IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3547/1993 proposto da Invito Consiglia, rappresentata e difesa da Noemi Carnevale, con domicilio in Lecce, via Oberdan n. 107, presso Noemi Carnevale; Contro Presidenza del Consiglio dei ministri; Avvocatura generale dello Stato; Direzione provinciale del Tesoro di Lecce, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio in Lecce, via Rubichi n. 23, presso sede Avvocatura distrettuale, per l'annullamento, previa tutela cautelare: del provvedimento di cui alla nota dell'avvocatura generale dello Stato n. 16616 del 13 agosto 1993; del provvedimento di recupero della direzione provinciale del tesoro di Lecce n. 11651 del 15 ottobre 1993. Visto il ricorso con i relativi allegati; Relatore il dott. Massimiliano Balibriani. Uditi per le parti l'avv. Carnevale e l'avv. Dello Stato Libertini. F a t t o e d i r i t t o La ricorrente e' avvocato dello Stato, in servizio presso l'Avvocatura distreltuale di Lecce. Con atto del 13 agosto 1993, l'Avvocatura generale dello Stato ha invitato la Direzione provinciale del tesoro di Lecce a recuperare nei confronti della ricorrente gli importi corrispondenti all'indennita' di cui all'articolo 2 della legge n. 425 del 1984, per i periodi in cui la medesima ha fruito di congedo straordinario per maternita' (dal 25 dicembre 1992 al 1° giugno 1993, ai sensi dell'articolo 4, lettere a), b) e c) della legge 30 dicembre 1071, n. 1204). Con successivo provvedimento del 15 ottobre 1993, la Direzione provinciale del tesoro di Lecce ha effettivamente disposto il recupero ditali somme, mediante ritenute mensili di lire 331.549, ritenendo di vantare un credito di lire 6.299.446 nei confronti della ricorrente. Quest'ultima lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi generali concernenti la ripetizione di emolumenti non dovuti, dell'articolo 7 della legge n. 241 del 1990, il difetto di istruttoria e l'inesistenza dei presupposti, la mancanza di motivazione. Denuncia inoltre la violazione dell'articolo 4, lettera a), b) e c) della legge 30 dicembre 1071, n. 1204, dell'articolo 2 della legge n. 425 del 1984, dell'articolo 3 della legge n. 27 del 1981, in relazione all'articolo 21 del d.P.R. n. 44 del 1990. Insiste, infine, sull'illegittimita' costituzionale dell'articolo 3 della legge n. 27 del 1981, in riferimento agli articoli 3, 37 e 97 della Costituzione; illegittimita' che ritiene ancora piu' evidente con l'approvazione dell'articolo 21 del d.P.R. n. 44 del 1990, che ha prodotto nell'ordinamento l'irragionevole risultato di consentire al solo personale di cancelleria di godere dell'indennita' giudiziaria anche nel periodo di astensione per maternita'. L'Avvocatura generale ritiene, tra l'altro, la questione di costituzionalita' manifestamente infondata, poiche' identica a quella gia' decisa dalla Corte costituzionale con sentenza n. 238 del 1990. La sopravvenienza di una norma regolamentare, quale l'articolo 21 del d.P.R. n. 44 del 1990, non potrebbe del resto rendere nuova la questione (che l'avvocatura medesima ritiene fondata sugli stessi parametri di quella gia' decisa dalla Corte), non potendo un regolamento avere rilevanza nel giudizio di valutazione della legittimita' di norme primarie. Ritiene l'avvocatura erariale, infine, che l'indennita' giudiziaria del personale delle carriere di magistratura avrebbe comunque natura diversa da quella estesa al personale di cancelleria. Per il personale delle segreterie e cancellerie giudiziarie, che godrebbero tra l'altro di una retribuzione inferiore, l'indennita' si avvicinerebbe piu' ad una voce normale della retribuzione stessa, non essendo strettamente correlata e consequenziale alla particolarita' della funzione concretamente esercitata, come avviene invece per i magistrati. Nella camera di consiglio del 13 giugno 2007, la causa e' passata in decisione. 1. - Sulla rilevanza della questione di costituzionalita' nel caso di specie. La questione di costituzionalita' dell'art. 3, comma 1, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nella parte in cui esclude la corresponsione - durante i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi dell'art. 4 della legge 30 dicembre 1971 - della speciale indennita' dallo stesso istituita, e' rilevante nella causa sottoposta a questo tribunale, atteso che da una statuizione sulla fondatezza di tale questione deriverebbe direttamente un modifica della fonte normativa di riferimento tale da determinare di per se' l'accoglimento della domanda della ricorrente. Come noto, con ordinanza n. 7629/2004 il Consiglio di Stato ha gia' rimesso identica questione alla Corte costituzionale, la quale con successiva pronuncia (ordinanza n. 10 del 2006) ha restituito gli, atti al giudice rimettente, rilevando: «che, successivamente alla pronuncia delle ordinanze di rimessione, e' entrata in vigore la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2005), il cui art. 1, comma 325, ha disposto che "all'articolo 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, le parole «assenza obbligatoria o facoltativa previsti negli articoli. 4 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204" sono sostituite dalle seguenti «astensione facoltativa previsti dagli articoli 32 e 47, commi 1 e 2 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151"» (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53); che la sopravvenuta modificazione del quadro normativo di riferimento impone il riesame da parte del rimettente della perdurante rilevanza della questione, competendo altresi' al giudice a quo la preliminare valutazione in ordine all'applicabilita' dello jus superveniens alla fattispecie sottoposta al suo esame». Con successiva ordinanza n. 2280 del 10 maggio 2007, il Consiglio di Stato, pur dopo il menzionato intervento normativo, ha ritenuto la questione ancora proponibile, rilevante e non manifestamente infondata. Secondo il Consiglio di Stato, oggi, sulla base del nuovo testo dell'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (come risultante dalle modifiche allo stesso apportate dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 ), la materia della erogazione di detta indennita' e' disciplinata con il riconoscimento ai magistrali della spettanza della stessa anche durante i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternita'. Tale nuova disciplina non e', pero', ad avviso della Consiglio di Stato, applicabile alle situazioni, come quella in esame, esauritesi prima del 1° gennaio 2005, data di entrata in vigore della norma, che la disciplina stessa ha recato. Secondo il giudice amministrativo d'appello, infatti, la novella, di cui all'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, puo' ben leggersi come una sorta di intervento correttivo, ma un vero e proprio carattere retroattivo poteva essere attribuito alla norma solo dal legislatore stesso, che tuttavia non ha reso esplicita l'intenzione di emanare disposizioni di «interpretazione autentica» ne' norme innovative con efficacia retroattiva. Il carattere di norma di interpretazione autentica del resto puo' essere riconosciuto soltanto alle norme dirette a chiarire il senso di quelle preesistenti, ovvero ad escludere o ad enucleare uno dei sensi tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle norme interpretate (Cons. St., ad. plen., 24 marzo 2006, n. 3), mentre, nel caso della nuova disposizione di cui trattasi, la scelta assunta dal legislatore del 2004 con la nuova formulazione dell'art. 3 della legge n. 27 del 1981 non rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale, e pertanto siffatta disposizione, con riguardo al periodo precedente l'entrata in vigore della novella, non consente, sotto alcun versante interpretativo, la corresponsione dell'indennita' di cui si controverte. 2. - Cio' premesso, il Collegio ritiene di aderire ai dubbi di costituzionalita' evidenziati dal Consiglio di Stato nell'ordinanza di rimessione n. 7629 del 2004, e li fa propri nei termini che seguono. «La differenza dei regime della regolamentazione del rapporto di lavoro tra le due categorie considerate - magistrati (e avvocati e procuratori dello Stato) e personale dirigente delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie (contrattualizzata la prima, ma non la seconda) - non vale ad avviso del Collegio, ad escludere la configurabilita' della prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione e, quindi, la denunciata disparita' di trattamento. La circostanza che un tipo rapporto trovi la sua fonte nella legge e l'altro in un contratto collettivo (anche prescindendo dalla natura latu sensu normativa di quest'ultimo) non esime, invero, il legislatore che regola il primo dal rispetto del suddetto precetto costituzionale (quand'anche il trattamento piu' favorevole venga introdotto da un contratto collettivo successivo alla legge), ne' preclude la verifica dell'osservanza di quel dovere ed il riscontro della sua violazione (secondo il procedimento incidentale di scrutinio della costituzionalita' del regime legislativo deteriore). L'eterogeneita' della natura della fonte della disciplina delle condizioni del rapporto di lavoro (e, in particolare, dei diritti e degli obblighi dei lavoratori) non impedisce, in definitiva, il sindacato costituzionale della compatibilita' delle differenze riscontrate nelle condizioni stabilite dalla legge e dal contratto collettivo con il principio della Carta fondamentale che impone (alla prima) di garantire il medesimo trattamento a situazioni sostanziali identiche. Diversamente opinando, si perverrebbe, peraltro, all'inaccettabile conclusione di impedire un controllo di costituzionalita' di una disposizione di legge che esclude la spettanza di un diritto, viceversa riconosciuto, a parita' di situazioni, ad un'altra categoria di lavoratori da un'altra fonte del diritto, e, quindi, in definitiva, di convalidare una palese ingiustizia, legittimando una diversa disciplina di situazioni sostanziali identiche. Senza considerare che la regolamentazione del rapporto di personale "contrattualizzato" non puo' che essere negoziale e che escludendo la prospettabilita', come tertium comparationis, del contratto collettivo si finisce per sottrarre il legislatore che disciplina il rapporto di una categoria di lavoratori sostanzialmente omologa alla prima (nel senso che opera nello stesso settore dell'ordinamento) all'ambito applicativo dell'art. 3 della Costituzione, di avvalorare eventuali trattamenti deteriori del personale non "contrattualizzato" e di ridurre, anzi di eliminare, (inammissibilmente) in danno di quest'ultimo le garanzie costituzionali connesse all'esigenza di parita' di trattamento di situazioni uniformi. Quand'anche, tuttavia, si intendesse negare la configurabilita' di una disparita' di trattamento tra legge e contratto, si dovrebbe, in ogni caso, riconoscere che, per effetto dell'attribuzione (con il contratto collettivo) al personale femminile delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie del diritto all'indennita' giudiziaria anche nei periodi di astensione obbligatoria per maternita' e puerperio, si e' determinato un diverso assetto del trattamento della predetta categoria di' dipendenti, in relazione alla cui sopravvenienza la disposizione censurata conserva, per le donne magistrato (avvocato e procuratore dello Stato), un regime giuridico ormai connotato da un'ingiustificata difforme configurazione, che ne implica una palese incompatibilita' costituzionale. Resta, in ogni caso, confermata, anche sulla base delle considerazioni da ultimo svolte, la configurabilita' della dedotta inosservanza del precetto costitunazionale che prescrive l'uniforme regolamentazione normativa di situazioni uguali e che vieta al legislatore, pena l'incostituzionalita', di introdurre, o di mantenere, discipline diverse di fattispecie omologhe»; «Per quanto consta, il Giudice delle leggi ha delibato la questione della costituzionalita' dell'art. 3, legge n. 27/81, sotto tre distinti profili: con una prima sentenza (n. 238 dell'8 maggio 1990) ha escluso la sussistenza della denunciata disparita' di trattamento delle donne magistrato rispetto alla generalita' delle dipendenti statali; con una seconda prinuncia (n. 407 del 24 dicembre 1996) e' stata esclusa la prospettata disparita' di trattamento delle donne magistrato obbligatoriamento assenti per maternita' rispetto ai magistrati in servizio ed e' stata riconosciuta la compatibilita' dell'art. 3 legge n. 27/1981 con il precetto costituzionale che impone un'adeguata protezione della lavotratice madre (art. 37 della Costituzioine); con un'altra decisione (n. 106 del 18 aprile 1997) e' stata, infine, esclusa la sussistenza della disparita' di trattamento tra magistrati donne e magistrati uomini e della prospettata violazione delle norme costituzionali che prescrivono la tutela della famiglia, della maternita' e dell'infanzia (artt. 30 e 31 della Costituzione). Come si vede, quindi, la Corte non ha mai esaminato la questione, nei termini in cui e' stata posta dalle odierne ricorrenti, della sussistenza di una disparita' di trattamento tra le donne magistrato e le dipendenti del Ministero della giustizia addette alle cancellerie ed alle segreterie giudiziarie»; «Giova premettersi, in fatto, che con l'art. 1 della legge n. 221/1988 e' stata attribuita al personale dirigente delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie l'indennita' di cui all'art. 31, legge n. 27/1981, che con la medesima disposizione e' stata espressamente esclusa la spettanza di tale emolumento nei periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternita' e puerperio, che, tuttavia, con l'art. 21 d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 (di recepimento dell'accordo relativo al personale del comparto Ministeri) e' stata prevista l'attribuzione alle lavoratrici madre in astensione obbligatoria ai sensi dell'art. 4 della legge n. 1204/1971 delle "... quote di salario accessorio fisse e ricorrenti relative alla professionalita' ed alla produttivita'", che tale previsione e' stata interpetetata ed applicata dal Ministero della giustizia nel senso della spettanza alle proprie dipendenti addette alle cancellerie ed alle segreterie dell'indennita' giudiziaria anche nei periodi di assenza obbligatoria per maternita' e puerperio (cfr. circolare n. 22 in data 22 settembre 1993 della Direzione generale organizzazione giudiziaria e affari generali), che la predetta previsione e' stata ribadita nei contratti collettivi nazionali successivi del personale del comparto Ministeri e che, a quanto consta, l'emolumento controverso risulta regolarmente corrisposto alla suddetta categoria di personale nei periodi considerati. Attualmente, quindi, per effetto delle predette previsioni dei contratti collettivi (per come interpretate ed attuate dall'amministrazione della giustizia), le lavoratrici addette alle cancellerie ed alle segreterie giudiziarie percepiscono l'indennita' di cui all'art. 3, legge n. 27/ 1981 (loro estesa dall'art. 1, legge n. 221/1988) anche nei periodi di astensione obbligatoria per maternita' e puerperio, mentre le donne magistrato (avvocato e procuratore dello Stato) non ricevono alcunche', nella medesima situazione, a quel titolo. Osserva, al riguardo, il Collegio, nei limiti della valutazione della non manifesta infondatezza della prospettata eccezione di incostituzionalita' dell'art. 3, legge n. 27/1981, che la posizione delle diverse categorie di lavoratrici considerate non presenta differenze tali da giustificare l'attribuzione ad una sola del diritto all'indennita' di giudiziaria nei periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternita' e puerperio e che, anzi, l'identita' della ratio dell'attribuzione ad entrambe del medesimo emolumento (agevolmente ravvisabile nell'esigenza di compensare con un'ulteriore voce "retributiva" la gravosita' dell'impegno connesso all'esercizio dell'attivita' giudiziaria, cui concorre anche il personale dirigente delle cancellerie e delle segreterie) impone di escludere la compatibilita' di una diversa disciplina dei relativi diritti tra classi di dipendenti del tutto omologhe, quanto alla spettanza dell'indennita' giudiziaria, con il parametro costituzionale (art. 3) che esige la parita' di trattamento di situazioni uguali (cfr. Corte cost., 26 novembre 2002, n. 476, in cui si ribadisce il principio, costituzionalmente garantito, della necessita' dell'identita' di disciplina di fattispecie connotate dagli stessi caratteri o, comunque, non adeguatamente differenziate tra loro)». Con l'ordinanza n. 2280 del 2007, il Consiglio di Stato ha poi precisato, ed il Collegio condivide, che «se la protezione del valore della maternita' puo' essere attuata con interventi legislativi di contenuto e modalita' anche diversi in relazione alle caratteristiche di ciascuna delle situazioni considerate (Corte cost., 14 dicembre 2001, n. 405), appare discriminatoria l'assenza di tutela, che si realizza nel momento in cui, in presenza di una identica situazione e di un medesimo evento, alcuni soggetti si vedono privati di provvidenze riconosciute, invece, in capo ad altri, che si trovano nelle medesime condizioni (Corte cost., 14 ottobre 2005, n. 385); discriminazione oggi evidente, alla luce della norma sopravvenuta, all'interno della stessa categoria delle donne-magistrato, che si vedono attribuite una differente tutela della maternita', senza alcuna ragione logica, solo a seconda della collocazione temporale dell'evento maternita' rispetto all'entrata in vigore della norma stessa». Ad avviso di questo Collegio, inoltre, se il legislatore ha ritenuto necessario prevedere, con la novella di cui all'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, una specifica misura a sostegno della maternita', quindi in diretta attuazione dell'articolo 37 della Costituzione; la mancata previsione della stessa misura, in casi analoghi verificatisi prima dell'entrata in vigore della norma, determina, oltre alla violazione dell'articolo 3 della Costituzione, anche quella del parametro di cui al citato articolo 37. Ne' appare condivisibile ritenere, come mostra l'avvocatura erariale nelle proprie difese, che tale risultato sarebbe trascurabile per le sole carriere di magistratura ed avvocatura dello Stato, per il fatto che esse sarebbero caratterizzate da retribuzioni maggiori rispetto a quelle delle carriere nelle segreterie e cancellerie giudiziarie. Fermo restando che simili considerazioni non sono verificabili per la generalita' dei casi, occorre piuttosto porre attenzione alla circostanza che l'indennita' giudiziaria incide sulla retribuzione in misura percentuale maggiore proprio nelle carriere di magistratura ed avvocatura dello Stato. Sul magistrato o avvocato dello Stato la privazione dell'indennita' giudiziaria opera con peso certamente non inferiore, anzi forse maggiore, rispetto ai dipendenti delle segreterie e cancellerie giudiziarie. Di qui l'ulteriore sospetto di illegittimita' costituzionale in relazione agli indicati parametri di cui agli articoli 3 e 37 della Costituzione.