Ordinanza
nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 297, comma 3,
del codice di procedura penale, promossi con ordinanze del 5 dicembre
2005  e  del  16  agosto 2006 dal Giudice per le indagini preliminari
presso  il  Tribunale  di  Reggio  Calabria nei procedimenti penali a
carico di Z. P. e di C. S., iscritte al n. 180 del registro ordinanze
2006  e  al  n. 358  del  registro  ordinanze 2007 e pubblicate nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 25, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2006 e n. 20, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7  novembre 2007 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che, con due distinte ordinanze di contenuto sostanzialmente
identico,  rispettivamente  del 5 dicembre 2005 e del 16 agosto 2006,
il  giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio
Calabria -  a seguito di istanza dell'imputato diretta ad ottenere la
dichiarazione  di  inefficacia  della  misura cautelare in atto a suo
carico,  per  decorso  dei termini massimi di custodia cautelare - ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3 e 13, quinto comma, della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 297,
comma  3,  del  codice  di  procedura  penale, nella parte in cui non
prevede che il divieto delle contestazioni a catena si applichi anche
a  fatti  diversi  non  connessi, oggetto di indagine in procedimenti
separati  ma  pendenti presso la stessa autorita' giudiziaria, quando
risulti  che  gli  elementi  per  emettere  la nuova ordinanza per il
secondo  fatto,  commesso prima dell'emissione della prima ordinanza,
fossero  gia'  desumibili  dagli  atti  del  relativo procedimento al
momento della emissione della stessa ordinanza;
     che,  relativamente  all'oggetto  del giudizio di cui alla prima
ordinanza  di  rimessione  (r.o.  n. 180  del 2006), il giudice a quo
riferisce  che  l'imputato - appellante avverso sentenza che lo aveva
condannato,  per  rapina  commessa  in data 1° dicembre 2003, ad anni
dieci  di  reclusione, oltre alla multa - e' stato indagato per altro
reato   (furto  aggravato)  nell'ambito  di  un  procedimento  penale
iscritto  con  un  diverso  numero  di ruolo, per il quale aveva pure
subito  custodia cautelare in carcere, con provvedimento emesso il 26
marzo 2004 ed eseguito il 30 marzo 2004;
     che,  successivamente,  lo stesso imputato e' stato destinatario
di  una  ordinanza  di custodia cautelare anche per il reato (rapina)
per  il  quale  si  procede  nell'ambito  del procedimento a quo, con
provvedimento  restrittivo emesso il 5 maggio 2005 e notificatogli in
data 12 maggio 2005 presso il luogo di detenzione;
     che   l'imputato   e'  stato  ammesso  al  rito  abbreviato  per
quest'ultimo  reato,  in data 15 aprile 2005, con la conseguenza che,
secondo la difesa, a tale data era gia' decorso il termine massimo di
custodia    cautelare   di   anni   uno,   decorrente   dal   momento
dell'esecuzione  del  primo  provvedimento  cautelare, avvenuta il 30
marzo  2004,  relativo  ad  un  diverso procedimento, per altro reato
(furto aggravato) non connesso;
     che,  relativamente all'oggetto del giudizio di cui alla seconda
ordinanza  di  rimessione  (r.o.  n. 358  del  2007) il giudice a quo
riferisce  che  l'imputato -  arrestato  in  data  4  giugno 2003 per
detenzione  di  stupefacenti  e  poi  condannato  ad  anni quattro di
reclusione -  e'  stato raggiunto il 13 dicembre 2004 da altra misura
cautelare emessa dalla medesima autorita' giudiziaria (il giudice per
le  indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria), per
fatti  accertati  nel  2002 -  detenzione  di sostanze stupefacenti e
relativo  delitto  associativo,  con  contestazione chiusa all'agosto
2002 -  ma  non  connessi  al primo reato, e per i quali e' stato poi
condannato ad anni dieci di reclusione;
     che,  in  entrambe  le  fattispecie,  i difensori degli imputati
sostengono  che  gli  effetti  del  secondo provvedimento restrittivo
andrebbero  retrodatati  al  momento dell'esecuzione del primo, sulla
base  delle  pronunce  della  Corte  di  cassazione,  sezioni  unite,
n. 21957  del 2005, e della Corte costituzionale n. 408 del 2005, dal
momento  che  il  giudice  di legittimita' ha ritenuto applicabile il
meccanismo  di  cui  all'art.  297,  comma 3, cod. proc. pen. anche a
fatti   tra   loro   non   connessi,  purche'  il  quadro  indiziario
legittimante  la  misura  cautelare per un secondo reato risulti gia'
agli   atti   anteriormente  all'emissione  del  primo  provvedimento
restrittivo,   emesso   per  reato  non  connesso;  e  che  la  Corte
costituzionale  ha  reso  cogente  l'interpretazione  della  Corte di
cassazione,  dichiarando  che l'art. 297, comma 3, cod. proc. pen. e'
costituzionalmente  illegittimo  «nella  parte  in cui non si applica
anche  a  fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi
per  emettere  la nuova ordinanza erano gia' desumibili dagli atti al
momento della emissione della precedente ordinanza»;
     che  il  reato, per il quale e' stata eseguita la seconda misura
cautelare,  e'  stato  commesso in data anteriore all'emissione della
prima misura e gli elementi indiziari relativi erano parimenti emersi
prima  dell'emissione  della  medesima,  come si desume dal contenuto
della corrispondente ordinanza;
     che,   quindi,  risulterebbero  sussistenti  tutti  i  requisiti
richiesti per l'attivazione del meccanismo di cui all'art. 297, comma
3,  cod.  proc.  pen.,  come integrato dalla sentenza n. 408 del 2005
della  Corte  costituzionale,  in  relazione  al tempus delicti ed al
momento  della  disponibilita'  degli  elementi indiziari relativi al
secondo fatto non connesso, entrambi collocabili gia' in un tempo che
precede l'emissione del primo provvedimento restrittivo;
     che  l'unica  peculiarita' delle due fattispecie e' che si verte
in  una  situazione  in  cui  i fatti per i quali sono stati emessi i
provvedimenti restrittivi sono oggetto di procedimenti differenti;
     che   il   problema   della  applicabilita'  del  divieto  della
«contestazione  a  catena» di cui al comma 3 dell'art. 297 cod. proc.
pen.  a  fatti  tra  loro  connessi,  ma  separatamente  pendenti  in
procedimenti distinti, e' stato risolto dalla pronuncia delle sezioni
unite  della Corte di cassazione n. 9 del 1997, con la quale e' stato
ritenuto  che  esso  deve  essere  applicato  anche «a fatti diversi,
nell'ambito di un unico o di distinti procedimenti connessi, e quindi
cumulabili innanzi allo stesso giudice»;
     che  anche  per  il  caso  di reati non connessi, per i quali si
procede   separatamente   in  differenti  procedimenti -  come  nelle
fattispecie   concrete   in  esame  -,  sarebbe  possibile  sostenere
l'applicabilita'  della disciplina di cui all'art. 297, comma 3, cod.
proc.  pen.,  combinando  all'integrazione normativa conseguente alla
decisione  della Corte costituzionale l'interpretazione dell'istituto
che  emerge dalla citata pronuncia delle sezioni unite della Corte di
cassazione;
     che,  secondo il rimettente, allorche' si tratti di procedimenti
non  connessi,  separati  ma  pendenti  presso  la  stessa  autorita'
giudiziaria,  la  disciplina di cui all'art. 297, comma 3, cod. proc.
pen.  dovrebbe  trovare applicazione, malgrado lo stato attuale della
legislazione lo impedisca;
     che la
ratio
     che -   avverte   ancora  il  rimettente  -,  secondo  la  Corte
costituzionale,  occorre dunque causare il minor sacrificio possibile
alla  liberta'  personale  del cittadino, tutelata dall'art. 13 della
Costituzione come diritto inviolabile, e predisporre conseguentemente
strumenti  idonei  ad  evitare che la decorrenza del termine iniziale
della  custodia cautelare possa dipendere per qualsiasi causa «da una
imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del potere
cautelare»;
     che, nei casi in esame, gli imputati si vedrebbero applicare «la
normativa    aggiunta   derivante   dalla   pronuncia   della   Corte
costituzionale soltanto se i fatti non connessi» di cui sono accusati
«fossero stati pendenti nell'ambito del medesimo procedimento»;
     che  i  valori  di  certezza  e  di durata minima della custodia
cautelare  devono  essere  salvaguardati,  secondo  il giudice a quo,
anche nelle fattispecie oggetto dei giudizi principali, perche' anche
in  tali  casi  si  verte in un'ipotesi in cui l'interessato potrebbe
essere  esposto  all'arbitrio,  malevolo  o  negligente, del pubblico
ministero  nel  far  decorrere  il  termine  iniziale  della custodia
cautelare per uno dei fatti di cui e' accusato;
     che,  prosegue  il  rimettente,  tre  sono  le  modalita' in cui
potrebbero  essere  trattati  i diversi fatti non connessi sottoposti
alla  cognizione  della  medesima  autorita'  giudiziaria - presso il
medesimo  pubblico  ministero  nello  stesso  procedimento; presso il
medesimo  pubblico  ministero  ma  in  procedimenti  distinti; presso
magistrati  diversi  della  medesima  procura della Repubblica - e la
normativa  in  questione si applicherebbe soltanto alla prima di tali
evenienze;
     che nelle altre due situazioni - una delle quali, la seconda, e'
quella  che  interessa -  si  manifesta  pur  sempre  il  pericolo di
atteggiamenti  inerti, per negligenza ovvero per malizioso artificio,
del  pubblico  ministero, dal momento che questi potrebbe diluire nel
tempo   le   richieste   cautelari,   opportunamente  dilatandone  la
diacronica decorrenza iniziale;
     che  l'esposizione  a  tale  rischio  implica il difetto sia del
requisito  dell'obiettivita'  dei  criteri  per la determinazione del
termine  iniziale  di  decorrenza  della  seconda  misura,  sia della
garanzia del minor sacrificio possibile per la liberta' personale;
     che,  pertanto,  rispetto  alla  situazione  di  chi,  del tutto
casualmente,  sia  oggetto  di  indagine  per  due reati non connessi
nell'ambito  del  medesimo  procedimento avanti ad un'unica autorita'
giudiziaria,  la condizione di chi subisca indagini separate ab imis,
pur  da  parte della stessa autorita' giudiziaria, risulta deteriore,
perche'   quest'ultimo   non   potrebbe  fruire  dell'istituto  della
retrodatazione,  come  conseguenza  dell'assegnazione  dei  fatti non
connessi  a  procedimenti diversi, la quale puo' avvenire anche sulla
base di fattori che possono essere meramente casuali ed aleatori;
     che  la diversita' di trattamento - tra chi e' indagato per piu'
fatti  non  connessi  nel  medesimo  procedimento  e  chi  lo  e'  in
procedimenti   distinti,   pur   avanti   alla   medesima   autorita'
giudiziaria,  quindi  in situazioni sostanzialmente omogenee - appare
irragionevole,  allo  stato della legislazione, poiche' risultante in
contrasto  con il canone di cui all'art. 3 della Costituzione, per la
ingiustificata pretermissione dei criteri di certezza ed obiettivita'
nella  applicazione  dell'istituto  in esame, e con quello del minimo
sacrificio per la liberta' personale, come richiede l'art. 13, quinto
comma, della Costituzione;
     che,  a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 408
del  2005, la norma censurata si ritiene applicabile soltanto al caso
di  diversi  fatti  non  connessi trattati nel medesimo procedimento,
mentre  tale  disciplina andrebbe estesa anche all'ipotesi di diversi
fatti  non  connessi trattati nell'ambito di procedimenti differenti,
non  riunibili  o  successivamente  separati,  ma  pendenti presso la
medesima autorita' giudiziaria;
     che  la  questione, infine, sarebbe rilevante nel caso in esame,
giacche'  la  invocata  pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale
introdurrebbe una regola che amplierebbe le ipotesi di applicabilita'
dell'istituto  della  retrodatazione,  consentendo  la  scarcerazione
dell'imputato  per  decorrenza  dei  termini  di  fase della custodia
cautelare sofferta, in data anteriore all'ammissione dell'imputato al
rito abbreviato.
Considerato   che,   con   due   distinte   ordinanze   di  contenuto
sostanzialmente  identico,  rispettivamente in data 5 dicembre 2005 e
16  agosto  2006,  il  giudice  per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Reggio Calabria dubita della legittimita' costituzionale
dell'art.  297,  comma  3,  del codice di procedura penale, nel testo
risultante  a seguito della sentenza n. 408 del 2005 di questa Corte,
nella  parte  in cui non prevede che il divieto delle contestazioni a
catena  si  applichi  anche  a fatti diversi non connessi, oggetto di
indagine  in  procedimenti  separati  ma  pendenti  presso  la stessa
autorita'  giudiziaria,  quando risulti che gli elementi per emettere
la   nuova   ordinanza   per   il   secondo   fatto,  commesso  prima
dell'emissione  della  prima ordinanza, fossero gia' desumibili dagli
atti  del  relativo  procedimento  al  momento  della emissione della
stessa ordinanza;
     che, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata si porrebbe
in  contrasto  con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della lesione del
principio  di uguaglianza, perche' anche in tal caso si verterebbe in
un'ipotesi  in  cui l'indagato potrebbe essere esposto all'arbitrio -
per  malevolenza  o  negligenza  -  del  pubblico  ministero  nel far
decorrere  il  termine  iniziale della custodia cautelare per uno dei
fatti  di  cui  e'  accusato,  con  la conseguenza che l'indagato non
potrebbe   fruire   del  divieto  della  contestazione  a  catena  in
conseguenza  dell'assegnazione  dei fatti non connessi a procedimenti
diversi,  che potrebbe avvenire anche sulla base di fattori meramente
casuali  ed  aleatori;  nonche'  con  l'art.  13, quinto comma, della
Costituzione,  che  esige  sempre,  in  ogni  situazione,  il  minimo
sacrificio per la liberta' personale;
     che,  prospettando le due ordinanze la medesima questione, i due
giudizi   devono  essere  riuniti  per  essere  decisi  con  un'unica
pronuncia;
     che  il giudice rimettente ha omesso di valutare se esistesse la
possibilita'  di  pervenire,  in via interpretativa, ad una soluzione
conforme  alla  Costituzione,  come,  del resto, ha fatto la Corte di
Cassazione  che,  con  recenti  pronunce,  e  in  particolare  con la
sentenza  19  dicembre  2006,  n. 14535, depositata in data 10 aprile
2007  -  emessa  a  sezioni  unite,  a seguito di rimessione ai sensi
dell'art.  618  cod. proc. pen., per comporre un potenziale contrasto
di  giurisprudenza  circa  le  condizioni di applicabilita' dell'art.
297,  comma  3,  cod.  proc. pen. nell'ipotesi di ordinanze cautelari
emesse  in  procedimenti  diversi  -  ha  affermato  che  «quando  in
differenti  procedimenti,  non  legati  da  connessione  qualificata,
vengono  emesse  piu'  ordinanze  cautelari  per  fatti diversi e gli
elementi  giustificativi  della  seconda  erano gia' desumibili dagli
atti  al  momento  della  emissione della prima, e' da ritenere che i
termini  della  seconda ordinanza debbano decorrere dal giorno in cui
e'  stata  eseguita o notificata la prima, se i due procedimenti sono
in  corso  davanti  alla  stessa  autorita'  giudiziaria  e  la  loro
separazione puo' essere frutto di una scelta del pubblico ministero»;
     che  tale mancata verifica rende manifestamente inammissibile la
questione sollevata (sentenza n. 322, ordinanza n. 129 del 2007).
Visti  gli  articoli  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.