LA CORTE DEI CONTI
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sull'istanza ex articolo 1,
commi  231,  232  e  233,  della  legge n. 266 del 2005 presentata da
Centrone  Giovanni  per la definizione dell'appello incidentale dallo
stesso   proposto  avverso  la  sentenza  n. 207/2006  della  sezione
giurisdizionale  per  la  Regione  Puglia depositata in data 1° marzo
2006.
   Visto  l'atto  di  appello  incidentale,  iscritto al n. 26323 del
registro di segreteria, nonche' l'istanza di definizione.
   Visti gli altri atti e documenti di causa.
   Uditi,  nella  Camera  di  consiglio  del  12  ottobre  2007,  con
l'assistenza  del  segretario  sig.ra  Lucia  Bianco,  il consigliere
relatore  Luigi  Di  Murro,  l'avv.  Francesco  Muscatello per delega
dell'avv.  Vincenzo  Caputi  Jambrenghi  per l'appellante incidentale
nonche'  il  pubblico  ministero  nella  persona del Vice Procuratore
generale Cinthia Pinotti.
                           P r e m e s s o
   Con   sentenza   n. 207/2006   del   1°  marzo  2006,  la  sezione
giurisdizionale   della  Corte  dei  conti  per  la  Regione  Puglia,
definitivamente   pronunciando  in  un  giudizio  di  responsabilita'
amministrativa  intentato  dal procuratore regionale nei confronti di
Centrone Giovanni, Orofino Domenico Antonio, La Gala Giuseppe Carmelo
e  Capurso  Francesco, tutti funzionari del Comune di Acquaviva delle
Fonti (Bari):
     ha  rigettato  la  domanda  attrice  in riferimento ad una prima
posta  di  danno, assolvendo i convenuti Centrone Giovanni ed Orofino
Domenico Antonio dagli addebiti relativi;
     ha  rigettato la domanda proposta con riferimento ad una seconda
posta  di  danno,  assolvendo  i convenuti Centrone Giovanni, La Gala
Giuseppe Carmelo e Capurso Francesco, dagli addebiti relativi;
     ha  parzialmente  accolto la domanda attrice, con riferimento ad
una terza posta di danno, condannando i convenuti Centrone Giovanni e
Capurso  Francesco  al  pagamento,  in  favore  dell'erario comunale,
dell'importo,  rispettivamente,  di  euro  75.514,00  il  Centrone, e
di euro 15.387,00 il Capurso, oltre interessi e spese di giudizio.
   Avverso la predetta sentenza hanno prodotto:
     appello  principale  il  Procuratore regionale presso la sezione
giurisdizionale  per la Regione Puglia, con atto iscritto al n. 25875
del registro di segreteria;
     appello  incidentale  gli  appellati Capurso Francesco, Centrone
Giovanni   e   Orofino   Domenico   Antonio,   con   atti   iscritti,
rispettivamente, al n. 26306, al n. 26323 ed al n. 26574 del registro
di segreteria.
   Con  istanza  presentata  in  data  26 aprile 2007, l'appellato ed
appellante incidentale Centrone Giovanni ha chiesto di poter definire
il  giudizio,  ai sensi delle disposizioni di cui ai commi 231, 232 e
233 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2005 n. 266, con il pagamento
di  una  somma  non  superiore  al  10%  del danno quantificato nella
sentenza appellata.
   Con  parere  depositato  in  data  14  maggio 2007, il procuratore
generale  ha  eccepito l'inammissibilita' dell'istanza di definizione
per  essere  stata  la  sentenza di primo grado impugnata anche dalla
parte  pubblica  e, in via subordinata, ha chiesto che, ai fini della
definizione, sia posto a carico dell'appellante il 30% delle somme di
cui alla sentenza appellata, oltre le spese di giudizio di entrambi i
gradi.
   All'udienza  camerale del 16 maggio 2007, il giudizio sull'istanza
di  definizione  e' stato sospeso, con ordinanza a verbale, in attesa
della  sentenza  delle  sezioni  riunite  della Corte dei conti sulla
questione  di  massima ad esse deferita circa l'ammissibilita' o meno
delle  istanze  di  definizione ex art. 1, commi 231, 232 e 233 della
legge  23  dicembre  2005, n. 266, nel caso di compresenza di appelli
della parte pubblica e della parte privata.
   In   data   25  giugno  2007,  e'  stata  pubblicata  la  sentenza
n. 3/QM/2007,  con  cui  le  sezioni riunite della Corte dei conti si
sono  espresse  nel  senso  che la questione di massima come sopra ad
esse  deferita:  «trova  soluzione  riconoscendo  che  l'esame  della
definizione  agevolata  del  giudizio d'appello richiesta dalla parte
privata appellante in presenza di un contrapposto appello della parte
pubblica  non  puo'  essere  preclusa dalla proposizione dell'appello
della  parte  pubblica ma tale esame non possa a sua volta precludere
quello  di  detto appello. Pertanto, nel caso di appelli contrapposti
sulla quantificazione della somma dedotta nella sentenza di condanna,
la  definizione  della  richiesta  se  previamente estesa dalla parte
privata,  in  replica all'appello della parte pubblica, all'eventuale
successiva  maggior  condanna,  avverra' dopo l'esame dei due appelli
riuniti.  L'accertamento  in  giudizio  di  un  maggior importo sara'
oggetto  della  sentenza  di  condanna, eventualmente condizionata al
mancato   tempestivo  pagamento  della  minor  somma  determinata  in
applicazione della normativa agevolata di cui ai commi 231, 232 e 233
dell'art.  1  della  legge  n. 266  del  2005,  ove  ne  ricorrano  i
presupposti. In mancanza dell'accoglimento di entrambi gli appelli la
sentenza eventualmente condizionata, avra' ad oggetto l'importo della
condanna  di primo grado al quale, ove ne ricorrano i presupposti, si
applichera' la normativa agevolata».
   All'udienza  camerale  del  3  ottobre  2007,  la  discussione del
giudizio  sull'istanza  di  definizione  presentata  dal Centrone, e'
stata,  per  questioni  procedurali,  rinviata,  con  provvedimento a
verbale, all'udienza camerale del 12 ottobre 2007.
   All'udienza  camerale  del  12  ottobre 2007, le parti hanno cosi'
puntualizzate le proprie richieste:
     la  parte  privata,  che  alla precedente udienza camerale aveva
gia'  precisato  che  l'istanza  di definizione ex legge n. 266/2005,
art.  1,  commi  231,  232, 233 era stata proposta limitatamente alla
terza  partita  di danno, sulla quale vi era stata condanna parziale,
ha  rilevato l'inapplicabilita' alla fattispecie della sentenza delle
sezioni riunite n. 3/QM/2007, chiedendo l'immediata delibazione della
sola istanza di definizione;
     in  subordine,  la  parte  privata  ha  sottoposto  al  Collegio
l'opportunita'  che  la  pronuncia  sull'istanza di definizione possa
essere rinviata alla definizione del merito;
     il   pubblico   ministero  ha  confermato  le  conclusioni  gia'
rassegnate  e  si  e'  rimesso alla Corte per le valutazioni inerenti
all'applicabilita'  dei  principi  di cui alla sentenza delle sezioni
riunite n. 3/QM/2007.
   Ritenuto  di  dover  sollevare d'ufficio questione di legittimita'
costituzionale  in relazione.all'art. 3 della Costituzione, dei commi
231,  232  e  233  dell'articolo 1 della legge n. 266 del 23 dicembre
2005  nella  parte  in  cui  consentono  che,  in presenza di appelli
contrapposti della parte pubblica e delle parti private, la richiesta
di  definizione  del  procedimento, se previamente estesa dalla parte
privata,  in  replica all'appello della parte pubblica, all'eventuale
successiva  maggior  condanna, possa essere esaminata e definita dopo
l'esame e la definizione degli appelli.
                             Considerato
a) In punto di rilevanza.
   In  fattispecie,  sia pure limitatamente ad un capo della sentenza
impugnata,  pende  sia  l'appello  della  parte privata che l'appello
della parte pubblica.
   Inoltre,  ad  interpretazione  del  Collegio,  la  parte  privata,
all'udienza camerale del 12 ottobre 2007, nel richiedere, sia pure in
via  subordinata,  l'esame  congiunto dell'istanza di definizione con
quello  dell'appello  della  parte pubblica ha implicitamente esteso,
sempre  in  via  subordinata,  l'istanza di definizione all'eventuale
successiva maggiore condanna.
   La  questione  di  costituzionalita',  nei termini in cui sopra e'
stata  formulata,  appare, quindi, sicuramente rilevante nel presente
giudizio,  in  cui  il  Collegio  intende  applicare,  ove  ne  venga
riconosciuta  la  conformita'  a Costituzione, i commi 231, 232 e 233
dell'articolo   1   della   legge   n. 266   del   23  dicembre  2005
nell'interpretazione  che  ne  e' stata fornita dalle sezioni riunite
della Corte dei conti nella sentenza n. 3/QM del 2007.
b) Sotto altri profili di ammissibilita'.
   La  giurisprudenza  della Corte costituzionale ha anche di recente
confermato. (Ord. 16 marzo 2007, n. 85; Ord. 9 marzo 2007, n. 68), la
centralita'  del  criterio  della c.d. «interpretazione adeguatrice»,
per  il  quale e' sempre necessario, a fini di ammissibilita', che il
giudice  abbia  esplorato, prima della remissione, la possibilita' di
una diversa soluzione interpretativa costituzionalmente orientata.
   Sul  punto, peraltro, il Collegio si rapporta a Cassazione penale,
sez.  unite  31  marzo  2004,  n. 23016,  la  quale, nel ricercare il
meccanismo  idoneo a prevenire gli eventuali contrasti interpretativi
tra  giudici  remittenti  e  giudice  delle leggi, lo individua nella
collaudata dottrina del «diritto vivente», dandosi cura di richiamare
che,  per  l'individuazione  del  «diritto  vivente», la stessa Corte
costituzionale  ha  seguito  non  soltanto  il  criterio quantitativo
legato  alla  costanza  e all'uniformita' della giurisprudenza, ma ha
tenuto  conto  anche  della  posizione  del giudice da cui promana la
scelta   interpretativa,   privilegiando   gli   orientamenti   della
giurisprudenza  della Corte di cassazione, titolare della funzione di
nomofilachia  (cfr.  sent.  n. 110  del  1995  e n. 355 del 1996), ed
attribuendo  particolare  valenza alle decisioni delle sezioni unite,
che   hanno   il   compito   di   risolvere  contrasti  interni  alla
giurisprudenza  di  legittimita' e di suggellare la prevalenza di una
soluzione interpretativa sulle altre (sent. n. 260/1992, n. 292/1985,
n. 34/1977).
   Cio'   posto,   il   Collegio   sottolinea   che   il  presupposto
interpretativo  posto  a  base  della  questione  deferita  e' tratto
dall'orientamento  che le sezioni riunite della Corte dei conti hanno
espresso  nella  sentenza  n. 3/QM  del  2007,  a  composizione di un
conflitto  di  giurisprudenza  insorto  tra  le  sezioni  centrali di
appello  della  Corte  dei  conti  medesima e, quindi, nell'esercizio
della  funzione nomofilattica ad esse attribuita dall'art. 1, settimo
comma, d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito, in legge 14 gennaio
1994, n. 19;
   Se ne deve dedurre che, in fattispecie, si versa in una situazione
di   «diritto   vivente»,   se   non  sotto  l'aspetto  quantitativo,
sicuramente  sotto  l'aspetto  qualitativo,  aspetto  quesfultimo che
finisce  col divenire assorbente allorquando l'accertamento del grado
di  «stabilita'  interpretativa»  sia  da effettuare in riferimento a
norme che disciplinino situazioni destinate ad esaurirsi nel tempo.
   E questa  una delle ragioni per cui il Collegio, pur non avendo le
sentenze   emesse   in   sede  nomofilattica  carattere  strettamente
vincolante  al di fuori del giudizio a quo, non si ritiene, quanto al
caso concreto, astretto dall'obbligo di sperimentare l'alternativa di
una diversa soluzione costituzionalmente orientata.
   L'altra   ragione   risiede   nel  rilievo  che  l'interpretazione
nomofilattica,  se  deve necessariamente cedere ad una valutazione di
incostituzionalita'  piena,  non  puo'  essere  pregiudicata  da  una
valutazione  di  non manifesta infondatezza che e' l'unica propria al
giudice  della  remissione,  il quale, se vuole mantenersi nei limiti
della  propria  cognizione,  e'  tenuto, quanto meno in situazioni di
«diritto  vivente»,  a  convogliare  i  propri  dubbi  non  verso una
interpretazione  costituzionalmente orientata ma verso il deferimento
di una vera e propria questione di costituzionalita'.
   Va  soggiunto  che,  comunque,  l'interpretazione  suggerita dalle
sezioni riunite della Corte dei conti nella sentenza n. 3/QM del 2007
si  pone  essa  stessa  come  una  interpretazione costituzionalmente
orientata,  a composizione di un conflitto tra piu' interpretazioni a
loro volta tacciate di sospetta incostituzionalita'.
   Il   che,   da   un   lato,   e'   indice   della  difficolta'  di
un'interpretazione  adeguatrice della norma denunciata e, dall'altro,
induce il remittente a puntualizzare che, con la questione sollevata,
non  ha  inteso  rimettere alla Corte costituzionale scelte od avalli
che  non le competono, ma esporre i propri dubbi di costituzionalita'
avendo a riferimento un ben individuato presupposto interpretativo.
c) In punto di non manifesta infondatezza.
   Come  rilevano  le  sezioni  riunite,  della Corte dei conti nella
sentenza  n. 3/QM  del  2007,  i commi 231, 232 e 233 dell'articolo 1
della  legge  n. 266  del  23 dicembre 2005 - e cio' emerge sia dalla
loro  collocazione  in  una  legge  finanziaria  che  dai  pur scarni
riferimenti  dei  lavori  preparatori - si propongono di «far cassa»,
vale  a  dire  di  far  conseguire alle pubbliche amministrazioni con
immediatezza   i  proventi  derivanti  dalle  sentenze  contabili  di
condanna  pronunciate  a  loro  favore, cui si aggiunge l'esigenza di
porre  un sia pur parziale rimedio all'asserita esigua percentuale di
realizzazioni dei crediti erariali derivanti da tali sentenze.
   Ai  fini  indicati,  il  legislatore,  dunque,  ha  predisposto un
procedimento   dalle   forme   semplificate  (decreto  in  Camera  di
consiglio)  inteso  ad evitare le lungaggini del giudizio di appello,
sulla  base  di  uno  scambio  di reciproci vantaggi tra le parti, in
virtu'  del  quale  la  parte  privata e' ammessa a versare una somma
minore  che, pero', l'erario pubblico incassa con certezza e in tempi
piu' rapidi.
   Non   puo',  poi,  ritenersi  estraneo  alla  ratio  del  disposto
normativo  in  questione  nemmeno  un  intento  «deflattivo»,  con lo
snellimento    del    complessivo    iter    giudiziario   attraverso
l'eliminazione del giudizio di appello.
   Coerentemente, la giurisprudenza delle sezioni centrali di appello
della  Corte dei conti non ha mai dubitato, quindi, che, per accedere
alla  definizione agevolata, la parte privata dovesse rinunciare alla
definizione   dell'appello,  destinato  a  colncludersi, in  caso  di
accoglimento dell'istanza, con una dichiarazione di estinzione.
   Sull'ammissibilita'  o  meno  dell'istanza di definizione anche in
compresenza  di  un  appello  principale  o  incidentale  della parte
pubblica  e',  pero',  nato,  tra  le  predette  sezioni centrali, un
conflitto  di  giurisprudenza,  a  composizione del quale, le sezioni
riunite,  con  la  richiamata  sentenza n. 3/QM del 2007, rilevato un
vuoto  normativo  per  colmare il quale si sono ispirate al principio
dell'autointegrazione   dell'ordinamento   giuridico,   hanno   cosi'
delineato  la  disciplina  dell'istanza  di  definizione  in  caso di
appello contrapposti delle parti:
     l'esame  della  definizione  agevolata  del  giudizio  d'appello
richiesta   dalla   parte   privata  appellante  in  presenza  di  un
contrapposto  appello  della  parte pubblica non puo' essere preclusa
dalla  proposizione  dell'appello  della parte pubblica ma tale esame
non puo' a sua volta precludere quello di detto appello;
     pertanto, nel caso di appelli contrapposti sulla quantificazione
della  somma dedotta nella sentenza di condanna, la definizione della
richiesta  se  previamente  estesa  dalla  parte  privata, in replica
all'appello  della  parte  pubblica, all'eventuale successiva maggior
condanna,   avverra'   dopo   l'esame   dei   due   appelli  riuniti.
L'accertamento  in giudizio di un maggior importo sara' oggetto della
sentenza   di   condanna,   eventualmente   condizionata  al  mancato
tempestivo  pagamento  della  minor somma determinata in applicazione
della  normativa agevolata di cui ai commi 231, 232 e 233 dell'art. 1
della legge 266 del 2005, ove ne ricorrano i presupposti;
     in   mancanza  dell'accoglimento  di  entrambi  gli  appelli  la
sentenza eventualmente condizionata, avra' ad oggetto l'importo della
condanna  di primo grado al quale, ove ne ricorrano i presupposti, si
applichera' la normativa agevolata.
   Ne  viene  fuori  un'interpretazione  che,  correttamente  tesa  a
bilanciare nella massima misura la posizione delle parti private e di
quella   pubblica,   lascia,   pero',   subito   sorgere   dubbi   di
costituzionalita'  (in  riferimento  all'art. 3 della Cost.) sotto il
profilo  della  ragionevolezza  di  una soluzione che, comportando la
posticipazione  e  la  subordinazione  dello svolgimento del giudizio
sulla definizione agevolata allo svolgimento del giudizio di appello,
finisce  con lo sbilanciare in altra direzione la posizione delle due
parti,  accentuando, a favore della parte privata, l'aspetto premiale
ed  eliminando, a danno della parte pubblica, i fondamentali vantaggi
connessi  alla semplificazione delle forme e alla riduzione dei tempi
processuali.
   Occorre  aggiungere  che,  come  si  ricava  dal dispositivo della
sentenza  dell'organo  nomofilattico  (leggi,  nel secondo capoverso,
l'inciso «in mancanza dell'accoglimento di entrambi gli appelli»), lo
svolgimento del giudizio sull'istanza di definizione e' posticipato e
subordinato  non  soltanto allo svolgimento dell'appello del pubblico
ministero  ma  anche allo svolgimento del giudizio sull'appello della
parte   privata,   appello  che,  quindi,  potra'  essere  accolto  o
totalmente o parzialmente, con la conseguenza, nel primo caso, di una
completa   riforma  della  condanna  e,  nel  secondo  caso,  di  una
definizione   rapportata  ad  una  somma  minore  rispetto  a  quella
quantificata nel dispositivo della sentenza di primo grado.
   Il  che,  da  un  lato,  incrementa il dubbio di costituzionalita'
dapprima evidenziato sotto il profilo di un deficit di ragionevolezza
delle  norme denunciate cosi' come interpretate dalle sezioni riunite
e,  dall'altro introduce un ulteriore sospetto di incostituzionalita'
in  relazione  allo  stesso  articolo 3 della Cost., sotto il profilo
della violazione del principio di uguaglianza, in quanto, per effetto
di  tale  interpretazione,  viene  a  delinearsi  una  disparita'  di
trattamento  a  favore  degli  appellanti  che  siano  a  loro  volta
appellati dal pubblico ministero.
   Si  sono  chiariti in precedente paragrafo le ragioni per le quali
il  Collegio  ha ritenuto di convogliare i propri dubbi non verso una
diversa  interpretazione  costituzionalmente  orientata  ma  verso il
deferimento di una vera e propria questione di costituzionalita'.
   Qui  occorre  soltanto  aggiungere  che,  riservato ogni ulteriore
approfondimento  alla sede piu' propria del giudizio dinanzi la Corte
costituzionale,  si  tratta  di dubbi sufficienti per considerare non
manifestamente  infondata,  in  relazione  all'art. 3 della Cost., la
questione di costituzionalita' dei commi 231, 232 e 233 dell'articolo
1  della  legge  n. 266  del 23 dicembre 2005 nella parte in premessa
enucleata  alla  stregua  dell'interpretazione  fatta  propria  dalle
sezioni riunite nella sentenza n. 3/QM/2007.