Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario) e degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 2 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), promosso dal Giudice relatore del Tribunale di Napoli, nel procedimento civile vertente tra R. M. e il San Paolo Banco di Napoli s.p.a. ed altro, con ordinanza del 18 maggio 2006 iscritta al n. 378 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2007. Udito nella Camera di consiglio del 12 dicembre 2007 il giudice relatore Francesco Amirante. Ritenuto che, nel corso un giudizio promosso da un privato nei confronti di un istituto di credito per la dichiarazione di nullita' di alcuni documenti di investimento in titoli azionari, il Giudice relatore del Tribunale di Napoli ha sollevato, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario), «nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di primo grado in materia societaria, non indica i principi e criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare le scelte del legislatore delegato» e, «per derivazione», degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 2 della legge 3 ottobre 2001, n. 366); che il giudice a quo ricorda, innanzitutto, che l'art. 76 Cost. stabilisce che la delega delle funzioni legislative al Governo non puo' avvenire se non con la determinazione di principi e criteri direttivi, per un tempo limitato e con definizione dell'oggetto; che, dopo aver trascritto il testo dell'impugnato art. 12 ed averne estrapolato i principi e criteri direttivi, il remittente osserva come, con tale disposizione, il legislatore si sia limitato ad indicare le materie nelle quali il Governo poteva intervenire, l'obiettivo di rendere piu' rapida ed efficace la definizione dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e materia, la tendenziale collegialita' del procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti in sede di tentativo di conciliazione e di dettare regole atte a favorire la riduzione dei termini e la concentrazione del procedimento; che siffatta delega, pero', «non ha indicato, con sufficiente determinazione, i principi ed i criteri direttivi» ai quali il legislatore si sarebbe dovuto attenere, in quanto l'art. 12 in esame non ha fornito alcuna indicazione in ordine allo schema processuale da adottare, sicche' il legislatore e' stato lasciato libero di creare un nuovo modello processuale che esula completamente dallo schema del procedimento ordinario disciplinato dal codice di procedura civile; che il legislatore delegato, quindi, «in forza di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione di criteri direttivi, ha potuto creare una disciplina interamente nuova per il processo societario di cognizione», cosi' prefigurando ed anticipando, in pratica, il nuovo rito ordinario quale risulta dal testo della Commissione ministeriale per la riforma del processo civile; che proprio tali connotati della legge delega fanno si' che essa sia in contrasto con il parametro costituzionale invocato, il che impone - ad avviso del giudice a quo - di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366 del 2001 e, «per derivazione», degli articoli da 2 a 17 del d.lgs. n. 5 del 2003; che detta questione sarebbe rilevante perche' dall'esito della decisione di questa Corte dipende l'applicabilita' dell'intera disciplina impugnata alla controversia in corso; che, in via subordinata, il Giudice relatore del Tribunale di Napoli ha sollevato d'ufficio, sempre in riferimento all'art. 76 Cost., questione di legittimita' costituzionale degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003, «perche' difformi dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge di delega n. 366 del 2001»; che il remittente rileva come, per evitare il sospetto di incostituzionalita' della legge delega, questa debba necessariamente essere interpretata nel senso che il legislatore delegante, indicando il principio di «concentrazione del procedimento», abbia fatto riferimento alle scansioni previste nel processo ordinario, che si svolge attraverso la successione di piu' udienze fisse ed obbligatorie (artt. 180, 183, 184, 189 c.p.c.), sicche' «la generica indicazione del legislatore delegante del principio di riduzione dei termini processuali» avrebbe dovuto (e potuto) essere riempita di contenuto dal legislatore delegato solo attraverso la riduzione dei termini previsti nel giudizio di cognizione ordinario; che solo una simile lettura, «estremamente riduttiva e per questo proposta in via subordinata rispetto all'altra, dei principi fissati dal legislatore delegante» sarebbe idonea a fugare i sospetti di illegittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366 del 2001, risultando pero' evidente, in questo modo, l'illegittimita' costituzionale degli articoli da 2 a 17 del d. lgs. n. 5 del 2003, emanati eccedendo i limiti della delega contenuta nell'art. 12 della legge n. 366 del 2001; che anche detta questione, secondo il remittente, sarebbe rilevante, per le stesse ragioni indicate nella motivazione della questione proposta in via principale. Considerato che questa Corte - gia' investita del vaglio di costituzionalita' di identiche questioni, sollevate dal medesimo giudice - ne ha dichiarato la manifesta inammissibilita', escludendo (considerate le modalita' e le argomentazioni con le quali sono state prospettate) l'asserito nesso di subordinazione logico-giuridica della seconda rispetto alla prima ed affermando, invece, la radicale contraddizione tra l'interpretazione subordinata, esposta dal remittente a sostegno della legittimita' della legge di delega (da esso compiutamente argomentata e quasi suggerita alla Corte), e la diversa lettura della medesima norma premessa alla questione principale (ordinanze n. 209 e n. 360 del 2006, n. 70 e n. 343 del 2007); che anche le presenti questioni (sollevate in modo identico alle precedenti) presentano gli stessi difetti di prospettazione, in quanto il remittente non solo non adempie l'obbligo di ricercare un'interpretazione costituzionalmente orientata di ciascuna delle norme impugnate, ma propone, nel medesimo contesto motivazionale, due opzioni ermeneutiche sostanzialmente alternative, cosi' inammissibilmente demandando alla Corte la scelta fra queste; che, inoltre, va anche richiamato l'indirizzo gia' espresso da questa Corte (si veda la sentenza n. 321 del 2007) secondo il quale la legittimazione del giudice relatore a sollevare questioni di legittimita' costituzionale, nella specifica situazione dei giudizi assoggettati al nuovo rito societario riservati alla competenza del collegio, incontra precisi limiti; che la questione, pertanto, e' manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.