Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 438, 516 e
517  del  codice  di  procedura penale, promosso con ordinanza del 30
giugno  2005 dal Tribunale di Sala Consilina, nel procedimento penale
a  carico  di Z. E., iscritta al n. 505 del registro ordinanze 2005 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, 1ª serie
speciale, dell'anno 2005.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di consiglio del 27 febbraio 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che,  con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale
di Sala Consilina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111
della  Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale degli
artt.  438,  516 e 517 del codice di procedura penale, nella parte in
cui  non  prevedono  la  facolta',  per  l'imputato,  di  accedere al
giudizio  abbreviato  allorche'  il  pubblico  ministero  contesti in
dibattimento - «tardivamente», in quanto gia' emerso nella fase delle
indagini  preliminari  - un reato concorrente con quello indicato nel
decreto che dispone il giudizio;
     che  il rimettente - investito del processo penale nei confronti
di  una  persona rinviata a giudizio per il reato di cui all'art. 323
del  codice  penale  (abuso  d'ufficio)  -  riferisce  che, nel corso
dell'istruttoria  dibattimentale, il pubblico ministero ha contestato
all'imputato  anche  il reato previsto dall'art. 479 cod. pen. (falso
ideologico in atto pubblico);
     che  in  relazione alla nuova contestazione - avvenuta non sulla
base  di  elementi  acquisiti in dibattimento, ma di circostanze gia'
emerse  nel  corso delle indagini preliminari - l'imputato ha chiesto
di essere ammesso al giudizio abbreviato;
     che,  alla  stregua  delle  norme  denunciate,  detta  richiesta
dovrebbe  essere  dichiarata  inammissibile,  in  quanto proposta ben
oltre  il  termine di cui art. 438, comma 2, cod. proc. pen.: donde -
ad avviso del rimettente - la rilevanza della questione;
     che  quanto,  poi, alla non manifesta infondatezza, il giudice a
quo  osserva  come  -  contestando  in  dibattimento  un  reato  gia'
desumibile dagli atti di indagine, quando il termine per l'accesso al
rito  alternativo  e'  ormai  spirato - il pubblico ministero venga a
privare l'imputato del diritto di avvalersi di tale rito in relazione
alla nuova imputazione;
     che,   consentendo  un  simile  esito,  le  norme  impugnate  si
porrebbero  in  contrasto  con  l'art.  24 Cost.: avendo questa Corte
chiarito,  con  la  sentenza  n. 265 del 1994, che «qualora non possa
rimproverarsi    alcuna    inerzia    all'imputato,   ossia   nessuna
addebitabilita'   al   medesimo   delle   conseguenze  della  mancata
instaurazione  dei  riti  alternativi  al dibattimento, sarebbe molto
difficile  negare  che  la  impossibilita'  di  ottenere  i  relativi
benefici  concretizzi  una ingiustificata compressione del diritto di
difesa»;
     che   risulterebbe   leso,  altresi',  l'art.  3  Cost.,  stante
l'ingiustificata disparita' di trattamento tra l'imputato cui vengano
tempestivamente contestate tutte le condotte criminose risultanti dal
materiale  probatorio acquisito all'esito delle indagini preliminari,
e   l'imputato  che  si  veda  contestare  durante  il  dibattimento,
«tardivamente», un ulteriore reato in relazione al quale gli e' ormai
precluso l'accesso al giudizio abbreviato;
     che   nel   giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata non fondata.
   Considerato  che  il  Tribunale  di  Sala  Consilina  dubita della
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento agli artt. 3, 24 e 111
della  Costituzione,  degli  artt.  438,  516  e  517  del  codice di
procedura  penale,  nella parte in cui non permettono all'imputato di
accedere al rito abbreviato allorche' il pubblico ministero contesti,
in  dibattimento,  un  reato  concorrente  gia' desumibile dagli atti
delle indagini preliminari;
     che  - ad avviso del rimettente - la questione sarebbe rilevante
nel   giudizio  principale  a  fronte  della  richiesta  di  giudizio
abbreviato,  formulata  dall'imputato  con  riguardo al reato oggetto
della nuova contestazione dibattimentale;
     che il giudice a quo solleva una questione di costituzionalita',
la   quale   poggia   sull'implicito   presupposto  interpretativo  -
corrispondente all'indirizzo giurisprudenziale dominante - per cui le
nuove  contestazioni  dibattimentali possono fondarsi non soltanto su
elementi  emersi  nel corso dell'istruttoria dibattimentale, ma anche
sulla   semplice   rivalutazione   delle  risultanze  delle  indagini
preliminari:  soluzione  ermeneutica  che  fa  leva  precipuamente su
esigenze di celerita' e concentrazione delle attivita' processuali;
     che, nel far cio', il giudice a quo non tiene, tuttavia, affatto
conto  (anche  solo  per contestarne, eventualmente, la riferibilita'
all'ipotesi di specie) dell'ulteriore, consolidato orientamento della
giurisprudenza  di  legittimita'  -  basato sulle medesime esigenze -
secondo  cui  non  e'  ammessa  la  richiesta  di giudizio abbreviato
«parziale»:  e cio' in quanto l'art. 438 cod. proc. pen. prevede che,
tramite  tale rito alternativo, debba essere definito «il processo» -
ossia,  in  tesi,  la  totalita'  degli  addebiti  - e non la singola
imputazione;
     che,  nella  specie,  di  contro  -  secondo  quanto  si  desume
dall'ordinanza  di  rimessione  -  la  richiesta  di  rito abbreviato
dell'imputato  ha  riguardato  solo  il  reato  oggetto  della  nuova
contestazione,   e   non   anche   quello  per  cui  egli  era  stato
originariamente rinviato a giudizio;
     che  l'omessa considerazione dell'orientamento giurisprudenziale
dianzi  ricordato  rende,  di  conseguenza, inadeguata la motivazione
circa  la  rilevanza  della  questione:  giacche' - ove dovesse farsi
applicazione  del  predetto  orientamento  - la richiesta di giudizio
abbreviato  dell'imputato  risulterebbe comunque inammissibile per il
suo   oggetto,   e  lo  scrutinio  di  costituzionalita'  ininfluente
sull'esito del giudizio a quo;
     che, pertanto - a prescindere dall'inconferenza dell'impugnativa
dell'art.  516 cod. proc. pen. (che regola una fattispecie diversa da
quella  oggetto  del  quesito:  la modifica dell'imputazione) e dalla
mancanza,  nell'ordinanza di rimessione, di una specifica motivazione
riguardo  all'asserita  violazione dell'art. 111 Cost. - la questione
va dichiarata manifestamente inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.