IL TRIBUNALE Nel processo penale a carico Saglioni Cristiano e Bencivenga Mario (3188/03 R.G.); Rilevato il mancato consenso dei difensori degli imputati all'utilizzazione delle deposizioni testimoniali assunte nel corso delle udienze dibattimentali precedenti a quella del 12 gennaio 2006, nella quale il Collegio giudicante ha mutato parzialmente composizione; Ritenuto di dover sollevare, di ufficio, eccezione di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3, 25, 101 e 111, Cost. del combinato disposto degli artt. 511, 514 e 525, comma 2, c.p.p., cosi' come interpretati dalle ss.uu. della Corte di cassazione nella sentenza 15 gennaio-17 febbraio 1999, e, in particolare, nella parte in cui non prevedono che, nel caso si mutamento totale o parziale del giudicante, le dichiarazioni assunte nella precedente istruzione dibattimentale, quando l'esame del dichiarante possa aver luogo e sia stato richiesto da una delle parti, siano utilizzabili per la decisione mediante semplice lettura, dopo l'applicazione degli artt. 190 e 190-bis c.p.p.; Ritenuta la questione non manifestamente infondata, per le seguenti ragioni: le ss.uu. della Corte di cassazione hanno, con la sentenza ricordata in epigrafe, affermato il principio che, indispensabile la rinnovazione del dibattimento per evitare la nullita' assoluta di cui all'art. 525 c.p.p., la testimonianza raccolta dal giudicante nella sua originaria composizione, sebbene ritualmente trasfusa nei verbali agli atti del fascicolo per il dibattimento, non e' utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, quando l'esame del dichiarante possa aver luogo e sia stato (anche solo genericamente) richiesto da una parte; siffatta interpretazione del combinato disposto degli artt. 511, 514 e 525 c.p.p. appare contrastare con i principi costituzionali stabiliti negli artt. 3, 25, 101, 111, innanzitutto alla luce delle argomentazioni svolte nell'ordinanza del Tribunale di Sala Consilina 15 novembre 2004, pubblicata al n. 18 nella Gazzetta Ufficiale del 4 maggio 2005, argomentazioni che, per economia di esposizione, devono essere qui integralmente richiamate; la suddetta interpretazione, comunque, non appare affatto imposta dalla lettera della norma, poiche' la dizione «a meno che l'esame non abbia luogo», con la quale si conclude il capoverso dell'art. 525 c.p.p., non legittima affatto la sola indicazione del caso dell'obiettiva impossibilita' della riassunzione (anzi, appare ultronea, in presenza della specifica previsione dell'art. 512) ma consente la considerazione dell'ipotesi in cui, per qualsiasi motivo, (tra cui l'esercizio dei poteri/doveri stabiliti dagli artt. 190 e 190-bis c.p.p.) non abbia effettivamente luogo; non attiene alle modalita' di introduzione della prova nel processo, sotto il diverso profilo del diritto al contraddittorio nella sua formazione dibattimentale; si risolve, invero, nell'esaltazione dell'oralita' quale apodittico canone e fonte di legittimita' della prova, in un contesto sistematico in cui, per contro, non solo manca alcuna norma che consenta una tale conclusione, ma, addirittura, vi sono plurime, inequivoche e insuperabili indicazioni del carattere solo tendenziale del principio dell'oralita', quali l'incidente probatorio e, soprattutto, il giudizio di appello, in cui il giudice e' assolutamente libero di modificare le valutazioni di attendibilita' e adeguatezza delle prove orali soltanto dopo la mera lettura delle carte contenute nel fascicolo dibattimentale, laddove si pone come ipotesi del tutto eccezionale la rinnovazione dell'istruttoria); una conferma della lettura sistematica qui esposta si trova nel nuovo testo dell'art. 190-bis, comma 1, sostituito dall'art. 3, legge 1° marzo 2001, n. 63, laddove si prevede che, quando le precedenti dichiarazioni siano state assunte nel contraddittorio con la parte nei cui confronti le dichiarazioni stesse saranno utilizzate, «l'esame e' ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla basi di specifiche esigenze»; ne' tale ultima innovazione, che non e' la prima, potrebbe considerarsi quale eccezione a un principio generale di segno opposto: si e', infatti, gia' osservato che l'art. 525, comma 2, c.p.p. non impone affatto la lettura datagli dalle ss.uu. della Corte di cassazione, mentre sarebbe singolare che le eccezioni riguardassero proprio le situazioni di maggiore potenziale delicatezza sotto il profilo probatorio (i casi ex art. 51.3-bis c.p.p.; le situazioni di incompatibilita', astensione e ricusazione in relazione all'art. 1, d.l. 23 ottobre 1996, n. 553, conv. in legge 23 dicembre 1996, n. 652; la composizione monocratica o collegiale del giudice, ex art. 170, d.lgs. 19 febbraio 1998, in forza del quale «l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non determina... l'inutilizzabilita' delle prove gia' acquisite»; l'incompetenza del giudice che ha proceduto, ex art. 26 c.p.p., nel quale, in ossequio al principio della conservazione degli atti processuali, si stabilisce il principio secondo cui le prove assunte nanti il giudice incompetente conservano validita' e efficacia; ). In definitiva, questi ripetuti interventi legislativi vanno interpretati come indicazione univoca e reiterata dell'oggettiva volonta' del legislatore in punto utilizzabilita' degli atti acquisiti al processo, nel rispetto delle norme e, in particolare, del contraddittorio, anche nel caso di mutamento della persona fisica del giudicante, in assenza di una precedente norma contraria e in presenza, quindi, di un vuoto normativo in tale materia, non tenuta presente al momento della redazione del codice del 1998. Sulla scorta delle suddette osservazioni, imporre il riesame del teste, gia' sentito nel pieno rispetto del contraddittorio, in presenza di una richiesta generica e senza l'indicazione specifica di ragioni da sottoporre al vaglio previsto dagli artt. 190e 190-bis c.p.p., sembra contrastare: con l'art. 3 Cost., laddove tale riesame obbligato verrebbe escluso per le situazioni di maggiore rischio per la genuinita' e terzieta' dell'acquisizione delle prove e, invece, imposto in situazioni «fisiologiche» (quale l'occasionale mutamento del giudice per ragioni del tutto estranee alle vicende endoprocessuali), con evidente disparita' di trattamento in situazioni identiche; con gli artt. 25 e 101 Cost., parametri costituzionali che regolano l'esercizio della funzione giurisdizionale consentendo, come gia' insegnato dai Giudici delle leggi, di enucleare anche l'efficienza del processo (intesa quale necessaria attitudine del sistema processuale a conseguire, attraverso meccanismi normativi idonei allo scopo, l'accertamento dei fatti e delle responsabilita) quale bene costituzionalmente tutelato; nella specie, imporre l'integrale ripetizione di tutte le prove orali gia' assunte nella massima pienezza del contraddittorio, senza altra ragione che quella, normativamente non prevista e non ricavabile dal sistema processuale penale quale principio generale indefettibile, del garantire l'oralita' quale mezzo necessario di conoscenza del giudice, si risolve in una palese gratuita inefficienza, tanto piu' che tale riesame non comporta l'interruzione o la sospensione dei termini prescrizionali; con l'art. 111.2 Cost., poiche' l'incombente determina un evidente allungamento della durata del processo, senza che alcuna ragione di tutela di beni e interessi, individuali o collettivi, tutelati costituzionalmente o anche solo da legge ordinaria; lo giustifichi: quindi un allungamento dei tempi di ragionevole durata del procedimento, per causa irragionevole, che ha comportato, per tale motivo, numerose pronunce di condanna dell'Italia da parte della Corte di giustizia europea. Osserva, al riguardo, questo Collegio che la Corte costituzionale ha recentemente statuito, con ordinanza 25 gennaio-9 febbraio 2001, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale suppl. 1ª serie spec. n. 7 del 14 febbraio 2001, che «l'esigenza di garantire la maggior celerita' possibile dei processi deve tendere a una durata degli stessi che sia, appunto, ââragionevole'', in considerazione anche delle altre tutele costituzionali in materia, in relazione al diritto delle parti di agire e difendersi in giudizio garantito dall'art. 24 Cost.; che il legislatore continua quindi a disporre della piu' ampia discrezionalita' in materia, pur essendo vincolato a scelte che non siano prive di una valida ragione, ora anche sotto il profilo della durata dei processi». Nella fattispecie, si impone una ripetizione (che determinerebbe la necessita' di celebrare diverse udienze) di attivita' istruttoria, a fronte dell'assenza di qualunque lesione del contraddittorio, dell'assenza di alcuna sostanziale rilevanza sulla valutazione della prova e dell'assenza di una norma ovvero di un principio sistematico che imponga l'oralita' quale forma indefettibile di conoscenza della prova. La questione qui sollevata, oltre che non manifestamente infondata, sulla scorta delle osservazioni sinora svolte, e' anche rilevante nel presente processo: l'adesione alla giurisprudenza delle sezioni unite comporterebbe, infatti, l'impossibilita' di tener conto delle deposizioni assunte nelle udienze precedenti a quella del 12 gennaio 2006 e, di conseguenza, la totale innovazione dell'istruttoria dibattimentale sino ad allora compiuta, con relativa ingiustificata dilatazione dei tempi di celebrazione del processo.