IL TRIBUNALE
Letti  gli  atti  del  procedimento  di  revisione  ex art. 710 cpc.,
iscritto  al  n. 109/2007  R.G.V.G.,  promosso  con  ricorso  del  19
febbraio  2007  da  Casamichiela  Mario  nei  confronti  della moglie
separata Dipasquale Maria per la revoca della assegnazione della casa
coniugale  a  questa,  prevista  dalle  condizioni  della separazione
consensuale di essi coniugi omologata da questo tribunale con decreto
del  30  marzo 2001, per effetto della sua convivenza more uxorio con
altro  uomo  ai sensi dell'art. 155-quater c.c., introdotto dall'art.
1, legge 8 febbraio 2006, n. 54;
Letta  la  memoria  difensiva della resistente, esaminati i documenti
prodotti  dalle  parti,  sciogliendo  la  riserva assunta all'udienza
camerale del 19 aprile 2007;
Visto  il  parere  del  p.m.  che  ha concluso per l'accoglimento del
ricorso, ha pronunciato la seguente ordinanza.
Ritenuto  anzitutto  che  a  mente dell'art. 4 della legge 8 febbraio
2006,  n. 54  le  disposizioni di detta novella si applicano anche ai
casi   in  cui  il  decreto  di  omologa  dei  patti  di  separazione
consensuale  sia  stato  emesso anteriormente alla data di entrata in
vigore di detta legge, come appunto nel caso di specie;
     che la dedotta convivenza tra la convenuta Dipasquale Maria e il
suo  attuale  compagno  e'  assolutamente  pacifica, avendo la stessa
ammesso  che  da  tempo  coabitano  appunto nell'appartamento sito in
Ragusa  alla via Caronia n. 8, di proprieta' comune dei coniugi parti
in causa, assegnato alla suddetta in sede di separazione consensuale;
     che  altrettanto  pacifico, oltre che documentalmente dimostrato
dalla  prodotta  certificazione  anagrafica, e' che con la Dipasquale
convive  la  figlia  Casamichiela  Federica  di anni 21 (e' nata il 7
ottobre 1985) studentessa universitaria;
     che  pertanto  alla  stregua  del  chiaro  e  perentorio  tenore
letterale  della  norma  invocata  dal  ricorrente  («Il  diritto  di
godimento della casa coniugale viene meno nel caso che l'assegnatario
non  abiti  o  cessi  di  abitare  stabilmente nella casa coniugale o
conviva more uxorio
o  contragga nuovo matrimonio») la domanda revisionale del ricorrente
dovrebbe   essere   accolta   de   plano,   dato   che  la  decadenza
dall'assegnazione della casa coniugale e' un effetto automatico della
intrapresa convivenza more uxorio del coniuge assegnatario della casa
e  che  al  giudice non e' lasciato alcun margine di discrezionalita'
neanche  in presenza di figli conviventi con l'assegnatario che, come
nella  specie,  siano  si  maggiorenni  ma  non ancora economicamente
autonomi;
     che  del resto l'assegnazione del domicilio domestico presuppone
indefettibilmente   l'affido   o   la   convivenza   di   prole   non
economicamente  autonoma, come reso palese dal primo alinea dell'art.
155-quater  c.c.  («Il  godimento  della casa familiare e' attribuito
tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli») e affermato
da  tempo  dalla pressoche' unanime giurisprudenza a partire da Cass.
s.u.  28 ottobre 1995 n. 11297 (v. di recente Cass. 13 febbraio 2006,
n. 3030 e 9 luglio 2004, n. 12666), sul rilievo che l'assegnazione e'
prevista  esclusivamente in funzione della protezione della prole, in
quanto   risponde  all'esigenza  di  conservare  a  questa  l'habitat
domestico,  inteso  come  il  centro degli affetti, degli interessi e
delle consuetudini in cui si articola ed esprime la vita familiare;
     che  pertanto  la questione prospettata non solo e' rilevante ai
fini  della decisione della controversia, ma non appare superabile in
via  di  interpretazione  costituzionalmente  orientata,  perche' una
ermeneusi  che  limiti l'ambito di operativita' della previsione alla
sola ipotesi di mancata convivenza di figli non autosufficienti sotto
il  profilo  economico non e' assolutamente consentita ne' dal tenore
testuale  della  norma  ne'  dallo  spazio  operativo assegnatole dal
diritto vivente;
     che  tale  nuova  previsione  (  art. 155-quater, comma 1, c.c.)
suscita molteplici dubbi di costituzionalita' in quanto:
      1)
viola  il  principio  di  parita' di razionalita' costituzionale e di
parita'  di trattamento di cui all'art. 3 della Costituzione, perche'
la  decadenza  della  casa  coniugale,  prevista  come  una  sorta di
punizione  del coniuge che prenda a convivere in essa more uxorio con
altro   partner   o   passi   a  nuove  nozze,  prescinde  totalmente
dall'interesse  del figlio convivente con detto genitore a continuare
ad  usufruire dell'ambiente domestico; vale a dire da quel valore, di
rango  costituzionale  (art.  30, comma 1, della Costituzione), che a
detta  dello stesso legislatore il giudice deve avere presente in via
prioritaria  per  l'assegnazione  della casa coniugale e che e' stato
determinante  per  la  individuazione  dell'ascendente affidatario, o
collocatario,  della  prole  stessa  (se  di minore eta) o con cui il
figlio  maggiorenne  non  autosufficiente abbia liberamente scelto di
coabitare;
      2)
introduce,  in particolare, una vistosa disparita' di trattamento tra
la  prole  convivente  con  un  genitore  assegnatario che non si sia
risposato  ne'  abbia  instaurato  rapporti  di  convivenza con altra
persona e quella di un genitore che abbia invece optato per una nuova
unione  (de  facto  o coniugale), finendo cosi' per penalizzare senza
alcuna  ragionevole  giustificazione,  e  in  maniera  si'  grave  ed
esistenziale,  soggetti  del  tutto  estranei alle scelte di vita del
genitore  affidatario  (o  collocatario)  o  con  cui hanno scelto di
convivere;
      3)
crea   un   rilevante   vulnus   al  diritto  inviolabile  di  libera
autodeterminazione  e  allo  sviluppo  della  persona  umana  di  cui
all'art.  2 della Costituzione, in quanto costituisce all'evidenza un
ostacolo  alla liberta' di contrarre nuovo matrimonio o intraprendere
una  stabile  unione  de facto (a rifarsi cioe' una vita), essendo il
coniuge  assegnatario  posta  davanti  alla drammatica alternativa di
rinunciare  all'esercizio  di  tale  fondamentale  diritto  oppure di
perdere   la  casa  coniugale  e  di'  arrecare  indirettamente  all'
«innocente»  figlio  convivente un pregiudizio vieppiu' grave, specie
nei  casi in cui la prole necessiti molto di piu' della vicinanza del
genitore   assegnatario  della  casa  o  desideri  stare  con  questo
piuttosto  che  con  l'altro,  la cui richiesta di applicazione della
«sanzione  di  legge»  al  coniuge ricreatosi una famiglia suonerebbe
solo  come  un  atto emulativo, una sorta di vendetta postuma che gli
incolpevoli  «figli  affidati  (o  collocati)  o  conviventi  con  il
genitore» punito pagherebbero molto di piu' di quest'ultimo.
     che  pertanto ai sensi dell'art. 23, commi 2 e 3, legge 11 marzo
1953  n. 87  gli  atti  vanno  rimessi  alla Corte costituzionale con
conseguente  sospensione  del  presente  giudizio sino alla decisione
della Consulta.