IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1411 del 2007,
proposto  da  Rucco  Marcella,  Caruso  Rosina,  Ciambrone  Raffaele,
Buonriposi Donatella, Perna Salvatore, Berardi Franca, Piazza Ettore,
Binacchi  Maurizio,  Agresta  Angelo,  Anselmo  Sally Paola, Caturano
Mariangela,  Pagni  Adelmo,  Ferrario Agnese, Rocchetti Claudia Maria
Rosaria,  Macchi  Mario Giusto, Loddo Antonio, Cossu Maria Francesca,
Sini Paola, Novembri Graziella, Zitolo Nicola, rappresentati e difesi
dal  prof.  Avv. Antonio Palma ed elettivamente domiciliati presso il
suo studio in Roma, al Foro Traiano I/A;
   Contro   Ministero  della  pubblica  istruzione,  in  persona  del
Ministro   pro   tempore;   Ministero   della   pubblica  istruzione,
Dipartimento  per  la  programmazione  ministeriale e per la gestione
ministeriale  del  bilancio, delle risorse umane e dell'informazione,
in  persona  del  legale  rappresentante pro tempore; rappresentati e
difesi  dall'Avvocatura  generale  dello Stato, presso la cui sede in
Roma,  alla  via  dei  Portoghesi,  n. 12, domiciliano per legge, per
l'annullamento, previa sospensione cautelare:
     del  decreto  del  1  dicembre 2006 del Ministero della pubblica
istruzione,  avente  ad  oggetto  l'autorizzazione al conferimento di
n. 91  incarichi dirigenziali ai sensi dei commi 5-bis e 6 del d.lgs.
30 marzo 2001, n. 165;
     della nota prot. n. 1012 del 2 dicembre 2006 del Ministero della
pubblica  istruzione, Dipartimento per la programmazione ministeriale
e  per  la  gestione ministeriale del bilancio, delle risorse umane e
dell'informazione a firma del Capo Dipartimento pro tempore;
     di  ogni  altro  atto  presupposto,  connesso  e conseguente per
quanto lesivo della situazione soggettiva dei ricorrenti.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  del Ministero della
pubblica istruzione;
   Visti i motivi aggiunti notificati in data 20 aprile 2007;
   Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore  alla  pubblica udienza del 16 luglio 2007 il consigliere
Massimo  Luciano  Calveri  e  uditi  i  difensori delle parti come da
verbale di udienza;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                     F a t t o  e  d i r i t t o
   1. - Con ricorso notificato in data 29 gennaio 2007, i ricorrenti,
nella  qualita'  di  destinatari  di incarichi dirigenziali presso il
Ministero   della  pubblica  istruzione,  impugnano  i  provvedimenti
ministeriali   in   epigrafe,   chiedendone,  in  via  cautelare,  la
preliminare sospensione degli effetti.
   1.1. - Premettono, in fatto:
     che  con  i  commi  159,  160  e  161  dell'art.  2  della legge
n. 286/2006  la  disciplina di cui al comma 8 dell'art. 19 del d.lgs.
n. 165/2001,  che  prevede  che gli incarichi dirigenziali di vertice
«cessano  decorsi  giorni  dal voto di fiducia del Governo», e' stata
estesa anche agli incarichi dirigenziali di cui ai commi 5-bis e 6 di
detto art. 19;
     che, sulla scorta di quanto precede, il Ministero della pubblica
istruzione  ha  emesso, in data 1 dicembre 2006, un decreto avente ad
oggetto  l'autorizzazione  a  conferire  n. 91  incarichi  di livello
dirigenziale  non generale per il Ministero della pubblica istruzione
e per gli Uffici scolastici generali;
     che,  il  successivo 2 dicembre, il capo del Dipartimento per la
programmazione  ministeriale  e  per  la  gestione  ministeriale  del
bilancio,  delle  risorse  umane  e dell'informazione, ha inviato una
circolare  ai  direttori  generali degli Uffici scolastici centrali e
regionali  nella  quale chiede a questi ultimi di invitare i soggetti
per  i quali e' cessato l'incarico dirigenziale in base alla predetta
normativa  a  riassumere  il  servizio  presso  le amministrazioni di
appartenenza;
     che,  alla  luce  di  tale  circolare,  ai  ricorrenti  e' stata
comunicata  la  cessazione  dell'incarico  dirigenziale loro affidato
nonostante la perdurante efficacia dei relativi contratti.
   1.2. - Deducono, in diritto:
     a)  - Illegittimita' derivata dall'incostituzionalita' dei commi
159,  160  e  161  dell'art. 2 della legge n. 286/2006 per violazione
degli artt. 3, 97 e 98 Cost..
   Il  comma  5-bis  dell'art.  19 del d.lgs. n. 165/2001 prevede che
«Gli  incarichi di cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da
ciascuna  amministrazione,  entro  il  limite  del 10 per cento della
dotazione  organica  dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei
ruoli  di  cui all'art. 23 e del 5 per cento della dotazione organica
di  quelli  appartenenti  ai  ruoli  di  cui al medesimo articolo 23,
purche' dipendenti delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma
2,  ovvero di organi costituzionali, previo collocamento fuori ruolo,
comando o analogo provvedimento secondo i rispettivi ordinamenti».
   Il  comma 6 del medesimo art. 19 prevede che «Gli incarichi di cui
ai   commi   da   1   a  5  possono  essere  conferiti,  da  ciascuna
amministrazione,  entro  il  limite  del 10 per cento della dotazione
organica  dei  dirigenti  appartenenti alla prima fascia dei ruoli di
cui  all'articolo  23  e dell'8 per cento della dotazione organica di
quelli  appartenenti  alla  seconda  fascia  a  tempo  determinato ai
soggetti  indicati  dal  presente comma. La durata di tali, comunque,
non  puo' eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui
ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di
funzione dirigenziale, il termine di cinque anni. Tali incarichi sono
conferiti  a  persone  di  particolare  e  comprovata  qualificazione
professionale,  che  abbiano  svolto  attivita'  in organismi ed enti
pubblici  o  privati ovvero aziende pubbliche o private con espenenza
acquisita  per  almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che
abbiano  conseguito  una  particolare specializzazione professionale,
culturale  e  scientifica desumibile dalla formazione universitaria e
postuniversitaria,   da  pubblicazioni  scientifiche  o  da  concrete
esperienze  di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali,
ivi  comprese  quelle  che  conferiscono  gli incarichi, in posizioni
funzionali  previste  per  l'accesso alla dirigenza, o che provengano
dai   settori  della  ricerca,  della  docenza  universitaria,  delle
magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. Il
trattamento   economico   puo'   essere  integrato  da  un'indennita'
commisurata  alla  specifica  qualificazione  professionale,  tenendo
conto  della temporaneita' del rapporto e delle condizioni di mercato
relative  alle specifiche competenze professionali. Per il periodo di
durata  dell'incarico,  i  dipendenti delle pubbliche amministrazioni
sono  collocati  in  aspettativa  senza  assegm,  con  riconoscimento
dell'anzianita' di servizio».
   Con  la  legge  n. 286/2006,  e  seguatamente  con  il  comma  159
dell'art.  2,  all'art.  19, comma 8, del d.lgs. n. 165/2001, dopo le
parole:  «gli  incarichi di funzione dirigenziale di cui al comma 3»,
sono   inserite  le  seguenti:  «al  comma  5-bis,  limitatamente  al
personale  non  appartenente  ai ruoli di cui all'art. 23, e al comma
6,».
   Con  il  comma  160  e' stato aggiunto che «Le disposizioni di cui
all'art.  19, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
come  modificato  dal  comma  159 del presente articolo, si applicano
anche ai direttori delle agenzie, incluse le agenzie fiscali».
   Infine,  con  il  comma 161 e' stato fissato un regime transitorio
prevedendosi  che  «In  sede  di prima applicazione dell'articolo 19,
comma  8,  del  decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n. 165,  come
modificato e integrato dai commi 159 e 160 del presente articolo, gli
incarichi  ivi  previsti, conferiti prima del 17 maggio 2006, cessano
ove  non  confermati  entro  sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto, fatti salvi, per gli incarichi conferiti
a  soggetti  non dipendenti da pubbliche amministrazioni, gli effetti
economici  dei  contratti  in  essere.  Le disposizioni contenute nel
presente   comma  si  applicano  anche  ai  corrispondenti  incarichi
conferiti  presso le agenzie, incluse le agenzie fiscali. L'eventuale
maggiore  spesa  derivante dal presente comma e' compensata riducendo
automaticamente  le  disponibilita' del fondo di cui all'articolo 24,
comma  8,  del  decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e rendendo
indisponibile,  ove  necessario,  un numero di incarichi dirigenziali
corrispondente  sul  piano  finanziario.  In  ogni  caso  deve essere
realizzata  una  riduzione  dei nuovi incarichi attribuiti pari al 10
per cento per i dirigenti di prima fascia e pari al 5 per cento per i
dirigenti  di  seconda  fascia,  rispetto  al  numero degli incarichi
precedentemente in essere».
   In ragione del riferito quadro normativo, evidenziano i ricorrenti
come  con  le  innovazioni  poste dal d.l. n. 262/2006, convertito in
legge  n. 286/2006,  cessano,  decorsi  novanta  giorni  dal  voto di
fiducia  al  Governo, non solo gli incarichi di funzione dirigenziale
di  cui al comma 3 dell'art. 19, e cioe' gli incarichi attinenti alle
posizioni  dirigenziali di vertice delle amministrazioni dello Stato,
anche ad ordinamento autonomo, ma anche gli incarichi dirigenziali di
cui  ai  commi  5-bis e 6, con ingiustificata estensione del fenomeno
del  c.d.  spoil  system,e cioe' del meccanismo in forza del quale il
titolare  di  una  funzione  dirigenziale  -  segnatamente  di quella
connotata  da  un  marcato nesso fiduciario con il potere esecutivo -
puo'  essere  rimosso anzitempo. Con la conseguenza che «al mutamento
della  maggioranza politica, l'intera classe di amministratori, cioe'
non  solo  quelli  che operano al vertice delle strutture connesse al
potere governativo, cessa lo svolgimento delle proprie competenze, in
modo  che il Governo subentrante sia libero di affidare gli incarichi
dirigenziali ai soggetti - a dir cosi' - piu' apprezzati».
   L'equiparazione   configurata   dalla  predetta  normativa  tra  i
dirigenti  in  posizione  apicale  (art.  19,  comma 3) e i dirigenti
svolgenti  funzioni  tecnico-amministrativo  (commi  5-bis  e  6)  si
porrebbe,  a  detta  dei ricorrenti, in violazione dell'art. 3, primo
comma,  Cost.,  il  quale  prevede  che «tutti i cittadini hanno pari
dignita' sociale e sono uguali davanti alla legge».
   Richiamato  quanto  affermato  dal  Giudice  delle  leggi  con  le
sentenza  n. 25  del  1966 in ordine al principio sancito dall'art. 3
Cost.  («l'eguaglianza  e'  principio  generale  che condiziona tutto
l'ordinamento  nella sua obiettiva struttura: esso vieta cioe' che la
legge   ponga   in   essere   una   disciplina   che  direttamente  o
indirettamente  dia  vita  ad  una  non  giustificata  disparita'  di
trattamento  delle  situazioni  giuridiche,  indipendentemente  dalla
natura  e  dalla  qualificazione dei soggetti ai quali queste vengono
imputate») sostengono i ricorrenti che con la normativa dettata con i
commi  159,  160  e  161  dell'art. 2 della legge n. 286/2006 vengono
accomunate   nella   disciplina   delle  interruzioni  dell'attivita'
dirigenziale  due  situazioni  diverse per natura dell'attivita', per
modalita' di nomina, per rapporto con il potere esecutivo, per poteri
e incidenza sull'attivita' amministrativa.
   Infatti,   i  soggetti  nominati  ex  comma  3,  art.  19,  d.lgs.
n. 165/2001, si annotano per l'assoluta apicalita' dell'incarico, che
richiede  un  evidente  nesso fiduciario con l'esecutivo, cambiato il
quale  in capo ai dirigenti in parola si verifichera' un effetto, per
cosi' dire, «ghigliottina». Tali incarichi sono conferiti con decreto
del  Presidente  della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio
dei  ministri,  su proposta del Ministro competente, e i soggetti cui
questi   vengono   conferiti   coadiuvano   l'organo  politico  nello
svolgimento  della sua attivita'. Tali incarichi sono propri solo dei
dirigenti  della  prima  fascia dei ruoli di cui all'articolo 23 o di
persone in possesso di spiccate e specifiche qualita' professionali.
   Diversamente,  gli  incarichi dirigenziali di cui ai commi 5-bis e
6,  art.  19,  hanno una distinta modalita' di nomina (sono conferiti
dalle  singole  amministrazioni),  da cio' discendendo la mancanza di
nesso  fiduciario  con il potere esecutivo. Distinti sono i requisiti
per  l'affidamento  di  tali  incarichi,  cosi'  come distinti sono i
compiti  svolti,  atteso che quelli svolti dai dirigenti non generali
consistono nella mera attivita' tecnica e gestionale.
   Attesa  l'evidenziata  diversita'  tra  i  due  tipi di incarichi,
sostengono  i  ricorrenti  la non rispondenza di quanto riportato nei
lavori  preparatori  della  legge  in  questione,  e  cioe'  che  «la
disciplina   gia'   prevista  per  la  conferma  degli  incarichi  di
segretario  generale  e  di  capo  Dipartimento,  in ragione del loro
carattere fiduciario sia estesa anche agli altri incarichi di livello
dirigenziale  ugualmente connotati da una specifica caratterizzazione
fiduciaria  in quanto affidati dall'organo politico» cio' inducendo a
ritenere  che  la  modifica legislativa in parola si basi su un falso
presupposto.
   Soggiungono  poi  i  ricorrenti come la continuita' nell'attivita'
lavorativa  dei  dirigenti  non  generali  e'  essenziale per il buon
funzionamento  dell'amministrazione,  donde l'irragionevolezza che ad
ogni  cambio  di  Governo  debbano  cambiare  tutti  i  dirigenti non
generali, cosi' paralizzando la macchina amministrativa.
   La  normativa  posta con la legge n. 286/2006 sarebbe in contrasto
anche  con  l'art.  97 Cost., e segnatamente con il principio di buon
andamento dell'amministrazione.
   Tale  normativa,  infatti,  si  pone  come invasiva dell'autonomia
organizzativa  propria  di  ogni  amministrazione  pubblica incidendo
sulla  possibilita'  di  quest'ultima  di affidare, e di stabilire la
durata  degli  incarichi  dirigenziali  non  generali, a soggetti che
ritiene  maggiormente  meritevoli  per l'efficienza del servizio e di
valutarne l'operato ai fini della conservazione di detti incarichi.
   Nella   situazione   all'esame,  vanificando  la  discrezionalita'
propria  della  p.a.  di  curare  autonomamente  la ricerca e la cura
dell'interesse   pubblico,   i   ricorrenti   vengono   deposti   ope
legisdall'incarico   contrattualmente  assunto  indipendentemente  da
qualunque  specifica  valutazione  della  posizione e dell'operato di
ciascuno di essi.
   La  normativa  legislativa de qua configgerebbe inoltre con l'art.
98  Cost.,  il  quale, stabilendo che gli impiegati pubblici sono «al
servizio   esclusivo  della  Nazione»,  ha  inteso  sancire  la  loro
«appartenenza»  alla  comunita'  e  «slegare» la loro investitura dal
potere  politico.  Con  la legge n. 6/2006 diversamente gli incarichi
dirigenziali  sono  condizionati  al  gradimento del potere politico,
divenendo  quasi  irrilevante la professionalita', il curriculum e la
capacita'  dimostrata  nel  corso  dello  svolgimento degli incarichi
svolti.
     b)  Illegittimita'  derivata  dall'incostituzionalita' dei commi
159,  160  e  161  dell'art. 2 della legge n. 286/2006 per violazione
degli artt. 41, 35 e 36 Cost..
   L'estensione dello spoil system agli incarichi dirigenziali non di
vertice sarebbe peraltroidonea a incidere sull'autonomia contrattuale
delle  parti  che,  ancorche' non oggetto di specifica previsione nel
sistema   costituzionale,   troverebbe   fondamento,   a   detta  dei
ricorrenti, negli artt. 41 e 42 Cost.; tanto in ragione del fatto che
l'autonomia   contrattuale   si   pone   come   strumento  necessario
dell'iniziativa  economica  con  la conseguenza che ogni limite posto
dal legislatore alla seconda si risolve in un limite alla prima.
   Consegue  che  ogni  limite all'autonomia contrattuale (scelta del
contraente,   contenuto   e  durata  del  rapporto  di  lavoro)  deve
rispondere   a  precise  e  individuate  esigenze  di  carattere  non
contingente  e non arbitrario, preordinate al raggiungimento di scopi
legati  alla  «utilita'  sociale».  Orbene,  sostengono i ricorrenti,
nella  disciplina  introdotta  con i commi 159, 160 e 161 dell'art. 2
della  legge  n. 286/2006  non  sarebbe  rinvenibile  alcuna utilita'
sociale  tale da giustificare la risoluzione di diritto dei contratti
in corso di efficacia dei dirigenti.
   La   risoluzione   del  rapporto  di  lavoro,  disposta  ex  lege,
contrasterebbe  anche  con  l'art. 35, primo comma, Cost. a mente del
quale  «la  Repubblica  tutela  il  lavoro  in  tutte le sue forme ed
applicazioni».  L'anticipata  risoluzione  lede  infatti il legittimo
affidamento riposto dai ricorrenti nella validita', durata ed effetti
del  contratto  stipulato  e  stride  con  il  generale  principio di
stabilita'  dei  contratti  di  lavoro  e  al  conseguente divieto di
recedere  dai  medesimi  senza  idonee  garanzie  e  giustificazioni.
Pertinente  e' in proposito l'affermazione della Corte costituzionale
che  «l'applicabilita'  al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti
delle  disposizioni  previste dal codice civile comporta non gia' che
la  pubblica  amministrazione  possa recedere dal rapporto stesso, ma
semplicemente  che  la  valutazione  dell'idoneita' professionale del
dirigente  e' affidata a criteri e a procedure di carattere oggettivo
-   assistite   da   un'ampia   pubblicita'   e  dalla  garanzia  del
contraddittorio,  a  conclusione  delle  quali  soltanto  puo' essere
esercitato il recesso» (sent. n. 313/1996).
   La disciplina legislativa qui censurata violerebbe anche l'art. 36
Cost.,  il  quale  dispone  che  «Il  lavoratore  ha  diritto  ad una
retribuzione  proporzionata  alla qualita' e quantita' del suo lavoro
ed  in  ogni  caso  ad  assicurare a se' e alla famiglia un'esistenza
libera e dignitosa».
   Alla risoluzione di diritto dei contratti stipulati dai ricorrenti
con  la propria amministrazione, discenderebbe, secondo l'assunto dei
ricorrenti    medesimi,   un   demansionamento   e   un   pregiudizio
patrimoniale,   cui   sarebbe  dovuto  seguire  il  pagamento  di  un
indennizzo o la previsione di qualunque altra forma di reintegrazione
patrimoniale,  cosi'  da  preservare  almeno  la  sfera patrimoniale,
considerata l'irreparabilita' del danno alla carriera.
   Esistono  peraltro  alcune  fattispecie in relazione alle quali il
legislatore  ha  apprestato  strumenti di indennizzo al fine di porre
rimedio   al   pregiudizio  arrecato  al  privato  nel  perseguimento
dell'interesse  pubblico,  di fronte al quale l'interesse del singolo
deve piegarsi: in proposito si citano, in via esemplificativa, i casi
previsti  dagli  artt.  11 e 21-quinquies della legge n. 241/1990, in
tema   rispettivamente   ai  accordi  integrativi  e  sosututivi  del
provvedimento e di revoca del provvedimento.
     c)  Eccesso  di potere rilevabile attraverso la ricorrenza delle
figure  sintomatiche del difetto di istruttoria, del travisamento dei
presupposti  di  fatto  e  di  diritto  e  della  contraddittorieta'.
Violazione  di  legge  (art. 19, commi 5-bis e 6, d.lgs. n. 165/2001;
art. 2, comma 161, legge n. 286/2006).
   L'impugnato  decreto  ministeriale  del  1  dicembre  2006 sarebbe
afflitto  da  eccesso di potere per difetto di istruttoria, ponendosi
in  manifesto  contrasto  con la normativa di cui e' stata dedotta la
non conformita' a Costituzione.
   Infatti,  nel  decreto  infatti  si  afferma,  da un lato, che «il
numero  dei  dirigenti di seconda fascia in servizio, appartenenti al
ruolo  dell'Amministrazione  scolastica centrale e periferica risulta
insufficiente»;  dall'altro,  che «il blocco delle assunzioni ... non
consente  di  procedere  alla  copertura  dei  posti dirigenziali non
generali   vacanti   con  il  ricorso  alle  procedure  ordinarie  di
reclutamento».
   Rammentano  i  ricorrenti,  richiamando i lavori preparatori della
legge n. 286/2006, come la modifica di cui si deduce l'illegittimita'
costituzionale  trova  presupposto,  per  un  verso,  nel  fatto  che
l'assunzione   mediante   affidamento  si  pone  «in  violazione  del
principio   generale   dell'ordinamento,   confermato   anche   dalla
giurisprudenza  della  Corte  dei  conti,  secondo  cui il meccanismo
ordinario  di  attribuzione  degli incarichi dirigenziali va riferito
alla  dirigenza dei ruoli della pubblica amministrazione, assunta per
pubblico  concorso;  per  un  altro,  nella  volonta'  "di conseguire
risparmi di spesa"».
   I  provvedimenti  impugnati  non  rispetterebbero  la  ratio  e la
lettera  della modifica all'art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, in quanto
autorizzare  il  conferimento  di 91 nuovi incarichi dirigenziali non
generali  e nel contempo invitare i precedenti dirigenti a riprendere
servizio presso le amministrazioni di appartenenza, con la stipula di
un  nuovo  contratto,  non attuano la prescrizione dell'art. 97 Cost.
dell'assunzione  previo  concorso,  ne'  perseguono  l'obiettivo  del
contenimento della spesa, determinandone, se mai, l'aggravio.
   L'ulteriore  contraddittorieta'  dei provvedimenti emergerebbe dal
fatto  che  alla  data  del  1  dicembre  2006, quando e' intervenuta
l'autorizzazione  ministeriale  alle  91 nuove assunzioni, non vi era
carenza di organico atteso che i ricorrenti erano ancora in servizio.
   Dall'ora  evidenziata  circostanza  conseguirebbe altro profilo di
illegittimita' nell'operato della p.a. individuabile nella violazione
dei  limiti percentuali previsti dai commi 5-bis e 6 dell'art. 19 del
d.lgs.  n. 165/2001,  per  l'assunzione  dei  dirigenti non generali,
nonche'  quelli  contenuti  nel  comma  161  dell'art.  2 della legge
n. 286/2006.
     d) Violazione di legge (art. 3, legge n. 241/1990).
   I  provvedimenti  impugnati non conterrebbero adeguata motivazione
idonea   a   far  comprendere  l'iter  logico-giuridico  seguito  dal
Ministero  nell'autorizzare  le 91 assunzioni e nel ripartirle tra le
diverse amministrazioni scolastiche.
   1.3.  -  Con  atto  notificato in data 20 aprile 2007 i ricorrenti
impugnano  il d.P.C.m. del 16 gennaio 2007, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale  n. 45  del  23  febbraio  2007,  con  il  quale sono stati
autorizzati  una  serie  di  Ministeri, enti pubblici non economici e
Agenzie  a  bandire procedure di reclutamento a tempo indeterminato e
procedure    selettive   a   tempo   determinato;   in   particolare,
l'impugnativa  e'  rivolta  nella  parte  in  cui  il Ministero della
pubblica   istruzione  viene  autorizzato  a  coprire  400  posti  di
funzionario e 130 posti di dirigenti tecnici.
   I  ricorrenti,  che  ripropongono  in  sostanza  le  censure  gia'
formulate  con il gravame principale, sostengono che il summenzionato
d.P.C.m.     sarebbe     viziato     da    illegittimita'    derivate
dall'incostituzionalita'  dei  commi  159,  160 e 161 dell'art. della
legge  n. 286/2006,  nonche'  da  eccesso  di potere sotto i distinti
profili  della  contraddittorieta',  del difetto di istruttoria e del
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.
   2.  - Resiste al ricorso l'amministrazione scolastica intimata, la
quale contesta l'affermazione (ritenuta fuorviante) secondo cui con i
precitati  commi  dell'art.  2  della legge n. 286/2006 la disciplina
contenuta  all'art. 19, comma 8, del d.lgs. n. 165/2001 sarebbe stata
estesa  sic  et simpliter agli incarichi dirigenziali di cui ai commi
5-bis e 6 del medesimo art. 19.
   La  resistente  evidenzia  come  il comma 161 del precitato art. 2
contenga  una disposizione transitoria, sicche' solo in sede di prima
applicazione  della  legge  n. 286/2006,  gli incarichi in questione,
«conferiti prima del 17 maggio 2006, cessano ove non confermati entro
sessanta  giorni  dalla  data  di  entrata  in  vigore»  del medesimo
decreto.  E'  a tale disposizione transitoria , e non alla disciplina
con  carattere  di  permanenza  del  novellato  art.  19  del  d.lgs.
n. 165/2001,  che l'amministrazione ha inteso dare applicazione con i
provvedimenti  qui impugnati; i quali sono stati adottati nell'ambito
della  facolta'  organizzativa riservata ad ogni amministrazione, non
sindacabile  se  non  per  violazione  di  norme  primarie ovvero per
manifesta illogicita' o disparita' di trattamento.
   Soggiunge la resistente come il thema decidendum vada circoscritto
alla sola disciplina transitoria di cui al comma 161 e che il termine
ivi  previsto  e'  diverso da quello contenuto nell'art. 19, comma 8,
del  d.lgs.  n. 165/2001,  non  solo  in senso quantitativo (sessanta
giorni   nel   primo  caso,  novanta  nel  secondo),  ma  soprattutto
concettuale in quanto nell'un caso l'operativita' della cessazione e'
condizionata alla mancata riconferma dell'incarico, mentre nell'altro
non conosce eccezioni.
   Quanto  alle  censure  che,  procedendo  dalla  diversita' tra gli
incarichi  di  vertice  e  quelli di cui ai commi 5-bis e 6, desumono
l'illegittima  assimilazione  di questi ultimi ai fmi dell'automatica
cessazione    dell'incarico   al   cambio   dell'Esecutivo,   osserva
l'amministrazione  che,  con  le  modalita'  di  cui  ai detti commi,
possono  essere  conferiti  anche  incarichi  dirigenziali di livello
generale  e  non  solo  incarichi di seconda fascia; che trattasi pur
sempre   di   incarichi  intuitu  personae,  la  cui  valutazione  e'
sostanzialmente    rimessa   alla   discrezionalita'   dell'autorita'
conferente, sicche' appare coerente che una nuova e diversa autorita'
subentrante  possa  individuare  soggetti diversi con caratteristiche
piu'  rispondenti  ai propri obiettivi programmatici; che comunque si
tratta  pur  sempre  di  procedure  di  conferimento  di una limitata
percentuale di incarichi dirigenziali e non certo della totalita' dei
posti  in  organico,  sicche'  e' del tutto irrealistica la paventata
«paralisi della macchina amministrativa».
   Si  sottolinea  poi  che  con  la normativa qui censurata e' stata
disposta  la  cessazione  di incarichi conferiti a tempo determinato,
cui accedevano contratti individuali che tutti i destinatari, tra cui
i  ricorrenti,  hanno sottoscritto; con la conseguenza che essi erano
del  tutto  consapevoli il loro incarico sarebbe cessato alla data di
naturale  scadenza  e  che  con  esso  sarebbe  scaduto  il  relativo
contratto;  peraltro,  nelle  norme  di  riferimento  non si rinviene
alcuna  disposizione  che  autorizzasse  l'aspettativa  di  un  nuovo
incarico  o  che  assumesse lo svolgimento dell'incarico cessato come
titolo per l'accesso alla qualifica dirigenziale e al relativo ruolo.
   Nell'ipotesi  «a  regime»  ci  si  trova  poi di fronte a un fatto
assimilabile  alla  scadenza  di  un  ordinario  contratto di diritto
privato  che  non comporta, in quanto non prevista, alcuna necessita'
di  valutazione  dell'operato  del  contraente incaricato, ne' alcuna
ipotesi di rinnovo o di riconferma.
   A  detta  della  resistente,  la norma applicata, e della quale si
contesta  la  legittimita'  costituzionale,  non ha fatto - e per una
sola  volta  -  che  anticipare  quello che sarebbe stato il naturale
epilogo  dell'incarico;  si soggiunge, sotto altro verso, che il piu'
volte    menzionato    comma   161   ha   mantenuto   l'obbligo   per
l'amministrazione  di  versare  il  corrispettivo  economico previsto
(fino  alla  scadenza  naturale  del  contratto),  con  l'intento  di
salvaguardare  il  contraente piu' debole (in quanto non garantito da
un  sottostante  rapporto  di servizio con la p.a.) dalle conseguenze
sfavorevoli della cessazione anticipata del contratto.
   La previsione, da parte della norma transitoria de qua, della mera
eventualita'   di   una   conferma  nell'incarico  dirigenziale,  non
giustificherebbe  la  pretesa  di un provvedimento motivato in ordine
appunto  alla  mancata  conferma  e  meno  che  mai  di  una sequenza
procedimentale ad hoc, con la partecipazione dell'interessato.
   3.  -  Alla  camera  di  consiglio del 22 marzo 2007, i ricorrenti
hanno  rinunciato  alla  tutela  cautelare  in  vista della sollecita
definizione nel merito del ricorso.
   Il  quale,  sulle  conclusioni  delle  parti,  e'  stato  posto in
decisione alla pubblica udienza del 16 luglio 2007.
   4.  -  Va  in  limine  definito  il  thema  decidendum posto dalla
controversia  all'esame, anche alla luce delle osservazioni formulate
in proposito dalla difesa erariale.
   4.1. - I ricorrenti, tutti dipendenti del Ministero della pubblica
istruzione, impugnano il decreto ministeriale 1 dicembre 2006, con il
quale   e'   stato   autorizzato  il  conferimento  di  91  incarichi
dirigenziali  ai  sensi  dei  commi 5-bis e 6 dell'art. 19 del d.lgs.
n. 165/2001;  impugnano altresi' la nota prot. n. 1012 del successivo
2  dicembre  con la quale il capo Dipartimento del medesimo Ministero
ha   inviato   una  circolare  ai  direttori  generali  degli  Uffici
scolastici centrali e regionali nella quale chiede a questi ultimi di
invitare  i  soggetti,  gia'  destinatari  di  incarichi dirigenziali
conferiti  ai  sensi dei commi 5-bis e 6 del 2, commi 159, 160 e 161,
del d.l. n. 262/2006 convertito nella legge n. 286/2006, a riassumere
il servizio presso le amministrazioni di appartenenza.
   I  ricorrenti, cui erano stati conferiti incarichi dirigenziali ai
sensi  dei  commi  5-bise  6  del  precitato  art.  19,  sono cessati
dall'incarico  per effetto della richiamata normativa del 2006 che ha
risolto  i relativi rapporti di lavoro ancorche' efficaci e quindi in
via di svolgimento.
   In  particolare, i ricorrenti sono stati destinatari del comma 161
dell'art.  2  del  d.l.  n. 262/2006, il quale ha dettato la seguente
disciplina  transitoria: «In sede di prima applicazione dell'articolo
19,  comma  8,  del  decreto  legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come
modificato e integrato dai commi 159 e 160 del presente articolo, gli
incarichi  ivi  previsti, conferiti prima del 17 maggio 2006, cessano
ove  non  confermati  entro  sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto, fatti salvi, per gli incarichi conferiti
a  soggetti  non dipendenti da pubbliche amministrazioni, gli effetti
economici dei contratti in essere».
   Conseguente  all'applicazione  della  norma, che ha comportato ope
legis  la  cessazione  anticipata  degli  incarichi dirigenziali gia'
ricoperti  dai  ricorrenti,  e'  stata  l'adozione  dei provvedimenti
ministeriali impugnati sia con il ricorso principale che con i motivi
aggiunti.
   Di  tali  provvedimenti  viene  dedotta, con i primi tre motivi di
ricorso,  l'illegittimita'  in  via derivata dall'incostituzionalita'
dei  commi  159,  160  e  161 dell'art. 2 della legge n. 286/2006. E'
pero'  evidente  che  la censura di non conformita' a Costituzione si
appunta  principaliter  sulla  norma  di cui e' stata fatta specifica
applicazione,   e  cioe'  sulla  norma  transitoria  dettata  con  il
summenzionato comma 161.
   Cio'  non  significa  pero',  secondo  quanto opposto dalla difesa
dell'amministrazione,  che  il thema decidendum va da circoscritto al
vaglio  di costituzionalita' della sola disciplina transitoria di cui
e'  stata  fatta  applicazione, atteso che tale disciplina si pone in
logica  e giuridica connessione con quella introdotta in via generale
con  il comma 159 dell'art. 2 della legge n. 286/2006 che ha ampliato
la  platea  di  destinatari  del  coma  8  dell'art.  19  della legge
n. 165/2001,  estendendo il c.d. spoil system anche agli incarichi di
funzione dirigenziale di cui ai piu' volte menzionati commi 5-bis e 6
di detto art. 19.
   In  proposito,  non  rileva la circostanza che, a differenza della
disciplina   a   regime,  nella  norma  transitoria  si  menzioni  la
possibilita'  della  conferma  dell'incarico  quale  ipotesi idonea a
escludere  la  cessazione  anticipata dell'incarico, perche' quel che
viene fondamentalmente contestato dai ricorrenti e' l'illegittimita',
sotto  piu'  profile  costituzionali,  dell'anticipata cessazione del
loro  rapporto di servizio il che riguarda piu' direttamente la norma
applicata  (comma  161  che  prevede  la  cessazione automatica degli
incarichi dirigenziali in questione al sessantesimo girono dalla data
di  entrata  in  vigore  della  legge n. 286/2006, ove non confermati
entro detto termine, ma non puo' logicamente non interessare la norma
con  previsione  a regime (comma 159) che correla la cessazione degli
incarichi  dirigenziali al noventesimo giorno «dal voto sulla fiducia
del Governo».
   4.2.  -  Tanto  premesso,  ritiene il Collegio che la questione di
legittimita'  costituzionale sollevata con il ricorso sia rilevante e
non manifestamente infondata.
   4.2.1.  -  Quanto  alla  rilevanza e' evidente come l'accoglimento
della  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 2, commi
159,  160  e  161,  della  legge n. 286/2006 renderebbe illegittimi i
provvedimenti  di  cessazione anticipata degli incarichi dirigenziali
gia'   conferiti   ai   ricorrenti  e  caducherebbe  i  provvedimenti
impugnati,  adottati  in  applicazione della normativa introdotta con
l'anzidetto  art.  2,  legittimando  i  ricorrenti all'esperimento di
eventuali azioni risarcitorie.
   4.2.2. - Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni di
costituzionalita'    prospettate,    il   Collegio,   aderendo   alla
argomentazioni  difensive svolte in ricorso, ritiene che la normativa
primaria qui censurata confligga:
     a)  con  l'art.  3,  primo  comma,  Cost., e con il principio di
eguaglianza da esso proclamato.
   Con  i  commi  159,  160 e 161 dell'art. 2 della legge n. 286/2006
vengono   ricondotti   sotto   una  medesima  disciplina,  implicante
l'interruzione  automatica  e  anticipata della funzione dirigenziale
(art.  19,  comma  8,  d.lgs.  n. 165/2001),  due  situazioni affatto
distinte,  sicche' la loro assimilazione giuridica non sembra trovare
razionale giustificazione.
   Infatti,   gli   incarichi  dirigenziali  menzionati  al  comma  3
dell'art.  19  si  connotano  per  il  rapporto fiduciario che lega i
titolari  di detti incarichi al potere governativo, caratterizzazione
peculiare  espressa  dalla  modalita'  con  cui tali soggetti vengono
nominati  (gli  incarichi  sono  conferiti con decreto del Presidente
della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su
proposta  del  Ministro  competente) e dalla natura dell'attivita' da
essi   dispiegata   (gli   incaricati  coadiuvano  nell'attivita'  di
indirizzo politico l'organo esecutivo).
   Diversamente, gli incarichi dirigenziali di cui ai commi 5-bis e 6
dell'art.   19,   in  quanto  assegnati  direttamente  dalle  singole
amministrazioni,   sono   privi   dell'evidenziata  caratterizzazione
fiduciaria  riscontrabile  negli  incarichi di cui al comma 3; quanto
poi alla natura e all'incidenza della funzione dirigenziale sottesa a
tali   incarichi,   trattasi  normalmente  di  attivita'  tecniche  e
gestionali  cui  sono  estranei i profili di politicita' che accedono
agli incarichi dirigenziali di vertice.
   Consegue,  giusta  l'annotazione  contenuta  in  ricorso,  che «il
rapporto  fiduciario che si instaura tra potere esecutivo e dirigenza
di  vertice,  con  ogni probabilita', giustifica che un nuovo Governo
abbia la facolta' di ridisegnare l'intero apice dell'amministrazione,
la  cui  omogeneita'  di  vedute,  pensiero  politico  e di obiettivi
programmatici   e'  vitale  per  un'azione  di  governo  coordinate»,
trovando  il  fenomeno  dello  spoil system origine e giustificazione
nell'ora  riferita  e conchiusa fattispecie, donde l'irragionevolezza
dell'estensione  dell'istituto  ai distinti incarichi dirigenziali di
cui si e' fatta menzione.
   In proposito deve precisarsi che tale estensione, contrariamente a
quanto  sostenuto  in  ricorso  (pag.  8),  non  coinvolge  «tutti  i
dirigenti  generali» determinando una «mobilita» tale da «paralizzare
la  macchina  amministrativa»,  atteso  -  giusta l'annotazione della
difesa  erariale - che le modalita' di cui ai commi 5-bis e 6 possono
essere  conferiti  anche a dirigenti non generali e che le contestate
procedure   di   conferimento   sono  comunque  confmate  nei  limiti
percentuali fissati in detti commi.
   Le  puntualizzazioni  che precedono non rifluiscono comunque sulla
rilevanza  e  fondatezza della censura di legittimita' costituzionale
qui dedotta e su quelle che seguono;
     b)  con  l'art.  97 Cost. e, in particolare, con il principio di
buona andamento dell'amministrazione.
   Premesso,  come  ben  si  sostiene in ricorso, che il principio di
buon  andamento  postula  che  l'amministrazione si doti di agenti di
comprovata  qualificazione professionale, e' connaturale al principio
che  l'adibizione  di  detti agenti essi alla funzione amministrativa
sia  caratterizzata  da  tendenziale stabilita' in modo da assicurare
una certa continuita' nel modus operandi della p.a.
   Orbene,  il sistema normativo qui censurato, comprimendo sul piano
temporale   la   durata   degli   incarichi   dirigenziali  conferiti
dall'amministrazione, comprime lo spazio costituzionalmente riservato
a quest'ultima in ordine alla possibilita' di scegliere modi, mezzi e
tempi della propria organizzazione amministrativa; in particolare, di
poter  autonomamente  decidere  e  all'esito  di un valutazione delle
attivita'  disimpegnate  dai  propri  funzionari, se questi debbano o
meno cessare dagli incarichi conferiti dall'amministrazione medesima.
   Ipotizzare invece, come consente il sistema legislativo de quo, di
azzerare  ope legis gli incarichi contrattualmente assunti, lungi dal
realizzare    l'esigenza    costituzionale    del    buon   andamento
dell'amministrazione,  sottende l'intento di favorire il reclutamento
«di nuovi dirigenti legati al nuovo Esecutivo»;
     c) con l'art. 98 Cost., per il quale gli impiegati pubblici sono
«al servizio esclusivo della Nazione».
   Le  considerazioni da ultimo formulate, in ordine alla sostanziale
ratio sottesa alla disciplina introdotta con l'art. 2, commi 159, 160
e  161  della  legge n. 286/2006, induce a ritenere la violazione del
canone   costituzionale   sopra  richiamato,  con  vanificazione  del
principio   che   vuole   il   pubblico   funzionario   sottratto   a
condizionamenti   che   possano   in   qualche  modo  minare  la  sua
imparzialita'.
   La  imposta  turnazione  degli incarichi dirigenziali in questione
rende   l'assegnazione   di  questi  ultimi  -  come  pertinentemente
prospettato  in  ricorso  -  legata  soltanto al gradimento politico,
cosi' privando di rilevanza le capacita' professionali dimostrate nel
corso di svolgimento di detti incarichi;
     d)  con  l'art.  35,  comma 1 Cost., per il quale «la Repubblica
tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni».
   Non  puo'  dubitarsi  del  fatto  che  la  risoluzione ex lege del
rapporto di lavoro si pone come lesiva dell'affidamento sorto in capo
ai  ricorrenti  a  seguito  della stipula del relative contratto; non
puo'  del  pari  dubitarsi che l'anticipata interruzione del rapporto
lavorativo,  operata senza motivazione e giustificazione e in assenza
di  una  qualche  garanzia  procedimentale,  sia ulteriormente lesiva
della  dignita'  dei  ricorrenti,  nella  qualita'  di lavoratori, in
quanto  incisi  da  un provvedimento che in sostanza si atteggia come
«ingiusto licenziamento».
   In    proposito   va   richiamato   l'insegnamento   della   Corte
costituzionale  secondo cui la privatizzazione del rapporto di lavoro
dei  pubblici  dipendenti non implica alcuna possibilita' per la p.a.
di  recedere  dal  rapporto,  «ma  semplicemente  che  la valutazione
dell'idoneita'  professionale del dirigente e' affidata a criteri e a
procedure  di carattere oggettivo - assistite da un'ampia pubblicita'
e  dalla  garanzia  del  contraddittorio,  a  conclusione delle quali
soltanto puo' essere esercitato il recesso» (cit. sent. n. 313/1996);
     e)  con  l'art. 36 Cost., il quale dispone che «Il lavoratore ha
diritto  ad  una  retribuzione  proporzionata  alla quantita' ed alla
qualita'  del  suo  lavoro ed in ogni caso ad assicurare a se' e alla
famiglia un'esistenza libera e dignitosa».
   L'anticipata   cessazione   del   rapporto  di  lavoro,  incidendo
ingiustificatamente   (alla  luce  di  quanto  sopra  enunciato)  sui
rapporti  contrattuali  ancora in corso di svolgimento, ha certamente
determinato   in  capo  ai  ricorrenti  un  pregiudizio  patrimoniale
ravvisabile nel venir meno degli effetti economici dei contratti gia'
stipulati.
   Il  Collegio  condivide la prospettazione secondo cui, in presenza
di   un   pregiudizio   in   capo   ai   privati   riveniente   dalla
funzionalizzazione  di un interesse pubblico (sono state in proposito
pertinentemente  citate  le  fattispecie disciplinate agli artt. 11 e
21-quinquies   della  legge  n. 241/1990),  la  p.a.  sia  tenuta  al
pagamento  di  un  indennizzo  o  comunque  a  disporre  una forma di
reintegrazione patrimoniale mirata a preservare la sfera patrimoniale
dei soggetti danneggiati.
   Peraltro, nel caso all'esame, non e' dato rinvenire l'esistenza di
un  effettivo  pubblico interesse giustificativo della risoluzione di
contratti  di  lavoro  ancora  validi,  sicche'  tanto  piu' le norme
censurate   avrebbero  dovuto  prevedere  un  effetto  riparatore  al
pregiudizio arrecato ai destinatari dei provvedimenti interrottivi.
   Deve   poi  in  proposito  rilevarsi  -  con  cio'  emergendo  una
disparita'  di trattamento (apprezzabile ex art. 3 Cost.) operata dal
comma  161 dell'art. 2 della legge n. 286/2006 - che la preservazione
del  trattamento  economico e' stata prevista solo per «gli incarichi
conferiti  a  soggetti  non dipendenti da pubbliche amministrazioni»,
con  la  conseguenza  che  la  qualita'  di intraneus alla p.a. viene
irragionevolmente  assunta  come  circostanza  giustificativa  di  un
trattamento deteriore rispetto all'extraneus.
   4.2.3.  -  Rileva  peraltro  il  Collegio  come, da ultimo, con la
recente  sentenza  n. 103/2007, la Corte costituzionale, pronunciando
su  questione che presenta forti analogie con la tematica dedotta nel
presente  giudizio,  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art.  3,  comma 7, della legge n. 145/2002 («Disposizioni per il
riordino  della  dirigenza  statale  e  per  favorire  lo  scambio di
esperienze  e  l'interazione  tra pubblico e private») nella parte in
cui, in relazione agli «incarichi di funzione dirigenziale di livello
generale»  stabilisce  che  gli  stessi  cessano automaticamemente il
sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge.
   La  Corte  ha  rilevato che la norma summenzionata, «prevedendo un
meccanismo   (cosidetto   spoil  system  una  tantum)  di  cessazione
automatica,  ex  lege e generalizzata degli incarichi dirigenziali di
livello  generale  al  momento  dello spirare del termine di sessanta
giorni  dall'entrata  in  vigore  della legge in esame (id est: legge
n. 145/2000),  si  pone  in  contrasto  con  gli  artt. 97 e 98 della
Costituzione».
   Cio'  in quanto la disposizione, come formulata, «determinando una
interruzione,  appunto,  automatica del rapporto di ufficio ancora in
corso prima dello spirare del termine stabilito, viola, in carenza di
garanzie  procedimentali,  gli indicati principi costituzionali e, in
particolare,  il  principio di continuita' dell'azione amministrativa
che  e' strettamente correlato a quello di buon andamento dell'azione
stessa».
   Ha  soggiunto  la  Corte,  richiamando  gli  esiti della complessa
evoluzione  legislativa che ha interessato il settore della dirigenza
statale pervenendo a un nuovo atteggiarsi del rapporto tra politica e
amministrazione,  che le leggi di riforma della p.a. «hanno disegnato
un  nuovo  modulo  di  azione  che  misura  il  rispetto  del  canone
dell'efficacia  e  dell'efficienza  alla  luce  di  risultati  che il
dirigente  deve  perseguire  nel  rispetto  degli indirizzi posti dal
vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato,
modulato  in  ragione  della  peculiarita'  della  singola  posizione
dirigenziale   e  del  contesto  complessivo  in  cui  la  stessa  e'
inserita»;  donde  l'evidenza  che  «la  previsione di una anticipata
cessazione  ex  lege  del rapporto in corso impedisce che l'attivita'
del  dirigente  possa espletarsi' in conformita' al modello di azione
sopra indicato».
   Facendo   applicazione   dei   principi   gia'   affermati   dalla
giurisprudenza   costituzionale   (sent.   n. 193/2002   e  ordinanza
n. 11/2002),  nella  sentenza  n. 103/2007 si ribadisce la necessita'
«che   ...   sia   comunque  garantita  la  presenza  di  un  momento
procedimentale  di confronto dialettico tra le parti, nell'ambito del
quale,  da  un  lato, l'amministrazione esterni le ragioni - connesse
alle  pregresse  modalita'  di  svolgimento  del  rapporto  anche  in
relazione   agli   obiettivi   programmati   dalla   nuova  compagine
governativa  - per le quali ritenga di non consentire la prosecuzione
sino   alla   scadenza   contrattualmente  prevista;  dall'altro,  al
dirigente  sia assicurata la possibilita' di far valere il diritto di
difesa,  prospettando  i  risultati delle proprie prestazioni e delle
competenze  organizzative  esercitate  per  il  raggiungimento  degli
obiettivi  posti  dall'organo  politico  e  individuati, appunto, nel
contratto a suo tempo stipulato».
   L'esigenza dell'ora indicata fase procedimentale e' ritenuta dalla
Corte   essenziale   anche   in   ragione  del  rispetto  del  giusto
procedimento  amministrativo  positivizzato  dalla legge n. 241/1990,
«all'esito  del  quale dovra' essere adottato un atto motivato che, a
prescindere  dalla  sua  natura  giuridica,  di diritto pubblico o di
diritto privato, consenta comunque un controllo giurisdizionale. Cio'
anche al fine di garantire - attraverso la esternazione delle ragioni
che   stanno  alla  base  della  determinazione  assunta  dall'organo
politico  - scelte trasparenti e verificabili, in grado di consentire
la  prosecuzione  dell'attivita'  gestoria  in  ossequio  al precetto
costituzionale   della   imparzialita'   dell'azione  amministrativa.
Precetto,   questo,   che  e'  alla  base  della  stessa  distinzione
funzionale  dei  compiti  tra  organi politici e organi burocratici e
cioe'  tra  l'azione  di  governo  -  che  e' normalmente legata alle
impostazioni  di  una  parte  politica,  espressione  delle  forze di
maggioranza    -   e   l'azione   dell'amministrazione,   la   quale,
nell'attuazione   dell'indirizzo   politico   della  maggioranza,  e'
vincolata  invece  ad  agire  senza  distinzioni di parte politiche e
dunque  al  servizio esclusivo della Nazione (alt. 98 Cost.), al fine
del    perseguimento    delle    fmalita'    pubbliche    obiettivate
dall'ordinamento».
   Gli assunti argomentativi della Corte, dei quali si e' ritenuto di
riportare  ampi stralci, sono significativamente espressivi in quanto
consonanti  alle  censure  di  illegittimita'  costituzionale dedotte
inricorso nei riguardi di una normativa (art. 2, commi 159, 160 e 161
della   legge   n. 286/2006)  che  presenta  profili  di  sostanziale
identita'  con  quella  sottoposta al vaglio del giudizio della Corte
medesima  (art. 3, comma 7, della legge n. 145/2002); in particolare,
delle  censure  che si appuntano sulla violazione degli artt. 97 e 98
della Costituzione.
   5.  -  Alla  stregua  di  tutte le considerazioni che precedono si
solleva  la  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 2,
commi  159,  160  e 161, del d.l. 31 ottobre 2006, n. 262, convertito
con modifiche nella legge 24 novembre 2006, n. 286, per contrasto con
gli artt. 3, 97, 98, 35, comma 1, e 36 della Costituzione.
   Si  dispone,  pertanto,  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte
costituzionale,  con conseguente sospensione del presente giudizio ai
sensi  dell'alt.  23  della  legge  li'  marzo  1953,  n. 87,  per la
pronuncia sulla legittimita' costituzionale della predetta norma.