Sentenza
nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto
legislativo  17  gennaio  2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in
materia  di  diritto  societario  e  di  intermediazione finanziaria,
nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo
12  della  legge  3  ottobre 2001, n. 366), promosso dal Tribunale di
Padova, nel procedimento civile vertente tra F. M. e la Irix Software
s.r.l.  ed  altra, con ordinanza del 7 luglio 2006 iscritta al n. 132
del  registro  ordinanze  2007  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 13, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visti l'atto di costituzione di F. M. nonche' l'atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  febbraio  2008  il giudice
relatore Francesco Amirante;
   Udito  l'avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un giudizio per l'accertamento dell'esistenza di
un  rapporto  di  lavoro  subordinato tra il ricorrente e la societa'
convenuta (e dell'illegittimita' dell'atto di recesso dal rapporto da
parte  di  quest'ultima),  in  cui era stata contestualmente proposta
anche un'azione di responsabilita' ai sensi dell'art. 2497 del codice
civile  (avverso  altra societa), il Tribunale di Padova, in funzione
di giudice del lavoro, ha sollevato, con ordinanza del 7 luglio 2006,
questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.
3,   24,  35  e  76  della  Costituzione,  dell'art.  1  del  decreto
legislativo  17  gennaio  2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in
materia  di  diritto  societario  e  di  intermediazione finanziaria,
nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo
12  della  legge  3 ottobre 2001, n. 366), nella parte in cui prevede
che,  nel  caso  di  connessione  tra  una causa compresa nell'ambito
applicativo  della  norma  richiamata  e  altra  concernente  uno dei
rapporti di cui all'art. 409 cod. proc. civ., i procedimenti connessi
siano sottoposti al rito di cui al decreto legislativo medesimo.
   Il remittente premette che tale nuovo rito va applicato a tutte le
controversie che attengano a rapporti di rilevanza societaria, tra le
quali  anche  le azioni di responsabilita', con la conseguenza che il
collegamento  tra  questa  domanda  e quelle attinenti al rapporto di
lavoro si pone in termini di connessione propria, essendo la qualita'
di  creditore  sociale  del  ricorrente  conseguente all'accertamento
della  sussistenza del rapporto di lavoro subordinato e dei crediti a
questo  riferiti.  Infatti  le richieste legate al rapporto di lavoro
costituiscono  oggetto di domande specifiche - e cio' escluderebbe la
possibilita'  di una pronuncia incidentale - ma anche la premessa per
affermare  la responsabilita' (per la lesione cagionata al patrimonio
della  societa'  presunta  datrice  di lavoro) della seconda societa'
convenuta ai sensi dell'art. 2497 codice civile.
   Da  cio'  consegue - osserva il Tribunale - che la connessione tra
le  domande avanzate nei confronti delle due societa' resistenti e la
natura  societaria  di  quella  proposta nei confronti di una di esse
impone la trattazione della causa con il rito societario.
   Cio'  pare  al  remittente  in  contrasto, anzitutto, con la legge
delega,  che non prevede specifiche norme in materia di connessione e
di  prevalenza  del  rito societario, per cui, per questo aspetto, la
disciplina  censurata  esorbiterebbe  dai  limiti  della  delega,  in
violazione dell'art. 76 della Costituzione.
   In  secondo  luogo,  il superamento della regola dettata dall'art.
40, terzo comma, cod. proc. civ. (che sancisce la prevalenza del rito
del  lavoro  su quello ordinario) sembra al giudice a quo incidere su
diritti  di  rilevanza  costituzionale,  posto che le caratteristiche
proprie  del  rito  del  lavoro, dirette a valorizzare l'accertamento
della verita' sostanziale (anche attraverso l'attribuzione al giudice
di  poteri  istruttori  particolarmente  incisivi), sono strettamente
connesse  al  rango  costituzionale  dei  diritti  in  gioco  e  alla
necessita'  di  riequilibrare  la posizione di disparita' sostanziale
delle  parti  del  rapporto  giuridico,  in applicazione dell'art. 3,
secondo comma, della Costituzione.
   Proprio   la   rilevanza   di  questi  interessi  spiegherebbe  la
prevalenza  del  rito  speciale  del  lavoro - allorche' riguardi una
controversia  rientrante tra quelle previste dall'art. 409 cod. proc.
civ.  -  su  quello  ordinario.  Sarebbe  quindi in contrasto con gli
evocati parametri l'alterazione di questo equilibrio introdotta dalla
censurata  normativa,  nella  parte  in  cui  sottrae  l'esame  delle
controversie  di  lavoro  al giudice specializzato e le assoggetta ad
una  disciplina  processuale dettata per la tutela specifica di altri
interessi.
   2.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha concluso per la non fondatezza della questione.
   Quanto all'eccesso di delega, il fatto che la legge di delegazione
abbia   taciuto   in   ordine   alla   disciplina  processuale  della
connessione,  non  significa,  per  l'Avvocatura,  che la definizione
dello  schema  processuale  piu'  adatto  sia  stata lasciata al mero
arbitrio  del  legislatore delegato, quanto, piuttosto, che sia stata
demandata  al  suo legittimo ambito di discrezionalita'. Ad escludere
il   carattere  arbitrario  dell'esercizio  della  delega  basterebbe
considerare  che  essa  ha fissato in maniera assolutamente precisa e
puntuale gli obiettivi da perseguire, senza attribuire al legislatore
delegato  un  incontrollabile  potere di disegnare qualsivoglia nuovo
modello processuale in materia societaria ed affidandogli, invece, il
compito   di  individuare  le  regole  processuali,  anche  speciali,
maggiormente  in grado di attuare nel migliore dei modi gli obiettivi
indicati dalla legge delega.
   Quanto, infine, alla prospettata violazione degli artt. 3, 24 e 35
Cost., non sarebbe affatto vero che la prevalenza del rito societario
su  quello  del  lavoro sia lesiva del diritto di difesa delle parti,
per  essere  limitativa  di  quella  finalita'  di accertamento della
verita' sostanziale (attraverso l'attribuzione di poteri officiosi al
giudice)  che  caratterizza il rito del lavoro, come dimostrato dalla
prevalenza dello stesso in caso di connessione con il rito ordinario.
Infatti, il ricorso ai poteri officiosi del giudice e' previsto anche
dall'art. 12, comma 3, del decreto legislativo n. 5 del 2003, dove e'
stabilito  che  il  decreto di fissazione dell'udienza deve contenere
l'ammissione dei mezzi istruttori disponibili di ufficio.
   3. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituita la parte
privata, ricorrente nel giudizio a quo, la quale, dopo aver riassunto
il  contenuto  delle  proprie  domande,  ha  aderito  alla  richiesta
declaratoria d'illegittimita' costituzionale della norma impugnata.
                       Considerato in diritto
   1.  -  Il giudice del lavoro del Tribunale di Padova ha sollevato,
in  riferimento  agli  artt.  3,  24,  35  e  76  della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1 del decreto
legislativo  17  gennaio  2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in
materia  di  diritto  societario  e  di  intermediazione finanziaria,
nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo
12  della  legge 3 ottobre 2001, n. 366), «nella parte in cui prevede
che  nel  caso  di  connessione  tra  una  causa compresa dalla norma
richiamata   e  uno  dei  rapporti  di  cui  all'art.  409  c.p.c.  i
procedimenti siano sottoposti al rito di cui al d.lgs. n. 5/2003».
   Il  giudice  remittente espone che davanti a lui pende un giudizio
avente  ad  oggetto  le  domande  proposte da un lavoratore contro la
societa'  sua  datrice  di  lavoro  per  accertare  che con questa e'
intercorso  un  rapporto  di  lavoro subordinato e per far dichiarare
illegittimo  l'atto  di  risoluzione  del  medesimo intimatogli dalla
controparte,  nonche' la domanda proposta dallo stesso lavoratore nei
confronti  di  altra societa', ai sensi dell'art. 2497 cod. civ., per
farne  accertare  la  corresponsabilita'  e  ottenerne la condanna al
risarcimento del danno.
   Si  tratta,  ad  avviso  del  remittente,  di domande connesse, in
quanto  l'accertamento  e la condanna oggetto della domanda contro la
societa'    datrice    di    lavoro    costituiscono    l'antecedente
logico-giuridico  della  pretesa  avanzata  nei  confronti dell'altra
societa'.  In  applicazione della norma censurata entrambe le domande
dovrebbero essere esaminate secondo la disciplina del cosiddetto rito
societario,   poiche'   si  configura  un  caso  di  connessione  per
pregiudizialita',  il  che  induce  un  duplice  ordine  di  dubbi di
illegittimita' costituzionale della disposizione suddetta.
   In  primo  luogo,  essa  sarebbe  stata introdotta dal legislatore
delegato  al di fuori dei termini della delega che nulla stabiliva in
tema  di  rito  applicabile  in  caso di connessione tra procedimenti
regolati  da riti diversi. In secondo luogo, prevedendo che - in caso
di connessione e, in particolare, di cumulo tra una causa da trattare
con  il  rito  societario  ed  altra  rientrante  tra quelle previste
dall'art. 409 cod. proc. civ. - anche questa sia assoggettata al rito
societario,  la disposizione contrasterebbe con i parametri indicati,
in  quanto  la  disciplina  del processo del lavoro, con tutte le sue
peculiarita', e' predisposta alla migliore tutela di quelle posizioni
soggettive  tipiche  del rapporto di lavoro, alcune delle quali hanno
diretta derivazione da norme costituzionali.
   2.  -  La  questione  e'  fondata in riferimento all'art. 76 della
Costituzione.
   La  disciplina  della connessione, comportante modificazioni della
competenza  -  oppure, piu' limitatamente e per quanto qui interessa,
identificativa  del  rito  da  seguire  da parte del giudice comunque
competente -  concerne  particolari  rapporti  tra procedimenti e non
attiene ad un solo tipo di procedimento.
   Nel   sistema   del   codice   di  procedura  civile  vigente,  la
disposizione  fondamentale  e'  contenuta  nell'art.  40. Ai fini del
presente  scrutinio  vengono  in rilievo i commi terzo e quarto. Essi
sono  cosi'  rispettivamente  formulati:  «nei  casi  previsti  dagli
articoli  31,  32,  34, 35 e 36, le cause, cumulativamente proposte o
successivamente  riunite,  debbono  essere trattate e decise col rito
ordinario,  salva l'applicazione del solo rito speciale quando una di
tali  cause  rientri  fra  quelle indicate negli articoli 409 e 442»;
«qualora  le  cause  connesse  siano  assoggettate  a differenti riti
speciali  debbono  essere  trattate  e  decise  col rito previsto per
quella   tra  esse  in  ragione  della  quale  viene  determinata  la
competenza o, in subordine, col rito previsto per la causa di maggior
valore».
   E'   opportuno  soggiungere  che  l'art.  281-nonies  -  il  quale
prescrive  che,  in  caso di connessione di cause da decidere in sede
collegiale   con   cause   da  decidere  dallo  stesso  tribunale  in
composizione  monocratica,  anche  queste siano rimesse al collegio -
non   attiene   al   tipo   di   procedimento,   di   cui  presuppone
l'identificazione,  bensi' alla costituzione del giudice. La suddetta
disposizione, pertanto, e' estranea all'ambito del presente scrutinio
di costituzionalita'.
   Quanto  detto  e'  funzionale  alla interpretazione della norma di
delegazione (art. 12 della legge n. 366 del 2001).
   Di questa, per quanto ora interessa, vengono in rilievo il comma 1
ed il comma 2, lettere a) e b), cosi' formulati:
     «1.  Il  Governo e' inoltre delegato ad emanare norme che, senza
modifiche  della  competenza  per  territorio  e  per  materia, siano
dirette  ad  assicurare  una  piu'  rapida ed efficace definizione di
procedimenti nelle seguenti materie:
      a)  diritto  societario,  comprese  le controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
      b)  materie  disciplinate dal testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo
24  febbraio  1998,  n. 58,  e  successive modificazioni, e dal testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni.
     2.  Per  il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui
al  comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che
in particolare possano prevedere:
      a)  la  concentrazione  del  procedimento  e  la  riduzione dei
termini processuali;
      b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui
al  comma  1  al  tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti».
   Il  tenore  delle  suddette disposizioni denota che il legislatore
delegante  ha limitato l'oggetto della delega alle materie indicate e
cioe'  al  diritto  societario,  alle  materie disciplinate dal testo
unico  n. 58 del 1998 in tema di intermediazione finanziaria, nonche'
a  quelle  previste dal testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia   n. 385   del  1993.  L'indicazione  della  finalita'  di
«assicurare  una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti»
non  attiene  alla  definizione dell'oggetto della delega e l'uso del
plurale  «procedimenti»  si riferisce ai diversi tipi da disciplinare
(di merito, cautelare, cosiddetto abbreviato, etc.) nell'ambito delle
materie indicate.
   Sulla  base  di  siffatta  delega e' stata emanata la disposizione
dell'art.  1,  comma  1,  del  d.lgs.  n. 5  del  2003, la quale, nel
definire le controversie cui si applica il decreto, vi include quelle
connesse a norma degli articoli 31, 32, 33, 34, 35 e 36 del codice di
procedura  civile. Essa detta, in riferimento a procedimenti connessi
a  controversie  in  materia  societaria ma aventi ad oggetto materie
diverse,  una disciplina degli effetti della connessione, riguardo al
rito da seguire, derogatoria rispetto a quella generale contenuta nel
codice. La deroga riguarda la prevalenza, rispetto a tutti gli altri,
del  rito societario e la inclusione tra le ipotesi di connessione di
quella  di  cui  all'art.  33  del codice di procedura civile, che il
successivo art. 40 non contempla.
   Siffatta  disposizione  esorbita dalla delega nel cui dettato, per
quanto rilevato, non trova fondamento. Il remittente, avendo riguardo
alla specificita' delle domande a lui proposte e, quindi, con stretto
riferimento   alla   rilevanza   nel   giudizio  a  quo,  censura  la
disposizione   delegata   soltanto  nella  parte  in  cui  stabilisce
l'applicabilita' del rito societario anche in caso di connessione fra
una   controversia  a  questo  soggetta  ed  altra  rientrante  nelle
previsioni   dell'art.  409  cod.  proc.  civ.  Tuttavia,  una  volta
accertato  che  la  legge  di  delega  non  autorizzava il Governo ad
intervenire  in  tema  di connessione tra procedimenti aventi oggetti
diversi,  la limitazione non ha ragion d'essere e il thema decidendum
non  puo'  che  avere ad oggetto l'intera disposizione concernente il
rito applicabile alle controversie connesse, sicche' la dichiarazione
di  illegittimita' costituzionale va pronunciata per quella parte che
inizia  con la parola «incluse» e termina con la parola «civile». Nei
vari  molteplici  casi  di  connessione,  oltre  a  quello  di cui al
giudizio a quo, il rito andra' individuato secondo il regime generale
sopra descritto.
   Restano assorbiti gli altri profili di censura.