IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nel procedimento relativo a Di
Bello  Cesare (nato a Monopoli il 28 novembre 1975 e residente a Bari
alla via S. Girolamo n. 61 - libero sospeso ex art. 656, quinto comma
c.p.p.)  avente  ad  oggetto istanza di concessione di affidamento in
prova  al servizio sociale ex art. 47 o.p. - detenzione domiciliare -
semiliberta' in relazione alla pena, di cui al cumulo emesso dal p.m.
presso  il  Tribunale  di  Brindisi  in  data  18  aprile  2007 (pena
inflitta:  anni  6  mesi  3  giorni  27 recl. - pena residua: mesi 10
giorni 24 recl.).
Si  solleva  ex officio questione di legittimita' costituzionale - in
riferimento  agli  artt.  25,  primo  comma, 111, secondo comma e 97,
primo  comma Cost. - dell'art. 656, sesto comma c.p.p. nella parte in
cui  non  prevede  che  nelle  more  della  decisione sull'istanza di
concessione   di   misura   alternativa   alla   detenzione,  qualora
sopravvengano  altre  sentenze  definitive di condanna pronunciate da
giudici  di  diverso distretto di Corte d'appello nei confronti della
stessa  persona  e  il  p.m.  competente  determini  la pena ai sensi
dell'art.  663  c.p.p.,  la  competenza  a  decidere rimanga ferma in
favore  del  tribunale  di  sorveglianza  del  luogo  in  cui ha sede
l'ufficio del pubblico ministero che - al momento della presentazione
di  detta  istanza  da parte del condannato «libero sospeso» ai sensi
dell'art. 656, quinto comma c.p.p. - era competente per l'esecuzione.
1) Non manifesta infondatezza della questione.
Il  p.m.  presso  il  Tribunale  di Foggia in data 31 gennaio 2006 ha
sospeso  ex  art.  656,  quinto comma c.p.p. l'ordine di carcerazione
emesso  in pari data nei confronti del Di Bello Cesare in riferimento
alla  pena  inflitta  dal  Tribunale  di  Foggia  con  sentenza del 8
novembre  2000  (pena  inflitta:  anni  1  mesi  8 di reclusione); la
suddetta  sentenza  di condanna e il pedissequo ordine di sospensione
dell'esecuzione  del  31  gennaio  2006 sono stati entrambi trasmessi
l'11  aprile  2006  a  questo  tribunale  di  sorveglianza unitamente
all'istanza   -   presentata   dal   condannato   -   di  concessione
dell'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  ex  art. 47 o.p.,
detenzione domiciliare o semiliberta'.
Tuttavia,  nelle more della decisione da parte di questo tribunale di
sorveglianza si e' verificato che:
     a)  la  sentenza,  emessa  dal  Tribunale  di  Foggia  in data 8
novembre 2000, e' stata assorbita nel cumulo emesso il 18 aprile 2007
dal p.m. presso il Tribunale di Brindisi;
     b) il p.m. Brindisi in data 18 aprile 2007 ha emesso l'ordine di
sospensione  dell'esecuzione della pena portata dal predetto cumulo e
contestualmente  ha  chiesto  al Tribunale di Fasano - in funzione di
giudice  dell'esecuzione - di applicare l'indulto ex lege n. 241/2006
sulla pena residua, di cui al medesimo cumulo;
     c)   il   Tribunale   di   Fasano   -  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione  del  cumulo  p.m.  Brindisi del 18 aprile 2007 - con
provvedimento  del  30  aprile  2007  ha  concesso  l'indulto ex lege
n. 241/2006 per anni 3, sicche' la pena residua da espiare e' di mesi
10 giorni 24 di reclusione.
Orbene,  si  da' atto che ai sensi dell'art. 656, sesto comma c.p. il
tribunale  di  sorveglianza  territorialmente  competente, qualora il
condannato  «libero  sospeso»  ai  sensi  dell'art.  656, sesto comma
c.p.p.  abbia presentato istanza di concessione di misura alternativa
alla  detenzione,  e'  quello  del luogo in cui ha sede l'ufficio del
p.m. che cura l'esecuzione del titolo, in relazione al quale e' stata
inoltrata detta istanza.
Tuttavia,  si  ritiene  che  l'art.  656,  sesto  comma  c.p.p. trovi
applicazione  solamente  nell'ipotesi  in  cui la pena da espiare sia
stata  inflitta  con  una  o piu' sentenze definitive, in riferimento
alle  quali  prima  il  p.m.  competente  emetta  apposito  ordine di
sospensione  dell'esecuzione  ai  sensi  dell'art.  656, quinto comma
c.p.p.  e  poi  il  condannato «libero sospeso» presenti entro trenta
giorni   apposita  istanza  di  accesso  a  misura  alternativa  alla
detenzione.  Infatti,  il tenore della disposizione teste' richiamata
e'  chiaramente  nel  senso di legare strettamente tra loro sul piano
logico-temporale  i  seguenti atti procedurali: emissione dell'ordine
di   carcerazione   e   del  relativo  provvedimento  di  sospensione
dell'esecuzione da parte del p.m. competente; concessione del termine
di  trenta  giorni  entro  cui  e'  possibile  presentare  istanza di
applicazione  di  misura  alternativa  alla  detenzione e deposito di
detta  istanza  da parte del condannato in relazione esclusivamente a
quelle   sentenze   definitive,  la  cui  esecuzione  e'  stata  gia'
provvisoriamente sospesa dal p.m. competente.
Per  converso,  l'art. 656, quinto e sesto comma c.p.p. nulla prevede
nel  caso  in  cui,  dopo  la  presentazione  da parte del condannato
dell'istanza  di  accesso  a  misura  alternativa  alla detenzione in
relazione  alla  pena  inflitta  con  una o piu' sentenze definitive,
sopraggiungano  altre  sentenze  definitive  di  condanna  emesse  da
giudici  di  diverso  distretto  di Corte d'appello e queste sentenze
siano  assorbite - come nella fattispecie sub iudice - in un apposito
provvedimento di cumulo adottato dal p.m. territorialmente competente
ai sensi dell'art. 663 c.p.p.
In   questa  particolare  ipotesi  trova  applicazione  il  principio
ricavabile dal combinato disposto degli artt. 655, primo comma e 665,
sesto  comma  c.p.p.,  secondo  cui  la  competenza  -  nel  caso  di
sopravvenienza  di  altre sentenze di condanna pronunciate da giudici
di  diverso  distretto  di  Corte  d'appello  -  e'  del tribunale di
sorveglianza  del  luogo  in  cui  e'  stata  pronunciata la sentenza
divenuta  irrevocabile  per ultima e, cioe', del luogo in cui ha sede
l'ufficio   del   pubblico  ministero  che,  avendo  emesso  apposito
provvedimento ai sensi dell'art. 663 c.p.p., ne cura l'esecuzione.
A  questo  approdo  ermeneutico si perviene sulla base della semplice
constatazione  che,  qualora  il  condannato  abbia beneficiato della
sospensione dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 656, quinto
comma  c.p.p.,  la  normativa  processuale  penale  (cfr.  il  tenore
dell'art.  656,  sesto  comma  c.p.p.  e dell'art. 677, secondo comma
ultimo  periodo  c.p.p.)  e'  chiaramente  nel  senso di agganciare e
legare  strettamente  -  sul  piano  territoriale - la competenza del
tribunale  di  sorveglianza  a  quella del p.m. che cura l'esecuzione
della    condanna    definitiva,    prevedendo    espressamente   che
l'individuazione   del  tribunale  di  sorveglianza  territorialmente
competente e' determinata dal luogo in cui ha sede l'ufficio del p.m.
preposto ad eseguire il titolo definitivo.
Questa scelta normativa valorizza il locus commissi delicti, il quale
e'  l'elemento  oggettivo  utilizzato per individuare prima l'ufficio
del p.m. territorialmente competente per le indagini e il giudice che
deve accertare la responsabilita' dell'imputato; poi il p.m. preposto
ad  eseguire  la  sentenza  definitiva  di  condanna  e a sospenderne
eventualmente  l'esecuzione  ai  sensi  dell'art.  656,  quinto comma
c.p.p.;  infine,  il  tribunale di sorveglianza competente a decidere
sull'istanza   di   accesso  a  misura  alternativa  alla  detenzione
presentata  dal condannato «libero sospeso» ex art. 656, quinto comma
c.p.p.
In  altre  parole,  applicando al caso di specie il suddetto criterio
legale, si perviene alla conclusione che il tribunale di sorveglianza
competente  e'  quello  del  luogo  in  cui  ha sede la Procura della
Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Brindisi  e,  segnatamente, il
Tribunale di sorveglianza di Lecce.
Si  evidenzia,  comunque,  che  la  questione in oggetto, concernente
l'individuazione   del  tribunale  di  sorveglianza  territorialmente
competente,  non  possa  essere  risolta,  applicando  analogicamente
(analogia  legis) il principio sancito dall'art. 5 c.p.c. secondo cui
la competenza si determina con riguardo allo stato di fatto esistente
al   momento  della  proposizione  della  domanda  e,  percio',  sono
irrilevanti  i successivi mutamenti dello stato medesimo (perpetuatio
jurisdictionis).
Infatti, e' noto che il ricorso alla c.d. analogia legis e' possibile
a   condizione   che  la  fattispecie  sub  iudice  non  sia  affatto
disciplinata  dalla  legge; per converso, si e' prima evidenziato che
la  questione  della  competenza territoriale, oggetto della presente
procedura  di  sorveglianza,  e'  disciplinata dal combinato disposto
degli artt. 655, primo comma e 665, quarto comma c.p.p. secondo cui -
nel caso di sopravvenienza di altre sentenze definitive di condanna -
e'  competente il tribunale di sorveglianza del luogo in cui e' stata
pronunciata  la  sentenza  divenuta irrevocabile per ultima e, cioe',
del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che, avendo
emesso  apposito  provvedimento  di  cumulo  ai  sensi  dell'art. 663
c.p.p., ne cura l'esecuzione.
Ne'  si  puo'  applicare  al caso di specie per - analogia juris - il
principio  generale  della c.d. perpetuatio jurisdictionis, in quanto
valgono  al  riguardo  le stesse ragioni che precludono il ricorso al
criterio  della  c.d.  analogia  legis  e, segnatamente, il fatto che
negli  artt.  655, primo comma e 665, sesto comma c.p.p. - come si e'
gia' evidenziato - e' contemplato il criterio legale da utilizzare ai
fini    dell'individuazione    del    tribunale    di    sorveglianza
territorialmente competente.
Neppure si puo' invocare il criterio della perpetuatio jurisdictionis
sancito  dall'art. 677, primo comma c.p.p., perche' tale disposizione
disciplina  la  diversa e autonoma ipotesi del condannato detenuto in
istituto  penitenziario  e  non  gia'  quella  del condannato «libero
sospeso» ai sensi dell'art. 656, quinto comma c.p.p.
In  definitiva,  la  questione  della  competenza  territoriale nella
presente  procedura  di  sorveglianza va risolta secondo il principio
enucleabile  dal  combinato  disposto  degli artt. 655, primo comma e
665,  sesto  comma  c.p.p.,  secondo  cui la competenza - nel caso di
sopravvenienza  di  altre sentenze definitive di condanna pronunciate
da  giudici  di  diverso distretto di Corte d'appello - appartiene al
tribunale  di  sorveglianza  del luogo in cui e' stata pronunciata la
sentenza  divenuta irrevocabile per ultima; cioe', nel caso di specie
al Tribunale di sorveglianza di Lecce.
Si  ritiene,  pero',  che  il  criterio sulla competenza territoriale
ricavabile dagli artt. 655, primo comma e 665, sesto comma c.p.p. sia
estremamente  «mobile»,  dal  momento  che  consente  al tribunale di
sorveglianza originariamente competente ai sensi dell'art. 656, sesto
comma c.p.p. di dichiararsi incompetente e percio' di trasmettere gli
atti  di  procedura  a quel diverso tribunale di sorveglianza che nel
frattempo   -  a  seguito  della  sopravvenienza  di  altra  sentenza
irrevocabile  pronunciata  da  giudice  di diverso distretto di Corte
d'appello  -  sia  diventato  competente;  a  sua  volta quest'ultimo
tribunale   di  sorveglianza,  qualora  nelle  more  della  decisione
sopraggiungano  altre  sentenze  definitive di altro distretto, sara'
costretto  a  declinare  la competenza in favore di quel tribunale di
sorveglianza,   che   nel  frattempo  e'  diventato  territorialmente
competente.
Appare   chiaro   che  questi  continui  e  ripetuti  spostamenti  di
competenza   per   territorio,   la   quale   potra'  cristallizzarsi
definitivamente   soltanto   nel  momento  in  cui  il  tribunale  di
sorveglianza decide prima che sopravvengano altre sentenze definitive
di  condanne  pronunciate  da  giudici  di  altri  distretti di Corte
d'appello,  si  pongano in oggettivo contrasto con i principi sanciti
dagli  artt.  25,  primo  comma, 111, secondo comma e 97, primo comma
Cost.
Invero,  il  «rimbalzo» di competenza territoriale da un tribunale di
sorveglianza all'altro:
     in   primo   luogo   viola   il   principio   di  naturalita'  e
precostituzione  del  giudice, di cui all'art. 25, primo comma Cost.,
perche'  rende  impossibile  individuare  a  priori  il  tribunale di
sorveglianza  territorialmente  competente a decidere sull'istanza di
applicazione  di misura alternativa alla detenzione presentata da chi
e'  stato  condannato  con piu' sentenze emesse da giudici di diversi
distretti di Corte d'appello;
     in   secondo   luogo   allunga   irragionevolmente  i  tempi  di
definizione   del   procedimento  e,  percio',  non  ne  assicura  la
ragionevole  durata,  precludendo  cosi'  l'attuazione  del principio
sancito dall'art. 111, secondo comma Cost.;
     in  terzo  luogo  rischia di far girare «a vuoto» - per un tempo
piu'   o  meno  lungo  -  la  stessa  attivita'  giurisdizionale  con
conseguente  dispendio  di  energie  e  risorse  sul  piano  umano ed
economico,   concretizzando   cosi'   la   violazione  del  principio
costituzionale  di  «buon andamento», che informa l'attivita' di ogni
amministrazione pubblica (art. 97, primo comma, Cost.).
2)  Rilevanza  della  questione nella fattispecie concreta per cui e'
procedura.
La  questione  di  legittimita'  costituzionale rileva nella presente
procedura di sorveglianza.
Infatti,  se  la  questione  venga  ritenuta  fondata  e  percio' sia
dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma censurata,
questo  tribunale  di  sorveglianza  e' territorialmente competente a
decidere  sull'istanza  di  concessione  di  misura  alternativa alla
detenzione  presentata  dal condannato; per converso, se la questione
sia  ritenuta  inammissibile  o  rigettata,  a  questo  tribunale  di
sorveglianza  non resta che trasmettere gli atti al diverso tribunale
di sorveglianza territorialmente competente e, cioe', al Tribunale di
sorveglianza di Lecce.