IL GIUDICE DI PACE Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale. Premesso che con decreto di citazione a giudizio emesso dal p.m., Hassan Mahmoud Mohamed Ahmed e' stato citato dinanzi al sottoscritto giudice di pace per rispondere del reato di lesioni (art. 582 c.p.) commesso in data 26 gennaio 2003; che all'odierna udienza il difensore dell'imputato, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, ha chiesto una sentenza di non doversi procedere per avvenuta prescrizione del reato contestato ai sensi del novellato art. 157 comma 5.c.p. che il p.m. ha chiesto la condanna dell'imputato. Il giudice di pace osserva quanto segue. Molti commentatori e recentemente anche la Corte di cassazione (Cass. pen., sez. fer., 31 agosto 2006, n. 29786) ritengono che l'art. 157, comma 5 c.p., cosi' come novellato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, quando fa riferimento ai reati per i quali la «legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria», si riferisca ai reati di competenza del giudice di pace. Risulta pertanto evidente che, ai fini della odierna decisione, occorre fare applicazione della disposizione dettata dal suddetto articolo, dovendosi al tempo stesso escludere la possibilita' di ricorrere ad interpretazione adeguatrici tali da dissolvere i dubbi di costituzionalita' che di seguito si illustreranno, riportandosi a quanto scritto dalla suprema Corte di cassazione nella sentenza citata. A proposito delle sanzioni applicabili dal giudice di pace, l'art. 52, d.lgs. n. 274 del 2000 stabilisce una sorta di summa divisio tra i reati per i quali e' prevista la sola pena della multa o dell'ammenda, per i quali continuando ad applicarsi le pene pecuniarie vigenti, e tutti gli altri reati, per i quali il comma 2 dello stesso articolo stabilisce che, in luogo delle pene detentive, si applichi - con i meccanismi differenziati a seconda delle varie ipotesi ivi prese in considerazione - o la pena pecuniaria della specie corrispondente, o la pena della permanenza domiciliare o quella del lavoro di pubblica utilita' (ove per il reato sia prevista la pena detentiva alternativa a quella pecuniaria, le sanzioni paradetentive sono applicabili soltanto se la pena detentiva e' superiore nel massimo a sei mesi). In sostanza: per le ipotesi meno gravi, per le quali la sanzione applicabile e' solo la pena pecuniaria, il termine di prescrizione e', a norma del novellato art.157, comma 5 c.p., quello previsto dal primo comma (sei anni se si tratta di delitto e quattro anni se si tratta di contravvenzione); nei casi di maggior gravita', quali quelli per i quali sono applicabili le pene della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilita', il termine, inspiegabilmente, si riduce a tre anni. Va poi aggiunto che le indicate sanzioni, che «per ogni effetto giuridico si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella originaria» (art. 58, d.lgs. n.274/2000), vengono configurate come in ogni caso facoltative e alternative rispetto alle sanzioni pecuniarie: cosicche', la commisurazione del termine di prescrizione viene fatto dipendere, non da una pena astrattamente prevista (e di certa applicazione), ma dalla teorica irrogabilita' di una sanzione, la quale in concreto puo' anche non essere applicata. D'altra parte, non e' senza significato la circostanza che la giurisprudenza della Corte di cassazione si fosse consolidata nell'affermare - con riferimento al «vecchio» testo dell'art. 157 c.p. - che, ai fini della determinazione del tempo necessario per la prescrizione delle contravvenzioni attribuite alla cognizione del giudice di pace, punite con la pena pecuniaria o, in alternativa, con le sanzioni cosidette paradetentive, dovesse farsi riferimento all'art. 157 c.p., comma1, n. 5), che per le contravvenzioni punite con la pena dell'arresto determinava il termine prescrizionale in tre anni; e cio' appunto, proprio in forza della disposizione contenuta nel richiamato art. 58, d.lgs. n. 274/2000, in base al quale - come si e' detto - per ogni effetto giuridico la pena dell'obbligo della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilita' si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria (ex plurimis Cass., sez. IV, 16 gennaio 2004, Carlini). La norma in esame appare dunque essere priva di razionalita' intrinseca e tale da vulnerare, ad un tempo, il principio di ragionevolezza ed il canone della uguaglianza, presidiati dall'art. 3 Cost. Come infatti ha avuto modo di puntualizzare la giurisprudenza costituzionale, ogni tessuto normativo deve presentare una motivazione obiettiva nel sistema, che si manifesta come entita' tipizzante del tutto avulsa dai «mivi», storicamente contingenti, che possono aver indotto il legislatore a formulare una specifica opzione: se dall'analisi di tale motivazione scaturira' la verifica di una carenza di «causa» o «ragione» della disciplina introdotta, allora e soltanto allora potra' dirsi realizzato un vizio di legittimita' costituzionale della norma, proprio perche' fondato sulla «irragionevole» e percio' stesso arbitraria scelta di introdurre un regime che necessariamente finisce per omologare fra loro situazioni diverse o, al contrario, per differenziare il trattamento di situazioni analoghe (Corte Cost. sentenza n. 89 del 1996). La disposizione oggetto di censura ad avviso del giudicante, appare priva di una causa giustificatrice, proprio nel senso lumeggiato dalla richiamata pronuncia costituzionale, giacche' introduce un inaccettabile disparita' di trattamento tra reati, per cui paradossalmente quelli piu' gravi si prescriverebbero in tre anni e quelli meno gravi in quattro se contravvenzioni o sei se delitti puniti con la sola pena pecuniaria. In merito alla rilevanza della questione nel procedimento de quo, si osserva che il delitto di lesioni dolose, uno dei piu' gravi tra quelli attribuiti alla competenza del giudice di pace, e' stato commesso in data 26 gennaio 2003, pertanto, considerando anche interruzione rappresentata dal decreto di citazione a giudizio emesso in data 25 dicembre 2005, applicando la norma che qui si censura, il reato si sarebbe gia' prescritto in data 26 ottobre 2006 (tre anni aumentati di un quarto a tre anni e nove mesi ex art. 160, comma 3 e 161 comma 2 c.p.).