LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso per ottemperanza R.G.R
n. 17/06,  depositato  l'11  gennaio  2006,  ricevuta  S - 1094/2006,
relativo  alla  sentenza  n. 170/17/2005,  contro  Agenzia  Entrate -
Ufficio  Monza  1,  proposto  dalla ricorrente Brumgnach Laura, viale
Sicilia  n. 2 -  20052  Monza (MI), difesa da Bagnato avv. Antonello,
via San Barnaba n. 47 - 20122 Milano.
                           P r e m e s s o
   Col  ricorso  in esame, la signora Brumgnach Laura esponeva che la
Commissione  tributaria  provinciale di Milano in data 14 giugno 2005
aveva condannato Agenzia delle Entrate - Ufficio Monza 1 al pagamento
di  Euro  669,84 oltre interessi a titolo di rimborso IRAP per l'anno
1998;  che in data 24 novembre 2005 la ricorrente aveva messo in mora
l'Agenzia,  che  l'Agenzia non aveva effettuato alcun pagamento, cio'
premesso,   sollevava  questione  di  costituzionalita'  sulle  norme
regolanti  il  giudizio di ottemperanza, consapevole del fatto di non
potersi  avvalere  della  detta  procedura  non  essendo  la sentenza
passata  in  giudicato.  In  particolare,  deduceva la illegittimita'
costituzionale  dell'art.  70,  d.lgs.  31 dicembre 1992, n. 546, per
violazione  degli  articoli  2,  3,  23,  24, 53, 97, 111 della Carta
costituzionale.
   Rilevava al proposito la ricorrente:
     1)  che  esisteva  disparita'  di  trattamento  tra il privato e
l'amministrazione,    in    quanto   la   seconda   puo'   pretendere
immediatamente  il  pagamento  in  forza di sentenza a se favorevole,
mentre  il  privato  deve  conseguire il passaggio in giudicato della
sentenza per ottenere l'esecuzione o l'ottemperanza;
     2) che tale disparita' di trattamento e' contraria ai criteri di
ragionevolezza   e   tempestivita'   della  tutela  patrimoniale  del
cittadino contribuente, ove la sentenza sia a questi favorevole;
     3)  che  il  criterio della prevalenza dell'interesse collettivo
alla  riscossione  fiscale  non puo' permanere ove la riscossione sia
gia'  avvenuta  e  sia in discussione la legittimita' della medesima,
come e' avvenuto nel caso di specie.
     4)  che l'interesse individuale alla reintegrazione patrimoniale
in  caso  di  ingiusta  riscossione  dell'imposta  merita  una tutela
paritaria con l'amministrazione;
     5)  che  la  restituzione dell'imposta illegittimamente riscossa
costituisce un atto dovuto in capo alla amministrazione;
     6)  che  la  impossibilita'  di  ottenere il pagamento cui si ha
diritto  in  forza di sentenza procrastina la durata della lite senza
alcuna ragione.
   Si   costituiva   l'ufficio   il   quale   contestava  le  avverse
argomentazioni    invocando    il   principio   di   buon   andamento
dell'attivita'  amministrativa  ex  art.  97  della Costituzione, cui
osterebbe  la  possibilita' di dover ripetere somme erogate in base a
sentenze poi riformate nei successivi gradi del giudizio.
   Tanto premesso, si osserva quanto segue.
   Si  ravvisano  nella  fattispecie  sottoposta  all'esame di questa
commissione  ragioni  che  giustificano  la  rimessione degli atti di
causa  alla  Corte  di  legittimita', affinche' valuti la conformita'
dell'art.  70  del  d.l.g.s.  n. 546/1992  ai  principi  della  Carta
costituzionale.
   Il  citato  articolo  delinea  la  procedura  intesa  ad  ottenere
l'ottemperanza  da parte della pubblica amministrazione alle sentenze
emesse in sede di contenzioso tributario.
   Come   noto,   tale  procedura,  alternativa  al  vero  e  proprio
procedimento esecutivo, puo' essere esperita solo qualora la sentenza
sia   passata   in   giudicato.  Ne  consegue,  che  il  giudizio  di
ottemperanza  non  puo' essere utilizzato dal contribuente vittorioso
in  primo  grado,  in  pendenza  di appello o di termine per proporre
appello,  come  si  verifica  nella  fattispecie. Il contribuente che
trovasi  in  tale situazione non ha, in effetti, alcuno strumento per
conseguire  l'esecuzione  della sentenza, posto che, a differenza dei
procedimenti  davanti  al giudice ordinario, ove la sentenza di primo
grado e' provvisoriamente esecutiva per legge, la sentenza tributaria
di primo (o secondo) grado e' priva di tale carattere. D'altro canto,
l'amministrazione  finanziaria  puo',  invece,  procedere al recupero
delle somme dovute, in via esecutiva, anche sulla base della sentenza
di primo grado. La diversita' di poteri attribuiti rispettivamente al
contribuente   e   all'amministrazione   costituisce   una   evidente
discriminazione priva di giustificato motivo, in violazione dell'art.
3,  Carta  costituzionale.  Il diverso interesse, pubblico e privato,
che  giustificherebbe tale diversita' di trattamento, non puo' invero
essere addotto nell'ambito di un procedimento contenzioso. In questo,
la  fase  impositiva,  che  si manifesta nella potesta' di esigere il
tributo,  e'  sostituita  dal  contraddittorio  diretto tra le parti,
muniti  degli  stessi  strumenti  processuali, inteso ad accertare la
legittimita'   della   pretesa  erariale.  Non  sembra  possa  essere
contestato, che, in sede processuale, le parti assumano una posizione
di  totale  bilanciamento  ed  equivalenza, che si deve estendere non
solo  alla  fase  dibattimentale,  ma  anche a quella successiva alla
decisione  della  causa. Il rischio, poi, che in sede di appello o di
successivi  gradi del giudizio la sentenza originariamente favorevole
al     contribuente     possa     essere    ribaltata    in    favore
dell'amministrazione,  la  quale  si vedra' costretta a recuperare le
somme  erogate,  e'  esattamente  identica al rischio che incombe sul
contribuente soccombente in primo grado e vittorioso successivamente,
con  l'aggravante  che  il  recupero  delle  somme a lui spettanti si
presenta ben piu' ardua rispetto alla eventuale corrispondente azione
spettante  all'amministrazione.  In  definitiva,  quanto meno in sede
contenziosa,   non   pare   che  possa  negarsi  il  principio  della
uguaglianza  delle  parti  non solo nella conduzione del processo, ma
anche  negli  effetti  della sentenza. Una diversa interpretazione si
porrebbe  in  contrasto non solo con il citato articolo, ma anche con
l'art.  24  della  Carta  costituzionale,  in  quanto  la  durata del
processo con l'allungarsi ingiustificato non tanto per l'accertamento
del  merito  quanto  per  la  pratica impossibilita' di soddisfazione
immediata  sulla  base  della sentenza di primo grado, produrrebbe un
pregiudizio,   anche  irreparabile,  per  il  contribuente  risultato
vincitore in tutto o in parte, privato di un cespite patrimoniale che
ha diritto di conseguire.
   Vero e' che la Corte suprema con sentenza n. 15388 del 26 giugno -
5  dicembre 2001, ha prospettato una diversa interpretazione circa la
natura delle sentenze delle commissioni tributarie non ancora passate
in  giudicato, affermando che gli artt. 68 e 69 del d.lgs. n. 546 del
1992   sono   «espliciti»   nell'affermare   che  le  sentenze  delle
commissioni  tributarie  sono  provvisoriamente  esecutive per quanto
attiene agli esborsi che il contribuente abbia compiuto in favore del
fisco in esecuzione del provvedimento impositivo.
   Tale  interpretazione  non  si  puo' dire, peraltro, consolidata e
comunque  appare  fortemente dubbia in relazione al diritto positivo.
L'amministrazione  finanziaria ha sempre negato che la sentenza della
commissione provinciale o regionale sia assistita dal forza esecutiva
come emerge dalle circolari 98-E-II.3-l0l1 del 23 aprile 1996 e 224/E
II  158421  del 30 novembre 1999, per le quali l'obbligo del rimborso
sorge a carico dell'amministrazione solo in forza di sentenza passata
in giudicato.
   Di   conseguenza,  la  situazione  normativa  non  consente  spazi
interpretativi  sufficienti  per  superare  la indicata diversita' di
trattamento tra le parti del giudizio.
   Va   ancora   osservato,  che  forti  dubbi  di  costituzionalita'
sussistono  con  riferimento  all'attuazione  della  legge  delega 30
dicembre 1991, n. 413, tradottasi nel d.lgs. n. 546/1992.
   Infatti,  l'art.  30  della  detta  legge  delegava  il governo ad
emanare  uno  o  piu' decreti legislativi recanti disposizioni per il
riordino  del  contenzioso  tributario,  prescrivendo  «l'adeguamento
delle  norme  del  processo  tributario a quelle del processo civile»
lettera  g).  Non sembra dubbio, che per adeguamento debba intendersi
il  mandato  al  governo di dare al processo tributario una struttura
plasmata  sull'ordinario giudizio civile, non solo per quanto attiene
allo  svolgimento  del processo e ai principi del contraddittorio, ma
anche  per quanto attiene alla natura ed efficacia delle sentenze. Al
contrario,  il  d.lgs. non ha recepito il principio della provvisoria
esecutorieta'  delle  sentenze  di primo o secondo grado, violando il
principio di parita' tra le parti.
   Per questi motivi, si Ritiene che: 1) la questione prospettata sia
rilevante  al  fine  del  decidere  la  presente  controversia  e  di
conseguenza   si  sospende  il  giudizio;  2)  che  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 70 del d.lgs. n. 546/1992 non
sia  manifestamente  infondata  in relazione agli articoli 3, 24 e 76
della Carta costituzionale.