Ricorso per la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della Giunta stessa del 12 febbraio 2008, n. 214, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv. prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Ezio Zanon dell'Avvocatura regionale e Luigi Manzi del Foro di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri, n. 5; contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, secondo comma, della Costituzione e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dell'art. 2, commi 17, 18, 19, 20, 21, 22, 35, 36, 46, 47, 48, 49, 158 lett. a), 165, 194, 195, 279, 280, 417, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424, 425, 458, 459, 460, 462, 474, 600 e dell'art. 3, commi 27, 28, 29, 30, 31, 32, 79, 162 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28 dicembre 2007 - S.O. n. 285/L. Fatto e Diritto 1. - La legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)», contiene norme che, secondo la Regione Veneto, contrastano con la Costituzione e ledono l'autonomia legislativa (art. 117 Cost.), amministrativa (art. 118 Cost.) e finanziaria (art. 119 Cost.) regionale, oltre che il principio di leale collaborazione tra Stato e Regione, desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost. e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Ancora una volta, dunque, la legge finanziaria dello Stato (rectius parte delle disposizioni normative in essa contenute) viene portata all'attenzione di codesto ecc.mo giudice, nella sua disorganicita' ed eterogeneita' (caratteri che si riverberano, inevitabilmente, - anche se di questo ci si scusa - nella struttura del presente ricorso), perche' nel suo potere di sindacare la legittimita' costituzionale delle norme di legge restituisca alle regioni almeno un po' dell'autonomia che la Costituzione ha disegnato per esse e che lo Stato e' deciso a calpestare. Si osservi, in via generale ed introduttiva rispetto a quanto si verra' dicendo successivamente, che non puo' certamente rivestire alcun significato una norma come quella di cui all'art. 3, comma 162, della legge finanziaria per l'anno 2008, secondo cui «le disposizioni della presente legge costituiscono norme di coordinamento della finanza pubblica per gli enti territoriali». Non e' superfluo osservare, infatti, che il legislatore statale non puo' certo ritenere che sia sufficiente etichettare una norma (rectius tutte le norme della legge finanziaria per l'anno 2008) come «di coordinamento della finanza pubblica» perche' questa (o queste) assuma(no) effettivamente tale carattere. Viceversa, perche' una norma statale sia di coordinamento della finanza pubblica, essa deve essere di principio, e questo ai sensi di quanto disposto dall'art. 117, terzo comma, Cost., secondo cui lo Stato, nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», deve limitarsi a determinare i soli principi fondamentali regolatori della materia. Ebbene, le norme contenute nella legge finanziaria per l'anno 2008 non possono certamente dirsi tutte norme di principio di coordinamento della finanza pubblica. Come dire, insomma, che non puo' certo valere il motto latino secondo cui nomen est homen. 2. - Si vengono di seguito specificamente a considerare le censure relative alla disciplina posta dal legislatore statale con riguardo alle Comunita' montane, non prima, pero', di aver riportato il testo delle disposizioni impugnate, ossia dell'articolo 2, commi da 17 a 22. Il primo comma di interesse e' il numero 17, secondo cui: «Le regioni, al fine di concorrere agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvedono con proprie leggi, sentiti i consigli delle autonomie locali, al riordino della disciplina delle comunita' montane, ad integrazione di quanto previsto dall'art. 27 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2002, n. 267, in modo da ridurre a regime la spesa corrente per il funzionamento delle comunita' montane stesse per un importo pari almeno ad un terzo della quota del fondo ordinario di cui al comma 16, assegnata per l'anno 2007 all'insieme delle comunita' montane presenti nella regione». Il comma 18 prevede, poi, che: «Le leggi regionali di cui al comma 17 tengono conto dei seguenti principi fondamentali: a) riduzione del numero complessivo delle comunita' montane, sulla base di indicatori fisico-geografici, demografici e socio-economici e in particolare: della dimensione territoriale, della dimensione demografica, dell'indice di vecchiaia, del reddito medio pro capite, dell'acclivita' dei terreni, dell'altimetria del territorio comunale con riferimento all'arco alpino e alla dorsale appenninica, del livello dei servizi, della distanza dal capoluogo di provincia e delle attivita' produttive extra-agricole; b) riduzione del numero dei componenti degli organi rappresentativi delle comunita' montane; c) riduzione delle indennita' spettanti ai componenti degli organi delle comunita' montane, in deroga a quanto previsto dall'art. 82 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni». Segue il comma 19: «I criteri di cui al comma 18 valgono ai fini della costituzione delle comunita' montane e non rilevano in ordine ai benefici e agli interventi speciali per la montagna stabiliti dall'Unione europea e dalle leggi statali e regionali». Mentre al comma 20 si precisa che: «In caso di mancata attuazione delle disposizioni di cui al comma 17 entro il termine ivi previsto, si producono i seguenti effetti: a) cessano di appartenere alle comunita' montane i comuni capoluogo di provincia, i comuni costieri e quelli con popolazione superiore ai 20.000 abitanti; b) sono soppresse le comunita' montane nelle quali piu' della meta' dei comuni non sono situati per almeno 1'80 per cento della loro superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sopra il livello del mare ovvero non sono comuni situati per almeno il 50 per cento della loro superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sul livello del mare e nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore non e' minore di 500 metri; nelle regioni alpine il limite minimo di altitudine e il dislivello della quota altimetrica, di cui al periodo precedente, sono di 600 metri; c) sono altresi' soppresse le comunita' montane che, anche in conseguenza di quanto disposto nella lettera a), risultano costituite da meno di cinque comuni, fatti salvi i casi in cui per la conformazione e le caratteristiche del territorio non sia possibile procedere alla costituzione delle stesse con almeno cinque comuni, fermi restando gli obiettivi di risparmio; d) nelle rimanenti comunita' montane, gli organi consiliari sono composti in modo da garantire la presenza delle minoranze, fermo restando che ciascun comune non puo' indicare piu' di un membro. A tal fine la base elettiva e' costituita dall'assemblea di tutti i consiglieri dei comuni, che elegge i componenti dell'organo consiliare con voto limitato. Gli organi esecutivi sono composti al massimo da un terzo dei componenti l'organo consiliare». Questa, invece, la previsione di cui al comma 21: «L'effettivo conseguimento delle riduzioni di spesa di cui al comma 17 e' accertato, entro il 31 luglio 2008, sulla base delle leggi regionali promulgate e delle relative relazioni tecnico-finanziarie, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, sentite le singole regioni interessate. Gli effetti di cui al comma 20 si producono dalla data di pubblicazione del predetto decreto». Infine, il comma 22 stabilisce che: «Le regioni provvedono a disciplinare gli effetti conseguenti all'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 17, 18 e 20 ed in particolare alla soppressione delle comunita' montane, anche con riguardo alla ripartizione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, facendo salvi i rapporti di lavoro, a tempo indeterminato esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Sino all'adozione o comunque in mancanza delle predette discipline regionali, i comuni succedono alla comunita' montana soppressa in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto, anche processuale, ed in relazione alle obbligazioni si applicano i principi della solidarieta' attiva e passiva» In sostanza, con le disposizioni impugnate, il legislatore statale impone alle regioni di effettuare, con proprie leggi, un riordino della disciplina delle comunita' montane, ad integrazione di quanto previsto dall'art. 27 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (d.lgs. n. 267/2000), sulla base di «principi fondamentali» contestualmente dettati. Cio' al fine di ridurre la spesa corrente per il funzionamento di un importo pari ad almeno un terzo della quota del fondo ordinario statale assegnato per l'anno 2007 all'insieme delle Comunita' montane presenti nella regione. Al comma 20, poi, lo Stato prevede una peculiare forma di intervento sostitutivo-sanzionatorio: ove, infatti, le regioni non dovessero provvedere al suddetto riordino nel breve termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge finanziaria, sono previste la modificazione e, in alcuni casi, la soppressione ex lege delle comunita' montane secondo i criteri indicati allo stesso comma. Inoltre, mentre il comma 21 si preoccupa di stabilire il termine di verifica dell'effettivo conseguimento delle riduzioni di spesa richieste, la disposizione di cui al comma 22 prevede che spettera' alle regioni disciplinare gli effetti conseguenti all'applicazione della normativa introdotta dal legislatore nazionale sulle comunita' montane, anche ai fini della loro soppressione, con riguardo alla ripartizione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, salvando comunque i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti al 1° gennaio 2008. Il comma 22 precisa, infine, che fino all'adozione delle leggi regionali, o comunque in mancanza di queste, saranno i comuni a succedere alle comunita' montane soppresse in tutti i rapporti giuridici di natura sostanziale e/o processuale. La Regione Veneto ritiene che il complesso normativo appena richiamato non sia conforme a Costituzione e, in particolare, che esso violi gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonche' il principio di leale collaborazione. 2.1. - Prima di procedere oltre nell'illustrazione delle singole censure prospettate, sembra opportuno premettere un breve excursus relativo alla nascita, alla disciplina e all'inquadramento nel sistema costituzionale delle Comunita' montane, che - come risulta da quanto fino ad ora ricordato - costituiscono l'oggetto delle previsioni impugnate. Se la prima legge ordinaria nella quale - in ossequio al disposto di cui all'art. 44, ultimo comma, Cost. - si ritrova traccia di una particolare attenzione ai territori montani e' la legge 25 luglio 1952, n. 991, il primo fondamento normativo, seppur solo di fonte regolamentare, di enti precipuamente montani si ha con il d.P.R. 10 giugno 1955, n. 987. Si trattava di un regolamento in materia di decentramento dei servizi del Ministero dell'agricoltura e delle foreste, in cui, all'art. 13, si disponeva che i comuni compresi in tutto o in parte nel perimetro di una zona montana potessero costituirsi in un consorzio a carattere permanente, denominato «Consiglio di valle» o «Comunita' montana». Successivamente il programma economico nazionale per il quinquennio 1966-1970, approvato con legge n. 685 del 1967, segnalava, al punto 161, la necessita', tra l'altro, che per le zone di montagna si provvedesse a «riconoscere, nel quadro della programmazione regionale, la comunita' montana e il consiglio di valle, opportunamente integrato da altri enti consortili ivi operanti, come organo locale della programmazione decisionale ed operativa» Con legge 3 dicembre 1971, n. 1102 venivano create, con fonte di rango primario, le comunita' montane. Piu' precisamente, nel provvedimento legislativo ricordato, ribaditi i criteri di classificazione dei territori montani di cui al provvedimento legislativo del 1952, e stabilito, inoltre, l'obbligo di suddividere, con legge regionale, tali territori, in zone omogenee secondo un principio di unita' territoriale ed economica, veniva, per l'appunto, istituita una comunita' montana per ciascuna unita' omogenea. Per quanto attiene, in modo particolare, la Regione Veneto, essa ha dato tempestiva attuazione alla legge statale n. 1102 del 1971 mediante due leggi regionali, le nn. 10 e 11 del 1973, con le quali ha delimitato e regolamentato il funzionamento di diciotto comunita' montane. A queste, con legge regionale 3 luglio 1992, n. 19 (modificata in modo incisivo, poi, dalla legge regionale 9 settembre 1999, n. 39, ma tutt'oggi in vigore), si e' aggiunta la diciannovesima comunita'. Successivamente una definizione compiuta delle comunita' montane e delle relative funzioni a livello statale e' stata fornita dall'art. 28 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e dall'art. 27 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali, ossia il tutt'oggi vigente d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Nonostante gli auspici di parte della dottrina, favorevolmente colpita dai risultati raggiunti nelle zone montane mediante la loro istituzione, il legislatore costituzionale non approfittava della riforma del 2001 per annoverare le comunita' montane tra gli enti che, ai sensi dell'art. 114 Cost., nuovo testo, costituiscono la Repubblica. Cosi', pur godendo di una sicura copertura costituzionale (ossia quella derivante, se non altro, dal disposto di cui all'art. 44, ultimo comma, Cost.), si e' posto il problema della loro collocazione nell'ambito del sistema delle autonomie venuto a definirsi a seguito della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. La questione e' stata risolta da codesta ecc.ma Corte, la quale ha rilevato quanto segue: «l'evoluzione della legislazione in materia si caratterizza per il riconoscimento alla Comunita' montana della natura di ente locale autonomo, quale proiezione dei comuni che ad essa fanno capo (...). La piu' recente normativa ha, altresi', specificato quale sia la effettiva natura giuridica di tali enti, qualificandoli dapprima quali "unioni montane" (...) e successivamente quali "unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani''». Le comunita' montane sono, dunque, un «caso speciale di unioni di comuni, create in vista della valorizzazione delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo piu' adeguato di quanto non consentirebbe la frammentazione dei comuni montani, "funzioni proprie", "funzioni conferite" e "funzioni comunali" (sentenza n. 229 del 2001)» (cfr. Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 244; ma nel medesimo senso anche Corte cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 456). 2.2. - Fatta questa premessa di inquadramento generale, e' giunto il momento di concentrare l'attenzione sul complesso di disposizioni normative impugnate. Esso e' chiaramente ispirato ad una duplice finalita': istituzionale, di riordino della disciplina delle comunita' montane, e finanziaria, ossia di riduzione della spesa corrente di funzionamento delle comunita' stesse. E' evidente, altresi', che la finalita' istituzionale si trova, nei confronti della finalita' di natura finanziaria in rapporto di mezzo a fine. Sembra opportuno, per questo, procedere trattando prima della disciplina di riordino delle comunita' montane imposta alle regioni e dei relativi profili di illegittimita' costituzionale (2.2.1 e 2.2.2), per passare poi a denunciare le molteplici violazioni del testo costituzionale perpetrate dalla previsione dell'intervento sostitutivo-sanzionatorio di cui ai commi 20, 21 e 22 (2.2.3), e proseguire evidenziando i profili lesivi dell'autonomia regionale rilevati con riguardo all'imposizione di una riduzione della spesa (2.2.4) ed, infine, rilevare le molteplici violazioni del testo costituzionale derivanti dalla previsione del subentro dei comuni alle comunita' soppresse, di cui al comma 22 (2.2.5). 2.2.1. - La materia cui afferiscono le previsioni normative impugnate e' incontestabilmente quella delle «comunita' montane». Codesta ecc.ma Corte ha chiarito che «la disciplina delle Comunita' montane (...) rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione» (Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 244 e Corte cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 456). Quello delle comunita' montane e', dunque, un ambito in cui la regione ha potesta' esclusiva, con la conseguenza che non puo' ritenersi conforme a Costituzione l'intervento del legislatore nazionale sul punto, anche se limitato a porre dei principi fondamentali. Di piu': la Corte costituzionale ha affermato che: «ai fini dello scrutinio di costituzionalita' delle norme regionali (...) non puo' neanche farsi utile riferimento (...) ai principi fondamentali che sarebbero desumibili dalla legislazione statale, e segnatamente dal d.lgs. n. 267 del 2000 in materia di disciplina delle autonomie locali: e cio' perche', vertendosi in materia rientrante nella competenza residuale delle regioni, non puo' trovare applicazione la disposizione di cui all'art. 117, terzo comma, ultima parte, della Costituzione, la quale presuppone, invece, che si verta nelle materie di legislazione concorrente» (Corte cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 456). Deve poi considerarsi che, se in ordine alla disciplina del funzionamento delle Comunita' montane indubbiamente competente e' la legge regionale, con esclusione della competenza esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lett. p) (dal momento che quest'ultimo «fa espresso riferimento ai comuni, alle province e alle citta' metropolitane e l'indicazione deve ritenersi tassativa», cosi' in Corte cost., sent. 24 giugno 2005, n. 244), in materia di organizzazione delle stesse persino il legislatore regionale soggiace a dei limiti. Come codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha, infatti, riconosciuto, in capo alle comunita' montane, accanto alle funzioni conferite con legge e a quelle delegate da parte dei comuni associati, si trovano funzioni proprie, ossia identificative del tipo di ente in quanto ente di governo di una determinata comunita'. La presenza di funzioni proprie costituisce un limite per il legislatore statale ma anche per quello regionale, che non possono, nel definire l'ambito funzionale di ciascun ente, non riconoscere ad esso dette funzioni. Il riconoscimento di funzioni proprie ad un ente ne rende costituzionalmente necessaria la presenza. Le stesse comunita' montane, quindi, in quanto dotate di funzioni proprie, sono enti locali necessari e, quindi, non sopprimibili con legge. Con riguardo all'organizzazione di tali enti i poteri del legislatore, in primis nazionale ma anche regionale, trovano pesanti limiti: come gli enti di governo territoriale (comuni, province e citta' metropolitane) sono dotati di un'ampia autonomia normativa nel settore dell'organizzazione, autonomia garantita costituzionalmente dall'art. 117, sesto comma, Cost., cosi' e' da ritenere che tale autonomia sia assorbita anche dalle forme associative degli stesse e, quindi, dalla comunita' montana. Ne consegue che la disciplina organizzativa di quest'ultima, nei limiti dei principi costituzionali di riferimento (e, in particolare, dell'art. 97 Cost.), e' adottata in autonomia dagli enti locali medesimi all'atto di associarsi in Comunita'. E' cosi' che autorevole dottrina (cfr. V. Cerulli Irelli, Le comunita' montane, in Relazione al Convegno UNCEM, Roma, 29 settembre 2005) addirittura esclude che «la singola comunita' montana possa essere formata, come avviene in base alla disciplina vigente, per atto della regione». Il legislatore della finanziaria per il 2008 ha, invece, preteso di intervenire in materia di comunita' montane, da una parte, imponendo alle regioni un riordino della materia e dettando la disciplina di principio alla quale conformarsi nello svolgimento di tale attivita' (commi 17 e 18); dall'altra, arrogandosi un particolar potere sostitutivo-sanzionatorio, per il caso di mancato intervento delle regioni, ossia quello di sopprimere ex lege le comunita' (commi 20, 21 e 22). Con riferimento al primo profilo (in particolare, commi 17 e 18, ma anche 22), si riscontra certamente, sulla base di quanto antecedentemente chiarito, un'indebita invasione nella potesta' legislativa esclusiva delle regioni in materia di «Comunita' montane». E - sembra opportuno chiarirlo ora per evitare pretestuose difese, ma rinviando sul punto anche al paragrafo 1.2.3 - una tale violazione dell'art. 117 Cost. non puo' essere scusata invocando il potere di determinazione dei principi fondamentali da parte dello Stato in materia di «coordinamento della finanza pubblica». L'ambito coperto da questa materia, di potesta' legislativa concorrente Stato-Regioni, non puo', infatti, esser esteso al punto di ricoprire qualsivoglia previsione legislativa dello Stato centrale con ripercussioni indirette sulle finanze pubbliche e, comunque, certamente non interventi tanto incisivi sul piano ordinamentale e in materie su cui, tolto lo spazio di autonomia dell'ente stesso, la potesta' legislativa e' esclusiva regionale. Giova ricordare, inoltre, che negli ambiti di normale competenza regionale, la possibilita' dello Stato di «chiamare in sussidiarieta» alcune funzioni deve ritenersi - come codesto ecc.mo Collegio ha ritenuto - rigidamente limitato. Cosi', «e' ammissibile una deroga al normale riparto di competenze "solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata", e "non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita'"», in quanto «perche' nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, e' necessario che essa innanzitutto rispetti i principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni. E' necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine» (cosi' Corte cost., sent. 24 giungo 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1 ottobre 2003, n. 303 e Corte cost., sent., 13 gennaio 2004, n. 6). Tale esigenza di esercizio unitario della competenza non e' prevista nemmeno in accenno nella disposizione in oggetto, non e' comunque esistente nella fattispecie in essa prevista e, comunque, non e' soddisfatta da una disciplina pertinente e logica con il fine che lo Stato avesse eventualmente preteso di perseguire, e cio' in violazione pure dell'art. 3 Cost. Nella denegata e non creduta ipotesi, tuttavia, in cui si dovesse riconoscere la sussistenza della necessita' di una disciplina accentrata nel settore di cui si discute e si volesse ritenere quella posta con i commi da 20 a 22 idonea e proporzionata a soddisfare simile necessita', resterebbe palese la violazione del principio di leale collaborazione. Come la Corte adita ha in piu' occasioni chiarito, infatti, perche' l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, possa «aspirare a superare il vaglio di costituzionalita» e' necessaria la «presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta» (cfr. Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1° ottobre 2003, n. 303). Nella fattispecie astratta censurata, invece, la Regione si trova a subire una disciplina imposta unilateralmente a livello centrale e cio' nonostante i tentativi di concertazione da anni portati avanti dalla stessa Regione Veneto e dall'Unione Nazionale Comuni e Comunita' Montane (UNCEM) per il riordino delle comunita' montane. Infine, sembra opportuno rilevare che, comunque, l'obbligo generale di riordino previsto dalla disciplina impugnata, sulla base dei parametri autoritativamente imposti dallo Stato, oltre che - come gia' evidenziato -lesivo delle competenze regionali disegnate dalla Costituzione, appare molto difficile da realizzare, non solo in rapporto ad una razionale e storicamente consolidata situazione dell'assetto delle comunita' del Veneto, ma anche, soprattutto, in rapporto ad una corretta considerazione del territorio comprensivo di aree omogenee sotto il profilo geografico-socio-economico. 2.2.2. - Qualche attenzione particolare merita, ora, il comma 19, nel quale si precisa che il nuovo assetto territoriale richiesto/imposto alle regioni sulla base dei «principi fondamentali» di cui al comma 18 non modifica l'attuale situazione di definizione di «montanita» del territorio ai fini dei benefici stabiliti dall'Unione europea e dalle leggi regionale e statali. Tale previsione normativa, oltre ad essere viziata di riflesso dalle illegittimita' costituzionali dei commi 17 e 18, viene censurata dalla regione ricorrente perche' irragionevole ed inopportuna. Con essa si crea e si consente la contemporanea sopravvivenza di molteplici definizioni legali di «montagna» a evidente detrimento della coerenza e della sistematicita' dell'ordinamento. 2.2.3. - Si viene qui a trattare della previsione di un intervento statale di soppressione delle comunita' montane per il caso di mancato intervento del riordino regionale entro il termine irragionevolmente breve di appena sei mesi dall'entrata in vigore della legge finanziaria (commi 20 e 21, in particolare). Sul punto, dandosi per integralmente richiamate tutte le considerazioni e le censure svolte sopra (ed, in particolare, quelle relative alla limitata possibilita' per lo Stato di avocare a se' funzioni regionali e alla circostanza per cui le comunita' montane, in quanto dotate di funzioni proprie, sono enti necessari e, quindi, insopprimibili, anche con legge statale), preme sottolineare l'irrazionalita' della previsione di una soppressione ex abrupto delle comunita' montane. Si consideri, infatti, che, con la soppressione delle comunita', verranno meno i numerosi servizi da esse attualmente erogati a sostegno dei comuni montani, altrimenti abbandonati (servizi quali quelli sociali, assistenziali, di trasporto scolastico, di raccolta dei rifiuti ecc...), senza che a riguardo il legislatore statale preveda alcunche'. La disciplina dettata dal legislatore della finanziaria sul punto e', infine, inopportuna, dal momento che, in non poche realta', interrompera' traumaticamente quel rapporto di consolidata convivenza ed aggregazione tra comuni con esigenze tra loro molto simili che si e' venuto creando nel tempo e che ha portato meritori risultati sotto il profilo della tutela della montagna e delle sue popolazioni. Da quanto gia' chiarito e qui evidenziato emerge, tra l'altro, anche la significativa violazione dell'autonomia di cui all'art. 118 Cost. perpetrata dalla disciplina in esame. 2.2.4. - Come gia' rilevato la seconda finalita' cui la normativa statale in esame espressamente si ispira (in realta' l'unico vero obiettivo del legislatore) e' quella del contenimento della spesa. Il comma 17, infatti, impone alle Regioni che il riordino istituzionale sia tale da ridurre a regime la spesa corrente per il funzionamento delle comunita' montane per un importo pari ad almeno un terzo della quota del fondo ordinario di cui all'art. 34, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, assegnata per l'anno 2007 all'insieme delle comunita' presenti nella regione. Si e' gia' detto come una tale previsione, intervenendo in materia di «comunita' montane» di riconosciuta potesta' legislativa esclusiva regionale, violi il dettato dell'art. 117 Cost., e si e' gia' escluso che la necessita' di coordinare le finanze pubbliche possa legittimare un intervento ordinamentale tanto permeante. Si tratta ora di evidenziare che la previsione di cui al comma 17 non puo' dirsi conforme al disegno di cui all'art. 117 Cost. neppure nell'ipotesi in cui si ritenesse invocabile la materia «coordinamento della finanza pubblica», di cui al suo terzo comma. Essa, infatti, imponendo un limite specifico alla spesa, determinato sia nel quantum, (una quota fissa del fondo ordinario statale) sia nell'ambito di incidenza (spesa corrente per il funzionamento delle Comunita), non ha il carattere di un «principio fondamentale» e, dunque, fuoriesce dall'ambito riservato allo Stato nelle materie di potesta' concorrente. La previsione in esame viola, poi, anche l'art. 119 Cost. L'individuazione di singole voci di spesa da limitare, tra l'altro predeterminata nel quantum, infatti, lede l'autonomia finanziaria di spesa delle regioni, che, invece, devono essere lasciate libere di scegliere quali spese limitare a vantaggio di altre (Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36; Corte cost., sent., 17 dicembre 2004, n. 390; Corte cost., sent., 14 novembre 2005, n. 417; Corte cost., sent., 15 dicembre 2005, n. 449; Corte cost., sent., 10 marzo 2006, n. 88). Per sperare di superare il vaglio di costituzionalita', la previsione del legislatore statale si sarebbe dovuta tradurre nell'imposizione di un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (cosi' Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36), ma e' chiaro che cosi' non e' avvenuto nel caso di specie. Non solo: il vincolo alla spesa, cosi' come determinato dal legislatore statale, e' comunque viziato sotto il profilo della ragionevolezza. Esso, infatti, non e' corredato di criteri volti a proporzionare la riduzione imposta rispetto alle situazioni attuali di spesa delle singole regioni, mentre una parametrazione che tenesse conto delle realta' peculiari delle singole comunita' incise (considerando, ad esempio, i rapporti spesa corrente-spesa complessiva di bilancio o spesa corrente-popolazione residente/superficie territoriale occupata) sarebbe stata non solo opportuna, bensi' necessaria. Il vincolo alla spesa, come (troppo!) spesso accade, e' stato, inoltre, «calato» dall'alto in modo indifferenziato su tutte le regioni. Esso finisce, cosi', paradossalmente per penalizzare maggiormente le regioni che gia' sono intervenute a limitare la spesa. Per chiarire questo punto, sembra opportuno ricordare che la finanza delle comunita' montane e' essenzialmente derivata: le risorse correnti provengono in primo luogo dalle regioni (con 196.748.336 euro di trasferimenti) e, in secondo luogo, dallo Stato (con 179.250.125 euro di trasferimenti) Dati reperibili nella relazione «Le Comunita' Montane: continuita' nella tradizione, discontinuita' dell'azione», presentata alla Conferenza programmatica UNCEM «Montagna 2015: nuove comunita' montane, nuove alleanze, nuova UNCEM», L'Aquila, 22-23 novembre 2007. Ora, la Regione Veneto, in adempimento agli obblighi di riduzione annuale delle spese correnti imposti con le precedenti leggi finanziarie, ha ridotto il contributo regionale per il funzionamento delle comunita' montane (di cui all'art. 16 della legge regionale 3 luglio 1992, n. 19) dall'anno 2004 all'anno 2007 di 410.000 euro a fronte di un finanziamento medio nei tre anni precedenti pari a 1.000.000 di euro. La richiesta di un'ulteriore e consistente compressione delle spese correnti di funzionamento, nel caso della regione ricorrente, comporta, dunque, paradossalmente proprio a causa del leale adempimento agli obblighi imposti dallo Stato, serie difficolta' di funzionamento per le comunita' montane ivi istituite o, comunque, gravi ed inaccettabili ripercussioni sul loro buon andamento. 2.2.5. - Infine, alcune considerazioni con riguardo, specificamente, alla disciplina posta dal comma 22. Il peculiare fenomeno ivi previsto, che prevede il subentro dei comuni alle soppresse comunita' montane, suscita, infatti, non poche perplessita' circa la sua conformita' a Costituzione. Avendosi per richiamate tutte le considerazioni svolta finora (in particolare quanto ricordato circa le «funzioni proprie» attribuite alle comunita), si rileva qui, innanzitutto, che disciplinare la successione tra enti pubblici e, di conseguenza, il trasferimento di poteri pubblici secondo le regola del diritto privato, come avviene nella disposizione normativa impugnata, presenta non trascurabili profili di irragionevolezza. Il diritto civile sulle successioni universali, infatti, non sembra in grado di rispondere adeguatamente alla fortissima esigenza di continuita' che permea l'avvicendamento tra enti pubblici. Lo stesso Consiglio di Stato chiamato a decidere in materia di successione delle U.S.L. nei rapporti nati in capo agli enti ospedalieri, a seguito della riforma del Servizio sanitario nazionale, infatti, ha definito «incongruo il riferimento ai principi civilistici sulle successioni universali» all'avvicendamento tra soggetti di diritto pubblico e ha precisato che «concepire (...) la successione tra enti pubblici come fenomeno prevalentemente riferito ad un trapasso di titolarita' costituisce un punto di vista illogico ed asistematico» (cfr. Cons. St., sez. V, sent., 21 dicembre 1992, n. 1539). Ma l'irragionevolezza della disposizione in esame emerge anche ove si considerino le pesantissime ripercussioni che essa e' capace di creare in capo ai comuni. Tra questi ultimi, infatti, saranno di colpo massicciamente distribuiti i rapporti giuridici sostanziali e processuali delle comunita' montane ed, in particolare, le passivita', il carico delle opere sovracomunali in esecuzione e l'onere del personale a tempo indeterminato in organico alle comunita' montane (attualmente pari a circa 7.500 unita). Infine, last but not least, la Regione Veneto denuncia l'assoluta incoerenza della previsione di cui al comma 22, ma anche dei commi 20 e 21, rispetto alla finalita' di contenimento della spesa corrente cui tutta la disciplina normativa impugnata in materia di comunita' montane asserisce d'esser ispirata. La, piu' che probabile, soppressione - se non di tutte almeno di alcune - delle comunita' montane esistenti a partire dal luglio prossimo non comportera', infatti, alcun risparmio di spesa, almeno nel breve periodo. Sul punto ha gia' espresso le sue perplessita' il Servizio bilancio del Senato nel suo dossier sul disegno di legge finanziaria 2007, di cui merita di esser riportato il seguente estratto: «Atteso che parte dei possibili risparmi risulta subordinata all'approvazione di apposite norme da parte delle regioni, andrebbe chiarito se ritardi nell'approvazione delle leggi da parte delle regioni possano incidere negativamente sui risparmi preventivati. Il subentro dei comuni alle comunita' montane soppresse nei rapporti attivi e passivi potrebbe presentare profili onerosi qualora l'incidenza degli aspetti passivi sia maggiore rispetto a quella dei profili attivi. Infine, potrebbe inficiare i risparmi previsti l'eventuale venir meno di economie di scala in quei casi in cui la comunita' montana veda ridotto il numero dei comuni componenti, ma non in misura tale da richiederne la soppressione, con particolare riferimento agli oneri fissi che non sono influenzati dalla grandezza dell'ente e non risultano riducibili per effetto del ridimensionamento dell'ente stesso» Infine, la previsione di cui al comma 22 e' viziata da irragionevolezza nella parte in cui prevede che il subentro dei comuni alle comunita' montane possa avvenire anche solo in via provvisoria, ossia fino «all'adozione (...) delle discipline regionali», cio' con evidente menomazione, tra l'altro, del principio di buon andamento. In conclusione, anche ove si decidesse di condividere l'intento di riordinare le comunita' montane, riscrivendo i parametri legislativi di configurazione legale della montagna, cosi' come quello di contenere la spesa pubblica, lo strumento scelto dal legislatore della legge finanziaria per il 2008 non potrebbe passare indenne al vaglio di costituzionalita', non solo perche' viola palesemente gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., non solo perche' neppure cerca una cooperazione con le regioni titolari della specifica potesta' in materia, ma perche' sembra ignorare ancora una volta un dato fondamentale quanto elementare: per funzionare le istituzioni, in questo caso le comunita' montane, hanno bisogno di contare su una legislazione razionale e stabile e su risorse, per quanto limitate, certe e sufficienti al buon andamento. Pertanto si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 17, 18, 19, 20, 21, 22 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione e, in via subordinata, per contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, comma 2, della Costituzione e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 3. - Si viene ora a censurare la contrarieta' a Costituzione di due disposizioni normative che si occupano di - si potrebbe dire, in senso lato, - organizzazione di consorzi di bacini imbriferi, di bonifica e di miglioramento fondiario, ossia dei commi 35 e 36 dell'art. 2 della legge finanziaria per il 2008. Il comma 35 stabilisce che: «Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alla riduzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione e degli organi esecutivi dei consorzi tra i comuni compresi nei bacini imbriferi montani, costituiti ai sensi dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959, nonche' dei consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario di cui al capo I, del titolo V del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, e successive modificazioni. La riduzione del numero dei componenti degli organi di cui al presente comma deve essere conforme a quanto previsto per le societa' partecipate totalmente anche in via diretta dagli enti locali, ai sensi dell'articolo 1, comma 729, della legge 27 dicembre 2006, n. 296». Il comma 36 prevede, invece, che: «In alternativa a quanto previsto dal comma 35 ed entro il medesimo termine, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano d'intesa con lo Stato possono procedere alla soppressione o al riordino di consorzi, di cui al medesimo comma 35, facendo comunque salvi le funzioni e i compiti attualmente svolti dai medesimi consorzi e le relative risorse, ivi inclusa qualsiasi forma di contribuzione di carattere statale o regionale. In caso di soppressione le regioni adottano disposizioni al fine di garantire che la difesa del suolo sia attuata in maniera coordinata fra gli enti che hanno competenza al riguardo, nel rispetto dei principi dettati dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, e delle competenze delle province fissate dall'articolo 19 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, evitando ogni duplicazione di opere o di interventi, disponendo il subentro in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo ai consorzi suddetti. Per l'adempimento dei fini istituzionali dei medesimi consorzi, agli enti subentranti e' attribuita la potesta', gia' riconosciuta agli stessi consorzi, di cui all'articolo 59 del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, di imporre contributi alle proprieta' consorziate nei limiti di costi sostenuti per le citate attivita'. Nel rispetto di quanto previsto dal comma 37, il personale che al momento della soppressione risulti alle dipendenze dei consorzi di bonifica passa alle dipendenze delle regioni, delle province e dei comuni, secondo modalita' determinate dalle regioni, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Anche in caso di riordino i contributi consortili devono essere contenuti nei limiti dei costi sostenuti per l'attivita' istituzionale». In sostanza il legislatore statale impone alle regioni di provvedere entro un anno: o alla riduzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione e degli organi esecutivi dei consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario, nonche' dei consorzi tra comuni compresi in bacini imbriferi montani, secondo i parametri indicati in dettaglio all'art. 1, comma 729, della legge finanziaria per il 2007; o, in alternativa, alla soppressione o al riordino dei suddetti consorzi d'intesa con lo Stato. Per il caso di soppressione dei consorzi, il comma 36 si preoccupa di chiarire che le regioni dovranno adottare disposizioni capaci di garantire che la difesa del suolo sia attuata in maniera coordinata fra gli enti che hanno competenza al riguardo e avranno, altresi', l'obbligo di disporre il subentro di un nuovo ente a tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo ai consorzi, ente che godra' delle medesime potesta' gia' riconosciute ai consorzi soppressi. V'e', infine, una previsione normativa che precisa che il personale alle dipendenze dei consorzi dovra' essere distribuito tra regioni, province e comuni. 3.1. - Dal momento che le disposizioni impugnate si occupano di consorzi (tra comuni di bacini imbriferi o di bonifica e miglioramento fondiario), sembra, innanzitutto, opportuno premettere qualche breve cenno circa la qualificazione giuridica di questi soggetti, anche al fine di determinare, poi, con precisione, l'ambito materiale in cui sussumere la disciplina censurata. Come codesta ecc.ma Corte ha gia' chiarito, con specifico riguardo - e' vero - ai consorzi di bonifica, ma con affermazione che ben puo' esser estesa anche alle altre tipologie consortili, i consorzi in esame possono essere definiti come «enti pubblici locali operanti nelle materie di competenza regionale», ovvero anche come «enti amministrativi dipendenti dalla regione» (cfr. Corte cost., sent., 24 luglio 1998, n. 326). Essi operano prevalentemente nell'ambito della materia «agricoltura e foreste», materia che, vigente l'originario testo costituzionale, era di competenza concorrente regionale e che, oggi, a seguito della riforma del Titolo V, operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non essendo piu' annoverata tra le materie di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost., deve senza dubbio ritenersi di potesta' legislativa esclusiva regionale (sul punto, cfr. Corte cost., sent., 24 luglio 1998, n. 326; Corte cost., sent., 28 luglio 2004, n. 282). 3.2. - Sulla base di queste premesse, risulta, quindi, evidente che le previsioni normative della finanziaria per il 2008 ora in esame devono ritenersi costituzionalmente illegittime per violazione dell'art. 117 Cost., dal momento che, tramite esse, il legislatore statale ha inteso intervenire in un ambito materiale su cui la competenza della regione e' esclusiva. Quanto appena affermato vale sia con riferimento al comma 35, ove si impone alle regioni un netto taglio al numero dei componenti del consiglio di amministrazione e degli organi esecutivi dei consorzi, sia con riguardo al disposto di cui al comma 36, ove si prevede che il riordino e la soppressione dei consorzi, pur venendo operata con legge regionale, debba formare oggetto d'intesa con lo Stato. Nonostante la disciplina normativa in esame non richiami espressamente, quale titolo di legittimazione dell'intervento statale, esigenze di contenimento della spesa pubblica, deve, comunque - per completezza - considerarsi la possibilita' che alla censura regionale venga opposta la competenza concorrente Stato-regione in materia di «coordinamento delle finanze». La riduzione dei componenti degli organi consortili o il riordino e la soppressione stessa dei suddetti enti mirano, infatti, certamente, tra l'altro, ad ottenere una riduzione delle uscite di denaro pubblico. La Regione Veneto, fin d'ora, contesta la possibilita' per lo Stato di invocare la materia del «coordinamento della finanza», di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. a legittimazione delle previsioni di cui ai commi 35 e 36. Anche a non voler considerare il fatto che le suddette disposizioni normative non contengono alcun «principio fondamentale», infatti, non si puo' ignorare la circostanza che l'ambito coperto dalla materia «coordinamento della finanza» non puo' esser esteso al punto di ricoprire qualsivoglia previsione legislativa dello Stato centrale con ripercussioni indirette sulle finanze pubbliche e, comunque, certamente non interventi tanto incisivi sul piano ordinamentale, per di piu' riguardanti materie su cui la regione ha potesta' esclusiva. In estremo subordine, nella denegata ipotesi in cui codesto ecc.mo giudice ritenesse di considerare, per il caso specifico, la potesta' concorrente dello Stato di coordinamento della finanza, ci si permette di ricordare quanto segue. Codesta Corte ha in diverse occasioni giustamente riconosciuto che «la complessita' della realta' sociale da regolare comporta che, di frequente, le normative non possano essere riferite nel loro insieme ad una sola materia, perche' concernono situazioni non omogenee, ricomprese in materie diverse sotto il profilo della competenza legislativa» (Corte cost., sentenza 31 marzo 2006, n. 133). Conseguentemente, ha ritenuto di affermare: «"Per le ipotesi in cui ricorra una âconcorrenza di competenze', la Costituzione non prevede espressamente un criterio di composizione delle interferenze. In tal caso - ove (...) non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa - si deve ricorrere al canone della âleale collaborazione', che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze" (sentenze nn. 50 e 219 del 2005)» (cosi' Corte cost., sentenza 18 giugno 2007, n. 201). Una leale collaborazione, nel caso in esame, non e' stata cercata, ne' tanto meno attuata, dallo Stato. Le previsioni di cui ai commi 35 e 36 in esame, infine, imponendo alle regioni un drastico taglio dei componenti dei principali organi dei consorzi o, in alternativa, la soppressione o il riordino di questi ultimi, evidentemente finisce con l'operare un'inaccettabile ingerenza nell'autonomia amministrativa-organizzativa regionale garantita all'art. 118 Cost. Pertanto si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 35 e 36, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione e, in via subordinata, per contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e regione, principio desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, della Costituzione e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 4. - Si puo' passare, ora, all'analisi delle disposizioni della finanziaria 2008 che disciplinano un duplice intervento finanziario a risanamento dei deficit sanitari di alcune regioni. Il riferimento e' ai commi 46, 47, 48 e 49 dell'art. 2, dei quali si richiama - nella speranza di agevolare la comprensione del ricorso - il testo. Il comma 46 prevede che: «In attuazione degli accordi sottoscritti tra lo Stato e le Regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia ai sensi dell'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con i quali le regioni interessate si obbligano al risanamento strutturale dei relativi servizi sanitari regionali, anche attraverso la ristrutturazione dei debiti contratti, lo Stato e' autorizzato ad anticipare alle predette regioni, nei limiti di un ammontare complessivamente non superiore a 9.100 milioni di euro, la liquidita' necessaria per l'estinzione dei debiti contratti sui mercati finanziari e dei debiti commerciali cumulati fino al 31 dicembre 2005, determinata in base ai procedimenti indicati nei singoli piani e comunque al netto delle somme gia' erogate a titolo di ripiano dei disavanzi». Il successivo comma 47 prosegue stabilendo che: «Le regioni interessate, in funzione delle risorse trasferite dallo Stato di cui al comma 46, sono tenute a restituire, in un periodo non superiore a trenta anni, le risorse ricevute. Gli importi cosi' determinati sono acquisiti in appositi capitoli del bilancio dello Stato». E', poi, la volta del comma 48: «All'erogazione delle somme di cui ai commi 46 e 47, da accreditare su appositi conti correnti intestati alle regioni interessate, lo Stato procede, anche in tranche successive, a seguito del riaccertamento definitivo e completo del debito da parte delle regioni interessate, con il supporto dell'advisor contabile, come previsto nei singoli piani di rientro, e della sottoscrizione di appositi contratti, che individuano le condizioni per la restituzione, da stipulare tra il Ministero dell'economia e delle finanze e ciascuna regione. All'atto delle erogazioni le regioni interessate provvedono all'immediata estinzione dei debiti pregressi per l'importo corrispondente e trasmettono tempestivamente la relativa documentazione ai Ministeri dell'economia e delle finanze e della salute». Infine, il comma 49 recita: «In presenza della sottoscrizione dell'accordo con lo Stato per il rientro dai deficit sanitari, ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, alle regioni interessate che non hanno rispettato il patto di stabilita' interno in uno degli anni precedenti il 2007 spetta l'accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale a carico dello Stato previsto per l'anno di riferimento dalla legislazione vigente, nei termini stabiliti dal relativo piano». I commi impugnati prevedono l'ennesimo intervento statale di rientro di deficit sanitari regionali, questa volta in una duplice forma. Innanzitutto, per le Regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia, che hanno firmato gli accordi con lo Stato per il risanamento dei relativi servizi, anche attraverso la ristrutturazione dei debiti contratti, e' prevista l'anticipazione dell'ingente somma di 9.100 milioni di euro (al netto delle somma gia' erogate a titolo di ripiano dei disavanzi) per l'estinzione dei debiti contratti sui mercati finanziari e dei debiti cumulati fino al 31 dicembre 2005, con l'accordo che tali risorse saranno restituite entro trent'anni. Poi, per le regioni che non hanno rispettato il Patto di stabilita' negli anni antecedenti il 2007, la finanziaria prevede l'accesso ad un finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale a carico dello Stato. La Regione Veneto ha gia' impugnato forme del tutto similari di intervento a ripiano dei deficit sanitari regionali per violazione degli arti 3, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost. oltre che del principio di leale collaborazione (il riferimento e' al ricorso n. 25/07 avverso il decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 e al ricorso n. 32/07 avverso la legge di conversione del predetto decreto-legge 17 maggio 2007, n. 64) e non puo' che ribadire ora, dinnanzi ad un nuovo caso di ingiustificata elargizione di preziose risorse pubbliche, le sue ragioni di doglianza. 4.1. - Si ritiene opportuno, innanzitutto, ricordare quali sono le linee essenziali del sistema costituzionale e, piu' in generale, ordinamentale nella materia che qui interessa. L'art. 32, primo comma, Cost., stabilisce che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita', e garantisce cure gratuite agli indigenti». Dunque, il compito di tutelare il bene della salute, inteso complessivamente come benessere psico-fisico della persona, di qualunque persona senza discriminazione di sorta (in conformita' all'art. 3 Cost.), diritto fondamentale dell'uomo (art. 2 Cost.) e interesse della collettivita', e' rimesso alla Repubblica. Ma la Repubblica, ai sensi dell'art. 114 Cost., primo comma, come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, «e' costituita dai comuni, dalle province, dalle citta' metropolitane, dalle regioni e dallo Stato». E sono proprio Stato e regioni gli enti protagonisti in materia di tutela della salute. A seguito della riforma del Titolo V, infatti, la nostra Carta costituzionale disegna un sistema sanitario di stampo federale (federale in senso lato), nel quale il centro procede alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio e si fa garante del coordinamento della finanza pubblica ponendo i principi fondamentali, mentre alle autonomie e' riconosciuta una competenza legislativa che, concernendo ora la «tutela della salute» e non piu' la mera «assistenza ospedaliera», e' «assai piu' ampia rispetto a quella precedente» e alla quale si accompagnano il potere di organizzare il servizio modellandolo sulla base delle esigenze della popolazione e, di conseguenza, la responsabilita' delle risorse da impiegare e impiegate (Corte cost., sent., 8 maggio 2007, n. 162. Ma gia' prima, Corte cost., sent., 2006, n. 134; Corte cost., sent., 7 luglio 2005, n. 270 e Corte cost., sent., 26 maggio 2002, n. 282). Lo strumento concreto mediante il quale la Repubblica da' attuazione all'art. 32, primo comma, Cost. e' il Servizio sanitario nazionale (d'ora in poi anche S.S.N.), istituito con legge 23 dicembre 1978, n. 833. A partire dall'entrata in vigore del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 il Sistema si finanzia mediante la previsione di compartecipazioni regionali ai tributi statali e l'istituzione di un fondo perequativo nazionale. Le risorse sono distribuite alle regioni che le gestiscono per l'erogazione del servizio nel proprio territorio e ne divengono responsabili. Per un principio la cui validita' non puo' esser messa in dubbio dopo la riforma del 2001, ma del quale non si discuteva neppure in passato, infatti, la responsabilita' di disciplina e organizzazione deve viaggiare parallelamente alla responsabilita' finanziaria (cfr. Corte cost., sent., 28 luglio 1993, n. 355; Corte cost., sent., 18 giugno 1991, n. 283; Corte cost., sent., 28 luglio 1995, n. 416 e Corte cost., sent., 5 novembre 1984, n. 245). Cosi', con legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), il legislatore statale ha posto la regola per cui spetta alle regioni provvedere alla copertura degli eventuali disavanzi di gestione, attivando nella misura necessaria l'autonomia impositiva secondo modalita' e procedure prestabilite. Tale affermazione di principio e' stata da allora piu' volte ribadita, in praticamente tutte le leggi finanziarie successive, e il suo rispetto incentivato mediante la previsione di sanzioni. Con la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), tuttavia, il legislatore statale ha, per la prima volta, deciso di disporre, in deroga alla suddetta regola, il concorso dello Stato «al ripiano dei disavanzi del S.S.N. per gli anni 2001, 2002 e 2003». Da allora lo Stato ha fatto dell'eccezione la regola, e viceversa, stanziando a piu' riprese fondi per ripianare il disavanzo sanitario delle regioni, da ultimo con le disposizioni normative qui impugnate. 4.2. - E' giunto, ora, il momento di prospettare specificamente le censure rivolte alla normativa in esame dalla regione ricorrente. Giova, innanzitutto, chiarire che - come codesta ecc.ma Corte ha piu' volte affermato - i conflitti che sorgano in materia di interventi di ripiano dei disavanzi di gestione del S.S.N. vanno valutati «nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di salute (...) e specialmente nell'ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa, al cui rispetto sono tenute regioni e province autonome» (cfr. Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98; Corte cost., sent., 27 gennaio 2005, n. 36). Trattandosi di materie di legislazione concorrente, lo Stato e' legittimato a porre per esse solo i principi fondamentali. La disciplina impugnata si segnala, pero', per il suo carattere minuzioso, dettagliato, autoapplicativo, dal momento che indica quali regioni e secondo quali modalita' potranno beneficiare del finanziamento statale per ripianare i propri debiti sanitari. Di piu': non solo le previsioni in esame non contengono alcun principio, ma ne rovesciano uno fondamentale, ossia quello di responsabilita'. Per queste ragioni, i commi da 46 a 49, dell'art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 violano l'art. 117 Cost. e devono esser dichiarati illegittimi. 4.3. - Il fatto che il legislatore centrale abbia previsto dei finanziamenti a destinazione vincolata in materie di potesta' legislativa concorrente viola anche l'autonomia finanziaria riconosciuta alle regioni dall'art. 119 Cost. Come codesto ecc.mo Collegio ha chiarito, infatti, lo Stato puo' istituire e disciplinare fondi a destinazione vincolata solo nelle materie di sua competenza legislativa esclusiva (in questo senso, Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 29 gennaio 2004, n. 49. Il medesimo principio si ricava, tuttavia, anche da Corte cost., sent., 23 dicembre 2003, n. 370; Corte cost., sent., 29 dicembre 2004, n. 423; Corte cost., sent., 18 febbraio 2005, n. 77; Corte cost., sent., 18 marzo 2005, n. 107; Corte cost., sent., 24 marzo 2006, n. 118). In linea generale, invece, solamente due tipologie di fondi possono essere considerate rispettose del dettato dell'art. 119 Cost.: (i) un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante (art. 119, terzo comma, Cost.), che, insieme ad entrate e tributi propri e compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio (art. 119, secondo comma, Cost.), serve a finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a regioni ed enti locali (art. 119, quarto comma, Cost.) e (ii) «risorse aggiuntive» ed «interventi speciali» in favore di determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine di «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, (...) rimuovere gli squilibri economici e sociali, (...) favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, (...) provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119, quinto comma, Cost.). Dal momento che si potrebbe esser tentati di sussumere la fattispecie in esame nella seconda ipotesi di fondo, si ricorda che, proprio in relazione a questi ultimi, codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha precisato che essi «non solo debbono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale (...) delle funzioni spettanti ai comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma debbono essere indirizzati a determinati comuni o categorie di comuni (o province, citta' metropolitane, regioni)» e che «l'esigenza di rispettare il riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e regioni comporta altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all'interno del proprio territorio» (cosi' Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 8 giugno 2005, n. 222). Premesso che, per l'ormai costante sottostima del fabbisogno del Servizio sanitario nazionale operato dallo Stato in sede di distribuzione delle risorse finanziarie, si potrebbe fondatamente dubitare del carattere «aggiuntivo» di tutte le somme distribuite a copertura di disavanzi, si osserva quanto segue. Con specifico riguardo agli stanziamenti di cui al comma 49, essi non sono rivolti a enti determinati e non e' dato comprendere a quale finalita' siano devoluti e, in particolare, se si tratti di una delle finalita' tassativamente previste all'art. 119, quinto comma, Cost., vista, per altro, l'impossibilita' di riferirli al principio di solidarieta', per quanto si spieghera' oltre. Il medesimo discorso relativo alle finalita' si puo' fare per quanto attiene ai 9.100 milioni di euro, che si aggiungono alle ingenti somme gia' distribuite alle Regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia gli anni scorsi. E' certo, poi, che per nessuno dei finanziamenti in esame, contrariamente a quanto richiesto da codesta ecc.ma Corte per ritener rispettato l'art. 119 Cost., le regioni sono state interpellate, cio', per altro, in aperta violazione del principio di leale collaborazione. 4.4. - Molti altri sono poi i profili di non conformita' al dettato costituzionale con riferimento alle previsioni normative di cui ai commi 46, 47, 48 e 49 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Innanzitutto, la disciplina di ripiano viola l'art. 3 Cost. sia sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza, sia sotto quello dell'irragionevolezza delle scelte del legislatore statale. La disciplina di ripiano discrimina, infatti, le regioni c.d. virtuose che hanno informato l'organizzazione e l'erogazione del servizio sanitario ai criteri di efficacia ed efficienza e che hanno fatto fronte alla carenza di finanziamento in materia sanitaria imponendo ai cittadini residenti nel proprio territorio, sacrifici di natura prettamente fiscale o, comunque, in termini di maggiore partecipazione al costo delle prestazioni erogate; regioni che ora sono addirittura costrette a concorrere a questa nuova ingiustificata elargizione. Tra queste certamente anche la Regione Veneto, come confermato dalla stessa Corte dei conti regionale che, nell'ambito della relazione annuale ex art. 3, legge 14 gennaio 1994, n. 20, approvata con delibera del 27 novembre 2006, n. 96, al normale referto sulla gestione della Regione Veneto per la verifica dell'attuazione delle leggi regionali di principio e di programma, ha allegato una parte speciale, intitolata «Indagine sull'assistenza sanitaria nel Veneto. Aspetti finanziari e gestionali, con particolare riferimento alla gestione dell'assistenza distrettuale - esercizio finanziario 2005 con ricostruzione di serie storiche a partire dal 2003», nella quale si loda l'oculata gestione delle risorse conferite alla ricorrente. A cio' si aggiunga la puntualizzazione della procura regionale presso la medesima Corte (svolta in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2008), secondo cui «il Veneto, regione trainante per l'economia del Paese, offre complessivamente un quadro positivo di buona amministrazione che la differenzia dalle situazioni drammatiche che sono emerse in altre parti del territorio nazionale» (sic! il 15 febbraio 2008). La previsione di un nuovo intervento finanziario statale a copertura di deficit pregressi e', poi, irragionevole ove decide di dare nuovamente a chi gia' ha ricevuto in abbondanza e non ha dimostrato di saper gestire le risorse provenienti dalla fiscalita' generale, ed irrazionale, perche' non accompagnata, da un lato, da misure capaci di incidere, eliminandole, sulle cause dei disavanzi, e, dall'altro, da adeguate forme di controllo sull'utilizzo delle risorse elargite. In pratica si toglie a chi ha gestito oculatamente, talvolta con rigore, le finanze pubbliche per dare a chi ha male amministrato e potra' continuare a farlo, con evidente violazione del principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. Lo scialacquamento dei gia' scarsi mezzi finanziari a disposizione, poi, portera' inevitabilmente in futuro ad una contrazione dei livelli essenziali delle prestazioni che, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), potranno essere garantiti su tutto il territorio, con un evidente danno riflesso sulla tutela della salute garantita ex art. 32 Cost. Infine, interventi finanziari del livello di governo centrale quale quello qui censurato, spostando preziose risorse verso specifiche destinazioni, si risolvono in un'indebita interferenza nella gestione piu' propriamente organizzativa della sanita', ossia, in concreto, nell'esercizio delle funzioni amministrative che l'art. 118 Cost. vuole distribuite tra i diversi enti territoriali «sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza» e, quindi, per una parte rilevantissima, alle regioni. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 46, 47, 48 e 49, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli articoli 3, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonche' con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 5. - Nell'art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, si trovano, poi, due disposizioni, quelle di cui ai commi 158, letera a) e 165, che, per contenuti, certamente afferiscono alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e che la Regione Veneto ritiene di dover impugnare perche' contrastanti con gli articoli 117 e 118 Cost. 5.1. - Si tratta, innanzitutto, della previsione di cui al comma 158, di cui si impugna la sola lettera a). La disposizione portata all'attenzione di codesto ecc.mo giudice testualmente recita: «All'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 3, le parole: "o altro soggetto istituzionale delegato" sono sostituite dalle seguenti: "o dalle province delegate"; a) identica». Mediante la modifica dell'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita», in pratica, il legislatore della finanziaria per il 2008 stabilisce che d'ora in poi spetti alla provincia il compito di rilasciare l'autorizzazione unica necessaria per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, cosi' come per gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento e riattivazione, nonche' per le opere connesse e le infrastrutture necessarie per la costruzione e l'esercizio degli impianti stessi. A riguardo, la regione ricorrente non puo' non evidenziare che l'individuazione da parte dello Stato dell'ente locale, in questo caso la provincia, abilitato a rilasciare l'autorizzazione unica, viola gli articoli 117 e 118 Cost. Per quanto attiene specificamente all'art. 117 Cost., la previsione normativa si segnala per il suo carattere dettagliato ed autoapplicativo, quando, al contrario, intervenendo in materia di potesta' concorrente, il legislatore statale non si sarebbe dovuto spingere oltre la «determinazione dei principi fondamentali». Trattandosi di un ambito di competenza legislativa concorrente, inoltre, spetta alla regione l'allocazione delle funzioni amministrative relative alla materia, secondo i parametri di «sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza» (cfr. Corte cost., sent.enza 1° ottobre 2003, n. 303). Ove cio' non accade, anche l'art. 118 Cost. e' violato. La previsione normativa impugnata, infine, non puo' esser salvata neppure ove intesa come una forma di c.d. chiamata in sussidiarieta' di funzioni regionali a livello statale. Perche' l'attrazione al centro di potesta' regionali possa dirsi conforme a Costituzione, infatti, devono sussistere due condizioni. Innanzitutto essa deve avvenire «sulla base dei principi di differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell'art. 118 Cost.» ed e' legittima «solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata» e «non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita» (cfr. Corte cost., sentenza 1° ottobre 2003, n. 303). In secondo luogo, come gia' chiarito piu' volte da codesta ecc.ma Corte, «la "chiamata in sussidiarieta'" di funzioni che costituzionalmente spettano alle regioni comporta anche la necessita' che lo Stato coinvolga sostanzialmente le regioni stesse, poiche' l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta» (cosi', di nuovo, Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 242, citando Corte cost., sent., 1 ottobre 2003, n. 303. Ma anche Corte cost., sent., 1 giugno 2006, n. 214). Nessuna delle due condizioni e' stata soddisfatta nel caso delle disposizioni impugnate dalla regione Veneto. Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 158, lettera a), della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost. e, in subordine, con gli articoli 117 e 118 Cost., nonche' con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 5.2. - Il comma 165 stabilisce, invece, quanto segue: «Al comma 2 dell'articolo 14 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, sono aggiunte le seguenti lettere: f-bis) sottopongono a termini perentori le attivita' poste a carico dei gestori di rete, individuando sanzioni e procedure sostitutive in caso di inerzia; f-ter) prevedono, ai sensi del paragrafo 5 dell'articolo 23 della direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, e dell'articolo 2, comma 24, lettera b), della legge 14 novembre 1995, n. 481, procedure di risoluzione delle controversie insorte fra produttori e gestori di rete con decisioni, adottate dall'Autorita' per l'energia elettrica e il gas, vincolanti tra le parti; f-quater) prevedono l'obbligo di connessione prioritaria alla rete degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, anche nel caso in cui la rete non sia tecnicamente in grado di ricevere l'energia prodotta ma possano essere adottati intervento di adeguamento congrui; f-quinquies) prevedono che gli interventi obbligatori di adeguamento della rete di cui alla lettera f-quater) includano tutte le infrastrutture tecniche necessarie per il funzionamento della rete e tutte le installazioni di connessione, anche per gli impianti per autoproduzione, con parziale cessione alla rete dell'energia elettrica prodotta; f-sexies) prevedono che i costi associati alla connessione siano ripartiti con le modalita' di cui alla lettera f) e che i costi associati allo sviluppo della rete siano a carico del gestore della rete; f-septies) prevedono le condizioni tecnico-economiche per favorire la diffusione, presso i siti di consumo, della generazione distribuita e della piccola cogenerazione mediante impianti eserciti tramite societa' terze, operanti nel settore dei servizi energetici, comprese le imprese artigiane e le loro forme consortili''». Il comma 165, dunque, integra l'art. 14, comma 2, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (aggiungendovi sei lettere), al fine di puntualizzare ed integrare i possibili contenuti delle direttive che l'Autorita' per l'energia elettrica e il gas e' chiamata ad adottare per definire le condizioni tecniche ed economiche per la connessione alla rete di impianti alimentati da fonti rinnovabili. Con cio' il legislatore statale unilateralmente e, senza il benche' minimo confronto con le regioni, e' intervenuto nella materia di potesta' legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», attribuendo nuovi e specifici compiti all'Autorita' per l'energia ed il gas. Sembra opportuno rilevare, poi, che, grazie alla disposizione in parola, l'Autorita' di cui sopra sara' legittimata ad emanare direttive che interferiranno significativamente, menomandola, sull'autonomia amministrativa regionale in materia. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 2, comma 165, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost., nonche' con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 6. - E' necessario evidenziare, ora, i profili di illegittimita' costituzionale che viziano le disposizioni normative di cui ai commi 194 e 195 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in materia di turismo, non prima, pero', di averne richiamato i contenuti. Il comma 194 prevede che: «Al fine di incentivare lo sviluppo strategico integrato del prodotto turistico nazionale mediante la promozione di economie di scala e il contenimento dei costi di gestione delle imprese del settore, con uno o piu' regolamenti da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sono definite, nel rispetto delle competenze regionali, le procedure acceleratorie di semplificazione volte a favorire sia l'aumento dei flussi turistici sia la nascita di nuove imprese del settore. Tali procedure devono privilegiare le azioni finalizzate, tra l'altro, alla razionalizzazione e alla riduzione degli adempimenti a carico delle imprese e dei termini di durata dei procedimenti, nonche' a definire specifici moduli procedimentali idonei a contestualizzare l'esercizio dei poteri pubblici». Il comma 195, invece, stabilisce che: «Il Dipartimento per lo sviluppo e la competitivita' del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri, avvalendosi delle risorse umane, strutturali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, provvede ad assicurare il supporto tecnico-specialistico in favore dei soggetti nazionali e internazionali che intendono promuovere progetti di investimento volti a incrementare e a riqualificare il prodotto turistico nazionale, attivando le procedure di cui al comma 194». La materia cui inequivocabilmente le disposizioni richiamate afferiscono e' quella del «turismo». Fino alla riforma del Titolo V della Costituzione, il turismo e' stato materia di competenza legislativa concorrente Stato-regioni; sostanzialmente, pero', anche a causa del disinteresse dello Stato sul punto, gia' prima del 2001 la materia era ampiamente affidata alle competenze regionali, come confermato dalle previsioni di cui agli articoli 43-46 del decreto legislativo n. 112/1998. Oggi la materia «turismo» non risulta ricompresa ne' nell'elenco di materie di competenza esclusiva statale (art. 117, secondo comma, Cost.), ne' in quello di competenza legislativa concorrente Stato-regioni. Come codesta ecc.ma Corte ha, anche recentemente, rilevato, quindi, in materia di «turismo» la regione e' titolare di una potesta' legislativa esclusiva-residuale ai sensi dell'art. 117, quarto comma (cfr. Corte cost., sent., 10 marzo 2006, n. 90; Corte cost., sent., 5 giugno 2003, n. 197, e Corte cost., sent., 1° giugno 2006, n. 214). In questa materia lo Stato non e' legittimato neppure a dettare i principi fondamentali, pena la violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost. e certamente non ha potesta' regolamentare. L'art. 117, sesto comma, Cost., infatti, indica chiaramente che lo Stato puo' emanare regolamenti solo nelle materie di sua competenza esclusiva. La difesa della Regione Veneto, tuttavia, conosce la giurisprudenza di codesto ecc.mo Collegio secondo la quale, il fatto che si verta in materia di competenza esclusiva regionale, quale nella fattispecie in esame il turismo, non esclude la possibilita', per la legge statale, di attribuire funzioni legislative al livello centrale e di regolarne l'esercizio (cfr. Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1° giugno 2006, n. 214). Deve, pero', evidenziarsi che la richiamata attrazione a livello centrale di determinate funzioni regionali, per aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale, deve rispondere a due condizioni. Innanzitutto, la «chiamata in sussidiarieta» deve avvenire «sulla base dei principi di differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell'art. 118 Cost.» ed e' legittima «solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata» e «non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita» (cfr. Corte cost., sent., 1° ottobre 2003, n. 303). In altre parole, e' necessario che l'attrazione al centro di competenze regionali rispetti «i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni» ed anche che la legge statale «detti una disciplina logicamente pertinente, dunque, idonea alla regolazione delle suddette funzioni e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine» (cfr. Corte cost., sent., 13 gennaio 2004, n. 6, richiamata in Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 242). In secondo luogo, come gia' chiarito piu' volte da codesta ecc.ma Corte, «la "chiamata in sussidiarieta'" di funzioni che costituzionalmente spettano alle regioni comporta anche la necessita' che lo Stato coinvolga sostanzialmente le regioni stesse, poiche' l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta» (cosi', di nuovo, Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 242, citando Corte cost., sent., 1 ottobre 2003, n. 303. Ma anche Corte cost., sent., 1 giugno 2006, n. 214). Per quanto attiene alla prima condizione, essa non puo' dirsi soddisfatta dalla disciplina normativa portata oggi all'attenzione di codesta ecc.ma Corte. L'intervento legislativo statale di cui ai commi 194 e 195 dell'art. 2 della legge finanziaria per il 2008, infatti, non puo' essere considerato rispettoso dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza giacche' attrae in capo al potere esecutivo centrale una generale attivita' di riordino e semplificazione di tutto il settore turistico, comma 194, e sostanzialmente affida ad un Dipartimento della Presidenza del Consiglio il compito generalissimo di sostenere e promuovere progetti di investimento capaci di riqualificare il prodotto turistico nazionale. Con riguardo alla seconda condizione, poi, la violazione del principio di leale collaborazione appare palese. Mentre, infatti, il comma 195 non prevede alcuna forma di concertazione con le regioni, la previsione di cui al comma 194 si limita a stabilire che prima dell'adozione dei regolamenti statali sia «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano». Anche quest'ultima previsione non garantisce, infatti, una reale forma di partecipazione delle regioni, dal momento che, non essendo obbligatoria un'intesa, lo Stato ben potra' provvedere ugualmente anche in presenza di un dissenso della Conferenza Stato-regioni (sul punto, cfr. Corte cost., sent., 8 giugno 2005, n. 222). Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 194 e 195, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con l'art. 117 Cost. nonche', in via subordinata, degli articoli 117, 118 e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 7. - Si passa, ora, a trattare dei profili di illegittimita' costituzionale che la Regione Veneto denuncia con riguardo alle previsioni normative di cui ai commi 279 e 280 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in materia di finanziamenti statali per la ristrutturazione edilizia e l' ammodernamento tecnologico in sanita'. Il comma 279 testualmente recita: «All'art. 1, comma 796, lettera n), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le parole: "20 miliardi di euro" sono sostituite dalle seguenti: "23 miliardi di euro"». Il successivo comma 280, invece, prevede quanto segue: «All'art. 1, comma 796, lettera n), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono apportate le seguenti modificazioni: a) nel secondo periodo, dopo le parole: "Il maggior importo di cui alla presente lettera e' vincolato" sono inserite le seguenti: "per 100 milioni di euro per l'esecuzione di un programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, finalizzato al potenziamento delle 'unita' di risveglio dal coma': per 7 milioni di euro per l'esecuzione di un programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, destinati al potenziamento e alla creazione di unita' di terapia intensiva neonatale (TIN); per 3 milioni di euro per l'esecuzione di un programma pluriennale di interventi in materia di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, destinati all'acquisto di nuove metodiche analitiche, basate sulla spettrometria di 'massa tandem', per effettuare screening neonatali allargati, per patologie metaboliche ereditarie, per la cui terapia esistono evidenze scientifiche efficaci"'; b) nel secondo periodo, le parole: "100 milioni di euro ad interventi per la realizzazione di strutture residenziali dedicate alle cure palliative" sono sostituite dalle seguenti: "150 milioni di euro ad interventi per la realizzazione di strutture residenziali e l'acquisizione di tecnologie per gli interventi territoriali dedicati alle cure palliative, ivi comprese quelle relative alle patologie degenerative neurologiche croniche invalidanti"; c) dopo il secondo periodo sono inseriti i seguenti: "nella sottoscrizione di accordi di programma con le regioni, e' data, inoltre, priorita' agli interventi relativi ai seguenti settori assistenziali, tenuto conto delle esigenze della programmazione sanitaria nazionale e regionale: realizzazione di strutture sanitarie territoriali, residenziali e semiresidenziali. Il Ministero della salute, attraverso la valutazione preventiva dei programmi di investimento e il monitoraggio della loro attuazione, assicura il raggiungimento dei predetti obiettivi prioritari, verificando nella programmazione regionale la copertura del fabbisogno relativo anche attraverso i precedenti programmi di investimento"». Le due disposizioni in parola modificano la previsione normativa di cui all'art. 1, comma 796, lettera n), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007). Nel suo originario testo, il suddetto comma 796, lettera n), elevava fino a 20 miliardi di euro il budget di finanziamenti statali per la ristrutturazione edilizia e l'ammodernamento tecnologico in sanita', come previsti dall'art. 20 della legge 11 marzo 1998, n. 67, al contempo vincolando tale maggior somma nel seguente modo: 500 milioni di euro per la riqualificazione strutturale e tecnologica dei servizi di radiodiagnostica e radioterapia di interesse oncologico (con corsia preferenziale per «regioni meridionali e insulari»); 100 milioni di euro per le strutture per le cure palliative; altri 100 per i sistemi informatici di aziende sanitarie e ospedaliere e, infine, 100 per le strutture di assistenza domiciliare. La Regione Veneto, con proprio ricorso inserito al registro ricorsi con il numero 10/07, ha impugnato il suddetto comma 796, lettera n), perche' contrastante con gli articoli 3, 97, 117, 118 e 119 Cost. e, in via subordinata, per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120, secondo comma, Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. A seguito dell'intervento del legislatore della finanziaria per il 2008, il contenuto di quella previsione normativa esce mutato: lo stanziamento per la ristrutturazione edilizia e l'ammodernamento tecnologico in sanita' e' stato, infatti, incrementato di ulteriori 3 miliardi di euro per raggiungere l'importo complessivo totale di 23 miliardi di euro e sono state parzialmente modificate ed integrate le previsioni di vincolo sulla destinazione delle risorse. In particolare, sono previsti ex novo i seguenti vincoli: 100 milioni di euro per il potenziamento delle «unita' di risveglio dal comma»; 7 milioni al potenziamento e alla creazione di unita' di terapia intensiva neonatale e 3 milioni all'acquisto di nuove metodiche analitiche basate sulla spettrometria di «massa tandem», per effettuare screening neonatali allargati, per patologie metaboliche ereditarie, per la cui terapia esistono evidenze scientifiche efficaci. L'originario fondo a destinazione vincolata per la realizzazione di strutture residenziali dedicate alle cure palliative, poi, e' stato incrementato da 100 a 150 milioni di euro, da impiegare, pero', anche per l'acquisizione di interventi territoriali dedicati alle cure palliative, ivi comprese le patologie degenerative neurologiche croniche invalidanti. Infine, il legislatore statale ha previsto che, in sede di firma degli accordi di programma con le regioni, sia data priorita' agli interventi di strutture sanitarie territoriali, residenziali e semiresidenziali. La previsione di cui ai commi 279 e 280 della finanziaria per il 2008 finisce con il presentare gli stessi profili di incostituzionalita' di cui all'art. 1, comma 796, lettera n), della finanziaria dello scorso anno, dal momento che, nel modificarne parzialmente il testo, perpetua ed aggrava l'esistenza di un intervento finanziario statale non conforme a Costituzione. Sembra, innanzitutto, opportuno osservare che le materie interessate dalle previsioni normative oggi in esame sono, con ogni evidenza, la «tutela della salute», di potesta' legislativa concorrente, e l'«edilizia sanitaria» che, non essendo menzionata ne' nel secondo ne' nel terzo comma dell'art. 117 Cost., deve ritenersi di competenza residuale esclusiva regionale. La previsione di finanziamenti a destinazione vincolata in materie su cui la regione ha potesta' legislativa esclusiva o concorrente, pero', non e', a seguito della riforma costituzionale del 2001, piu' compatibile con il dettato degli articoli 117, 118 e 119 Cost., dal momento che, ben lungi dall'essere una determinazione di principi fondamentali, si risolve in una penetrante violazione dell'autonomia legislativa, amministrativa-organizzativa e di spesa dell'ente regionale (cfr. Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16). Uno stanziamento di risorse per una specifica e predeterminata finalita' potrebbe ritenersi costituzionalmente legittimo, come rilevato anche da codesto ecc.mo Collegio, solo se riguardante una materia di competenza esclusiva dello Stato, o se qualificabile tra i fondi perequativi e i finanziamenti speciali di cui al quinto comma dell'art. 119 Cost. Cosi' non e' per i finanziamenti qui censurati dalla ricorrente. Nella denegata e non creduta ipotesi, poi, che si ritenesse di sussumere la fattispecie normativa di cui ai commi 279 e 280 in quella dell'art. 119, quinto comma, le previsioni impugnate rimarrebbero censurabili per violazione del principio di leale collaborazione, dal momento che, pur attenendo ad ambiti di competenza concorrente o esclusiva regionale, le regioni non sono state coinvolte nella programmazione di detti fondi (sul punto, cfr., Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 21 aprile 2005, n. 162). Infine, deve rilevarsi che l'intervento statale in parola e' viziato anche sotto il profilo della ragionevolezza e, di riflesso, del rispetto del principio del buon andamento. Lo Stato, infatti, anche in questo caso conferma la propria incapacita' a porre discipline normative ponderate e stabili, idonee a orientare in modo coerente e per un periodo medio-lungo le scelte della regione, sia sotto il profilo legislativo, sia con riguardo a quello organizzativo-amministrativo, finendo con l'elargire, di anno in anno, ingenti quantita' di risorse pubbliche, sulla base di esigenze contingenti o programmi spesso estemporanei. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 279 e 280 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli articoli 3, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonche', in via subordinata, del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 8. - Si affronta, ora, l'analisi dei commi 417, 418, 419, 420, 421 e 422 dell'art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in materia di istruzione. Il comma 417 testualmente recita: «Con atto di indirizzo del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, adottato entro il 31 marzo 2008, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabiliti finalita', criteri e metodi della sperimentazione di un modello organizzativo volto a innalzare la qualita' del servizio di istruzione e ad accrescere efficienza ed efficacia della spesa. La sperimentazione riguarda gli anni scolastici 2008/2009, 2009/2010 e 2010/2011 e gli ambiti territoriali, di norma provinciali, individuato nel medesimo atto di indirizzo». Segue il comma 418: «L'atto di indirizzo di cui al comma 417 contiene riferimenti relativi a: a) tipologie degli interventi possibili per attuare il miglioramento della programmazione dell'offerta formativa, della distribuzione territoriale della rete scolastica, dell'organizzazione del servizio delle singole istituzioni scolastiche, ivi compresi gli eventuali interventi infrastrutturali e quelli relativi alla formazione e alla organizzazione delle classi, anche in deroga ai parametri previsti dal decreto del Ministro della pubblica istruzione 24 luglio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 264 dell'11 novembre 1998; b) modalita' con cui realizzare il coordinamento con le regioni, gli enti locali e le istituzioni scolastiche competenti per i suddetti interventi; c) obiettivi di miglioramento della qualita' del servizio e di maggiore efficienza in termini di rapporto insegnanti-studenti; d) elementi informativi dettagliati relativi alle previsioni demografiche e alla popolazione scolastica effettiva, necessari per predisporre, attuare e monitorare gli obiettivi e gli interventi di cui sopra; e) modalita' di verifica e di monitoraggio dei risultati conseguiti al fine della quantificazione delle relative economie di spesa tenendo conto della dinamica effettiva della popolazione scolastica; f) possibili finalizzazioni delle risorse finanziarie che si rendano disponibili grazie all'aumento complessivo dell'efficienza del servizio di istruzione nell'ambito territoriale di riferimento; g) modalita' con cui realizzare una valutazione dell'effetto degli interventi e base informativa necessaria a tale valutazione». Tanto chiarito, il comma 419 prevede che: «In ciascuno degli ambiti territoriali individuati ai sensi del comma 417, opera un organismo paritetico di coordinamento costituito da rappresentanti regionali e provinciali dell'Amministrazione della pubblica istruzione, delle regioni, degli enti locali e delle istituzioni scolastiche statali, con il compito di: a) predispone un piano triennale territoriale che, anche sulla base degli elementi informativi previsti dall'atto di indirizzo di cui al comma 417, definisca in termini qualitativi e quantitativi gli obiettivi da raggiungere; b) supportare le azioni necessarie all'attuazione del piano di cui alla lettera a), nonche' proporre gli opportuni adeguamenti annuali al piano triennale stesso anche alla luce di scostamenti delle previsioni, previa ricognizione degli interventi necessari per il raggiungimento degli obiettivi». Tocca, poi, al comma 420 statuire che: «Le proposte avanzate dall'organismo paritetico di coordinamento sono adottate, con propri provvedimenti, dalle amministrazioni competenti. L'organismo paritetico di coordinamento opera senza oneri a carico della finanza pubblica». Segue il comma 421: «I piani di cui al comma 419 sono adottati fermo restando, per la parte di competenza, quanto disposto dall'art. 1, comma 620, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni» Ecco la previsione di cui al comma 422: «L'ufficio scolastico regionale effettua il monitoraggio circa il raggiungimento degli obiettivi fissati dal piano di cui al comma 419, ne riferisce all'organismo paritetico di coordinamento e predispone una relazione contenente tutti gli elementi necessari da inviare al Ministero della pubblica istruzione al fine di effettuare, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, la verifica delle economie aggiuntive effettivamente conseguite, per la riassegnazione delle stesse allo stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione». Spetta, poi, al comma 423 stabilire che: «Nel triennio di sperimentazione, le economie di cui al comma 422 confluiscono in un fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione, per essere destinate alle istituzioni pubbliche che hanno concorso al raggiungimento degli obiettivi, per le finalita' di miglioramento della qualita' del settore della pubblica istruzione». Ai sensi del comma 424: «Entro la fine dell'anno scolastico 2010/2011, sulla base del monitoraggio condotto ai sensi del comma 422 e della valutazione degli effetti di tale sperimentazione di cui al comma 418, lettera g), il Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, adotta, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, un atto di indirizzo finalizzato all'estensione all'intero territorio nazionale del modello organizzativo adottato negli ambiti territoriali individuati ai sensi del comma 417, tenendo conto degli elementi emersi dalla sperimentazione». Infine, il comma 425 prevede che: «Al fine di pervenire a una gestione integrata delle risorse afferenti il settore dell'istruzione, per gli interventi a carico del fondo di cui al comma 13 puo' trovare applicazione l'art. 8 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367». Il legislatore statale ha, in sostanza, previsto che il Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata, stabilisca, con atti di indirizzo, finalita', criteri e metodi della sperimentazione di un modello organizzativo volto a innalzare la qualita' del servizio di istruzione e ad accrescere efficienza ed efficacia della spesa (comma 417). Alcuni criteri e specificita' della suddetta sperimentazione, che comprendera' le tre annate 2008/2009, 2009/2010 e 2010/2011, sono gia' stabiliti al comma 418. A livello territoriale si prevede, poi, la costituzione di un organismo con il compito di attuare gli obiettivi fissati a livello centrale adattandoli alle necessita' del territorio di competenza e di fare proposte che potranno essere attuate dalle amministrazioni di competenza (commi 419 e 420). All'ufficio scolastico regionale e' attribuito il compito di monitorare il grado di raggiungimento degli obiettivi fissati con piano dell'organismo paritetico e di riferire i risultati di questa attivita' all'organismo stesso e al Ministero della pubblica istruzione, con relazione (comma 422). Il comma 423 stabilisce, inoltre, che i risparmi conseguiti, nella fase transitoria, saranno riassegnati alle istituzioni pubbliche che avranno attivato le iniziative di riorganizzazione volte a contenere la spesa. Per gestire piu' agevolmente le risorse, poi, le amministrazioni interessate potranno individuare un unico funzionario al quale delegare le funzioni di amministrazione delle risorse stesse (comma 425). Infine, il comma 424 prevede che, al termine del triennio di sperimentazione, il Ministero della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro dell'economia e d'intesa con la Conferenza unificata, possa estendere, con atto d'indirizzo, all'intero territorio nazionale il modello sperimentato. E', innanzitutto, necessario chiarire quale sia l'ambito di afferenza della disciplina impugnata. Si tratta, senza dubbio, di «istruzione», materia di potesta' legislativa concorrente. Le disposizioni normative in parola, infatti, ruotano tutte attorno alla definizione e all'attuazione di un programma sperimentale che, incidendo, tra l'altro, sulla programmazione dell'offerta formativa, sulla distribuzione della rete scolastica territoriale, sull'organizzazione del servizio delle singole istituzioni scolastiche e sulla formazione e distribuzione delle classi o, ancora, sul rapporto insegnanti-studenti, evidentemente si muove proprio in quell'ambito di competenze che gia' prima della riforma del 2001, con decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sono state delegate alle regioni e che ad oggi devono certamente ritenersi di potesta' legislativa concorrente. Con riferimento alle funzioni di programmazione dell'offerta scolastica e di organizzazione del servizio scolastico codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire, infatti, che «e' (...) implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998 (...) Una volta attribuita l'istruzione alla competenza concorrente, il riparto imposto dall'art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare i principi» (cosi', Corte cost., sent., 13 gennaio 2004, n. 13. Cfr. anche Corte cost., sent., 23 dicembre 2003, n. 370; Corte cost., sent., 5 novembre 2004, n. 320; Corte cost., sent., 25 marzo 2005, n. 120). Se cosi' e', quindi, nel caso di specie non puo' legittimamente invocarsi la competenza esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lett. n), in materia di «norme generali sull'istruzione». Ma, ai sensi dell'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 117 Cost., «nelle materie di potesta' legislativa concorrente spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione statale». La disciplina normativa in esame, tuttavia, non contiene alcuna disposizione di principio limitandosi, da un lato, ad autorizzare un intervento ministeriale in materia, dall'altro, a istituire un nuovo organismo di coordinamento e controllo e ad attribuire agli uffici regionali funzioni di monitoraggio. Pertanto essa e' posta in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. Deve, poi, evidenziarsi che a seguito della riforma operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non e' consentito allo Stato di intervenire in materie di potesta' legislativa concorrente con atti normativi di rango sublegislativo, stante il chiaro disposto di cui all'art. 117, sesto comma, Cost., che pure qui risulta violato. Come codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di affermare negli ambiti di potesta' legislativa concorrente, quale l'«istruzione», «e' da escludere la permanenza in capo allo Stato del potere di emanare atti di indirizzo e coordinamento (...) anche alla luce di quanto disposto dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale stabilisce che "nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, non possono essere adottati gli atti di indirizzo e coordinamento''» (cfr. Corte cost., sent., 4 novembre 2003, n. 329). La disciplina statale impugnata, inoltre, ove non dichiarata costituzionalmente illegittima, consentendo al Ministero di intervenire assai incisivamente in materia di organizzazione del servizio e dell'offerta scolastica, implichera' una forte menomazione dell'autonomia amministrativa delle regioni, ossia una violazione dell'art. 118 Cost. Deve, poi, rilevarsi che la previsione della necessaria intesa con la Conferenza unificata per l'emanazione dell'atto di indirizzo ministeriale non sembra idonea, comunque, a garantire l'autonomia legislativa ed amministrativa riconosciuta costituzionalmente alla Regione: ove, infatti, quest'ultima venisse a trovarsi in posizione minoritaria in sede di Conferenza, sarebbe comunque tenuta ad attuare quanto previsto in sede di indirizzo. Le previsioni normative impugnate, inoltre, - per mero scrupolo difensivo lo si rileva - non possono neppure considerarsi forme legittime di «chiamata in sussidiarieta» di funzioni regionali ad opera dello Stato. Codesto ecc.mo Collegio ha, infatti, chiarito che «e' ammissibile una deroga al normale riparto di competenze "solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata'', e "non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita'''», in quanto «"perche' nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, e' necessario che essa innanzitutto rispetti i principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni. E' necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine''» (cosi' Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1° ottobre 2003, n. 303 e Corte cost., sent., 13 gennaio 2004, n. 6). Nel caso di specie, non esiste alcuna esigenza di esercizio unitario, e comunque la disciplina in esame non si limita certo a stabilire quanto essenziale all'interesse unitario da perseguire, dal momento che si attribuisce al Ministero l'amplissimo potere di ridisciplinare, mediante un atto di indirizzo circa un futuro programma sperimentale, l'intera organizzazione del servizio scolastico (dal rapporto alunni-docenti, alle infrastrutture, alla formazione delle classi, alla determinazione del programma formativo ecc...). Infine, al comma 423, si prevede una distribuzione di finanziamenti a destinazione vincolata: si tratta dei risparmi che saranno conseguiti mediante l'attuazione del programma sperimentale e che saranno destinati alle istituzioni pubbliche che avranno concorso al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Ora, come si e' piu' volte ricordato, secondo il costante orientamento di codesta ecc.ma Corte, l'art. 119 Cost. non consente allo Stato di istituire e disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), ne' nelle materie di potesta' legislativa residuale della regione (art. 117, quarto comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la diretta attribuzione di risorse a regioni, province, citta' metropolitane o comuni (Corte cost., sent., 23 dicembre 2003, n. 370; Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 29 gennaio 2004, n. 49), sia che prevedano la diretta attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche o giuridiche (Corte cost., sent., 29 dicembre 2004, n. 423; Corte cost., sent., 18 febbraio 2005, n. 77; Corte cost., sent., 18 marzo 2005, n. 107; Corte cost., sent., 24 marzo 2006, n. 118). Nel contesto dell'art. 119 Cost., infatti, sono previste solamente due tipologie di fondi: un fondo perequativo (art. 119, terzo comma, Cost.) e «risorse aggiuntive» ed «interventi speciali» in favore di determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine di «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, (...) rimuovere gli squilibri economici e sociali, (...) favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, (...) provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119, quinto comma, Cost.). Il finanziamento portato all'attenzione di codesto ecc.mo giudice non possiede i caratteri di alcuno dei due, trattandosi piuttosto di un'elargizione premiale, che davvero mal si concilia con il disegno costituzionale. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 417, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424 e 425 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione, desumibile, in particolare, agli articoli 5 e 120, secondo comma, Cost. e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 9. - I commi 458, 459 e 460 dell'art. 2 della legge finanziaria per l'anno 2008, invece, stabiliscono: «Per l'organizzazione e il funzionamento di servizi socio-educativi per la prima infanzia destinati ai minori di eta' fino a 36 mesi, presso enti e reparti del Ministero della difesa, e' istituito un fondo con una dotazione di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010 [comma 458]. La programmazione e la progettazione relativa ai servizi di cui al comma 458, nel rispetto delle disposizioni normative e regolamentari vigenti nelle regioni presso le quali sono individuate le sedi di tali servizi, viene effettuata in collaborazione con il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri, sentito il comitato tecnico-scientifico del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e l'adolescenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 103 [comma 459]. I servizi socio-educativi di cui al comma 458 sono accessibili anche da minori che non siano figli di dipendenti dell'Amministrazione della difesa e concorrono ad integrare l'offerta complessiva del sistema integrato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia e del relativo Piano straordinario di intervento di cui all'art. 1, comma 1259, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dal comma 457 [comma 460]». 9.1. - E' necessario, preliminarmente, individuare la materia di riferimento. A tal fine e' indispensabile richiamare la giurisprudenza di codesto ecc.mo Collegio e, in particolare, la sentenza 23 dicembre 2003, n. 370 (confermata dalla successiva sentenza 5 novembre 2004, n. 320). In quella occasione la Corte costituzionale, dopo aver affermato che, avuto riguardo alla legislazione passata, gli asili nido potevano considerarsi - come effettivamente essa stessa li aveva considerati - speciali servizi sociali di interesse pubblico riconducibili alla materia «assistenza e beneficenza pubblica» di cui al precedente art. 117 Cost. (v. Corte cost., nn. 139 del 1985, 319 del 1983, 174 del 1981), ha affermato (richiamando la propria precedente sentenza n. 467 del 2002) che, alla luce dell'evoluzione legislativa in materia, «"il servizio fornito dall'asilo nido non si riduce ad una funzione di sostegno alla famiglia nella cura dei figli o di mero supporto per facilitare l'accesso dei genitori al lavoro, ma comprende anche finalita' formative, essendo rivolto a favorire l'espressione delle potenzialita' cognitive, affettive e relazionali del bambino''», con la conseguenza che, «pur negandosi l'inserimento degli asili nido nell'ambito delle vere e proprie istituzioni scolastiche, si e' rilevata "la assimilazione, ad opera della legislazione ordinaria, delle finalita' di formazione e socializzazione perseguite dagli asili nido rispetto a quelle propriamente riconosciute alle istituzioni scolastiche''» (Corte cost., sent., 23 dicembre 2003, n. 370, punto 3 del Considerato in diritto). Conseguentemente - afferma la Corte costituzionale - , «per quel che attiene in particolare agli asili nido, per quanto gia' evidenziato in relazione alle funzioni educative e formative riconosciute loro, nonche' in considerazione della finalita' di rispondere alle esigenze dei genitori lavoratori, e' indubbio che, utilizzando un criterio di prevalenza, la relativa disciplina non possa che ricadere nell'ambito della materia dell'istruzione (sia pure in relazione alla fase pre-scolare del bambino), nonche' per alcuni profili nella materia della tutela del lavoro, che l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (...) affida alla potesta' legislativa concorrente (fatti salvi naturalmente gli interventi del legislatore statale che trovino legittimazione nei titoli "trasversali'' di cui all'art. 117, secondo comma, della Costituzione)». E' evidente, allora, che la disciplina normativa in materia di asili nido deve essere ricondotta a materie (prevalentemente alla materia «istruzione», in parte anche alla materia "tutela del lavoro") rientranti tra quelle di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), materie, dunque, in relazione alle quali spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali e alle regioni la fissazione della normativa di dettaglio. Pertanto, le norme di cui ai commi 458, 459 e 460 dell'art. 2 della legge finanziaria per l'anno 2008, che - come si e' detto - sono riconducibili ad una materia di potesta' legislativa concorrente, violano l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, stante la loro natura di norme di dettaglio. 9.2. - Le predette norme violano, altresi', l'art. 119 della Costituzione. Secondo il costante orientamento di codesto ecc.mo Collegio, l'art. 119 Cost. non consente allo Stato di istituire e disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), ne' nelle materie di potesta' legislativa residuale della regione (art. 117, quarto comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la diretta attribuzione di risorse a regioni, province, citta' metropolitane o comuni (Corte cost., sentenze 23 dicembre 2003, n. 370; 16 gennaio 2004, n. 16; 29 gennaio 2004, n. 49), sia che prevedano la diretta attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche o giuridiche (Corte cost., sentenze 29 dicembre 2004, n. 423; 18 febbraio 2005, n. 77; 18 marzo 2005, n. 107; 24 marzo 2006, n. 118), poiche' «il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle regioni e degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali di propria competenza» (cosi' Corte cost., 16 gennaio 2004, n. 16). Nel contesto dell'art. 119 Cost., infatti, sono previste solamente due tipologie di fondi: (i) un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante (art. 119, terzo comma, Cost.), che, insieme ad entrate e tributi propri e compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio (art. 119, secondo comma, Cost.), serve a finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a regioni ed enti locali (art. 119, quarto comma, Cost.) e (ii) «risorse aggiuntive» ed «interventi speciali» in favore di determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine di "promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, (...) rimuovere gli squilibri economici e sociali, (...) favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, (...) provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni" (art. 119, quinto comma, Cost.). In ordine a questi ultimi, codesto ecc.mo Collegio ha precisato che essi «non solo debbono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale (...) delle funzioni spettanti ai comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma debbono essere indirizzati a determinati comuni o categorie di comuni (o province, citta' metropolitane, regioni)» e che «l'esigenza di rispettare il riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e regioni comporta altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all'interno del proprio territorio» (cosi' Corte cost., sentenze 16 gennaio 2004, n. 16; 8 giugno 2005, n. 222). Codesto ecc.mo Collegio ha riconosciuto, peraltro, che lo Stato puo' istituire e disciplinare fondi a destinazione vincolata nelle materie di sua competenza legislativa esclusiva (in questo senso Corte cost., sentenze 16 gennaio 2004, n. 16; 29 gennaio 2004, n. 49). 9.3. - Da quanto sin qui detto consegue, de plano, la violazione dell'art. 118 della Costituzione. 9.4. - In subordine, peraltro, considerato che potrebbero ravvisarsi delle interferenze con materie di potesta' legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), quale, per esempio, la stessa «difesa e Forze armate» (art. 117, secondo comma, lett. d), si censurano le norme de quibus anche per violazione del fondamentale principio di leale collaborazione tra Stato e regione, desumibile, in particolare, dagli articoli 5 e 120, secondo comma, Cost. e 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Codesto ecc.mo Collegio ha in diverse occasioni giustamente riconosciuto che «la complessita' della realta' sociale da regolare comporta che, di frequente, le normative non possano essere riferite nel loro insieme ad una sola materia, perche' concernono situazioni non omogenee, ricompresse in materie diverse sotto il profilo della competenza legislativa» (Corte cost., sentenza 31 marzo 2006, n. 133). Conseguentemente, esso ha ritenuto quanto segue: «"Per le ipotesi in cui ricorra una âconcorrenza di competenze', la Costituzione non prevede espressamente un criterio di composizione delle interferenze. In tal caso - ove (...) non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa - si deve ricorrere al canone della U¬leale collaborazione', che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze'' (sentenze nn. 50 e 219 del 2005). (...) "a tal fine l'individuazione della disciplina piu' congrua compete alla discrezionalita' del legislatore''» (cosi' Corte cost., sentenza 18 giugno 2007, n. 201). 9.5. - Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 458, 459 e 460, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli articoli 117, comma 3, 118 e 119 della Costituzione e, in via subordinata, per contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e regione, principio desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, comma 2, della Costituzione e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 10. - L'art. 2, comma 462, della legge finanziaria per l'anno 2008 dispone: «All'articolo 1, comma 1251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono aggiunte le seguenti lettere: "c-bis) favorire la permanenza od il ritorno nella comunita' familiare di persone parzialmente o totalmente non autosufficienti in alternativa al ricovero in strutture residenziali socio-sanitarie. A tal fine il Ministro delle politiche per la famiglia, di concerto con i Ministri della solidarieta' sociale e della salute, promuove, ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, una intesa in sede di conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, avente ad oggetto la definizione dei criteri e delle modalita' sulla base dei quali le regioni, in concorso con gli enti locali, definiscono ed attuano un programma sperimentale di interventi al quale concorrono i sistemi regionali integrati dei servizi alla persona; c-ter) finanziare iniziative di carattere informativo ed educativo volte alla prevenzione di ogni forma di abuso sessuale nei confronti di minori, promosse dall'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile di cui all'art. 17, comma 1-bis, della legge 3 agosto 1998, n. 269''». 10.1. - Con ricorso notificato in data 23 febbraio 2007, depositato in cancelleria in data 1 marzo 2007 e tuttora pendente dinanzi codesto ecc.mo Collegio al n. di R.G. 10/07, la Regione Veneto ha impugnato i commi 1250, 1251 e 1252 dell'unico articolo della legge finanziaria per l'anno 2007 (legge n. 296 del 2006), disciplinanti il «Fondo per le politiche della famiglia» per contrasto con gli articoli 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione. I commi 1250, 1251 e 1252 dell'unico articolo della legge finanziaria per l'anno 2007 dispongono: «Il Fondo per le politiche della famiglia di cui all'art. 19, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e' incrementato di 210 milioni di euro per l'anno 2007 e di 180 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Il Ministro delle politiche per la famiglia utilizza il Fondo: per istituire e finanziare l'Osservatorio nazionale sulla famiglia prevedendo la rappresentanza paritetica delle amministrazioni statali da un lato e delle regioni, delle Province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali dall'altro, nonche' la partecipazione dell'associazionismo e del terzo settore; per finanziare le iniziative di conciliazione del tempo di vita e di lavoro di cui all'art. 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53; per sperimentare iniziative di abbattimento dei costi dei servizi per le famiglie con numero di figli pari o superiore a quattro; per sostenere l'attivita' dell'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile di cui all'art. 17 della legge 3 agosto 1998, n. 269, e successive modificazioni, dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia di cui alla legge 23 dicembre 1997, n. 451; per sviluppare iniziative che diffondano e valorizzino le migliori iniziative in materia di politiche familiari adottate da enti locali e imprese; per sostenere le adozioni internazionali e garantire il pieno funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali [comma 1250]. Il Ministro delle politiche per la famiglia si avvale altresi' del fondo per le politiche della famiglia al fine di: a) finanziare l'elaborazione, realizzata d'intesa con le altre amministrazioni statali competenti e con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di un piano nazionale per la famiglia che costituisca il quadro conoscitivo, promozionale e orientativo degli interventi relativi all'attuazione dei diritti della famiglia, nonche' acquisire proposte e indicazioni utili per il Piano e verificarne successivamente l'efficacia, attraverso la promozione e l'organizzazione con cadenza biennale di una conferenza nazionale sulla famiglia; b) realizzare, unitamente al Ministro della salute, una intesa in sede di conferenza unificata ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, avente ad oggetto criteri e modalita' per la riorganizzazione dei consultori familiari, finalizzata a potenziarne gli interventi sociali in favore delle famiglie; c) promuovere e attuare in sede di conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, d'intesa con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e con il Ministro della pubblica istruzione, un accordo tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano per la qualificazione del lavoro delle assistenti familiari [comma 1251]. Il Ministro delle politiche per la famiglia, con proprio decreto, ripartisce gli stanziamenti del Fondo delle politiche per la famiglia tra gli interventi di cui ai commi 1250 e 1251 [comma 1252]». La Regione Veneto ha ravvisato nelle norme de quibus la violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost. dal momento che esse intervengono con riguardo ad una materia, «politiche sociali», che rientra tra quelle di potesta' legislativa residuale della regione. Ha ravvisato, altresi', la violazione dell'art. 119 Cost., dal momento che lo Stato non puo' dettare norme volte ad istituire e a disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), ne' nelle materie di potesta' legislativa residuale della regione (art. 117, quarto comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la diretta attribuzione di risorse a regioni, province, citta' metropolitane o comuni (Corte cost., sentenze 23 dicembre 2003, n. 370; 16 gennaio 2004, n. 16; 29 gennaio 2004, n. 49), sia che prevedano attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche o giuridiche (Corte cost., sentenze 29 dicembre 2004, n. 423; 18 febbraio 2005, n. 77; 18 marzo 2005, n. 107; 24 marzo 2006, n. 118), poiche' norme del genere sono gravemente lesive dell'autonomia finanziaria regionale. In quella occasione, inoltre, la Regione Veneto ha evidenziato che, in una precedente sentenza (Corte cost., 24 marzo 2006, n. 118), la Corte costituzionale non aveva esitato a dichiarare l'illegittimita' costituzionale di una norma analoga a quelle de quibus. La Regione Veneto, infine, ha censurato le norme de quibus per violazione, conseguente de plano alla denunciata violazione degli articoli 117, quarto comma, 118 e 119 Cost. 10.2. - Come noto, il «Fondo per le politiche della famiglia» e' stato originariamente istituito dall'art. 19, comma 1, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che cosi' dispone: «Al fine di promuovere e realizzare interventi per la tutela della famiglia, in tutte le sue componenti e le sue problematiche generazionali, nonche' per supportare l'Osservatorio nazionale sulla famiglia, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e' istituito un fondo denominato "Fondo per le politiche della famiglia'', al quale e' assegnata la somma di 3 milioni di euro per l'anno 2006 e di dieci milioni di euro a decorrere dall'anno 2007». Anche la predetta norma e' stata impugnata dalla Regione Veneto. Il ricorso, pero', e' stato definitivamente dichiarato inammissibile da codesto ecc.mo Collegio con sentenza 21 dicembre 2007, n. 453. Con la predetta sentenza codesto ecc.mo Collegio ha ritenuto che «la disposizione censurata, nell'istituire i fondi sopra indicati, si limita ad indicare mere finalita' di intervento nei settori di rispettiva competenza, risultando, secondo il principio gia' affermato da questa Corte, inidonea a ledere "le competenze regionali, potendo la lesione derivare non gia' dall'enunciazione del proposito di destinare risorse per finalita' indicate in modo cosi' ampio e generico, bensi' (eventualmente) dalle norme nelle quali quel proposito si concretizza, sia per entita' delle risorse sia per modalita' di intervento sia, ancora, per le materie direttamente e indirettamente implicate da tali interventi (sentenza n. 141 del 2007)''». All'udienza pubblica del 12 febbraio 2008, e nella relativa memoria conclusiva, la Regione Veneto ha insistito per l'accoglimento del ricorso proposto contro i commi 1250, 1251 e 1252 dell'unico articolo della legge finanziaria per l'anno 2007, osservando che, pur non potendo condividersi i principi enunciati da codesto ecc.mo Collegio nelle sentenze nn. 141 e 453 del 2007, comunque la coerente applicazione degli stessi avrebbe necessariamente implicato la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 1250, 1251 e 1252 dell'unico articolo della legge finanziaria per l'anno 2007. In particolare, la Regione Veneto ha osservato che i principi affermati da codesto ecc.mo Collegio nelle sentenze nn. 141 e 453 del 2007 non sono perfettamente in linea con il sistema di giustizia costituzionale vigente in Italia, dal momento che il giudizio di costituzionalita' in via principale e' quel giudizio nel quale il Giudice costituzionale e' adito da organi o soggetti che propongono un'astratta questione di legittimita' costituzionale, una questione, cioe', indipendente - ed era questo il punto su cui maggiormente la Regione Veneto ha insistito - dalla circostanza che la norma o l'atto impugnato ricevano questo o quel tipo di applicazioni. La Regione Veneto non ha mancato di osservare, comunque, che la linea di pensiero accolta da codesto ecc.mo Collegio nelle sentenze nn. 141 e 453 del 2007 avrebbe imposto allo stesso di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dei commi 1250, 1251, 1252, dell'art. 1 della legge finanziaria per l'anno 2007, perche' essi, rispetto all'art. 19 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, non si limitano - a voler usare le stesse parole di codesto ecc.mo Collegio - ad enunciare il proposito di destinare risorse, ma, al contrario, concretizzano quello stesso proposito, «sia per entita' delle risorse sia per modalita' di intervento sia, ancora, per le materie direttamente e indirettamente implicate da tali interventi» (v. Corte cost., nn. 141 e 453 del 2007). 10.3. - Un tanto (doverosamente) premesso, la Regione Veneto censura la norma de qua (art. 2, comma 462, della legge finanziaria per l'anno 2008) per violazione degli stessi parametri in relazione alla violazione dei quali sono stati censurati i commi 1250, 1251 e 1252 dell'articolo unico della legge finanziaria per l'anno 2007, e quindi per violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost. per le stesse ragioni di cui si e' detto supra. Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 462, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione. 11. - L'art. 2, comma 474, della legge finanziaria per l'anno 2008 dispone: «E' istituito presso il Ministero dei trasporti il "Fondo per la mobilita' dei disabili'', con una dotazione annua pari a 5 milioni di euro per l'anno 2008 e a 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010. Il Fondo finanzia interventi specifici destinati alla realizzazione di un parco ferroviario per il trasporto in Italia e all'estero dei disabili assistiti dalle associazioni di volontariato operanti sul territorio italiano. Al Fondo possono affluire le somme derivanti da atti di donazione e di liberalita', nonche' gli importi derivanti da contratti di sponsorizzazione con soggetti pubblici e privati. Con decreto del Ministro dei trasporti, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della salute (sic), sentite le rappresentanze delle associazioni di volontariato operanti sul territorio, sono stabilite le modalita' per il funzionamento del Fondo di cui al presente comma». 11.1. - E' necessario, preliminarmente, individuare la materia di riferimento. La norma in esame puo' essere inquadrata, alternativamente, o nella materia «assistenza e beneficenza pubblica» o nella materia «politiche sociali», che, non essendo ricomprese tra le materie elencate nell'art. 117, secondo comma, Cost. (materie di potesta' legislativa esclusiva dello Stato), ne' nelle materie di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. (materie di potesta' legislativa concorrente), appartengono alla potesta' legislativa residuale della regione. Nel senso qui prospettato depongono, altresi', due (relativamente) recenti pronunce di codesto ecc.mo Collegio (Corte cost., sentenze 19 luglio 2005, n. 287 e 29 dicembre 2004, n. 423). Pertanto, dal momento che la norma in esame interviene sicuramente in una materia di potesta' legislativa residuale regionale, essa viola l'art. 117, quarto comma, Cost. 11.2. - La predetta norma viola, altresi', l'art. 119 Cost. Anche qui vale quanto gia' detto supra a margine dell'impugnazione di molti commi dell'art. 2 della legge finanziaria per l'anno 2008, e cioe' che lo Stato non puo' dettare norme volte ad istituire e a disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), ne' nelle materie di potesta' legislativa residuale della regione (art. 117, quarto comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la diretta attribuzione di risorse a regioni, province, citta' metropolitane o comuni (Corte cost., sentenze 23 dicembre 2003, n. 370; 16 gennaio 2004, n. 16; 29 gennaio 2004, n. 49), sia che prevedano la diretta attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche o giuridiche (Corte cost., sentenze 29 dicembre 2004, n. 423; 18 febbraio 2005, n. 77; 18 marzo 2005, n. 107; 24 marzo 2006, n. 118), poiche' norme del genere sono gravemente lesive dell'autonomia finanziaria regionale. 11.3. - Da quanto detto consegue, de plano, la violazione dell'art. 118 Cost. 11.4. - In subordine, peraltro, visto che potrebbero ravvisarsi delle interferenze con materie di potesta' legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), quali, per esempio, la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma, lett. m), si censura la norma in esame per violazione del fondamentale principio di «leale collaborazione», desumibile dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost. e 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Vale allora, anche in questo caso, quanto osservato a margine dell'impugnazione dei commi 458, 459 e 460 dell'art. 2 della legge finanziaria per l'anno 2008. Pertanto, quando ricorre una «concorrenza di competenze» e non puo' ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, non prevedendo espressamente la Costituzione un criterio di composizione delle interferenze, «si deve ricorrere al canone della "leale collaborazione", che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze», spettando alla discrezionalita' del legislatore l'individuazione della tipologia piu' congrua di strumenti di coinvolgimento (in questo senso Corte cost., sent., 18 giugno 2007, n. 201). Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 474, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione e, in via subordinata, per contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e regione, principio desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, della Costituzione e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 12. - L'art. 2, comma 600, della legge finanziaria per l'anno 2008 dispone: «Le regioni, le province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, adottano, secondo i propri ordinamenti, gli atti di rispettiva competenza al fine di attuare i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica desumibili dai commi da 588 a 602». 12.1. - Le disposizioni di cui ai commi dal 588 al 602 dell'art. 2 della legge finanziaria per l'anno 2008 contengono norme volte alla riduzione della spesa pubblica. Si ritiene doveroso indicarne, nel modo piu' sintetico possibile, il relativo contenuto. Il comma 588 stabilisce che, a partire dal 2008, la cilindrata media delle auto di servizio delle amministrazioni statali (con alcune eccezioni) non puo' superare i 1.600 centimetri cubici. Il comma 589 stabilisce che le pubbliche amministrazioni debbono adeguare la propria modalita' operativa alle disposizioni del Codice dell'amministrazione digitale (d.lgs. n. 82 del 2005) entro una percentuale minima del 50% (in particolare, dovranno attuare le previsioni relative all'utilizzo della posta elettronica certificata, della firma digitale e dell'impiego della telematica, allo scopo di gestire i procedimenti amministrativi e le modalita' di relazione con i cittadini). La violazione degli obiettivi fissati determina per le pubbliche amministrazioni dello Stato, comprese le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, e per gli enti pubblici non economici nazionali, una stretta sulle spese per le modalita' non telematiche di gestione dei documenti. Infatti, nel successivo esercizio finanziario le risorse per finanziare le spese di invio della corrispondenza saranno ridotte del 30 per cento. Il comma 590 demanda ad un regolamento ministeriale la definizione delle modalita' attuative del comma 589. Il comma 591 (che novella l'art. 78 del d.lgs. n. 82 del 2005) impone alle amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le istituzioni universitarie, gli enti pubblici non economici nazionali, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), le agenzie di cui al d.lgs. n. 300/1999, gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, di utilizzare i servizi VoIP (voce tramite protocollo internet). Il Cnipa verifichera' il rispetto delle previsioni di cui sopra e, nel caso in cui le amministrazioni non provvedano, nel successivo esercizio finanziario sconteranno la riduzione delle risorse stanziate per spese di telefonia, del 30%. Il comma 592 demanda ad un regolamento ministeriale la definizione delle modalita' attuative del comma 591. Il comma 593 individua la previsione di risparmio per l'attuazione dei sistemi di gestione digitale dei documenti e delle telefonate VoIP per ognuno degli anni fino al 2010. Stabilisce, inoltre, che anche le pubbliche amministrazioni non direttamente interessate dalla novella dell'art. 78 del d.lgs. n. 82 del 2005 devono adottare misure di contenimento delle spese telefoniche e di gestione della corrispondenza cartacea per ottenere certi determinati risparmi di spesa. Stabilisce, infine, che, in caso di accertamento di minori economie rispetto a quelle previste, si provvede alle corrispondenti riduzioni dei trasferimenti statali nei confronti delle pubbliche amministrazioni inadempienti. I commi 594, 595, 596 impongono a tutte le pubbliche amministrazioni di adottare, previa valutazione di convenienza economica, piani triennali, finalizzati alla riorganizzazione interna ed al conseguimento di risparmi gestionali. Si prevedono, in particolare, le seguenti misure: la razionalizzazione dell'utilizzazione delle dotazioni strumentali, anche informatiche; la razionalizzazione dell'uso delle vetture di servizio; risparmi di gestione sui beni immobili ad uso abitativo o di servizio (con esclusione dei beni infrastrutturali); la razionalizzazione dell'uso delle apparecchiature di telefonia mobile. Il comma 597 prevede che «a consuntivo annuale, le amministrazioni trasmettono una relazione agli organi di controllo interno e alla sezione regionale della Corte dei conti competente». Il comma 598 prevede le modalita' tramite le quali rendere pubblici i piani triennali di cui al comma 594. Il comma 599 disciplina gli obblighi informativi gravanti sulle pubbliche amministrazioni nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze con riguardo ai risparmi di gestione sui beni immobili ad uso abitativo o di servizio. Il comma 601 dispone quanto segue: «All'articolo 4 del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39 [Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche, a norma dell'art. 2, comma 1, lettera m), della legge 23 ottobre 1992, n. 421], le parole: "quattro membri'', ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: "due membri''. Il comma 602 dispone: "Fino al 2 agosto 2009 l'organo collegiale di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n. 39 del 1993 e' costituito dal presidente e da tre membri; fino alla predetta data, ai fini delle deliberazioni, in caso di parita' di voti, prevale quello del presidente''». 12.2. - La norma di cui all'art. 2, comma 600, della legge finanziaria per l'anno 2008 solo apparentemente potrebbe sembrare legittima. Imponendo alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale di attuare quelli che lo Stato definisce «i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica desumibili dai commi da 588 a 602», lo Stato finisce per interferire con la materia «organizzazione amministrativa interna della regione e degli enti pubblici regionali», che, non essendo ricompresa ne' tra le materie di potesta' legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), ne' tra le materie di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), deve essere necessariamente ascritta alla potesta' legislativa residuale della regione (art. 117, quarto comma, Cost.). In questo senso, allora, la norma in esame viola l'art. 117, quarto comma, Cost. e, conseguentemente, gli artt. 118 e 119 Cost. 12.3. - D'altra parte, ammettendo pure che la materia nella quale la norma debba essere inquadrata sia «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», materia di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), essa, comunque, e' illegittima, poiche', ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e' lo Stato che deve - si badi bene - determinare i principi fondamentali (e, infatti, il predetto precetto costituzionale cosi' dispone: «nelle materie di potesta' legislativa concorrente spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato»). Ebbene, nel caso de quo, lo Stato non ha affatto fissato i principi fondamentali, ma ha rimesso alla regione l'individuazione degli stessi a partire dalle norme di cui ai commi dal 588 al 602 dell'art. 2 della legge finanziaria per il 2008, in palese violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. A tale conclusione conducono non solo il chiaro disposto dell'art. 117, terzo comma, Cost., ma anche una nota sentenza di codesto ecc.mo Collegio (Corte cost., sent., 26 giugno 2002, n. 282) e l'art. 1, comma 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131 («Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»). Con la sentenza n. 282 del 2002, codesto ecc.mo Collegio, infatti, ha affermato: «La nuova formulazione dell'art. 117, terzo comma, rispetto a quella previgente dell'art. 117, primo comma, esprime l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina. Cio' non significa pero' che i principi possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo. Specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente dovra' svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali risultanti dalla legislazione statale gia' in vigore» (punto 4 del Considerato in diritto). Cio' che pare potersi ricavare dalla predetta sentenza e', da una parte, che lo Stato non puo' inceppare la potesta' legislativa regionale in una materia di potesta' legislativa concorrente omettendo di determinare i principi fondamentali regolatori della stessa (la regione, infatti, qualora legiferi, potra' ricavare dalla legislazione statale vigente i principi fondamentali regolatori della materia), dall'altra, che la regione non puo', in assenza di principi fondamentali espressi stabiliti da leggi dello Stato, legiferare omettendo di desumere i principi fondamentali regolatori della materia di potesta' legislativa concorrente dal sistema di legislazione vigente. Quel che e' indubbio, comunque, e' che, quando lo Stato intende stabilire i principi fondamentali regolatori di una materia di potesta' legislativa concorrente, deve farlo espressamente (ed in questo senso e', a ben vedere, lo stesso precetto costituzionale di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., secondo periodo). L'art. 1, comma 3, della c.d. legge La Loggia stabilisce che «nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le regioni esercitano la potesta' legislativa nell'ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti». Il successivo comma 4 delega il Governo ad adottare «uno o piu' decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione, attenendosi ai principi della esclusivita', adeguatezza, chiarezza, proporzionalita' ed omogeneita», il tutto all'espresso fine - si badi bene - di «orientare l'iniziativa legislativa dello Stato e delle regioni fino all'entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definira' i nuovi principi fondamentali». Le predette norme, da interpretare conformemente all'art. 117, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione, confermano, dunque, quanto si e' detto supra, e cioe' che, nelle materie di potesta' legislativa concorrente, lo Stato deve, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., determinare (espressamente, come afferma l'art. 1, comma 3, della legge c.d. La loggia) i principi fondamentali. 12.4. - D'altra parte, in via ulteriormente subordinata, ammesso e non concesso che lo Stato possa demandare alla regione l'individuazione dei principi fondamentali disciplinatori di una materia di potesta' legislativa concorrente, come ha fatto con l'art. 2, comma 600, della legge finanziaria per l'anno 2008, non v'e' chi non veda che lo Stato, imponendo alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale di attuare i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica desumibili dai commi dal 588 al 602 dell'art. 2 della legge finanziaria per l'anno 2008, finisce, nei fatti, per individuare singole voci di spesa da limitare, in palese contrasto sia con l'art. 117, terzo comma, Cost., che impone che lo Stato, nelle materie di potesta' legislativa concorrente, quale e', per l'appunto, il «coordinamento della finanza pubblica», si limiti a fissare norme di principio, sia con l'art. 119 Cost., che garantisce piena autonomia di spesa alle Regioni, autonomia che si traduce nello scegliere quali spese limitare a vantaggio di altre. Codesto ecc.mo Collegio, infatti, ha ritenuto che le misure di coordinamento della finanza pubblica finalizzate al rispetto dei vincoli comunitari di politica economica di cui al Trattato di Maastricht (artt. 98 e ss.), prima, e al Patto di stabilita' e crescita (Risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam del 17 giugno 1997 e Regolamenti Ce nn. 1466 e 1467 del 1997 e ss. mm. ii.), poi, in tanto possano considerarsi conformi al dettato costituzionale, ed, in particolare, agli articoli 117 e 119 della Costituzione, in quanto abbiano ad oggetto il saldo di bilancio, potendosi ammettere, eventualmente, limiti alla crescita della spesa, solo ed esclusivamente, «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale» (in questo senso, Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36). Esso ha riconosciuto, inoltre, che, ove previsto, il limite alla spesa, al fine di essere conforme a Costituzione, deve tradursi in un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (cosi' Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36). Di conseguenza, quando, come avviene nel caso di specie, si adotta una norma che, per come e' strutturata, finisce per prevedere limiti all'entita' di una singola voce di spesa, quella norma e' in palese contrasto sia con l'art. 117, terzo comma, Cost., da cui si ricava che lo Stato deve fissare solo i principi fondamentali della materia «coordinamento della finanza pubblica», sia con l'art. 119 Cost. da cui si ricava che le regioni hanno autonomia di spesa (Corte cost., sentenze 17 dicembre 2004, n. 390; 14 novembre 2005, n. 417; 15 dicembre 2005, n. 449; 10 marzo 2006, n. 88; 17 maggio 2007, n. 169). 12.5. - Da quanto da ultimo detto, consegue, comunque, de plano, la violazione dell'art. 118 Cost. sull'autonomia amministrativa. 12.6. - Pertanto si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 600, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione e, in via subordinata, per violazione dell'art. 117, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione e, in via ulteriormente subordinata, per contrasto con gli arti. 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione. 13. - L'art. 3, commi dal 27 al 32, dispone quanto segue: «Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire societa' aventi per oggetto attivita' di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalita' istituzionali, ne' assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali societa'. E' sempre ammessa la costituzione di societa' che producono servizi di interesse generale e l'assunzione di partecipazioni in tali societa' da parte delle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'ambito dei rispettivi livelli di competenza [comma 27]. L'assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall'organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27 [comma 28]. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le societa' e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27 [comma 29]. Le amministrazioni che, nel rispetto del comma 27, costituiscono societa' o enti, comunque denominati, o assumono partecipazioni in societa', consorzi o altri organismi, anche a seguito di processi di riorganizzazione, trasformazione o decentramento, adottano, sentite le organizzazioni sindacali per gli effetti derivanti sul personale, provvedimenti di trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali in misura adeguata alle funzioni esercitate mediante i soggetti di cui al presente comma e provvedono alla corrispondente rideterminazione della propria dotazione organica [comma 30]. Fino al perfezionamento dei provvedimenti di rideterminazione di cui al comma 30, le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari al numero dei posti coperti al 31 dicembre dell'anno precedente all'istituzione o all'assunzione di partecipazioni di cui al comma 30, tenuto anche conto dei posti per i quali alla stessa data risultino in corso di espletamento procedure di reclutamento, di mobilita' o di riqualificazione del personale, diminuito delle unita' di personale effettivamente trasferito [comma 31]». 13.1. - Le norme in esame, in realta', nella parte in cui si indirizzano anche alle regioni (ricomprese nell'elenco delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001), finiscono per interferire con la materia «organizzazione amministrativa della regione», che, non essendo elencata ne' tra le materie di cui all'art. 117, secondo comma, Cost. (materie di potesta' legislativa esclusiva dello Stato), ne' tra le materie di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. (materie di potesta' legislativa concorrente), deve essere ascritta alla potesta' legislativa residuale della regione. Esse, pertanto, violano l'art. 117, quarto comma, Cost. 13.2. - Alla violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost., consegue, de plano, la violazione dell'art. 118 Cost. 13.3. - Ammesso pure che l'intervento di cui alle norme in esame debba essere inquadrato (come il legislatore statale mostra) nella materia, di potesta' legislativa esclusiva dello Stato, «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lett. e), non e' chi non veda che, comunque, questa materia interferisce, nel caso de quo, con la materia di cui supra («organizzazione amministrativa della regione»), spettante alla potesta' legislativa residuale della regione. In questo senso, allora, in via subordinata, non possono che censurarsi le norme in esame per violazione del principio di leale collaborazione, che, come noto, si ricava dagli artt. 5 e 120, secondo comma, della Costituzione e dall'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Si e' gia' detto supra che codesto ecc.mo Collegio ha in diverse occasioni giustamente riconosciuto che «la complessita' della realta' sociale da regolare comporta che, di frequente, le normative non possano essere riferite nel loro insieme ad una sola materia, perche' concernono situazioni non omogenee, ricomprese in materie diverse sotto il profilo della competenza legislativa» (Corte cost., sent., 31 marzo 2006, n. 133). Conseguentemente, esso ha ritenuto quanto segue: «"Per le ipotesi in cui ricorra una âconcorrenza di competenze', la Costituzione non prevede espressamente un criterio di composizione delle interferenze. In tal caso - ove (...) non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa - si deve ricorrere al canone della âleale collaborazione', che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze" (sentenze nn. 50 e 219 del 2005). (...) "a tal fine l'individuazione della disciplina piu' congrua compete alla discrezionalita' del legislatore''» (cosi' Corte cost., sentenza 18 giugno 2007, n. 201). 13.4. - Pertanto si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi dal 27 al 32, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui si indirizzano alle Regioni, per contrasto con gli artt. 117, quarto comma, e 118 della Costituzione e, in via subordinata, per violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regione, principio desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, della Costituzione e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 14. - L'art. 3, comma 79, della legge finanziaria per l'anno 2008 dispone quanto segue: «L'art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e' sostituito dal seguente: "Art. 36. (Utilizzo di contratti di lavoro flessibile). - 1. Le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi, fatte salve le sostituzioni per maternita' relativamente alle autonomie territoriali. Il provvedimento di assunzione deve contenere l'indicazione del nominativo della persona da sostituire. 2. In nessun caso e' ammesso il rinnovo del contratto o l'utilizzo del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale. 3. Le amministrazioni fanno fronte ad esigenze temporanee ed eccezionali attraverso l'assegnazione temporanea di personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a sei mesi, non rinnovabile. 4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva. 5. Le amministrazioni pubbliche trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato le convenzioni concernenti l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili. 6. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non puo' comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilita' e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. Le amministrazioni pubbliche che operano in violazione delle disposizioni di cui al presente articolo non possono effettuare assunzioni ad alcun titolo per il triennio successivo alla suddetta violazione. 7. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli uffici di cui all'articolo 14, comma 2, del presente decreto, nonche' agli uffici di cui all'articolo 90 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Sono altresi' esclusi i contratti relativi agli incarichi dirigenziali ed alla predisposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo delle amministrazioni pubbliche, ivi inclusi gli organismi operanti per le finalita' di cui all'articolo 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144. 8. Per l'attuazione di programmi e progetti di tutela e valorizzazione delle aree marine protette di cui alle leggi 31 dicembre 1982, n. 979, e 6 dicembre 1991, n. 394, il parco nazionale dell'arcipelago della Maddalena, di cui alla legge 4 gennaio 1994, n. 10, e gli enti cui e' delegata la gestione ai sensi dell'articolo 2, comma 37, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, e successive modificazioni, sono autorizzati, in deroga ad ogni diversa disposizione, ad assumere personale con contratto di lavoro a tempo determinato, della durata massima di due anni eventualmente rinnovabili, nel contingente complessivo stabilito con disposizione legislativa e ripartito tra gli enti interessati con decreto del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. In prima applicazione, il predetto contingente e' fissato in centocinquanta unita' di personale non dirigenziale alla cui copertura si provvede prioritariamente con trasformazione del rapporto di lavoro degli operatori attualmente utilizzati con contratti di lavoro flessibile. 9. Gli enti locali non sottoposti al patto di stabilita' interno e che comunque abbiano una dotazione organica non superiore alle quindici unita' possono avvalersi di forme contrattuali di lavoro flessibile, oltre che per le finalita' di cui al comma 1, per la sostituzione di lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreche' nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sostituzione. 10. Gli enti del Servizio sanitario nazionale, in relazione al personale medico, con esclusivo riferimento alle figure infungibili, al personale infermieristico ed al personale di supporto alle attivita' infermieristiche, possono avvalersi di forme contrattuali di lavoro flessibile, oltre che per le finalita' di cui al comma 1, per la sostituzione di lavoratori assenti o cessati dal servizio limitatamente ai casi in cui ricorrano urgenti e indifferibili esigenze correlate alla erogazione dei livelli essenziali di assistenza, compatibilmente con i vincoli previsti in materia di contenimento della spesa di personale dall'articolo 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 11. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di programmi o attivita' i cui oneri sono finanziati con fondi dell'Unione europea e del Fondo per le aree sottoutilizzate. Le universita' e gli enti di ricerca possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle universita'. Gli enti del Servizio sanitario nazionale possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di progetti di ricerca finanziati con le modalita' indicate nell'articolo 1, comma 565, lettera b), secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. L'utilizzazione dei lavoratori, con i quali si sono stipulati i contratti di cui al presente comma, per fini diversi determina responsabilita' amministrativa del dirigente e del responsabile del progetto. La violazione delle presenti disposizioni e' causa di nullita' del provvedimento"». 14.1. - La norma in esame, nella parte in cui si indirizza anche alle regioni, viola l'art. 117, quarto comma, Cost., poiche' finisce per intervenire in una materia, quella dell'«organizzazione amministrativa della regione e del personale regionale e degli enti strumentali, ivi compresi gli enti del Servizio sanitario nazionale», che, non essendo elencata ne' tra quelle di potesta' legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), ne' tra quelle di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), non puo' che essere ascritta alla potesta' legislativa residuale della regione. 14.2. - D'altra parte, anche ammettendo che la norma de qua debba essere inquadrata, con riguardo alla parte in cui si indirizza alle regioni, nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», materia di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), essa, comunque, visto il suo carattere dettagliato, viola l'art. 117, terzo comma, Cost. che impone che, nelle materie di potesta' legislativa concorrente, lo Stato si limiti a determinare i principi fondamentali regolatori della materia. 14.3. - Sia che la norma venga inquadrata nell'una materia (di potesta' legislativa residuale), sia che venga inquadrata nell'altra (di potesta' legislativa concorrente), essa comunque viola l'art. 119 Cost. Avendosi qui per richiamate le considerazioni svolte a margine dell'impugnazione dell'art. 2, comma 600, della legge finanziaria per l'anno 2008, ci si limita a ribadire che una norma come quella di cui all'art. 3, comma 79, della legge finanziaria per l'anno 2008, nel porre limiti a singole determinate voci di spesa, viola l'art. 119 Cost., che, garantendo piena autonomia di spesa alle regioni, conferisce loro la liberta' di scegliere quali spese limitare a vantaggio di altre. 14.4. - Da quanto detto, quale che sia la materia nella quale si inquadra la norma de qua nella parte in cui si indirizza alle regioni, ne consegue, in ogni caso, de plano, la violazione dell'art. 118 Cost. 14.5. - Con riguardo, in particolare, al comma 10 dell'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dall'art. 3, comma 79, della legge finanziaria per l'anno 2008, non puo' non rilevarsi, inoltre, la violazione degli artt. 32 e 97, comma 1, della Costituzione, che - come noto - tutelano, rispettivamente, «la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita» e il «buon andamento (...) dell' amministrazione». 14.6. - Pertanto si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui si indirizza alle regioni, per contrasto con gli artt. 32, 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione e, in via subordinata, per violazione degli artt. 32, 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione.