IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza di invio degli atti alla Corte
costituzionale.
                          Premesso in fatto
   Il  presente  procedimento  costituisce  stralcio del procedimento
principale  n. 4960/01  rg.nr.  in  relazione  al  quale  la Corte di
cassazione, fra le altre cose, ha respinto i ricorsi del p.m. avverso
i  provvedimenti  di  annullamento  per mancanza e/o insussistenza di
gravi  indizi  emessi dal Tribunale della liberta' di Bologna in data
25  settembre  2004, 28 settembre 2004 e 9 ottobre 2004, delle misure
cautelari  applicate dal G.i.p. del Tribunale di Forli' con ordinanza
in data 6 settembre 2004, in ordine ai capi d'imputazione S (a carico
di  Sbaraglia  Alceo, poi divenuto capo R nell'avviso ex art. 415-bis
c.p.p.),  V  (a  carico  di  Giunchi  Tolmino,  poi  divenuto  capo U
nell'avviso  ex  art.  415-bis  c.p.p.), W (a carico di Mugnai Milena
(poi  divenuto  capo  V  nell'avviso  ex art. 415-bis c.p.p.) e QQ (a
carico  di  Laghi  Roberto, Laghi Giacomo, Laghi Raffaele, Gorzanelli
Deri   e   Gorzanelli  Andrea  in  concorso,  poi  divenuto  capo  PP
nell'avviso ex art. 415-bis c.p.p.).
   In  particolare,  qui  rilevano  le  sentenze  della suprema Corte
n. 23235  del  21  giugno  2005 (in relazione al capo S, poi divenuto
capo  R), n. 23239/05 del 21 giugno 2205 (in relazione al capo W, poi
divenuto  capo  V),  n. 23465/05  del 22 giugno 2005 (in relazione al
capo  QQ,  poi divenuto capo PP) e n. 27610/05 del 26 luglio 2005 (in
relazione al capo V, poi divenuto capo U).
   Con  la  prima  sentenza  la Corte ha ritenuto il ricorso del p.m.
«del  tutto  sfornito  di adeguata dimostrazione logico-giuridica, ed
altresi'   basato   su   ‘‘valutazioni   puramente  di  merito'',
inammissibili   in   grado  di  legittimita',  confermando  cosi'  il
provvedimento  del  tribunale  della  liberta',  che  aveva  ritenuto
l'‘‘insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza''».
   Con  la  seconda sentenza la Corte ha ritenuto il ricorso del p.m.
basato  su valutazioni attinenti il merito, inammissibili in grado di
legittimita', e su «osservazioni critiche rivolte a singoli frammenti
della  motivazione  adottata  dal tribunale, indebitamente avulsi dal
loro  contesto  e, a volte, addirittura fraintesi», confermando cosi'
il  provvedimento  del  tribunale  della liberta', che aveva ritenuto
«insussistenti i gravi indizi di colpevolezza».
   Con  la  terza  sentenza  la  Corte  ha  affermato (pag. 6) che il
tribunale  della  liberta'  ha  «ampiamente  giustificato la ritenuta
insussistenza di gravi indizi di colpevolezza».
   Con  la  quarta  sentenza  la  Corte  non ha ravvisato «l'asserita
contraddittorieta'  fra  la  riconosciuta insufficienza dell'apparato
indiziario   e  la  ritenuta  assenza  di  pericoli  di  inquinamento
probatorio,  posto  che  detta insufficienza non risulta correlata ad
alcuna    prospettazione    di    ulteriori,    specifiche   indagini
potenzialmente  suscettibili di colmarla», ed ha altresi' ritenuto il
ricorso  fondato  su  «valutazioni  soggettive  puramente di merito»,
inammissibili in sede di legittimita'.
   In  tutti questi casi, quindi, la suprema Corte «si e' pronunciata
in  ordine  alla  insussistenza  di  gravi indizi di colpevolezza, ai
sensi dell'art. 273 c.p.p.», come recita l'art. 405, comma 2 c.p.p.
   Per i capi in questione il p.m. ha quindi chiesto l'archiviazione,
in  ossequio  a  quanto ora prescritto dalla suddetta norma, peraltro
rappresentando che, in assenza di tale norma, egli avrebbe chiesto il
rinvio   a   giudizio   e  che  tale  norma  viola  il  principio  di
ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione.
   Ritiene questo giudice pertanto di sollevare la seguente questione
di legittimita' costituzionale.
                         Premesso in diritto
   In effetti, l'art. 405, comma 1-bis c.p.p. si espone a censure non
manifestamente infondate di illegittimita' costituzionale.
   Tale norma (introdotta dall'art. 3, legge 20 febbraio 2006, n. 46)
comporta infatti un'indebita dilatazione erga omnes della valutazione
dei   gravi   indizi   di   colpevolezza  effettuabile,  in  sede  di
legittimita', in punto di misure cautelari.
   Cio'  urta  con  i  principi,  ribaditi  di recente dalla Corte di
cassazione,  che, armonicamente, regolano il sistema penale in ordine
alla valutazione degli indizi di colpevolezza.
   Si  rinvia  all'uopo  a Cass. 5 gennaio 2005, n. 118 (rv. 232627),
laddove si e' affermato:
     in  tema  di  misure cautelari personali la valutazione del peso
probatorio  degli indizi e' compito riservato al giudice di merito e,
in  sede  di  legittimita',  tale  valutazione puo' essere contestata
unicamente   sotto   il   profilo   della  sussistenza,  adeguatezza,
completezza e logicita' della motivazione, mentre sono inammissibili,
viceversa,   le   censure   che,   pure   investendo  formalmente  la
motivazione,   si  risolvono  nella  prospettazione  di  una  diversa
valutazione  delle  circostanze  gia'  esaminate da detto giudice (ex
pluribus,  Cass., sez. 5ª, 4 dicembre 2002, Proc. Rep. Tribunale Bari
in  proc. Granata, nonche', Cass., sez. 2ª, 17 dicembre 2004, Scalese
ed altro).
   Va  altresi'  ricordato che, nella subiecta materia, la nozione di
«gravi  indizi  di  colpevolezza»  di  cui all'art. 273 c.p.p. non si
atteggia  allo stesso modo del termine «indizi» inteso quale elemento
di   prova   idoneo   a   fondare  un  motivato  giudizio  finale  di
colpevolezza,  che  sta  ad  indicare  la «prova logica o indiretta»,
ossia  quel  fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v.
art.  192  c.p.p.,  comma  2),  che  consente di risalire ad un fatto
incerto attraverso massime di comune esperienza.
   ...Per  l'emissione  di  una  misura  cautelare, invece, e' quindi
sufficiente   qualunque  elemento  probatorio  idoneo  a  fondare  un
giudizio    di   qualificata   probabilita'   sulla   responsabilita'
dell'indagato  in  ordine  ai reati addebitatigli (di recente, Cass.,
sez. 2ª, 11 febbraio 2003, Panaro). E cio' deve affermarsi anche dopo
le  modifiche  introdotte  dalla legge 1° marzo 2001, n. 63: infatti,
nella  fase  cautelare  e' ancora sufficiente il requisito della sola
gravita'  (art.  273  c.p.p.,  comma  1), giacche' l'art. 273 c.p.p.,
comma  1-bis  (introdotto,  appunto,  dalla  suddetta legge) richiama
espressamente  i soli comma 3 e 4, ma non l'art. 192 c.p.p., comma 2,
che  prescrive  la  precisione e la concordanza accanto alla gravita'
degli  indizi:  derivandone,  quindi  che  gli  indizi, ai fini delle
misure  cautelari,  non  devono  essere  valutati  secondo gli stessi
criteri  richiesti  per  il  giudizio di merito dall'art. 192 c.p.p.,
comma  2,  e cioe' con i requisiti della gravita', della precisione e
della  concordanza  (ex  pluribus,  Cass.,  sez.  3»,  27 marzo 2002,
Parziale).
   .. In   proposito,   va   ricordato   che,   secondo  assunto  non
controverso,  in  tema  di misure cautelari personali, la valutazione
del  peso  probatorio degli indizi e' compito riservato al giudice di
merito  e,  in  sede  di  legittimita',  tale valutazione puo' essere
contestata   unicamente   sotto   il   profilo   della   sussistenza,
adeguatezza,  completezza  e logicita' della motivazione, mentre sono
inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente
la  motivazione,  si  risolvono  nella  prospettazione di una diversa
valutazione  delle  circostanze  gia'  esaminate da detto giudice (ex
pluribus,  Cass., sez. 5ª, 4 dicembre 2002, Proc. Rep. Tribunale Bari
in  proc. Granata, nonche', Cass., sez. 2ª, 17 dicembre 2004, Scalese
ed altro).
   ...Va  altresi'  ricordato che, nella subiecta materia, la nozione
di  «gravi  indizi di colpevolezza» di cui all'art. 273 c.p.p. non si
atteggia  allo stesso modo del termine «indizi» inteso quale elemento
di   prova   idoneo   a   fondare  un  motivato  giudizio  finale  di
colpevolezza,  che sta ad indicare la prova logica o indiretta «ossia
quel  fatto  certo  connotato da particolari caratteristiche (v. art.
192  c.p.p.,  comma  2), che consente di risalire ad un fatto incerto
attraverso  massime  di  comune  esperienza.  Per  l'emissione di una
misura  cautelare,  invece,  e' quindi sufficiente qualunque elemento
probatorio  idoneo  a fondare un giudizio di qualificata probabilita'
sulla  responsabilita' dell'indagato in ordine ai reati addebitatigli
(di  recente,  Cass., sez. 2ª, 11 febbraio 2003, Panaro). E cio' deve
affermarsi  anche  dopo  le modifiche introdotte dalla legge 1° marzo
2001,  n. 63:  infatti, nella fase cautelare e' ancora sufficiente il
requisito  della  sola  gravita' (art. 273 c.p.p., comma 1), giacche'
l'art.  273 c.p.p., comma 1-bis, (introdotto, appunto, dalla suddetta
legge)  richiama  espressamente i soli comma 3 e 4, ma non l'art. 192
c.p.p., comma 2, che prescrive la precisione e la concordanza accanto
alla  gravita'  degli indizi: derivandone, quindi, che gli indizi, ai
fini  delle  misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli
stessi  criteri  richiesti  per  il  giudizio di merito dall'art. 192
c.p.p.,  comma  2,  e  cioe'  con  i  requisiti della gravita', della
precisione e della concordanza (ex pluribus, Cass., sez. 3ª, 27 marzo
2002, Parziale).
   Alcuni  passaggi  di  tale  motivazione sono stati successivamente
riproposti dalla Corte proprio nella sentenza 7 giugno 2006, n. 19578
(rv.  233787)  (con  la  quale  si e' affermato che l'art. 405, comma
1-bis  c.p.p.  lascia  comunque libero il g.i.p. di non accogliere la
richiesta  di  archiviazione),  ove si e' ulteriormente rilevato che:
«esula  dai  poteri  della  Corte di cassazione quello di una diversa
lettura  degli  elementi di fatto posti a fondamento della decisione,
la cui valutazione e' riservata in via esclusiva al Giudice di merito
senza   che   possa   integrare   vizio   di   legittimita'  la  mera
prospettazione   di   una   diversa   valutazione   delle  risultanze
processuali  ritenute  dal  ricorrente  piu'  adeguate (Cass., s.u. 2
luglio 1997, n. 6402, ud. 30 aprile 1997, rv. 207944, Dessimone)».
   Sintetizzando,  quindi,  la  norma  in  esame non considera che la
valutazione dei gravi indizi in sede di legittimita' (in particolare,
in  ordine  a  provvedimenti  de  libertae)  e' sempre vincolata alle
risultanze   indiziarie  ritenute  dal  giudice  di  merito  e  cosi'
formalizzate  nel provvedimento gravato, ma in astratto non abbraccia
tutte  le possibili risultanze investigative emerse nel procedimento,
in quanto il giudice di merito potrebbe averne tralasciate alcune nel
ragionamento da lui seguito. Non puo' peraltro essere il p.m. privato
della  opportunita'  di  far  valere  tali  eventuali risultanze, non
considerate, nel prosieguo del procedimento (in primis, attraverso la
richiesta di rinvio a giudizio o la citazione a giudizio).
   Inoltre  l'art.  405,  comma  1-bis  c.p.p.  sembra confondere gli
indizi  legittimanti la richiesta di rinvio a giudizio o la citazione
a giudizio con i gravi indizi che devono essere posti a fondamento di
una  misura  cautelare,  e  che  hanno  pregnanza  e  dimensione piu'
incisiva  in  considerazione della diversa fase processuale in cui le
misure  possono  intervenire  (e  di fatto intervengono, ossia quella
iniziale  delle  indagini  preliminari),  e della gravita' intrinseca
delle stesse, che vengono applicate a prescindere del contraddittorio
tipico del giudizio.
   Il  fatto  che  questa  norma  non  impedisca  al  g.i.p.  di  non
accogliere  la  richiesta di archiviazione e quindi, ove il g.i.p. lo
ritenga,  di  disporre l'imputazione coatta, non sminuisce la portata
negativa  della stessa, ne' implica un meccanismo sanante. Infatti la
richiesta  obbligata  di  archiviazione  da  parte  del p.m. comporta
eventuali passaggi processuali che non si giustificano (fissazione di
udienza   ex   art.  409,  comma  2  c.p.p.,  imputazione  coatta,  o
indicazione di indagini suppletive, che peraltro sarebbero unicamente
finalizzate  a raccogliere «ulteriori elementi a carico della persona
sottoposta  alle indagini», come recita la norma, cosi' in violazione
del  principio  di terzieta' del giudice posto dall'art. 111, secondo
comma Cost.).
   Tutto cio' contrasta con le esigenze di economia processuale e con
il principio di ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111,
secondo comma della Costituzione.