IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
Ha pronunziato la seguente ordinanza.
   Su1  ricorso  iscritto  al  RG.  1371/2007,  proposto  da Alnizami
Bachchar,  titolare  della  ditta  individuale  «Rosi  Phone Center»,
rappresentato  e difeso dall'avv. Beatrice De Simone e Flavio Cermola
ed  elettivamente  domiciliato  presso  lo  studio dell'avv. Nemni in
Milano,  via  S. Marco n. 23, contro il Comune di Mariano Comense, in
persona  del  sindaco  pro  tempore, rappresentato e difeso dall'avv.
Giuseppe  Franco  Ferrari,  presso  il  cui  studio  in  Milano, c.so
Vittorio   Emanuele   II  n. 15,  e'  elettivamente  domiciliato  per
l'annullamento  dell'ordinanza  di cessazione dell'attivita' di phone
center  sito  in Mariano Comense alla via Montebello n. 68, emessa ai
sensi  e  per  gli  effetti dell'art 10 legge regionale n. 6/2006 dal
responsabile   del   procedimento   area  sportello  unico  attivita'
produttive   del  comune  di  Mariano  Comense;  della  comunicazione
dell'avvio  di  procedimento  notificato  in  data 27 aprile 2007 nei
confronti  del  sig.  Alnizani Bachchar da parte del responsabile del
procedimento;
Sul  ricorso  iscritto al R.G. 1380/2007, proposto da Selouma Mohamed
Omar,  in  qualita'  dell'omonima  ditta individuale, rappresentato e
difeso  dagli avv. Sergio Pezzucchi e Manlio Vicini, ed elettivamente
domiciliato  in  Milano:  via  Visconti  Venosta  2  presso lo studio
dell'avv.  Giorgio Massa; contro il Comune di Muggio', in persona del
sindaco  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Giovanni
Brambilla  Pisoni, presso il cui studio e' selettivamente domiciliato
in   Milano,   via  Visconti  di  Modrone  n. 6,  per  l'annullamento
dell'ordinanza  n. 1/2007 (prot. 13970) di chiusura dell'attivita' di
centro  di  telefonia in sede fissa (phone center) di cui e' titolare
il  ricorrente  in  Muggio',  piazza Garibaldi, 23, emesso in data 10
maggio       2007       dal       Responsabile       del      Settore
Patrimonio-Commercio-Ecologia del Comune di Muggio';
Sul  ricorso  iscritto  al  R.G.  1381/2007,  proposto dalla societa'
General  Store  Market  di Ulhaq Ahtasham & C. S.a.s. in qualita' del
legale  rappresentante  pro tempore rappresentata e difesa dagli avv.
Sergio  Pezzucchi  e  Manlio  Vicini, ed elettivamente domiciliata in
Milano,  via Visconti Venosta n. 2 presso lo studio dell'avv. Giorgio
Bonamassa,  contro  il Comune di Limbiate, in persona del sindaco pro
tempore,    per    l'annullamento    dell'ordinanza   di   cessazione
dell'attivita' di centro di telefonia in sede fissa (phone center) di
cui  e' titolare la societa' ricorrente in Limbiate, viale Dei Mille,
136,  emesso  in  data  15  maggio  2007  dal  dirigente  del settore
Finanziario del Comune di Limbiate;
Sul  ricorso  iscritto  al R.G. 1425/2007, proposto dalla soc. 2K NET
srl   in  persona  del  legale  rappresentante  sig.  Paolo  Columbo,
rappresentata  e difesa dagli avv. Leonardo Bardi, Ettore Marinelli e
Claudio  Casiraghi,  presso  lo  studio  dei  quali  e' elettivamente
domiciliata  in Milano, corso di Porta Romana 78, contro il Comune di
Milano,  in  persona  del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dagli  avv.  Maria  Rita Surano, Antonella Fraschini, Ruggero Meroni,
Elena  Ferradini,  Irma  Marinelli,  Ariberto  Limongelli, Anna Maria
Pavin,   Maria  Sorrenti  e  Donatella  Silvia,  presso  i  quali  e'
elettivamente  domiciliato in Milano, via della Guastalla n. 8, negli
uffici  dell'avvocatura  comunale;  l'Asl  di  Milano, in persona del
direttore  pro  tempore per 1'annullamento del provvedimento n. prot.
441136/2007,  adottato  dal comune di Milano, attivita' produttive in
data  10 maggio 2007, e di tutti gli atti presupposti ivi compreso il
parere reso in fase endoprocedimentale dalla Asl Citta' di Milano;
Sul  ricorso iscritto al R.G. 1426/2007, proposto da Chen Rongmei, in
qualita' dell'omonima ditta individuale, rappresentata e difesa dagli
avv.  Leonardo Bardi, Ettore Marinelli e Claudio Casiraghi, presso lo
studio  dei  quali  e'  elettivamente domiciliato in Milano, corso di
Porta  Romana  n. 78,  contro  il  Comune  di  Milano, in persona del
Sindaco  pro  tempore,  rappresentato  e difeso dagli avv. Maria Rita
Surano,  Antonella  Fraschini,  Ruggero Meroni, Elena Ferradini, Irma
Marinelli,  Ariberto  Limongelli,  Anna Maria Pavin, Maria Sorrenti e
Donatella  Silvia,  presso  i  quali  e' elettivamente domiciliato in
Milano,  via  della  Guastalla  n. 8,  negli  uffici  dell'avvocatura
comunale; l'Asl di Milano, in persona del direttore pro tempore e per
l'annullamento  del  provvedimento n. prot. 464360/2007, adottato dal
Comune di Milano, attivita' produttive in data 14 maggio 2007;
Sul  ricorso iscritto al R.G. 1519/2007, proposto da Naveed Mohammad,
rappresentato  e  difeso  dagli avv. Gianluca Mura e Rosalia Bennato,
presso  lo  studio  dei quali e' elettivamente domiciliata in Milano,
viale  Monte  Nero  n. 53: contro il Comune di Milano, in persona del
sindaco  pro  tempore,  rappresentato  e difeso dagli avv. Maria Rita
Surano,  Antonella  Fraschini,  Ruggero Meroni, Elena Ferradini, Irma
Marinelli,  Ariberto  Limongelli,  Anna Maria Pavin, Maria Sorrenti e
Donatella  Silvia,  presso  i  quali  e' elettivamente domiciliato in
Milano,  via  della  Guastalla  n. 8,  negli  uffici  dell'avvocatura
comunale,  per  l'annullamento  del  provvedimento  n. 464340  del 21
maggio  2007,  adottato  dal  Comune di Milano, con il quale e' stata
disposta  «la  cessazione  immediata  della  sola attivita' di «Phone
Center» (Centro di telefonia in sede fissa) nei locali siti in Milano
via Cenisio n. 37,(...)»;
Sul  ricorso  iscritto  al R.G. 1526/2007, proposto dalla ditta Mukta
Phone  &  Video  Center s.a.s. di Rahaman Mizmur & C., in persona del
legale  rappresentante  sig.  Rahaman Mizanur, rappresentata e difesa
dagli  avv.  Gianluca  Mura  e  Rosalia Bennato, presso lo studio dei
quali e' elettivamente domiciliata in Milano, viale Monte Nero n. 53,
contro  il  comune  di  Milano,  in  persona del sindaco pro tempore,
rappresentato  e  difeso  dagli  avv.  Maria  Rita  Surano, Antonella
Fraschini,  Ruggero Meroni, Elena Ferradini, Irma Marinelli, Ariberto
Limongelli,  Anna  Maria  Pavin,  Maria Sorrenti  e Donatella Silvia,
presso  i  quali  e'  elettivamente  domiciliato in Milano, via della
Guastalla   n. 8,   negli   uffici   dell'avvocatura   comunale;  per
1'annullamento  del  provvedimento n. prot. 441132/2007 del 14 maggio
2007,  adottato  dal Comune di Milano, con il quale e' stata disposta
«la  cessazione  immediata  della  sola  attivita'  di «Phone Center»
(Centro  di  telefonia  in  sede fissa) nei locali siti in Milano via
Gaffurio n. 5, (...)».
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti  gli  atti  di  costituzione  in giudizio delle amministrazioni
civiche intimate;
Viste  le  memorie  prodotte  dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Viste  le  domande  di  sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti
impugnati;
Viste  le  ordinanze  cautelari di accoglimento a termine, relative a
tutti  i  ricorsi in epigrafe, deliberate dalla Sezione alla medesima
Camera   di   consiglio   in   riferimento  alla  presente  questione
costituzionalita';
Visto l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Visti gli atti tutti delle cause;
Uditi  alla  Camera  di  consiglio del 10 luglio 2007 (relatore dott.
Paolo Passoni), i procuratori delle parti presenti come da verbale;
                              F a t t o
I  ricorrenti  sono titolari di phone center preesistenti all'entrata
in  vigore della legge della regione Lombardia 3 marzo 2006 n. 6, con
la  quale  sono  state emanate apposite nome «per l'insediamento e la
gestione di centri di telefonia in sede fissa».
Con  i  provvedimenti  impugnati  (adottati  dai  comuni  di  Milano,
Muggio', Limbiate e Mariano Comense) gli enti civici competenti hanno
adottato,   per   ciascuno  dei  ricorrenti,  ordinanze  di  chiusura
dell'attivita'  di  phone  center  dagli  stessi gestiti, per mancata
conformazione  ai  nuovi requisiti (in prevalenza igienico-sanitari e
di  sicurezza  dei  locali)  disposti dalla predetta legge regionale;
quanto  sopra,  in vincolata applicazione di quest'ultima, la quale -
nel  disporre per gli esercizi preesistenti un termine di adeguamento
annuale  -  ha  altresi' previsto nei casi di infruttuosa scadenza di
tale   termine   la   cessazione   definitiva   dell'attivita'  senza
possibilita'  di  proroghe,  come  da  combinato disposto dell'art. 9
primo comma lettera c) e secondo comma, con l'art. 12.
   In particolare, fra le piu' significative e restrittive novita' in
tema  di requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dei locali che il
Collegio  Ritiene  sospette sul piano costituzionale, si segnalano le
seguenti  testuali  prescrizioni  dell'articolo  8,  primo  comma: un
servizio  igienico  in  uso esclusivo del personale dipendente (lett.
e);  un  servizio  igienico  riservato al pubblico, anche prossimo al
locale  nel  caso di esercizi gia' attivi all'entrata in vigore della
presente  legge,  ma  ad uso esclusivo dello stesso per il locale con
superficie  fino  a  60 metri quadrati (. . .); un ulteriore servizio
igienico  per  il locale di dimensioni superiori (lett. t); spazio di
attesa  all'interno  del  locale di almeno 9 metri quadrati, fino a 4
postazioni  telefoniche,  provvisto  di  idonei sedili posizionati in
modo da non ostruire le vie di esodo, la sala di attesa dovra' essere
aumentata  di 2 metri quadrati ogni postazione, aggiuntiva (lett. h);
ogni  postazione deve avere una superficie minima di 1 metro quadrato
ed essere dislocata in modo da garantire un percorso di esodo, libero
da  qualsiasi  ingombro  ed  avere una larghezza minima di 1,20 metri
(lett.  i). Alla Camera di consiglio del 10 luglio 2007 la Sezione ha
accolto  -  a termine, sino alla pronuncia della Corte costituzionale
sulla   questione   oggetto   della  presente  ordinanza  le  istanze
incidentali  di  sospensiva,  ritenendo  non manifestamente infondate
(nei  sensi  che  verranno  specificati con la presente ordinanza) le
questioni   di  costituzionalita'  prospettate  dai  ricorrenti,  nei
confronti della citata legge regionale n. 6/2006.
                            D i r i t t o
Oggetto  della  presente  questione  di costituzionalita' sono alcune
disposizioni  della  legge  della  regione  Lombardia n. 6/2006 (gia'
indicate  in  narrativa) che ha regolato l'insediamento e la gestione
di  centri  di  telefonia in sede fissa, con disposizioni applicabili
anche   agli  esercizi  (come  nel  caso  degli  odierni  ricorrenti)
preesistenti all'entrata in vigore della legge stessa.
Si  dispone  in  primo luogo la riunione dei ricorsi in epigrafe, per
evidenti  ragioni  di  connessione  oggettiva. Le norme sospettate di
incostituzionalita',  che assumono rilevanza nelle vertenze in esame,
riguardano:
     l'articolo  1  nella  parte in cui riporta la materia oggetto di
trattazione alla legislazione residuale regionale sul commercio;
     l'articolo   4   che   introduce  un  sistema  generalizzato  di
autorizzazione civica per l'esercizio dell'attivita';
     l'articolo  8  nella  parte (comma 1, lett. e, f, h ed i e comma
2), in cui introduce con immediata modifica dei regolamenti vigenti i
nuovi  requisiti  igienico-sanitari  e  di  sicurezza  dei locali, in
connessione  agli  artt.  9,  primo  comma, lett. c) e secondo comma,
nonche'  12,  disposizioni  queste  ultime  che  regolano  il  regime
transitorio  per i vecchi esercizi; cio' in quanto tutte le ordinanze
civiche impugnate - pur con formule differenziate - hanno intimato ai
preesistenti  titolari  degli  esercizi di phone center la cessazione
dell'attivita'  per mancato tempestivo adeguamento ai nuovi requisiti
di  cui  sopra,  il  quale  e' a sua volta di impedimento al rilascio
della  specifica  autorizzazione  richiesta  dall'art. 3 gia' citato,
giusta  il  disposto dell'art. 4, terzo comma, lett. c), con riguardo
al  rilascio  del certificato igienico sanitario di cui al successivo
art. 8.
Le  norme  costituzionali di cui si sospetta la violazione riguardano
l'articolo  117, in relazione ai vincoli dell'ordinamento comunitario
ed  al sistema di riparto delle competenze legislative Stato-Regione;
gli  art.  3 e 41 in relazione, in particolare, ai rilevanti ostacoli
che  le  restrittive  prescrizioni  in  materia  igienico-sanitaria -
introdotte  dalla legge regionale di che trattasi, da applicare anche
retroattivamente   alle   preesistenti   gestioni  di  phone  center,
determinano  sulla liberta' di iniziativa economica di questi ultimi;
nonche' l'art. 15 sulla liberta' di comunicazione.
Dalle esposte premesse emerge, sotto il profilo della rilevanza della
questione  di  costituzionalita',  un  contesto  legislativo che - in
relazione  ai presupposti delle impugnate ordinanze - ha direttamente
determinato  in  modo  cogente  il contenuto lesivo di queste ultime,
senza  lasciare  o consentire alcuna mediazione discrezionale in capo
alle  procedenti  autorita'  amministrative;  le quali, come peraltro
ribadito   nella  circolare  di  chiarimenti  emanata  dalla  regione
Lombardia  (prot.  H1.2006.0027733 del 5 giugno 2006, punto 8), hanno
dovuto emettere i provvedimenti (in tutto vincolati nel contenuto) di
cessazione  immediata  dell'attivita'  alla  scadenza  del perentorio
termine  annuale  fissato,  senza possibilita' di alcuna proroga come
dal gia' citato art. 9 secondo comma, che non annovera tra le ipotesi
di proroga quelle della lettera c) del primo comma. Donde ai fini del
sindacato giurisdizionale sui provvedimenti impugnati, finalizzato al
loro    annullamento,    appare    imprescindibile    la    rimozione
dall'ordinamento  giuridico  delle  predette disposizioni della legge
regionale da parte della Corte costituzionale.
Sul  piano,  ancora,  della  rilevanza,  va  detto  nuovamente che in
relazione  alla  valutazione  di  non  manifesta  infondatezza  della
questione  di  costituzionalita'  delle  indicate  disposizioni della
predetta  legge regionale, la Sezione ha adottato ordinanze cautelari
di  sospensione  dei  provvedimenti  di  cessazione dell'attivita' di
phone  center con efficacia limitata al periodo di tempo necessario a
che la Corte costituzionale si pronunci sulla questione stessa.
Chiarita  la rilevanza della questione, il Collegio intende in primis
evidenziare  a  carico  della  l.r.  n. 6/2006 - quanto all'ulteriore
profilo  della  non  manifesta  infondatezza - la sospetta violazione
dell'art.   117   commi   primo,   secondo,   terzo  e  quarto  della
Costituzione.
L'articolo  1  della  legge  riconduce  la  deliberata normativa «nel
quadro  delle  competenze  della  regione  e dei comuni in materia di
commercio»,  tuttavia  il riferimento a siffatta materia (che rientra
nella  legislazione  residuale  regionale  ex  art. 117, quarto comma
Cost.)  sembra  al Collegio del tutto estranea all'ambito applicativo
della  legge  stessa,  che  ai  sensi  dell'articolo  2, comma primo,
consiste  nell'attivita' di «. . . cessione al pubblico di servizi di
telefonia  in  sede  fissa  in locali aperti al pubblico», secondo le
ulteriori specificazioni illustrate nei successivi commi.
Invero,   tale   attivita'   non   rientra  nella  vendita  di  merci
all'ingrosso  o  al dettaglio secondo quanto previsto dall'art. 4 del
decreto  legislativo  31 marzo 1998 n. 114 («Riforma della disciplina
relativa  al  settore del commercio (. . .)», ne' rientra nei settori
del  commercio definiti dall'art. 39 del decreto legislativo 31 marzo
1998,  n. 112.
Va  detto  piuttosto  che  una  delle  novita' della legge e' proprio
quella  di impedire che all'interno delle strutture di «phone center»
possano  affiancarsi  -  come  in  passato - attivita' commerciali di
supporto, secondo un principio di esclusivita' non condiviso invece -
almeno  dalla  legislazione statale- nella situazione inversa, in cui
la  cessione dei servizi telefonici e telematici puo' ben avvenire in
modo  complementare rispetto ad altre attivita' principali (cfr. art.
7  del  d.l.  27  luglio  2005,  n. 144,  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dall'art.1 della legge 31 luglio 2005, n. 155, che nel
quadro  di una disposta «integrazione della disciplina amministrativa
degli esercizi pubblici di telefonia ed internet», prevede la licenza
del  questore per «chiunque intende aprire un pubblico esercizio o un
circolo   privato  di  qualsiasi  specie,  nel  quale  sono  posti  a
disposizione  del  pubblico,  clienti o dei soci apparecchi terminali
utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche»)
Le  uniche  attivita'  commerciali  consentite  dalla legge regionale
6/2006,   che   riguardano   la   vendita  di  schede  telefoniche  e
l'installazione  di  distributori  automatici  di bevande ed alimenti
(cfr.  art.  2  comma  secondo,  lettera b e comma 3) all'interno dei
phone   center,  non  sono  oggetto  della  specifica  autorizzazione
richiesta dalla legge e rivestono carattere apertamente occasionale o
eventuale e quindi del tutto marginale.
   L'attivita'  terziaria  in esame sembra, invece, piu' propriamente
riportabile  alla  materia dell'ordinamento delle comunicazioni (art.
117,  terzo comma, Cost. con legislazione concorrente Stato-regione),
ascrivendosi   piu'  specificamente  al  «servizio  di  comunicazione
elettronica», categoria introdotta dall'art. 2 par. 1, lett. c) della
dir.  7  marzo 2002 n. 2002/21/CE, con conseguente applicazione della
disciplina  di  derivazione  comunitaria  (comprensiva altresi' delle
direttive  2202/19/CE,  2002/20/CE  e  2002/22  CE), complessivamente
recepita con il cd. codice delle comunicazioni elettroniche di cui al
decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259. Di particolare pertinenza
ai  casi  di  specie  appaiono  del  resto  le  definizioni  mirate a
delimitare  il  campo  di  applicazione del decreto medesimo ai sensi
dell'articolo  1  comma  1,  con  peculiare riguardo alla lettera bb)
(«rete  telefonica  pubblica:  una  rete di comunicazione elettronica
utilizzata  per  fornire servizi telefonici accessibili al pubblico»)
ed  alla  lettera  oo)  («telefono  pubblico  a  pagamento: qualsiasi
apparecchio  telefonico  accessibile  al  pubblico,  utilizzabile con
mezzi  di pagamento che possono includere monete o carte di credito o
di  addebito  o  schede  prepagate,  comprese le schede con codice di
accesso»).
   La rilevata derivazione europea di tale normativa comporta poi che
la  materia  ivi  trattata (ordinamento delle comunicazioni) vincola,
anche  con riguardo al rispetto del principio di proporzionalita', la
regione,  non  solo  ai  sensi  dell'articolo 117 terzo comma entro i
limiti  della legislazione statale di principio, ma piu' in radice ai
sensi  dell'articolo  117,  primo comma, secondo cui ogni legge della
Repubblica  deve  conformarsi  ai  «vincoli  derivanti dagli obblighi
comunitari».  In via strettamente consequenziale, il rispetto di tali
disposizioni  finisce  poi  per  impingere  su profili trasversali di
legislazione  esclusiva statale ex art. 117, secondo comma Cost., con
specifico  riguardo  alla  tutela della concorrenza (lett. e) nonche'
alla  determinazione  (e  salvaguardia)  dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale  (lett.  m), anche in
conformita'  all'interesse generale che connota tali servizi ai sensi
dell'art. 3 del citato decreto.
In  proposito,  va  altresi'  evidenziato il disposto del primo comma
dell'art.  3, il quale garantisce i «diritti inderogabili di liberta'
delle  persone  nell'uso  dei mezzi di comunicazione elettronica» con
espresso  richiamo a quel regime di (libera) concorrenza che rinforza
il   legame  dell'attivita'  in  questione  alla  «materia  funzione»
devoluta alla legislazione esclusiva statale.
Inoltre,  i  principi  di  derivazione  comunitaria  e costituzionale
risultano  espressamente  ribaditi  dall'art.  4 del medesimo decreto
legislativo,  il quale prevede al primo comma che la disciplina delle
reti   e   dei   servizi   e'   volta   a   salvaguardare  i  diritti
costituzionalmente  garantiti di «liberta' di comunicazione», nonche'
di  «liberta'  di  iniziativa  economica e suo esercizio in regime di
concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di
comunicazione    elettronica   secondo   criteri   di   obiettivita',
trasparenza, non discriminazione e proporzionalita» (sul punto, Corte
costituzionale 236/2005).
Il  terzo  comma  dello  stesso  art.  4 dispone, tra l'altro, che la
suddetta  disciplina  e' volta anche a «promuovere la semplificazione
dei  procedimenti  amministrativi  e  . la partecipazione ad essi dei
soggetti  interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive,
non  discriminatorie  e  trasparenti  nei confronti delle imprese che
forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica».
Puntualizzato quanto sopra, va poi affermato che la norma regionale -
nella   sua   unilaterale   iniziativa  di  regolazione  del  settore
(erroneamente  riportato  al  commercio)  -  ha  introdotto un regime
autorizzativo  ulteriore  e duplicativo rispetto al sistema delineato
in   sede   comunitaria   e   recepito  con  il  decreto  legislativo
n. 259/2003.
Ed  invero,  tornando al comma 2 dell'articolo 3 di tale decreto, ivi
si  prevede  che  «la  fornitura  di  reti e servizi di comunicazione
elettronica,  che e' di preminente interesse generale, e' libera e ad
esse  si  applicano  le  disposizioni  del  Codice»,  fatte  salve al
successivo comma «le limitazioni derivanti da esigenze della difesa e
della  sicurezza  dello  Stato, della protezione civile, della salute
pubblica   e  della  tutela  dell'ambiente  e  della  riservatezza  e
protezione  dei  dati  personali, poste da specifiche disposizioni di
legge  o  da  disposizioni  regolamentari  di  attuazione»  (testuali
concetti  sono poi ribaditi nell'articolo 25 comma primo dello stesso
decreto).
A  fronte  della  conclamata  liberta'  di  fornitura  dei servizi di
comunicazioni  elettronica  (ivi compresi - come sopra visto - quelli
connessi  all'esercizio  di  un phone center), il decreto legislativo
259/2003  prevede  poi  che  l'espletamento  di  tali  servizi  venga
subordinato  ad  una  (sola) «autorizzazione generale», in rigoroso e
vincolato  recepimento  della  normativa europea. In particolare tale
autorizzazione  viene  definita dall'art. 1, comma 1, lettera g) come
«il regime giuridico che disciplina la fornitura di reti o di servizi
di  comunicazione  elettronica...  » e consegue alla presentazione di
una   dichiarazione   dell'interessato  (a  seguito  della  quale  e'
possibile  iniziare  l'attivita) contenente l'intenzione di procedere
alla fornitura (art. 25, comma 3); il potere del Ministero competente
di   vietare   il   prosieguo  dell'attivita'  medesima  puo'  essere
esercitato  «entro  e  non  oltre»  sessanta giorni secondo il modulo
procedimentale  della  dichiarazione di' inizio attivita' ex art. 19,
legge  241/1990,  espressamente richiamato dalla norma in esame (art.
25,  comma  4, cfr. anche delibera n. 467/00/CONS con cui l'Autorita'
per  le  Garanzie  nelle comunicazioni ha disciplinato il rilascio di
tali autorizzazioni generali per uniformarne il contenuto).
Pur  a  fronte  di  tali  vincolanti previsioni - che la legislazione
regionale  non e' legittimata ad alterare, ai sensi dei primi 3 commi
dell'art.  117  Cost  -  la  legge  lombarda  ora  in esame ha invece
introdotto un ulteriore titolo abilitativi, disponendo in particolare
all'art.  3,  comma 1 che «l'esercizio della attivita' di cessione al
pubblico  del  servizio  di  telefonia  in sede fissa e' assoggettato
all'autorizzazione  di  cui all'articolo 4», al cui rilascio provvede
il   comune   competente  per  territorio.  Trattasi  dunque  di  una
previsione  che  sembra  al  Collegio  comunque alterare il regime di
sostanziale  liberta'  di fornitura de quibus cosi' come delineato in
via  primaria  dall'ordinamento  comunitario  in  via attuativa dalla
norma   statale   di   recepimento,   con   conseguenti  aggravamenti
procedimentali  vietati  dai  citati  articoli  3  e  4  del  decreto
n. 259/2003.  Quanto  sopra viene peraltro a determinare una sospetta
lesione  dei  principi  di  libera  concorrenza e di salvaguardia dei
livelli  essenziali  di prestazioni di interesse generale connesse ai
diritti  inderogabili  dell'individuo,  ivi  compresa  la liberta' di
comunicazione  garantita  dall'art.  15 cost., proprio ai sensi delle
citate  definizioni  legislative  ex  art.  3 del decreto legislativo
n. 259/2003 (sul cui ruolo di garanzia rispetto a tali principi si e'
espressa  la  Corte con la segnalata pronuncia n. 336/2005). Inoltre,
anche nel caso in cui la funzione autorizzatoria introdotta dall'art.
4  della legge regionale n. 6/2006 dovesse intendersi riferita (solo)
agli  interessi  pubblici  strumentali all'attivita' di comunicazione
elettronica  (nel  quadro delle citate «limitazioni» a tale attivita'
previste  e  consentite  dagli  artt.  3 e 25 del decreto legislativo
n. 259/2003),  resta il fatto che anche siffatte limitazioni sembrano
afferire  a  materie  comunque  (tutte)  estranee  a  quella potesta'
legislativa  residuale ex art. 117, quarto comma Cost. che la Regione
Lombardia ha invece inteso nella specie esercitare.
Basti pensare:
     alle esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato ed alla
tutela   dell'ambiente   (legislazione  esclusiva  statale  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera d);
     alle   esigenze  di  protezione  civile  e  di  salute  pubblica
(legislazione concorrente ex art. 117, terzo comma).
Va  poi  precisato  che  anche  le  limitazioni  di  tipo edilizio od
urbanistico   (peraltro   non  espressamente  comprese  nella  citata
elencazione  di  cui  agli  artt.  3  e  25  del  decreto legislativo
n. 259/2003)  sono subordinate alla concorrenza legislativa di poteri
Stato-Regioni sotto la voce del «governo del territorio» ai sensi del
citato terzo comma dell'art. 117 Cost.
Inoltre, le problematiche connesse alla riservatezza e protezione dei
dati  personali  (queste  ultime invece espressamente previste fra le
limitazioni  di cui sopra) sono state gia' considerate e regolate dal
legislatore  statale  nel quadro delle esigenze di sicurezza pubblica
con   il   citato   decreto-legge   27  luglio  2005  recante  «nuove
disposizioni  antiterrorismo  per  gli  internet  point ed i pubblici
esercizi  che  mettano  a  disposizioni  del  pubblico postazioni per
comunicazioni telematiche», convertito nella legge n. 155/2005.
Sulla  illegittimita' costituzionale di quelle legislazioni regionali
che  -  nella  presente  materia  delle  comunicazioni elettroniche -
aggiungono  fasi  autorizzatorie  comunque  denominate  rispetto alle
procedure   abilitative  gia'  contemplate  nel  decreto  legislativo
n. 259/2003,  si  richiama  al  riguardo  la  recente pronuncia della
Consulta  n. 129/2006,  che  -  seppure  in  relazione  alla  diversa
problematica  delle  installazioni  di torri e tralicci - ha comunque
censurato  l'art.  27,  comma  1,  lettera  e)  della  l.r. Lombardia
n. 12/2005,  per  aver  previsto  la necessita' di un titolo edilizio
ritenuto  ulteriore  e  superfluo  rispetto  alle procedure delineate
nell'articolo  87  del  decreto  legislativo;  cio'  in  quanto  - ha
Osservato   testualmente  la  Corte  con  esternazioni  di  principio
applicabili  al  caso  di specie - «... la tutela del territorio e la
programmazione  urbanistica sono salvaguardate dalle norme statali in
vigore  ed  affidate proprio agli enti locali competenti, i quali, al
pari  delle  regioni  (sentenza n. 336 del 2005), non vengono percio'
spogliati  delle  loro attribuzioni in materia, ma sono semplicemente
tenuti  ad  esercitarle  all'interno dell'unico procedimento previsto
dalla  normativa  nazionale,  anziche'  porre  in  essere un distinto
procedimento»  (con  conseguente  violazione dei principi generali di
semplificazione  della legislazione statale in materia di governo del
territorio).
La  violazione  dell'articolo  117  Cost.  sembra  peraltro  assumere
connotati  sostanziali,  anche  al di la' dell'erronea qualificazione
formale  della  materia  trattata,  e  cio'  non solo in relazione ai
settori  regolati  dalla  legge  regionale,  ma  di appartenenza alla
legislazione statale esclusiva (ove il contrasto «sostanziale» con il
precetto  costituzionale  si  manifesta  in  re  ipsa con il semplice
intervento   legislativo   della   Regione).  Anche  nel  caso  delle
fattispecie  concorrenti,  infatti,  la  normativa  in esame non pare
essersi   correttamente   inserita   nei  principi  generali  di  una
legislazione  statale  che - dopo aver garantito all'attivita' in se'
considerata  un  trattamento semplificato improntato alla liberta' di
comunicazione  voluta  anche  dall'unione  europea - si e' limitata a
prevedere  per  i  soli «internet point» disposizioni speciali per la
sicurezza  dello  Stato,  senza l'introduzione di altri regimi ad hoc
(igienico-sanitari   ed   urbanistici)  diversi  e  piu'  restrittivi
rispetto a quelli gia' in vigore per gli altri esercizi connessi alle
attivita' terziarie. In relazione ai requisiti igienico sanitari e di
sicurezza  dei  locali,  va  poi  rammentato  che  la legge regionale
dispone  contenuti  di  dettaglio  che integrano in modo automatico e
simultaneo  tutti i regolamenti di igiene delle autorita' sanitarie e
dei comuni in territorio lombardo (art. 8, comma 2), e cio' senza che
la  legislazione statale di riferimento consenta, all'interno di tale
regolamentazione   locale,   l'inserimento   eteronomo  di  contenuti
dispositivi   e  di  dettaglio  direttamente  prestabiliti  da  leggi
regionali (cfr. art. 344 TULS).
Va   ancora   osservato   sul  punto  che  le  prescrizioni  previste
dall'ordinamento  statale,  si  limitano  a  stabilire una disciplina
generale  quanto  ai  requisiti di agibilita' dei locali destinati ad
attivita' economiche, la quale rimanda alle norme edilizie e igienico
sanitarie  contenute  in  prevalenza in fonti normative secondarie, e
non  contiene  comunque prescrizioni cosi' restrittive per gli indici
igienico-sanitari  regolati  specificamente  dalla legge regionale de
qua,  neanche  per  i  locali  ove  vi  e' maggiore concentrazione di
persone  per  un  tempo di permanenza maggiore (come teatri, cinema o
nei locali ove viene svolta attivita' di somministrazione di alimenti
e  bevande).  Donde  la  necessita'  che  la  competenza  legislativa
concorrente  delle Regioni venga esercitata nel rispetto dei principi
fondamentali  di  cui  all'art.  3  (con  particolare  riguardo  alla
rimozione  degli ostacoli di ordine economico e sociale limitativi di
fatto  della liberta' e l'uguaglianza dei cittadini) e 41 della Carta
fondamentale,  nonche'  di  quello, di derivazione comunitaria, della
proporzionalita' (insito, come gia' detto, nel riferimento ai vincoli
derivanti  dall'ordinamento  europeo  contenuto  nell'art. 117, primo
comma),  secondo il quale, com'e' noto, una misura e' conforme a tale
principio soltanto allorche' il mezzo adoperato si rilevi non tanto e
non  solo  «idoneo»  a  consentire  il  raggiungimento dell'obiettivo
desiderato,  ma anche «necessario» nel senso dell'indisponibilita' di
altra   misura  egualmente  efficace  e  tale  da  incidere  il  meno
negativamente  possibile  nella  sfera del destinatario, ossia da non
essere  «intollerabile».  In sostanza un giudizio di proporzionalita'
basato ex ante sulla valutazione comparativa tra mezzo e fine.
   Infine,  sempre  in  relazione ai requisiti igienico-sanitari e di
sicurezza  dei  locali  ex  art.  8 della legge (sempre con specifico
riguardo  alle  voci  ivi  rubricate  alle lettere e, f, h, i, meglio
descritte  in  narrativa),  il  Collegio  Ritiene  che  la  questione
presenti  profili  di non manifesta infondatezza anche nella parte in
cui la stessa l.r. n. 6/2006 dispone l'applicazione retroattiva delle
rigorose  nuove  disposizioni,  senza  delineare  la  possibilita' di
proroghe  (pur  non  automatiche, ma discrezionali e da valutare caso
per  caso)  per  consentire  agli esercizi preesistenti di continuare
l'attivita',  nonostante  la  vana  scadenza  del  termine annuale di
adeguamento.
Secondo  consolidata  giurisprudenza costituzionale (da. ultimo Corte
cost. sent. n. 156/2007), la possibilita' del legislatore di incidere
con  norme  retroattive  su  situazioni sostanziali ormai radicate da
leggi   precedenti,   resta   subordinata   al   rigoroso  vaglio  di
razionalita'  del nuovo regolamento di interessi che modifica ex post
quello preesistente.
Ritiene  il  Collegio  che  nella specie non sussista (a parte quanto
gia'  evidenziato  sotto il profilo della proporzionalita) una sicura
rispondenza   dello   ius   superveniens  a  sufficienti  criteri  di
ragionevolezza,   in  relazione  alle  modalita'  con  cui  la  nuova
normativa  incide  sui  giustificati  affidamenti  dei  titolari  dei
preesistenti  esercizi di phone center, e cio' in sospetta violazione
dei principi di parita' di trattamento ex art. 3 Cost.
La  prescrizione infatti di un cosi' nuovo e piu' impegnativo assetto
strutturale  e  funzionale  dei  locali  strumentali allo svolgimento
dell'attivita'  determina,  in  capo  a  coloro  che  gia'  gestivano
quest'ultima  in  regime  di regolarita' amministrativa, una serie di
obblighi  conformativi  razionalmente  inesigibili durante il (breve)
periodo  annuale  concesso dalla legge, anche in considerazione della
necessita'  di  procedere  a  lavori strutturali ed edilizi dal costo
elevato   e  spesso  non  realizzabili  per  l'inidoneita'  oggettiva
derivante  dall'area  disponibile  dei  locali e quindi anche laddove
l'esercente     l'attivita'    voglia    adeguarvisi.    La    stessa
rilocalizzazione  ipotizzata  dalla  norma - oltre a non esser subito
praticabile  in  assenza  della  formalizzazione  di  nuovi strumenti
urbanistici  chiamati  ad  individuare  le  relative aree (cfr. terzo
comma,  art.  98-bis  della  l.r. 12 del 2005, introdotto dall'art. 7
della l.r. n. 6 del 2006) - non sembra certo rappresentare un rimedio
semplice ed efficace all'abbandono - spesso obbligato - dei locali di
origine,  in  considerazione  delle  difficolta'  di  reperimento, in
adiacenza  o  prossimita'  allo  stesso  edificio,  di nuovi locali e
comunque della perdita di avviamento che deriverebbe dalla necessita'
di  un  trasferimento  dell'attivita' stessa una volta possibile, con
l'approvazione    del    previsto   piano   urbanistico,   riallocare
l'esercizio.  Quanto sopra, in aggiunta (donde un autonomo profilo di
non  manifesta  infondatezza  valutabile in  base ai canoni del comma
primo   dell'art.  3  Cost.),  al  non  indifferente  maggiore  onere
economico,  che potrebbe risultare insostenibile per i soggetti privi
di   adeguati  mezzi  economici;  quanto  sopra  potrebbe  facilmente
determinare l'abbandono delle relative attivita' a tutto vantaggio di
nuovi  operatori  aventi maggiori disponibilita' d'investimento che -
potendo  organizzare  ex ante l'attivita' secondo le regole vigenti -
verrebbero    a    trovarsi    in   una   situazione   concorrenziale
(ingiustamente) privilegiata da abbandoni di massa delle preesistenti
gestioni,  con  riverberi  dannosi  per  gli utenti privi di una piu'
ampia  scelta,  con  forte  rischio  di  tariffe meno vantaggiose. Le
delineate  -  e  non  improbabili - conseguenze fattuali delle citate
disposizioni  finirebbero  pertanto  per  incidere,  oltre  che sulla
rilevata  disparita'  di  trattamento  ex  art.  3 Cost., anche sulla
liberta'  di'  iniziativa  economica  privata  garantita dall'art. 41
Cost.,  con  riverberi  lesivi sotto altro profilo della tutela della
concorrenza garantita dall'ordinamento europeo.
   Sulla base delle esposte considerazioni si Ritiene rilevante e non
manifestamente   infondata   e   si   solleva,   pertanto,  ai  sensi
dell'articolo   23   della  legge  11  marzo  1953  n. 87,  questione
costituzionalita'  degli artt. 1, 4, 8 (comma 1, lett. e, f, h ed i e
comma  2),  9  (comma 1, lett. c e comma 2), nonche' 12, della l.r. 3
marzo  2006  n. 6,  in  relazione  agli  artt.  3, 15, 41 e 117 della
Costituzione.