Sentenza
nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale  dell'art.  2  del
decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223  (Disposizioni urgenti per il
rilancio   economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione fiscale), convertito, con
modificazioni,  dalla  legge  4 agosto 2006, n. 248, promossi con due
ricorsi   della  Regione  Veneto  e  con  un  ricorso  della  Regione
Siciliana,  notificati  il  31  agosto,  il  5  e  il 9 ottobre 2006,
depositati  in  cancelleria l'11 settembre, l'11 e il 12 ottobre 2006
ed iscritti ai numeri 96, 103 e 104 del registro ricorsi 2006.
Visti  gli  atti  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito  nell'udienza  pubblica del 6 novembre 2007 il giudice relatore
Gaetano Silvestri;
Uditi  gli  avvocati  Mario  Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione
Veneto,  Francesco  Castaldi  e  Giovanni  Pitruzzella per la Regione
Siciliana e l'avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
1. -  La  Regione  Veneto  ha  promosso, con ricorso notificato il 31
agosto  2006 e depositato il successivo 11 settembre (reg. ric. n. 96
del  2006),  questioni  di  legittimita'  costituzionale  di numerose
disposizioni  del  decreto-legge  4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione  fiscale), e, tra queste,
dell'art.  2,  commi 1 e 3, in riferimento all'art. 117, terzo comma,
della Costituzione.
1.1.  - Il decreto-legge n. 223 del 2006, successivamente convertito,
con  modificazioni,  dall'art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006,
n. 248,  nel testo originario dell'art. 2, comma 1, prevedeva che «In
conformita'  al  principio  comunitario  di  libera  concorrenza ed a
quello  di  liberta'  di  circolazione  delle  persone e dei servizi,
nonche'  al  fine  di assicurare agli utenti un'effettiva facolta' di
scelta  nell'esercizio  dei  propri  diritti  e di comparazione delle
prestazioni  offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del
presente   decreto   sono  abrogate  le  disposizioni  legislative  e
regolamentari  che  prevedono  con  riferimento alle attivita' libero
professionali e intellettuali:
     a)  la  fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime ovvero
il  divieto  di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli
obiettivi perseguiti;
     b)  il  divieto,  anche parziale, di pubblicizzare i titoli e le
specializzazioni   professionali,  le  caratteristiche  del  servizio
offerto e il prezzo delle prestazioni;
     c)  il  divieto  di  fornire all'utenza servizi professionali di
tipo interdisciplinare da parte di societa' di persone o associazioni
tra professionisti, fermo restando che il medesimo professionista non
puo'   partecipare  a  piu'  di  una  societa'  e  che  la  specifica
prestazione deve essere resa da uno o piu' professionisti previamente
indicati, sotto la propria personale responsabilita».
Il  comma  3  del  citato  art. 2, rimasto inalterato a seguito della
conversione del decreto, dispone che «Le disposizioni deontologiche e
pattizie  e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni
di  cui  al  comma  1 sono adeguate, anche con l'adozione di misure a
garanzia  della qualita' delle prestazioni professionali, entro il 1°
gennaio  2007.  In  caso  di  mancato  adeguamento, a decorrere dalla
medesima  data  le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1
sono in ogni caso nulle».
1.2. - La Regione censura i commi 1 e 3 dell'art. 2 del decreto-legge
n. 223  del  2006,  ritenendo  che  si  tratti  di  «norme  di minuto
dettaglio   ed  autoapplicative»,  in  una  materia  -  quella  delle
«professioni»  -  attribuita  alla  potesta' legislativa concorrente,
relativamente   alla  quale  e'  riservata  allo  Stato  soltanto  la
determinazione dei principi fondamentali.
1.3.  -  La  ricorrente  esclude che le norme censurate costituiscano
principi   fondamentali   e   ritiene   che   l'intervento   statale,
espressamente   finalizzato   alla   tutela   della   concorrenza  ed
all'attuazione del principio comunitario di libera circolazione delle
persone  e dei servizi, sia il prodotto di una interpretazione troppo
ampia   della   competenza   esclusiva   in  tema  di  «tutela  della
concorrenza».  E'  richiamata  a  tal proposito la sentenza n. 14 del
2004  della  Corte  costituzionale,  nella  quale  si afferma che una
dilatazione  eccessiva  della  competenza  statale  in tema di tutela
della   concorrenza  rischia  di  vanificare  lo  schema  di  riparto
dell'art.  117  Cost., «che vede attribuite alla potesta' legislativa
residuale  e  concorrente  delle  Regioni  materie  la cui disciplina
incide innegabilmente sullo sviluppo economico».
Dunque,  a  parere  della  difesa regionale, la competenza in tema di
tutela della concorrenza «non puo' essere utilizzata quale fondamento
di  legittimazione del potere normativo statale esercitato in modo da
non  lasciare,  irragionevolmente,  il  minimo  spazio  non  solo per
un'ipotetica  legislazione  ulteriore,  ma persino per una normazione
secondaria di mera esecuzione».
2.  - La stessa Regione Veneto ha promosso, con ricorso notificato il
5  ottobre  2006  e  depositato  il  successivo 11 ottobre (reg. ric.
n. 103   del  2006),  questioni  di  legittimita'  costituzionale  di
numerose   disposizioni  del  decreto-legge  n. 223  del  2006,  come
risultanti  a  seguito  delle  modificazioni  apportate  in  sede  di
conversione  dalla legge n. 248 del 2006, e, tra queste, dell'art. 2,
commi 1, 2-bis e 3, in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.
2.1.  -  Il  comma  1  dell'art.  2,  oggetto di modifiche in sede di
conversione del decreto n. 223 del 2006, nel testo definitivo recita:
«In  conformita'  al principio comunitario di libera concorrenza ed a
quello  di  liberta'  di  circolazione  delle  persone e dei servizi,
nonche'  al  fine  di assicurare agli utenti un'effettiva facolta' di
scelta  nell'esercizio  dei  propri  diritti  e di comparazione delle
prestazioni  offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del
presente   decreto   sono  abrogate  le  disposizioni  legislative  e
regolamentari  che  prevedono  con  riferimento alle attivita' libero
professionali e intellettuali:
     a) l'obbligatorieta' di tariffe fisse o minime ovvero il divieto
di  pattuire  compensi  parametrati al raggiungimento degli obiettivi
perseguiti;
     b)   il   divieto,   anche  parziale,  di  svolgere  pubblicita'
informativa  circa  i  titoli e le specializzazioni professionali, le
caratteristiche  del  servizio  offerto,  nonche' il prezzo e i costi
complessivi  delle  prestazioni  secondo  criteri  di  trasparenza  e
veridicita' del messaggio il cui rispetto e' verificato dall'ordine;
     c)  il  divieto  di  fornire all'utenza servizi professionali di
tipo interdisciplinare da parte di societa' di persone o associazioni
tra  professionisti,  fermo  restando  che l'oggetto sociale relativo
all'attivita'  libero-professionale  deve  essere  esclusivo,  che il
medesimo professionista non puo' partecipare a piu' di una societa' e
che  la  specifica  prestazione  deve  essere resa da uno o piu' soci
professionisti  previamente  indicati,  sotto  la  propria  personale
responsabilita».
Il  comma 2-bis, introdotto in sede di conversione del decreto-legge,
stabilisce  che  «All'articolo 2233 del codice civile, il terzo comma
e'  sostituito  dal  seguente:  "Sono  nulli, se non redatti in forma
scritta,  i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati
con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali"».
Infine,  il  comma 3 risulta inalterato rispetto all'originario testo
del decreto n. 223, sopra riportato al punto 1.1.
2.2.  -  La  ricorrente,  che  da' atto di aver gia' proposto ricorso
avverso il decreto-legge n. 223 del 2006, ritiene che con la legge di
conversione  n. 248  del  2006 siano state introdotte ulteriori norme
viziate  da  illegittimita'  costituzionale  sotto i medesimi profili
gia' prospettati nel ricorso n. 96 del 2006.
In particolare, la Regione censura il comma 2-bis dell'art. 2, con il
quale  e'  stato  sostituito il terzo comma dell'art. 2233 del codice
civile,  che  prevede la forma scritta, a pena di nullita', dei patti
conclusi  tra  gli  avvocati  ed  i  praticanti  abilitati con i loro
clienti per stabilire i compensi professionali.
2.3. - Le censure prospettate e le relative motivazioni sono in tutto
identiche  a quelle contenute nel ricorso n. 96 del 2006, al quale si
rinvia.
3.  -  La  Regione Siciliana ha promosso, con ricorso notificato il 9
ottobre  2006 e depositato il successivo 12 ottobre (reg. ric. n. 104
del  2006),  questioni  di  legittimita'  costituzionale  di numerose
disposizioni  del  decreto-legge  n. 223  del 2006, come risultanti a
seguito  delle  modificazioni  apportate in sede di conversione dalla
legge  n. 248  del  2006,  e, tra queste, dell'art. 2, in riferimento
all'art. 117, terzo comma, Cost.
3.1.  - La ricorrente censura l'art. 2, in quanto disciplinerebbe «in
maniera   estremamente  dettagliata  l'esercizio  delle  professioni,
dettando   una   serie  di  prescrizioni  che  incidono  pesantemente
sull'esercizio delle stesse».
In  proposito,  la  difesa  regionale  ricorda  che  la materia delle
professioni rientra fra quelle di legislazione concorrente e pertanto
la  competenza  statale  e' circoscritta alla determinazione dei soli
«principi   fondamentali»,   che  sono  stati  oggetto  di  specifica
ricognizione  ad opera del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30
(Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai
sensi dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131).
4. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  si e' costituito in tutti i
giudizi,  chiedendo il rigetto dei ricorsi e svolgendo considerazioni
sostanzialmente coincidenti.
4.1.  -  In  particolare,  nell'atto  di  costituzione  nel  giudizio
promosso  con il ricorso n. 96 del 2006, il resistente rileva, in via
preliminare,   che   il   decreto-legge  n. 223  del  2006  e'  stato
convertito,  con  modificazioni, nella legge n. 248 del 2006, sicche'
potrebbe  profilarsi  l'inammissibilita' sopravvenuta o la cessazione
della  materia del contendere con riferimento ad alcune delle censure
prospettate.
4.2. - Nel merito, la difesa erariale osserva come le norme contenute
nell'art.  2 del decreto-legge n. 223 del 2006, in quanto finalizzate
a  garantire  l'esercizio  della  libera  concorrenza  nei rispettivi
ambiti   di   disciplina,   rientrino   nella   competenza  esclusiva
riconosciuta  allo  Stato  dall'art.  117, secondo comma, lettera e),
Cost.
E' richiamata in proposito la giurisprudenza costituzionale (sentenze
numeri 14 e 272 del 2004, n. 29 del 2006) secondo cui la tutela della
concorrenza   costituisce  una  materia-funzione,  caratterizzata  da
un'estensione     «trasversale»,     in    quanto    «si    intreccia
inestricabilmente  con una pluralita' di altri interessi - alcuni dei
quali  rientranti  nella  sfera di competenza concorrente o residuale
delle  Regioni  -  connessi  allo  sviluppo  economico-produttivo del
Paese».  Dalla  natura trasversale della competenza in tema di tutela
della concorrenza deriverebbe la legittimita' dell'intervento statale
anche in ambiti materiali di competenza delle Regioni.
4.3.  -  La difesa erariale osserva, inoltre, come le norme impugnate
abbiano  «natura ordinamentale incidente sulla disciplina civilistica
del  contratto  d'opera  intellettuale». Cio' sarebbe particolarmente
evidente  non  solo con riferimento alla norma di cui al comma 2-bis,
ma  anche  in relazione alle norme di cui ai commi 1 e 2 che, secondo
il  resistente,  attengono  alla  disciplina  del  contratto  d'opera
professionale  o  «intervengono  sulle forme negoziali associative di
esercizio delle professioni».
4.4.   -   A   parere  della  difesa  erariale,  le  norme  censurate
troverebbero   un  ulteriore  titolo  giustificativo  nella  potesta'
legislativa  dello  Stato  di  fissare  i principi fondamentali nella
materia  delle  «professioni», di competenza legislativa concorrente,
posto  che,  contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, tali
norme  non  conterrebbero  previsioni di dettaglio. D'altra parte, la
determinazione  dei principi fondamentali in materia di professioni -
osserva   il   resistente -  non  puo'  considerarsi  esaurita  nella
ricognizione  operata  con  il  d.lgs.  n. 30  del  2006,  come  tale
necessariamente limitata ai principi in quel momento esistenti.
4.5.  -  Cio'  posto,  la  difesa  erariale  ribadisce  che  le norme
censurate   rientrano   nel   quadro   della  materia  «tutela  della
concorrenza»,  e  reputa  non  fondata l'argomentazione della Regione
Veneto  secondo  la  quale l'intervento legislativo censurato sarebbe
frutto  di  una interpretazione eccessivamente ampia della competenza
esclusiva prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
In proposito, l'Avvocatura generale richiama ancora la sentenza n. 14
del  2004  della  Corte  costituzionale, secondo la quale la verifica
della  legittimita'  dell'intervento  statale in tema di tutela della
concorrenza   deve  essere  condotta  alla  stregua  dei  criteri  di
proporzionalita'  e  di  adeguatezza,  ed  osserva  come, nel caso di
specie, entrambi i criteri risultino rispettati.
Le  norme  censurate  sarebbero,  pertanto,  idonee  a  perseguire il
duplice  obiettivo  di garantire una maggiore concorrenza nel settore
delle  professioni  e di assicurare la libera prestazione dei servizi
all'interno dell'Unione europea.
4.6.  -  Infine,  con  specifico  riguardo  al ricorso promosso dalla
Regione  Siciliana,  il  Presidente del Consiglio dei ministri rileva
che «la pretesa natura dettagliata delle disposizioni contenute nella
norma  e' affermata dalla Regione in modo sostanzialmente apodittico,
senza specificare minimamente le ragioni di tale affermazione».
5. - In prossimita' dell'udienza, la Regione Veneto ha depositato due
memorie,   di  contenuto  sostanzialmente  coincidente,  nei  giudizi
promossi con i ricorsi n. 96 e n. 103 del 2006.
5.1.  -  Preliminarmente,  la  ricorrente  evidenzia  la  genericita'
dell'eccezione,   formulata  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
secondo cui sarebbe venuta meno la materia del contendere per effetto
della  conversione  in  legge,  con  modificazioni, del decreto-legge
n. 223  del 2006. In particolare, la difesa della Regione ritiene che
l'Avvocatura  generale  non  abbia  specificato  le  norme  impugnate
relativamente alle quali la materia del contendere sarebbe cessata.
Quanto  poi  all'inammissibilita'  e  infondatezza  del ricorso, pure
dedotte dalla difesa erariale, la Regione rileva la genericita' delle
argomentazioni sviluppate a sostegno, in quanto il richiamo ai poteri
statali   in   materia  di  tutela  della  concorrenza  e  la  natura
trasversale  di  tale  materia  non  possono  valere  a  giustificare
interventi normativi dello Stato che comprimano la sfera di autonomia
regionale    senza    rispettare    i   principi   di   razionalita',
proporzionalita' ed adeguatezza.
5.2.  -  Nel  merito,  la  difesa  regionale  ribadisce  che le norme
impugnate  contengono «norme di minuto dettaglio ed autoapplicative»,
tali  da  privare  le  Regioni  di  «qualsiasi potere in materia». In
particolare,  la  ricorrente  contesta l'affermazione dell'Avvocatura
generale,  secondo cui siffatte previsioni, risultando necessarie per
garantire  sull'intero  territorio nazionale la rimozione di ostacoli
all'esercizio  della  concorrenza  ed  alla  libera  prestazione  dei
servizi   professionali,   confermerebbero   la   proporzionalita'  e
l'adeguatezza dell'intervento statale.
Secondo la ricorrente, l'intervento statale puo' dirsi legittimo solo
ove introduca norme a garanzia della concorrenza che «ragionevolmente
lascino  alla  Regione  lo spazio per porre in essere disposizioni di
dettaglio». Diversamente ragionando, conclude la difesa regionale, la
materia  «professioni»  sarebbe svuotata di contenuto e finirebbe per
sovrapporsi  alla  materia «formazione professionale», la quale pero'
attiene  all'ambito  piu'  ampio  della  competenza  residuale  delle
Regioni di cui all'art. 117, quarto comma, Cost.
6.  -  Anche  la Regione Siciliana ha depositato memoria integrativa,
con la quale sviluppa gli argomenti a sostegno del ricorso ed insiste
nelle gia' rassegnate conclusioni.
La Regione evidenzia, in primo luogo, che lo scopo delle disposizioni
in  materia  di  esercizio  delle  attivita'  libero-professionali ed
intellettuali,  introdotte  con l'art. 2 del decreto-legge n. 223 del
2006,  convertito, con modificazioni, nella legge n. 248 del 2006, e'
individuabile nel «rilancio economico e sociale» del Paese.
Procede   quindi   ad  illustrare,  in  sintesi,  l'evoluzione  della
disciplina  delle «professioni», a partire dalla riforma del titolo V
della  parte  seconda  della Costituzione, ricordando che nel 2002 e'
stata  costituita presso il Ministero della giustizia una commissione
tecnica per la predisposizione di uno schema di "legge quadro", volta
alla   individuazione  dei  principi  generali  della  materia.  Tale
progetto  non  ha  avuto seguito e la difficile opera di demarcazione
del  confine  tra  intervento  statale  e  interventi regionali nella
materia  e'  stata,  di  fatto, svolta dalla Corte costituzionale, in
particolar modo con la sentenza n. 405 del 2005.
Al  riguardo,  la  Regione  osserva che non tutto quello che riguarda
l'ordinamento   delle  professioni  regolamentate  e  l'ambito  delle
professioni non regolamentate puo' ritenersi ascrivibile alla materia
«professioni», di potesta' concorrente. Rimangono, infatti, di sicura
attribuzione statale la disciplina dell'accesso alle professioni, per
il  quale  l'art.  33, quinto comma, Cost. impone l'esame di Stato, e
quella  dell'esercizio  della  professione forense, la cui principale
funzione  e'  costituita  dall'assistenza  in giudizio, e che percio'
rientra nella materia della giurisdizione.
Quanto  all'esigenza  di tracciare il limite tra competenze statali e
regionali  in  tale  materia,  la  difesa  regionale  richiama quanto
affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 353 del 2003.
Cio'  posto,  il  nodo  problematico ancora da sciogliere, secondo la
ricorrente,  riguarderebbe la collocazione degli ordini e dei collegi
professionali,  cioe'  se essi rientrino nella nozione costituzionale
di enti pubblici nazionali, da cui discenderebbero la riserva statale
prevista  all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  g),  Cost.,  ed i
conseguenti limiti alla potesta' legislativa regionale.
A  parere della Regione, non e' del tutto condivisibile la tesi della
natura  pubblicistica  nazionale  -  e  non gia' territoriale - degli
ordini  e  dei  collegi  professionali,  in ragione della particolare
funzione  dagli  stessi  esercitata,  connessa all'interesse pubblico
sotteso   all'istituzione   di   un   ordine,   non  frazionabile  ma
necessariamente unitario.
In  particolare,  la  Regione  osserva come non sussistano ostacoli a
considerare  gli  ordini  e  i  collegi  professionali «enti pubblici
locali»  (in  funzione della localizzazione della sede, del carattere
esponenziale  rispetto  alla comunita' locale di professionisti e del
necessario  possesso  di  determinati  requisiti  soggettivi  ai fini
dell'appartenenza  all'ente),  ritenendo  che la diversa impostazione
assunta  dalla  Corte  costituzionale  abbia  finito  per  creare una
ingiustificata sovrapposizione tra ambiti materiali diversi, quali le
«professioni»,  l'«ordinamento  e  organizzazione amministrativa», la
«determinazione  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i  diritti  civili  e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio  nazionale»,  l'«esame  di  Stato [...] per l'abilitazione
all'esercizio professionale».
Nel  contesto  cosi'  delineato,  prosegue  la  Regione,  deve essere
collocata  la  recente iniziativa in materia di «professioni» assunta
con il d.lgs. n. 30 del 2006, il quale prevede, all'art. 2, commi 1 e
4,  che «Le Regioni non possono adottare provvedimenti che ostacolino
l'esercizio  della professione. [...] Le associazioni rappresentative
di  professionisti  che  non  esercitano  attivita'  regolamentate  o
tipiche  di  professioni disciplinate ai sensi dell'articolo 2229 del
codice  civile,  se  in  possesso  dei requisiti e nel rispetto delle
condizioni   prescritte   dalla  legge  per  il  conseguimento  della
personalita' giuridica, possono essere riconosciute dalla regione nel
cui   ambito   territoriale  si  esauriscono  le  relative  finalita'
statutarie»;  all'art.  3,  commi  1  e  2,  che  «L'esercizio  della
professione  si  svolge  nel  rispetto della disciplina statale della
tutela   della   concorrenza,   ivi  compresa  quella  delle  deroghe
consentite  dal  diritto  comunitario  a tutela di interessi pubblici
costituzionalmente  garantiti  o  per ragioni imperative di interesse
generale,  della  riserva di attivita' professionale, delle tariffe e
dei    corrispettivi   professionali,   nonche'   della   pubblicita'
professionale. [...] L'attivita' professionale esercitata in forma di
lavoro  autonomo e' equiparata all'attivita' di impresa ai fini della
concorrenza  di  cui  agli articoli 81, 82 e 86 (ex articoli 85, 86 e
90) del Trattato CE, salvo quanto previsto dalla normativa in materia
di  professioni  intellettuali»;  e all'art. 6, che «Per le Regioni a
statuto  speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano resta
fermo  quanto  previsto  dall'art.  11  della  legge  5  giugno 2003,
n. 131».
A  parere  della  Regione  Siciliana,  proprio dal raffronto tra tali
norme,   la  giurisprudenza  costituzionale  richiamata  e  le  norme
impugnate,  emergerebbero le ragioni e i profili di illegittimita' di
queste ultime, trattandosi, all'evidenza, di normazione di dettaglio,
non   riconducibile  alla  categoria  dei  «principi  generali  della
materia»;  di  qui  il dedotto contrasto con l'art. 117, terzo comma,
Cost., e indirettamente con gli artt. 114 e 120 Cost.
Le  attivita'  libero-professionali  sarebbero,  infatti, regolate in
modo   particolareggiato,   quanto   al   rapporto  contrattuale  tra
professionista  e  cliente,  senza  che  residui il minimo spazio per
l'intervento  regionale,  risultando  cosi'  eluso  anche il precetto
stabilito all'art. 11 della legge n. 131 del 2003.
Peraltro,  osserva  la difesa regionale, se anche si dovesse ritenere
che  le  norme  statali impugnate costituiscono principi fondamentali
della   materia   «professioni»,  risulterebbe  comunque  pretermesso
qualsiasi  coinvolgimento  delle  Regioni,  in  violazione del canone
della leale collaborazione. La natura interdisciplinare della materia
e  la  particolare  rilevanza socio-economica della stessa, a livello
sia  centrale  sia  locale,  tali  da  realizzare «una concorrenza di
competenze»,  avrebbero  reso necessario il coinvolgimento degli enti
territoriali.
Inoltre,  la  Regione  contesta  che il fondamento della legittimita'
delle  disposizioni  impugnate  possa  rinvenirsi  nella tutela della
concorrenza  e della libera circolazione di persone e servizi, atteso
che  la Corte costituzionale (sentenza n. 14 del 2004) ha escluso che
la  «tutela della concorrenza», la quale «non presenta i caratteri di
una   materia   di  estensione  certa,  ma  quelli  di  una  funzione
esercitabile sui piu' diversi oggetti», possa vanificare lo schema di
riparto  delle  competenze.  La  tutela  della  concorrenza  potrebbe
valere, semmai, quale principio generale della materia «professioni»,
al  rispetto  del  quale  sarebbe  tenuto  il  legislatore  regionale
nell'attivita' di integrazione della disciplina.
Infine,   la   ricorrente   rileva  l'incongruita'  delle  previsioni
impugnate  rispetto  alla  normativa  comunitaria.  E'  in  proposito
richiamata  la  sentenza  della Corte di giustizia, Grande Sezione, 5
dicembre  2006  in  cause C-94/04 e C-202/04, per evidenziare come il
giudice  comunitario  abbia  ritenuto  congruo  il sistema tariffario
rispetto al principio di libera prestazione dei servizi.
Alla  luce di tale rilievo, la Regione ritiene che le norme impugnate
violino anche gli artt. 117, primo comma, e 3 Cost.: rispettivamente,
per il contrasto con la normativa sopranazionale e per la conseguente
irragionevole  limitazione  che  pongono  in  capo  ai professionisti
nonche'  per gli altrettanto irragionevoli vincoli di cui gravano gli
ordini professionali.
7.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha depositato memoria di
replica  nella  quale  espone ulteriori argomentazioni a difesa delle
norme censurate.
Preliminarmente, la parte resistente eccepisce l'inammissibilita' del
ricorso promosso dalla Regione Siciliana (reg. ric. n. 104 del 2006),
«per  insussistenza  ab  origine della materia del contendere»; a suo
dire, infatti, le norme impugnate non si applicherebbero alle Regioni
speciali  in virtu' della clausola di salvaguardia di cui all'art. 1,
comma  1-bis, del decreto-legge n. 223 del 2006, comma aggiunto dalla
legge di conversione n. 248 del 2006.
Sulla  premessa  che  l'intervento di cui al decreto-legge n. 223 del
2006  debba  essere  ricondotto  alla  materia  della  «tutela  della
concorrenza»,  di  potesta' esclusiva statale ai sensi dell'art. 117,
secondo  comma,  lettera e), Cost., la difesa erariale evidenzia come
rispetto  a  taluni ambiti professionali ed a specifiche tipologie di
prestazioni  di  servizi,  volte  all'assistenza  e  alla garanzia in
materia  di  diritti  civili e sociali (la professione di medico e di
avvocato),  subentri  anche  il  profilo  della  garanzia dei livelli
essenziali, anch'esso di spettanza esclusiva statale.
La  difesa  erariale  ricorda,  poi,  che  la Corte costituzionale ha
riconosciuto  da  tempo  l'esistenza  di alcune materie di competenza
esclusiva  statale di tipo trasversale, quali appunto la tutela della
concorrenza   e   la  determinazione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni  concernenti diritti civili e sociali, le quali enunciano
finalita',   piuttosto   che  circoscrivere  un  determinato  settore
dell'ordinamento,  e,  proprio  in  quanto  espressione  di  valori e
obiettivi  generali,  presentano  un'attitudine  ad  interferire  con
ambiti  materiali  affidati  alla  potesta' legislativa regionale. In
particolare,  osserva il resistente, dalla sentenza n. 14 del 2004 in
poi  la  Corte  ha riconosciuto allo Stato la potesta' di intervenire
direttamente sul mercato, a tutela della concorrenza, alla condizione
che  gli  strumenti  prescelti abbiano una dimensione macroeconomica,
mentre  al  di  sotto  di  tale  limite  gli  interventi  di politica
economica spettano alle Regioni. Le misure adottate dal decreto-legge
n. 223  del  2006,  convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248
del  2006,  rientrano,  secondo  la difesa erariale, in questo ambito
materiale, in quanto rispondono all'esigenza di «liberalizzazione dei
mercati» e di «apertura alla concorrenza».
L'Avvocatura  generale  rileva  che  quanto  detto vale con specifico
riferimento all'intervento statale nel settore delle professioni, nel
quale  la normativa impugnata e' finalizzata all'apertura del mercato
alla   libera   concorrenza   e  nel  contempo,  rispetto  ad  alcune
prestazioni professionali, alla garanzia dei livelli essenziali delle
prestazioni.
In  materia  di  professioni,  inoltre,  e'  riservata  allo Stato la
determinazione   dei   principi  generali,  allo  scopo  evidente  di
garantire l'unita' dell'ordinamento giuridico, mentre alle Regioni e'
affidata   «la  disciplina  di  quegli  aspetti  che  presentano  uno
specifico collegamento con la realta' regionale» (sentenza n. 153 del
2006).
Le  disposizioni  censurate,  infine, a parere della difesa erariale,
non  presentano  i  caratteri  della  normativa  di  dettaglio,  come
sostenuto  dalle Regioni ricorrenti, in quanto si limitano a definire
principi  di  ordine  generale  in  materia  di abolizione di tariffe
minime, pattuizioni di compensi professionali, pubblicita' di titoli,
specializzazioni  e  servizio  offerto  anche  in forma associata. Si
tratterebbe,   in   definitiva,   di  statuizioni  di  principio  che
necessariamente debbono essere adottate a livello statale, a garanzia
dell'unita'  dell'ordinamento  giuridico,  nell'ambito del quale alle
Regioni e' riservata la produzione di norme attuative e di dettaglio.
In  particolare,  secondo  la difesa dello Stato, la regolamentazione
dettata  ai  commi  2-bis  e  3  dell'art. 2 attiene chiaramente alla
disciplina del contratto d'opera professionale, o comunque interviene
sulle  forme negoziali di esercizio delle professioni, e quindi trova
il  proprio  fondamento nella competenza esclusiva statale in materia
di ordinamento civile.
                       Considerato in diritto
1.  -  La  Regione  Veneto  e  la  Regione  Siciliana  hanno promosso
questioni di legittimita' costituzionale di numerose disposizioni del
decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223  (Disposizioni urgenti per il
rilancio   economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione  fiscale), e, tra queste,
dell'art.  2,  nel  testo  originario  ed  in quello risultante dalle
modifiche  apportate,  in  sede  di conversione, dalla legge 4 agosto
2006,  n. 248,  per  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma, della
Costituzione.
2.  -  Riservata  a  separate pronunce la decisione sull'impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel decreto-legge n. 223 del 2006,
convertito,  con  modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, vengono
in esame in questa sede le questioni relative all'art. 2.
I  giudizi  possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza per
la  coincidenza  dell'oggetto delle singole questioni e del parametro
evocato.
3. - Preliminarmente, deve essere dichiarata l'inammissibilita' delle
questioni  relative all'art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, per
violazione  degli  artt.  3,  114,  117,  primo  comma,  e 120 Cost.,
sollevate   dalla   Regione   Siciliana   nella  memoria  integrativa
depositata   in  prossimita'  dell'udienza  pubblica.  Tali  censure,
infatti,  sono state formulate per la prima volta nella memoria sopra
citata,   risultando   pertanto  inammissibili  perche'  tardivamente
proposte (da ultimo, sentenza n. 246 del 2006).
4.  -  Non  puo'  essere  accolta  l'eccezione  di  inammissibilita',
sollevata  dall'Avvocatura  dello  Stato,  delle  questioni, promosse
dalla Regione Veneto con il ric. n. 96 del 2006, riguardanti le norme
del   decreto-legge   successivamente   modificate   dalla  legge  di
conversione.  Secondo  la difesa erariale, la conversione del decreto
in  legge avrebbe determinato l'«inammissibilita' sopravvenuta» delle
suddette  questioni o la «cessazione della materia del contendere». A
prescindere dalla genericita' dell'eccezione, che non indica le norme
modificate e l'entita' delle relative modifiche, questa Corte ritiene
debbano  considerarsi  assorbite le censure al testo originario di un
decreto-legge  quando  le  stesse vengano rivolte alle corrispondenti
disposizioni  della  legge  di  conversione,  nell'ipotesi che vi sia
identita' testuale tra di esse (sentenza n. 417 del 2005).
Nella   fattispecie,   le   disposizioni  contenute  nella  legge  di
conversione apportano al testo originario alcune varianti stilistiche
ed  aggiungono  allo  stesso  nuove  determinazioni normative, che lo
integrano e lo specificano, senza alterarne la sostanza prescrittiva.
Ne  segue  che  le  questioni  sollevate  nei  confronti  delle norme
originarie   del   decreto-legge   si  attagliano  anche  alle  norme
corrispondenti della legge di conversione.
5.  -  La Regione Siciliana censura le norme impugnate per violazione
dell'art.  117,  terzo comma, Cost., senza fornire alcuna motivazione
sull'applicabilita'   di  tale  disposizione  costituzionale  ad  una
Regione   a   statuto   speciale   come   la  Sicilia.  Tuttavia,  in
considerazione  dell'assenza  nello  statuto  siciliano della materia
«professioni», si deve ritenere implicita l'operativita' dell'art. 10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione), che rende utilizzabile nel
presente   giudizio   il   parametro   costituzionale  evocato  dalla
ricorrente.
Si  deve inoltre disattendere l'eccezione della difesa erariale circa
l'inammissibilita' del ricorso della Regione Siciliana, fondata sulla
presunta  inapplicabilita' della normativa impugnata ad una Regione a
statuto   speciale,   per  effetto  della  clausola  di  salvaguardia
contenuta  nel  comma  1-bis dell'art. 1 del decreto-legge n. 223 del
2006,  introdotto  dalla  legge  di conversione n. 248 del 2006. Tale
clausola,  per la sua genericita' e per il suo riferirsi ad una serie
eterogenea  di  disposizioni  comprese nello stesso atto legislativo,
non   e'   idonea   ad   escludere   il   sindacato  di  legittimita'
costituzionale  sulle  norme  oggetto di impugnazione, ritenute dalla
Regione  ricorrente pienamente applicabili nel proprio territorio (ex
plurimis,  tra  le piu' recenti, sentenze n. 179, n. 165 e n. 162 del
2007).
6. - La questione di legittimita' costituzionale della lettera a) del
comma  1  dell'art.  2  del  decreto-legge n. 223 del 2006, nel testo
originario  ed in quello modificato dalla legge di conversione n. 248
del 2006, non e' fondata.
6.1.  -  La norma sopra richiamata, nell'abrogare le disposizioni che
prevedono  «l'obbligatorieta'  di  tariffe  fisse  o minime ovvero il
divieto  di  pattuire  compensi  parametrati  al raggiungimento degli
obiettivi    perseguiti»,    tende    a    stimolare   una   maggiore
concorrenzialita'  nell'ambito delle attivita' libero-professionali e
intellettuali,  offrendo  all'utente  una  piu' ampia possibilita' di
scelta  tra  le diverse offerte, maggiormente differenziate tra loro,
con  la  nuova  normativa,  sia  per  i costi che per le modalita' di
determinazione dei compensi.
Essa,  pertanto,  attiene  alla  materia  «tutela della concorrenza»,
riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost.
6.2.  -  Pur  se  il  presente giudizio concerne in modo esclusivo la
presunta  lesione  di  competenze  costituzionalmente garantite delle
Regioni,  giova  notare  che  la  conclusione  di  cui  al  paragrafo
precedente trova conferma in sede comunitaria.
Con  particolare  riferimento  alle  restrizioni alla concorrenza nel
settore  delle  professioni, si deve, infatti, segnalare la Relazione
sulla   concorrenza   nei   servizi  professionali  presentata  dalla
Commissione il 9 febbraio 2004 [Com(2004)83]. Il 5 settembre 2005, la
Commissione   ha  presentato  il  seguito  della  suddetta  Relazione
[Com(2005)405],  in  cui si giunge alla conclusione, tra l'altro, che
gli  Stati  membri  dovrebbero avviare un processo di revisione delle
restrizioni  esistenti,  con  riferimento sia alle tariffe fisse, sia
alle limitazioni di pubblicita'.
In esito a tale relazione, il Parlamento europeo, il 12 ottobre 2006,
ha  approvato una risoluzione con la quale, tra l'altro, si invita la
Commissione ad approfondire l'analisi delle differenze esistenti - in
riferimento  all'apertura  del  mercato  -  tra  le diverse categorie
professionali  di  ciascuno  Stato  membro,  e,  sul  presupposto che
l'obbligatorieta'  di tariffe fisse o minime e il divieto di pattuire
compensi  legati  al  risultato  raggiunto  potrebbero  costituire un
ostacolo  alla  qualita'  dei servizi e alla concorrenza, si invitano
gli  Stati membri ad adottare misure meno restrittive e piu' adeguate
rispetto   ai   principi   di   non   discriminazione,  necessita'  e
proporzionalita'.
Con  specifico  riguardo  alle  professioni  legali  ed all'interesse
generale  al  funzionamento  dei  sistemi  giuridici,  il  Parlamento
europeo  ha  adottato, il 23 marzo 2006, una risoluzione, nella quale
si   riconosce   che  «le  tabelle  degli  onorari  o  altre  tariffe
obbligatorie»  non violano gli artt. 10 e 81 del Trattato, purche' la
loro  adozione  sia  giustificata  dal  perseguimento di un legittimo
interesse pubblico.
Il  medesimo  orientamento emerge dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia  delle  Comunita'  europee.  Quest'ultima, nella sentenza 5
dicembre  2006 (cause riunite Cipolla C-94/2004, Capodarte e Macrino,
C-202/2004),    ha    statuito    che   «il   divieto   di   derogare
convenzionalmente   ai   minimi   tariffari,   come   previsto  dalla
legislazione  italiana,  puo'  rendere piu' difficile l'accesso degli
avvocati  stabiliti  in  uno  Stato  membro  diverso dalla Repubblica
italiana  al  mercato  italiano  dei  servizi  legali, ed e' in grado
quindi  di ostacolare l'esercizio delle loro attivita' di prestazione
di  servizi  in  quest'ultimo  Stato  membro.  Tale divieto si rivela
pertanto una restrizione ai sensi dell'art. 49 CE».
6.3.  -  Una volta chiarita l'appartenenza delle norme censurate alla
materia «tutela della concorrenza», diventa superfluo soffermarsi sul
quesito se le stesse abbiano carattere di principio o configurino una
disciplina  di  dettaglio.  Questa  Corte  ha  gia'  precisato che le
competenze  esclusive  statali,  che  si presentino come trasversali,
«incidono  naturalmente,  nei  limiti  della  loro specificita' e dei
contenuti  normativi  che  di  esse  possano  definirsi propri, sulla
totalita'   degli  ambiti  materiali  entro  i  quali  si  applicano»
(sentenza  n. 80  del  2006).  Anche  una  disposizione particolare e
specifica,  purche'  orientata alla tutela della concorrenza, si pone
come  legittima  esplicazione  della  potesta'  legislativa esclusiva
dello Stato in subiecta materia. Se si ritenessero legittime le norme
a  tutela della concorrenza - o riguardanti altra materia di potesta'
legislativa  esclusiva  -  a  condizione  che  le  stesse  abbiano un
carattere  generale o di principio, si finirebbe con il confondere il
secondo  e  il terzo comma dell'art. 117 Cost., ispirati viceversa ad
un  diverso criterio sistematico di riparto delle competenze. Cio' e'
ancor  piu' evidente in materie, come la «tutela della concorrenza» o
la «tutela dell'ambiente», contrassegnate piu' che da una omogeneita'
degli  oggetti delle diverse discipline, dalla forza unificante della
loro  funzionalizzazione  finalistica,  con  i  limiti  oggettivi  di
proporzionalita'  ed adeguatezza, piu' volte indicati da questa Corte
(da ultimo, sentenze n. 430 e n. 401 del 2007).
Una  illegittima  invasione  della  sfera  di  competenza legislativa
costituzionalmente   garantita  alle  Regioni,  frutto  di  eventuale
dilatazione   oltre   misura   dell'interpretazione   delle   materie
trasversali,  puo'  essere  evitata  non  -  come  prospettato  dalle
ricorrenti - tramite la distinzione tra norme di principio e norme di
dettaglio,  ma con la rigorosa verifica della effettiva funzionalita'
delle  norme  statali  alla  tutela  della  concorrenza. Quest'ultima
infatti,   per   sua  natura,  non  puo'  tollerare  differenziazioni
territoriali,   che   finirebbero   per   limitare,   o   addirittura
neutralizzare, gli effetti delle norme di garanzia.
Come si e' visto prima, le due norme di cui alla lettera a) del comma
1  dell'art.  2  del  decreto-legge  n. 223  del  2006 possono essere
entrambe  ricondotte  alla  materia in questione e quindi sono esenti
dalle censure avanzate dalle ricorrenti.
7.  -  La  questione relativa alla lettera b) del comma 1 dell'art. 2
del  decreto-legge n. 223 del 2006, nel testo originario ed in quello
sostituito  dalla  legge  di  conversione  n. 248  del  2006,  non e'
fondata.
7.1.  -  Anche  la  possibilita'  di svolgere pubblicita' informativa
circa    i   titoli   e   le   specializzazioni   professionali,   le
caratteristiche  del  servizio  offerto,  nonche' i costi complessivi
delle  prestazioni,  garantisce e promuove la concorrenza, purche', a
tutela  degli  utenti  -  come  precisato  dalla norma impugnata - il
messaggio   pubblicitario   sia   caratterizzato   da  trasparenza  e
veridicita', controllate dall'ordine professionale.
Posto  quanto  sopra,  valgono  le medesime considerazioni svolte nel
paragrafo  6.3, che sorreggono la dichiarazione di infondatezza della
questione  concernente  la  norma di cui alla lettera a) dello stesso
comma  1,  sotto  il profilo del riparto delle competenze legislative
tra Stato e Regioni.
8.  -  La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma
1,   lettera  c),  del  decreto-legge  n. 223  del  2006,  nel  testo
originario  ed in quello sostituito dalla legge di conversione n. 248
del 2006, non e' fondata.
8.1.  -  La possibilita' di creare societa' di persone o associazioni
tra  professionisti, volte a fornire all'utenza servizi professionali
di  tipo  interdisciplinare,  aumenta  e  diversifica  l'offerta  sul
mercato  e  consente  una  maggiore  possibilita'  di scelta a chi ha
necessita'  di  avvalersi  congiuntamente  di determinate prestazioni
professionali,   anche   se   eterogenee,  indirizzate  a  realizzare
interessi  convergenti  o  connessi. Pertanto, le norme in esame sono
riconducibili   alla  materia  «tutela  della  concorrenza»,  con  le
conseguenze   di  ordine  giuridico  che  sono  state  in  precedenza
illustrate.   Anche  tale  norma  e'  quindi  esente  da  censure  di
legittimita'   costituzionale   sotto   il  profilo  del  riparto  di
competenze legislative tra Stato e Regioni.
9.  -  La  questione  di  legittimita' costituzionale del comma 2-bis
dell'art.  2  del decreto-legge n. 223 del 2006, inserito dalla legge
di conversione n. 248 del 2006, non e' fondata.
9.1. - La norma ora citata modifica il terzo comma dell'art. 2233 del
codice civile, prescrivendo, a pena di nullita', che siano redatti in
forma  scritta  i  patti,  conclusi  tra gli avvocati ed i praticanti
abilitati   con   i   loro   clienti,  che  stabiliscono  i  compensi
professionali.
Si  tratta, con tutta evidenza, di una norma che attiene al contratto
di  prestazione d'opera professionale degli avvocati, rientrante come
tale  nella  materia  «ordinamento  civile»,  di competenza esclusiva
dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
10.  -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  del  comma 3
dell'art.  2  del  decreto-legge n. 223 del 2006, rimasto invariato a
seguito della conversione in legge, non e' fondata.
Il   suddetto   comma  3  prevede  l'adeguamento  delle  disposizioni
deontologiche  e  dei codici di autodisciplina a quanto stabilito dal
comma  1  dello  stesso  art. 2 e, in caso di mancato adeguamento, la
nullita'  delle norme in contrasto con lo stesso comma 1. La norma di
cui  al comma 3 si presenta, dunque, come strettamente consequenziale
a  quelle  di  cui  al  comma  1,  per le quali si e' ritenuto che le
relative  questioni  non  siano  fondate,  in  quanto incidenti su un
ambito  materiale  di  competenza  esclusiva  dello Stato (la «tutela
della   concorrenza»).  Deve,  pertanto,  ritenersi  che  valgano  le
medesime  considerazioni  svolte  a  sostegno  della dichiarazione di
infondatezza   delle   altre   questioni  concernenti  l'art.  2  del
decreto-legge  n. 223  del  2006  sotto  il profilo del riparto delle
competenze legislative tra Stato e Regioni.