IL GIUDICE DI PACE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 5881/04 del Ruolo Generale Affari Civili dell'anno 2004, tra Sabbatino Vincenzo, rappresentato e difeso dagli avvocati Salvatore Caligiuri e Alessandro Indipendente, presso cui elettivamente domicilia in Gragnano, alla via Vittorio Veneto n. 146, giusta procura alle liti, attore e Comune di Gragnano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo Cirillo e Michele di Martino, elettivamente domiciliato presso la Casa comunale, giusta procura alle liti, convenuto. Letti gli atti di causa; Considerato che: con atto di citazione ritualmente notificato, il signor Sabbatino Vincenzo, quale titolare del contratto n. 11767 per la fornitura d'acqua potabile, conveniva in giudizio, dinanzi a questo ufficio, il Comune di Gragnano, in persona del Sindaco pro tempore, per sentirlo condannare - previa dichiarazione di non debenza - alla restituzione della somma pagata pari ad euro 36,00, per canone di depurazione delle acque reflue per l'anno 2001, maggiorata degli interessi e rivalutazione monetaria, per mancanza della prestazione e spese vinte. Sosteneva in diritto l'attore che in base al disposto dell'art. 31, comma 28, legge 23 dicembre 1998, n. 448 a decorrere dal 1° gennaio 1999 il corrispettivo dei servizi di depurazione (e fognatura) costituendo «quota tariffa» ai sensi degli artt. 13 e segg. legge 5 gennaio 1994, n. 36, aveva perso la connotazione tributaria e rappresentava il parziale corrispettivo di una prestazione complessa correlata all'approviggionamento idrico, civilisticamente ricollegabile alla disciplina del contratto di somministrazione; aggiungeva che piu' specificamente il canone di depurazione rappresentava quota tariffa del cosiddetto «servizio idrico integrato» istituito dalla legge «Galli», ossia dell'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acque ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue; tale assunto era avvalorato dall'art. 6, comma 13, legge n. 133/1999, in quanto statuendo che «le somme dovute per i servizi di fognatura e depurazione resi dai comuni fino al 31 dicembre 1998 e riscosse successivamente alla predetta data non costituiscono corrispettivo agli effetti dell'IVA», escludeva l'applicazione di una imposta che colpiva la cessione di beni e la prestazione di servizi, stante la natura tributaria che il canone aveva avuto fino alla data del 31 dicembre 1998. Deduceva, ancora l'attore, che esisteva la giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria in quanto, come peraltro confermato da diverse pronunce della Cassazione ss.uu. (ex plurimis Cass., ss.uu., n. 8522/02) a seguito della introduzione del d.lgs. n. 258/2000 (di correzione ed integrazione del precedente d.lgs. n. 152/1999) e, piu' specificamente, a seguito dell'introduzione dell'art. 24 del cennato d.lgs n. 258/2000 di modifica ed integrazione dell'art. 62, d.lgs. n. 152/1999, a partire dal 3 ottobre 2000 il canone di depurazione aveva perso la propria natura tributaria, sicche', dalla suddetta data, esso aveva la giurisprudenza del giudice ordinario, confermata dalla pronuncia della S.C. a ss.uu. con sentenza n. 8522/02, aveva affermato il principio che a partire dal 3 ottobre 2000, il canone di depurazione perdeva la natura tributaria, sicche', dalla suddetta data, assumeva valore di corrispettivo di diritto privato. Soggiungeva l'attore che il canone di depurazione presupponeva, in forza del vincolo sinallagmatrico che lega le parti nel contratto di somministrazione, l'effettiva fruizione del servizio e che in assenza di tale fruizione, nella chiara configurazione sia di un inadempimento contrattuale che dei presupposti per la risoluzione per inadempimento limitatamente a singole coppie di prestazioni, il somministrato aveva diritto alla restituzione della somma pagata al convenuto per il servizio di depurazione. Tale elementare principio di diritto privatistico, proseguiva l'attore, era stato fatto proprio anche dalla giurisprudenza tributaria, menzionando all'uopo la sentenza n. 319/2001 della Commissione tributaria di Milano, nella quale veniva statuito che «nessuno e' tenuto al pagamento di un tributo quale corrispettivo di un. servizio non reso e non ha rilievo sostenere che il corrispettivo sarebbe comunque dovuto per la raccolta di fondi per attirare detto servizio in futuro». E, secondo l'attore, per quanto esposto, il versamento del canone in questione rappresentava un indebito pagamento, ripetibile ex art. 2033 e segg. del codice civile. Chiedeva, pertanto, l'attore che la Giustizia adita accertasse per l'anno 2001, la non debenza della quota del servizio idrico integrato corrispondente al canone di depurazione delle acque reflue e che, per l'effetto, il comune convenuto, nella qualita' di diretto gestore dei servizi idrici, venisse condannato alla restituzione delle somme pagate a tale titolo. Costituitosi tempestivamente in giudizio, il Comune di Gragnano sollevava in via preliminare, il proprio difetto di legittimazione passiva, asserendo che i suoi compiti erano limitati solo alla riscossione del canone in questione per conto della Regione Campania, alla quale venivano versati i corrispettivi incassati. Sosteneva nel merito che, a norma dell'art. 14, comma 1 della legge n. 36/1994 (legge Galli), il canone di depurazione era, comunque, dovuto anche in assenza dei relativi impianti. Concludeva, quindi, per il rigetto della domanda attorea in quanto infondata. All'udienza del 1° febbraio 2005, il giudice di pace, si riservava sul difetto di legittimazione del comune e sulla richiesta di parte attrice di sollevazione della questione di legittimita' costituzionale. E con Ordinanza emessa il 22 marzo 2005, fuori udienza, sospendeva il giudizio, in attesa della pronuncia da parte della Consulta sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, sollevata da altro giudice, facente parte dell'ufficio, in un giudizio analogo. Successivamente, con ordinanza n. 262/2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 12 luglio 2006, la Corte costituzionale disattendeva la questione per manifesta infondatezza, a causa della insufficiente descrizione della fattispecie posta alla sua attenzione. Cessata la causa della sospensione, su istanza, ex art. 297 del codice di procedura civile, depositata in cancelleria in data 30 gennaio 2007, il giudice fissava l'udienza del 22 marzo 2007 per la prosecuzione della causa. Nel corso della predetta udienza, il giudice di pace si riservava sul difetto di legittimazione passiva e sulla richiesta di parte attrice di sollevazione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, come modificato dall'art. 28, legge n. 179/2002. Con il presente provvedimento, sciogliendo la riserva, il giudice adito, vagliate approfonditamente le motivazioni della richiesta attorea nonche' le deduzioni del Comune, I) Dichiara la competenza del giudice ordinario in ordine alla competenza per materia. Per potere individuare il giudice competente per materia e' necessario rifarsi ai principi generali. E secondo tali principi e' funzionalmente competente il giudice cui la legge, vigente all'epoca dell'introduzione del processo, attribuisce tale potere. Cio' premesso questo giudicante ritiene che la domanda dell'attore, - riferita al canone di depurazione delle acque reflue dell'anno 2001, - alla data del 22 dicembre 2004 (data di iscrizione della causa nel ruolo generale) e' stata correttamente proposta dinanzi al giudice di pace, in quanto in tale periodo sussisteva la giurisdizione del AGO. Infatti, in applicazione del d.lgs. n. 258/2000, la S.C., con sentenza resa a sezioni unite n. 8522/02, chiariva che a partire dal 3 ottobre 2000, il canone di depurazione, avendo perso la natura tributaria, assumeva valore di corrispettivo di diritto privato. Tale normativa e' rimasta certamente vigente fino alla data di entrata in vigore della legge n. 248/2005 del 2 dicembre 2005, di conversione del d.l. n. 203 del 30 settembre 2005, che ha nuovamente attribuito alla Commissione tributaria la giurisdizione da decidere le controversie relative ai canoni di fognatura e depurazione. Ne consegue che nel caso di specie - anno di riferimento: 2001 - la materia rientra nella competenza del giudice ordinario. II) Dichiara la legittimazione passiva del Comune di Gragnano, visto che esso all'epoca dei fatti di causa (anno 2001) era il diretto gestore del servizio idrico integrato. Dagli atti di causa, inoltre, emerge che il comune convenuto ha proceduto, (fatto pacifico tra le parti) alla riscossione del canone di depurazione dall'attore mediante emissione della fattura di pagamento, proprio in qualita' di titolare della pretesa creditoria; nel contempo III) Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36/1994, nella sua formulazione originaria, nella parte in cui stabilisce che «La quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione e' dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. I relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione». Rilevanza della questione In primis, si ribadisce che il giudice rimettente ritiene di essere competente a sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, nel testo originario, in relazione alla sussistenza della giurisdizione ordinaria nell'anno 2001 per la lite introdotta dall'attore nell'anno 2004. E cio' sia per i principi esposti sub capo I) e sia per l'ulteriore principio sancito dalla S.C. secondo cui «Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario e non piu' quella delle commissioni tributarie, ogni qualvolta la lite giudiziaria sia relativa alla non debenza o alla restituzione del canone di depurazione per un periodo successivo al 3 ottobre 2000, sino alla quale data il canone ha conservato la natura di tributo». (Cass., sezioni unite, sent. n. 6418/2005). Ne consegue che la controversia sottoposta all'esame del giudice di pace adito, avendo ad oggetto la non debenza e la conseguente restituzione del canone di depurazione pagato per l'anno 2001, questo giudice di pace e' competente ad invocare l'intervento della Corte costituzionale. Cio' precisato, ritiene questo giudice che la definizione del giudizio di costituzionalita' dell'art. 14, legge n. 36/1994, nel suo testo originario, e' assolutamente rilevante per la risoluzione della controversia, in quanto la predetta norma rappresenta sia la disposizione che dovra' essere applicata in giudizio, sia il riferimento normativo indispensabile per il merito della controversia. In ordine alla sua applicazione in giudizio, occorre dire che la materia del canone di depurazione era disciplinata fino al 2 ottobre 2000, dagli articoli 16 e 17 della legge 10 maggio 1976, n. 319, mantenuti in vigore per tale periodo dall'art. 62, commi 5 e 6, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152. Dal 3 ottobre del 2000 sino al 27 agosto del 2002, la disciplina del canone di depurazione e' stata regolamentata dall'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, nella sua formulazione originaria, mentre dal 28 agosto 2002 fino al 28 aprile del 2006, il canone di depurazione e' stato disciplinato dall'art 14, legge n. 36/1994, come modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179, poi successivamente abrogato con decorrenza dal 29 aprile 2006, dall'art. 175, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, (v. Corte cost. ord. 262/2006). Di conseguenza, visto che nel caso di specie si chiede la non debenza e la restituzione del canone di depurazione pagato per l'anno 2001, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, nel testo originario, e' oltremodo rilevante, sia perche' e' la predetta disposizione normativa ad essere app1icata nella controversia, attesa la sua sfera di operativita' al periodo intercorrente tra il 3 ottobre 2000 al 27 agosto 2002, sia perche' nel merito della lite, e' ad essa che occorre far riferimento per la decisione della causa. Non manifesta infondatezza della questione La presente questione di legittimita' costituzionale non e' manifestamente infondata, visto che la disposizione di legge di cui si chiede lo scrutinio, appare in evidente contrapposizione con i dettami costituzionali, per tutti i motivi che appresso si elencano: 1) Violazione dell'art. 2 della Costituzione. Una disposizione di legge ordinaria che imponga il pagamento di una prestazione anche in assenza dell'erogazione del servizio, per il quale essa e' chiesta, importa l'aggressione del diritto inviolabile alla qualificazione dell'individuo come soggetto di diritto, dotato in quanto tale, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, di una fascia di diritti inalienabili e irriducibili nei riguardi sia della pubblica amministrazione che dei soggetti privati. Orbene, l'art. 14, comma 1, della legge n. 36/1994, statuendo il pagamento del canone di depurazione senza che ad esso sia sotteso il relativo servizio, nonostante sia la stessa trasformazione del canone da tributo in tariffa ad esigere una prestazione economica dal cittadino solo in cambio di una controprestazione, contrasta con la garanzia di soggetto di diritto che l'art. 2 della Costituzione riconosce ad ogni cittadino. La predetta norma costituzionale, difatti, affermando la posizione giuridica della persona umana in quanto soggetto di diritto, ne esclude la soggezione ad ogni forma di potere arbitrario e persecutorio, compreso quello che impone una prestazione patrimoniale in assenza della relativa controprestazione. Pertanto, come formulato, l'art. 14, comma 1 della legge n. 36/1994 soppianta l'irrinunciabile dignita' di soggetto di diritto in favore dell'impotenza del suddito, vessato dall'imposizione iniqua di poteri autoritari. Ne' puo' dirsi in contrario che il testo originario dell'art. 14 della legge n. 36/1994, stabilendo che i proventi del canone di depurazione «affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione», contribuisca a far si che il cittadino, un giorno!!!!, possa avere i servizi che gli competono dietro pagamento del corrispettivo in denaro. Ragionare in tal modo, significa differire sine die la realizzazione della qualita' di soggetto di diritto, in quanto il testo originario dell'art. 14 della legge n. 36/1994, non prevedendo, per legge, un limite temporale oltre il quale non sia possibile procedere alla riscossione del canone di depurazione in assenza del servizio, rimette al mero arbitrio degli amministratori locali, deputati all'applicazione della norma, la cessazione del pagamento del canone in assenza del depuratore. Questo perche' l'art. 14 della legge n. 36/1994, nel testo originario, sottraendo alla legge ogni controllo sul rispetto delle garanzie di cui all'art. 2 Cost., deferisce alle valutazioni di «convenienza» degli amministratori locali, sia la durata dei sacrifici dei cittadini costretti a pagare il canone in assenza del depuratore; sia il tempo di realizzazione del diritto dei cittadini stessi a godere dei servizi pubblici; sia, in definitiva, la concretizzazione della garanzia costituzionale di soggetto di diritto propria di ciascun cittadino. Quanto prospettato, si e' concretamente verificato nel Comune di Gragnano e in tanti altri ancora, ove dopo quindici anni di riscossione del canone di depurazione, non si e' ancora provveduto alla costruzione e/o costituzione del depuratore e all'erogazione del relativo servizio. Conseguentemente, il testo originario dell'art. 14, comma 1 della legge n. 36/1994 e' in contrasto con l'art. 2 della Costituzione, visto che la suddetta norma, sia nel presente che nel futuro, non garantisce la dignita' di soggetto di diritto al cittadino, che, pur pagando il canone di depurazione, non fruisce del relativo servizio. 2) Violazione dell'art. 3 della Costituzione. L'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, nel prescrivere l'obbligo di corresponsione della tariffa per la depurazione nonostante siano carenti o non funzionanti, se non addirittura inesistenti i relativi impianti, attua una inaccettabile discriminazione tra coloro che pagano la tariffa in presenza di un impianto di depurazione e coloro che, pur pagando, non godono del relativo servizio perche' non funzionante o inesistente. Risulta chiaro il contrasto della suddetta disposizione normativa, sia con la posizione di uguaglianza dei cittadini innanzi alle legge, sia con il principio di pari dignita' sociale, sia con la necessita' di rimuovere quegli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana in quanto tale, vale a dire come soggetto di diritto. Ne' vale argomentare che il principio di uguaglianza e' assicurato dal fatto che il pagamento della tariffa in assenza di un servizio attuale, consentira' di reperire i fondi per la futura esecuzione dei servizi di depurazione in favore di coloro che attualmente non ne fruiscono, che cosi' risulteranno parificati a quelli che attualmente godono del servizio del depuratore in cambio del canone corrisposto. Difatti, i cittadini costretti a pagare per avere in futuro il servizio di depurazione, inevitabilmente verrebbero trattati in maniera diseguale rispetto agli altri cittadini che pagando, fruiscono attualmente del corrispondente servizio. Inoltre, l'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, nel testo originario, non prevedendo alcun limite temporale alla cessazione del pagamento della tariffa senza il cornspondente servizio, non crea nemmeno per il futuro le garanzie giuridiche per colmare l'ineguaglianza attuale. E cio' perche' l'eliminazione di ogni sperequazione tra i cittadini che godono del servizio in cambio del pagamento del canone (che potremmo definire di serie A), quelli che pur pagando, (che potremmo definire di serie B) non ricevono il servizio, e' rimessa dalla legge Galli alla discrezionalita' degli amministratori locali, deputati all'applicazione della norma, che, in tal modo, risultano gli unici arbitri sia della durata dei sacrifici dei cittadini che sono costretti a pagare il canone in assenza del depuratore, sia del tempo di realizzazione del diritto dei cittadini stessi a godere dei servizi pubblici. Conseguentemente, l'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, nel testo originario, e' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, visto che la suddetta norma, sia nel presente che nel futuro, non garantisce la realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini. 3) Violazione dell'art. 32 della Costituzione. L'art. 14, legge n. 36/1994 viola anche il disposto di cui all'art. 32 Cost., che sancisce il diritto alla salute dell'individuo. La sua formulazione incoraggia il lassismo degli Enti Locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate da1l'inquinamento che ne scaturisce. 4) Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Il tenore dell'art. 14, legge n. 36/1994, consente d'imporre ai cittadini una sorta di «tassa sine titulo» la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta (ancora oggi, dopo 15 anni, si attende quantomeno la predisposizione del servizio di depurazione).