  sarebbe  inoltre  violato  l'art.  3,  primo  comma, Cost.,
giacche', per effetto della norma denunciata, a condotte estremamente
diverse   sotto  il  profilo  della  offensivita'  conseguirebbe  una
identica sanzione;
     che  in  tutti  i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che le questioni
siano dichiarate infondate.
Considerato  che  le  ordinanze  di  rimessione  sollevano  questioni
identiche  od  analoghe,  onde  i  relativi giudizi vanno riuniti per
essere definiti con unica decisione;
     che  questa  Corte  ha gia' scrutinato questioni di legittimita'
costituzionale  in  tutto  simili  a  quelle  odierne,  dichiarandone
l'inammissibilita'  per  non  avere i giudici rimettenti verificato -
nell'assenza  di  indirizzi  consolidati  -  la praticabilita' di una
soluzione  interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi di
costituzionalita'  ipotizzati,  e  tale  da  determinare il possibile
superamento  di detti dubbi, o da renderli comunque non rilevanti nei
casi di specie (sentenza n. 192 del 2007);
     che,  anche  nell'odierna  occasione,  le  censure formulate dai
giudici   a  quibus  trovano,  difatti,  la  loro  premessa  fondante
nell'assunto  per  cui  la  norma  denunciata avrebbe determinato una
indebita  limitazione  del  potere-dovere  del giudice di adeguamento
della   pena   al   caso   concreto  -  adeguamento  funzionale  alla
realizzazione dei principi di eguaglianza, di necessaria offensivita'
del  reato,  di  personalita'  della  responsabilita'  penale e della
funzione  rieducativa  della  pena  -  introducendo  un  «automatismo
sanzionatorio»,  correlato ad una irrazionale presunzione iuris et de
iure di pericolosita' sociale del recidivo reiterato;
     che  ad  avviso dei rimettenti, cioe', il fatto che il colpevole
del  nuovo  reato  abbia riportato due o piu' precedenti condanne per
delitti  non  colposi  farebbe inevitabilmente scattare il meccanismo
limitativo  degli esiti del giudizio di bilanciamento tra circostanze
prefigurato  dall'art. 69, quarto comma, del codice penale (nel nuovo
testo  introdotto dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251): con l'effetto
di  «neutralizzare»  -  anche quando si sia in presenza di precedenti
penali remoti, non gravi e scarsamente significativi in rapporto alla
natura  del  nuovo  delitto  -  la  diminuzione di pena connessa alle
circostanze  attenuanti concorrenti, indipendentemente dalla natura e
dalle caratteristiche di queste ultime;
     che tale assunto poggia, a sua volta, su un duplice presupposto,
per lo piu' implicito e comunque indimostrato;
     che   i  rimettenti  mostrano,  infatti,  di  ritenere  -  fatta
eccezione  per  il  Tribunale di Ravenna - che, a seguito della legge
n. 251  del  2005,  la recidiva reiterata sia divenuta obbligatoria e
non  possa  essere,  dunque, discrezionalmente esclusa dal giudice in
correlazione  alle peculiarita' del caso concreto; ovvero di ritenere
-  come  il Tribunale di Ravenna - che ove pure la recidiva reiterata
abbia  mantenuto  il  pregresso  carattere  di  facoltativita',  tale
carattere  atterrebbe  unicamente  all'applicazione  dell'aumento  di
pena:  senza  pero' sottrarre l'aggravante, correttamente contestata,
all'obbligatorio   giudizio   di   comparazione   con  le  attenuanti
concorrenti,  che  provoca la necessaria elisione di queste ultime in
base alla norma denunciata;
     che  quella  prospettata dai giudici rimettenti non rappresenta,
tuttavia,  l'unica lettura astrattamente possibile del vigente quadro
normativo;
     che,  in primo luogo, difatti - per le ragioni specificate nella
citata  sentenza  n. 192  del  2007  -  e'  possibile ritenere che la
recidiva  reiterata  sia  divenuta  obbligatoria  unicamente nei casi
previsti  dall'art.  99,  quinto  comma, cod. pen. (rispetto ai quali
soltanto  tale  regime  e'  espressamente  contemplato),  e cioe' ove
concernente  uno dei delitti indicati dall'art. 407, comma 2, lettera
a),  cod.  proc.  pen. (il quale reca un elenco di reati ritenuti dal
legislatore, a vari fini, di particolare gravita' e allarme sociale);
salvo,  poi,  l'ulteriore  problema interpretativo di stabilire quale
delitto   debba   rientrare   in   tale  catalogo,  affinche'  scatti
l'obbligatorieta':  se  il delitto oggetto della precedente condanna;
ovvero  il nuovo delitto che vale a costituire lo status di recidivo;
o indifferentemente l'uno o l'altro; o addirittura entrambi;
     che,  in  fatto,  nessuno  degli  odierni rimettenti procede per
delitti compresi nell'elenco dell'art. 407, comma 2, lettera a), cod.
proc.  pen.  (i delitti di produzione, traffico e detenzione illeciti
di  sostanze  stupefacenti,  oggetto  dei giudizi a quibus, risultano
inclusi  nel  suddetto elenco solo ove ricorrano le ipotesi aggravate
ai  sensi  degli  artt. 80, comma 2, e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990,
che nessuno dei rimettenti riferisce essere state contestate);
     che,  inoltre,  i  rimettenti non specificano a quali delitti si
riferiscano  le  precedenti condanne riportate dagli imputati, ovvero
fanno riferimento a delitti parimenti non compresi nell'elenco;
     che, d'altra parte, nei limiti in cui si escluda che la recidiva
reiterata  sia  divenuta  obbligatoria, e' possibile sostenere che il
giudice  debba  procedere  al giudizio di bilanciamento - soggetto al
regime  limitativo  di  cui  all'art.  69,  quarto comma, cod. pen. -
unicamente quando ritenga la recidiva reiterata effettivamente idonea
a determinare, di per se', un aumento di pena per il fatto per cui si
procede:  il  che  avviene  -  alla  stregua  dei criteri di corrente
adozione  in  tema  di recidiva facoltativa - solo allorche' il nuovo
episodio  delittuoso  appaia concretamente significativo, in rapporto
alla  natura  ed  al  tempo  di  commissione dei precedenti, sotto il
profilo   della   piu'   accentuata  colpevolezza  e  della  maggiore
pericolosita' del reo;
     che  i  rimettenti - compreso lo stesso Tribunale di Ravenna, il
quale  afferma  l'opposta  tesi  in  modo puramente assiomatico - non
indicano  quali  argomenti  si  oppongano  ad una simile conclusione,
posto  che  anche  il  giudizio  di  comparazione  attiene al momento
commisurativo della pena;
     che,  al  riguardo,  va  in  effetti  osservato  che  qualora si
ammettesse  che  la  recidiva  reiterata,  da  un  lato,  mantenga il
carattere  di  facoltativita', ma dall'altro abbia efficacia comunque
inibente   in   ordine  all'applicazione  di  circostanze  attenuanti
concorrenti,   ne   deriverebbe   la   conseguenza   -  all'apparenza
paradossale   -  di  una  circostanza  «neutra»  agli  effetti  della
determinazione   della   pena   (ove   non   indicativa  di  maggiore
colpevolezza  o  pericolosita'  del  reo),  nell'ipotesi di reato non
(ulteriormente)   circostanziato;   ma  in  concreto  «aggravante»  -
eventualmente,  anche  in  rilevante  misura  - nell'ipotesi di reato
circostanziato  «in  mitius»  (in sostanza, la recidiva reiterata non
opererebbe   rispetto   alla  pena  del  delitto  in  quanto  tale  e
determinerebbe, invece, un sostanziale incremento di pena rispetto al
delitto attenuato: si veda la sentenza n. 192 del 2007);
     che  la  stessa  Corte di cassazione - che in primo tempo si era
espressa sul tema in modo contrastante - risulta aver adottato, nelle
piu' recenti decisioni, la linea interpretativa dianzi indicata;
     che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto, manifestamente
inammissibili.
Visti  gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e  9,  comma  2,  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.