Sentenza
   Nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 774,
della  legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2007),  promossi con ordinanze dell'11 gennaio 2007 dal Giudice unico
delle pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana
della Corte dei conti sul ricorso proposto da C.C., nella qualita' di
vedova  B.,  contro  l'I.N.P.D.A.P. e del 25 gennaio 2007 dal Giudice
unico  delle  pensioni  della  Sezione giurisdizionale per la Regione
Puglia  della  Corte  dei  conti  sul ricorso proposto da F.C., nella
qualita'  di  vedova M., contro l'I.N.P.D.A.P., iscritte ai nn. 387 e
388 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica, n. 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visti  gli  atti di costituzione dell'I.N.P.D.A.P., nonche' l'atto
di intervento del presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  29  gennaio  2008  il  Giudice
relatore Paolo Maddalena;
   Uditi  l'avvocato  Dario Marinuzzi per l'I.N.P.D.A.P. e l'avvocato
dello  Stato  Francesco  Lettera  per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ordinanza dell'11 gennaio 2007 (iscritta al n. 387 del
registro  ordinanze  dell'anno 2007), il Giudice unico delle pensioni
della  Sezione  giurisdizionale  per la Regione Siciliana della Corte
dei conti ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1, comma 774,
della  legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2007).
   Come    precisa   in   fatto   il   rimettente,   l'incidente   di
costituzionalita'  e' sorto nel giudizio pensionistico promosso dalla
vedova  di un ex dipendente della Polizia di Stato, in quiescenza dal
1°  gennaio 1985 e deceduto il 26 aprile 1998, al fine di ottenere la
riliquidazione  della  pensione  di reversibilita' ai sensi dell'art.
15,  comma  5,  della  legge  23  dicembre  1994,  n. 724  (Misure di
razionalizzazione    della   finanza   pubblica)   e,   dunque,   con
corresponsione  dell'indennita'  integrativa  speciale (I.I.S.) nella
misura  piena in applicazione dell'art. 2 della legge 27 maggio 1959,
n. 324  (Miglioramenti economici al personale statale in attivita' ed
in  quiescenza),  giacche'  avente  causa  in  un trattamento diretto
liquidato  in  data  anteriore  al  1° gennaio 1995, e non gia' nella
misura  del 60 per cento del trattamento goduto dal dante causa, come
aveva invece provveduto a liquidare l'I.N.P.D.A.P.
   Cio'  premesso, il giudice a quo, nel richiamare numerose pronunce
del  giudice  delle  pensioni,  sostiene  che sarebbe «giurisprudenza
ormai  pacifica,  in  ipotesi, come nel caso di specie, di decesso di
titolare di pensione diretta liquidata entro il 31 dicembre 1994, che
l'eventuale  trattamento  di  riversibilita'  debba  essere liquidato
secondo le norme di cui all'art. 15, comma 5, legge 23 dicembre 1994,
n. 724,  indipendentemente  dalla  data  della morte del dante causa,
atteso  che  l'art.  1, comma 41, legge 8 agosto 1995, n. 335, non ha
abrogato  il  richiamato  comma 5 dell'art. 15 della legge n. 724 del
1994».
   Tuttavia,   prosegue   il  rimettente,  un  siffatto  orientamento
consolidato troverebbe ostacolo nei commi 774 e 776 dell'art. 1 della
legge  n. 296  del  2006, «con i quali il legislatore ha disposto che
l'estensione  della disciplina del trattamento pensionistico a favore
dei  superstiti  di  assicurato  e pensionato vigente nell'ambito del
regime  dell'assicurazione  generale  obbligatoria  a  tutte le forme
esclusive  e  sostitutive di detto regime prevista dall'art. 1, comma
42,  delle  legge  8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che
per  le  pensioni di reversibilita' sorte a decorrere dall'entrata in
vigore  della  legge  8  agosto 1995, n. 335, indipendentemente dalla
data  di  decorrenza della pensione diretta, l'indennita' integrativa
speciale gia' in godimento da parte del dante causa, parte integrante
del  complessivo  trattamento  pensionistico percepito, e' attribuita
nella   misura   percentuale   prevista   per   il   trattamento   di
reversibilita',  stabilendo  nel  contempo che e' abrogato l'art. 15,
comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724».
   Sicche',  il legislatore, aggiunge il rimettente, con una norma di
interpretazione  autentica (art. 1, comma 774, della legge n. 296 del
2006) avrebbe imposto «un'esegesi diametralmente opposta a quella sin
qui  praticata  da  questa  Corte  e  l'applicazione  di  tale  norma
interpretativa   condurrebbe,   come   conseguenza,  al  rigetto  del
ricorso».
   Ad  avviso  del giudice a quo, il legislatore, con la disposizione
censurata,    avrebbe    definito,   «oltrepassando   i   limiti   di
ragionevolezza»,  come «interpretativa una disciplina che, invece, ha
natura  innovativa».  Ne sarebbe prova il fatto che, contrariamente a
quanto   dovrebbe   accadere   nel  procedimento  di  interpretazione
autentica -    per   cui,   come   ricordato   dalla   giurisprudenza
costituzionale  (sentenze  n. 233  del  1988  e  n. 155 del 1990), e'
interpretativa  la  legge  che,  fermo il tenore testuale della norma
interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia
una  tra  le  tante  interpretazioni  possibili,  «di  guisa  che  il
contenuto  precettivo  e'  espresso dalla coesistenza delle due norme
(quella   precedente   e  l'altra  successiva  che  ne  esplicita  il
significato),  le  quali  rimangono  entrambe in vigore e sono quindi
anche  idonee  ad  essere  modificate  separatamente» -, la censurata
disposizione  pretenderebbe di interpretare l'art. 1, comma 41, della
legge  8  agosto  1995,  n. 335  (Riforma  del  sistema pensionistico
obbligatorio  e complementare) in forza di una complessiva operazione
ermeneutica che comporterebbe anche l'abrogazione (in forza del comma
776) dell'art. 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994, «dando cosi'
nel contempo atto della vigenza, fino a quel momento, di quest'ultima
norma   la   quale,   per   contro,   se   si   fosse   trattato   di
un'interpretazione  autentica,  non  avrebbe  avuto bisogno di alcuna
abrogazione  espressa,  in  quanto  la  sua espunzione dal sistema si
sarebbe  dovuta profilare come effetto diretto ed immediato dell'art.
1,  comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 come interpretato dal
citato comma 774».
   Secondo   il   rimettente,  si  avrebbe,  quindi,  «un  insanabile
contrasto  logico-giuridico  tra l'asserita natura interpretativa del
citato  comma 774 e la disposizione di cui al successivo comma 776» e
sarebbe evidente «che con il combinato disposto di cui ai commi 774 e
776   dell'art.   l   della   legge  n. 296/2006  il  legislatore  ha
notevolmente  modificato  (in  pejus  per i pensionati) la disciplina
precedente,  illegittimamente  disponendo  peraltro che quello era il
significato della normativa preesistente».
   Ne   conseguirebbe   che  «con  la  qualifica  di  interpretazione
autentica  impropriamente  attribuita» cadrebbe anche «la conseguente
efficacia  retroattiva, e pertanto, la nuova disciplina derivante dai
commi  774  e  776  citati  sarebbe applicabile secondo la disciplina
generale  della  legge  nel  tempo  e, cioe', solo per le pensioni di
reversibilita' liquidate dal 1° gennaio 2007».
   Il  rimettente non disconosce la rilevanza dell'interesse pubblico
all'equilibrio  di  bilancio,  ma  sostiene  che  cio'  non  potrebbe
consentire  «la  violazione della disciplina delle fonti legislative,
la  quale  deve essere rigorosamente osservata a garanzia dell'intera
comunita'  nazionale  e  per  la credibilita' stessa dell'ordinamento
democratico  statuale»;  e,  nella  specie,  il  legislatore  avrebbe
proprio     «arbitrariamente     distorto    la    tipica    funzione
dell'interpretazione  autentica  (alla  quale si deve far ricorso con
attenta  e  responsabile  moderazione)  con  il  connaturato  effetto
retroattivo».
   Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  non  sarebbe  neppure possibile
«prendere  in  considerazione  soltanto  tale  effetto  (retroattivo)
prescindendo dalla qualificazione della norma, giacche' esso discende
rigorosamente dalla suddetta qualificazione e non e' stato voluto dal
legislatore in maniera autonoma».
   Peraltro,  cio'  contrasterebbe  con  l'esigenza  di  certezza dei
rapporti  giuridici,  considerato che l'irretroattivita' «rappresenta
pur   sempre   una   regola  essenziale  del  sistema  a  cui,  salva
un'effettiva  e  grave  causa  giustificatrice,  il  legislatore deve
ragionevolmente  attenersi», soprattutto ove si incida «su situazioni
di  diritto  soggettivo  come  il  trattamento  di quiescenza gia' in
godimento».
   Il    rimettente    assume,    dunque,    che    la    «previsione
interpretativa-retroattiva  in  esame sia viziata da irrazionalita' e
violi  pertanto  il  ricordato  principio di ragionevolezza ex art. 3
Cost.»,  avendo  il  legislatore,  con  un'operazione  di «inequivoca
irrazionalita»,  utilizzato  «l'interpretazione  autentica, al di la'
della funzione che le e' propria».
   1.1.  -  Si  e'  costituito  l'I.N.P.D.A.P.,  parte resistente nel
giudizio    principale,    concludendo   per   l'inammissibilita'   o
l'infondatezza della sollevata questione.
   Quanto  all'inammissibilita',  si  sostiene  che  essa deriverebbe
dalla  mancata denuncia di entrambi i commi - 774 e 776 - dell'art. 1
della legge n. 296 del 2006, sul cui combinato disposto il rimettente
sembrerebbe    incentrare    la    prospettazione   del   dubbio   di
costituzionalita',  giacche'  altrimenti,  in ipotesi di accoglimento
della  questione  sul  solo  comma  774,  si «determinerebbe un vuoto
legislativo,  grave  ed  intollerabile, in tema di determinazione del
trattamento  pensionistico  di reversibilita', sotto il profilo della
valorizzazione  della indennita' integrativa speciale», non potendosi
piu'  invocare  la  (in  ipotesi)  invalidata  disciplina della legge
n. 335 del 1995, ne' quella dell'art. 15, comma 5, della legge n. 724
del  1994,  in  quanto  abrogata dal comma 776 della legge n. 296 del
2006, non sottoposto a scrutinio di costituzionalita'.
   Nel  merito,  la  difesa  dell'I.N.P.D.A.P. argomenta diffusamente
sulla  non fondatezza della questione, richiamando la trama normativa
implicata  e  la  giurisprudenza  pensionistica che su di essa si era
pronunciata  e, segnatamente, la decisione n. 8/QM/2002 delle sezioni
riunite  della Corte dei conti, la quale, rispondendo ad un contrasto
di orientamenti, aveva optato per quello favorevole al riconoscimento
del diritto a percepire la pensione di reversibilita' con l'I.I.S. in
misura intera, cosi' dimostrando, peraltro, che l'indirizzo prescelto
«rappresentava   solamente   una   possibile   interpretazione  della
normativa vigente al riguardo».
   Peraltro,  prosegue  la  parte  costituita,  gia'  con  il comma 3
dell'art.  15  della  legge  n. 724  del  1994, al fine di avviare un
processo di omogeneizzazione delle diverse discipline pensionistiche,
la  I.I.S.  aveva  perso  la  connotazione di «emolumento separato ed
accessorio rispetto alla pensione», con il corollario di dover essere
conglobata    nel   trattamento   pensionistico   nella   misura   di
quest'ultimo,  secondo  una lettura poi confermata dall'art. 1, comma
41, della legge n. 335 del 1995.
   Secondo l'I.N.P.D.A.P., in un contesto di tal genere, non potrebbe
assumersi  a  parametro  dell'uso  ragionevole della discrezionalita'
legislativa  l'orientamento  giurisprudenziale, pur autorevole, quale
quello  espresso dalle sezioni riunite della Corte dei conti, sicche'
il  legislatore,  «per  una  sentita  ed  ormai  ampiamente condivisa
esigenza di contenimento della spesa previdenziale [...], ha ritenuto
ora  di  sciogliere  il  nodo  interpretativo»  su  cui  erano  sorte
incertezze  e  sul  quale si era determinato e non sopito «un copioso
contenzioso»,   reputando   di  interpretare  in  modo  autentico  la
disposizione  contenuta nell'art. 1, comma 41, della legge n. 335 del
1995  «e,  pertanto,  in ossequio ai principi generali, con efficacia
retroattiva».   E  che  di  interpretazione  autentica  si  tratti  -
argomenta ancora la parte costituita - e' reso evidente dal fatto che
la  norma  interpretata  e'  rimasta  ferma nel suo tenore, di cui la
norma  interpretante  chiarisce  il  significato,  «privilegiando una
interpretazione  fra  le  due  possibili»  (e  cioe'  quella  seguita
dall'orientamento - Corte dei conti, sezione III, n. 111 del 15 marzo
2000 - poi non accolto dalle sezioni riunite).
   In tale contesto, l'abrogazione dell'art. 15, comma 5, della legge
n. 724  del  1994,  lungi  «dal  deporre  a  favore  di  una supposta
irragionevolezza»,  sarebbe  dettata  da  una  esigenza  di chiarezza
sistematica  in  una  materia, quale quella del computo della I.I.S.,
foriera  di  annosi  contenziosi,  anche  sotto  ulteriori  e diversi
profili.
   Inoltre,   quanto   alla   prospettata   lesione   del   principio
dell'affidamento   «in   danno   dei   percettori   del   trattamento
pensionistico  di  reversibilita»,  essa non sussisterebbe, giacche',
non  potendosi  invocare  nella materia diritti quesiti, l'intervento
legislativo  retroattivo denunciato risulterebbe contenuto nei limiti
della  ragionevolezza,  anche  in  considerazione  delle  esigenze di
salvaguardia degli equilibri di bilancio.
   L'I.N.P.D.A.P.   evidenzia,   da   ultimo,  che  la  piu'  recente
giurisprudenza  pensionistica  della Corte dei conti e' indirizzata a
ritenere  che  la  norma  denunciata  abbia  effettivamente natura di
interpretazione  autentica  e  che  siano  manifestamente infondati i
dubbi   di   costituzionalita'  analoghi  a  quelli  prospettati  dal
rimettente.
   2.  -  Con  ordinanza  del 25 gennaio 2007 (iscritta al n. 388 del
registro  ordinanze  dell'anno  2007)  anche  il  Giudice unico delle
pensioni  della  Sezione  giurisdizionale per la Regione Puglia della
Corte  dei  conti  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art. 3 Cost.,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1, comma 774,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
   Nel  giudizio  principale si controverte sulla domanda proposta da
una  vedova titolare di pensione di reversibilita' con decorrenza dal
1°  marzo  2000, liquidata nella misura del 60 per cento «di tutto il
maturato economico del dante causa che comprendeva la pensione base e
l'indennita' integrativa speciale», al fine di ottenere l'I.I.S. «per
intero  ai  sensi  dell'articolo  15, comma 5 della legge n. 724/1994
rappresentando  che  la  pensione  diretta  del suo dante causa aveva
avuto decorrenza dal 28 novembre 1985».
   Il  rimettente  rammenta,  anzitutto, che, in base alla «pacifica»
giurisprudenza   della   Corte   dei   conti,   «il   trattamento  di
reversibilita'  se  e'  riferito,  come  nel  caso  di specie, ad una
pensione  diretta  liquidata  entro la data del 31 dicembre 1994 deve
essere   liquidato  con  l'attribuzione  dell'indennita'  integrativa
speciale   quale   emolumento   accessorio   ed   in  misura  intera,
indipendentemente  dalla  data  della  morte del dante causa e quindi
anche  quando  abbia  decorrenza  successiva  all'1  gennaio  1995  o
all'entrata  in  vigore  dell'art.  1, comma 41, della legge 8 agosto
1995, n. 335».
   Ad avviso del giudice a quo, la «formulazione testuale» del citato
art.  1,  comma  41,  della  legge  n. 335  del 1995 «non ha disposto
l'abrogazione  del  comma  5 dell'art. 15 della legge n. 724/1994» e,
tuttavia,   la   «surriferita   interpretazione»   di  questa  ultima
disposizione,  «ormai  pacifica  in giurisprudenza, viene, pero', ora
ostacolata  dalla disposizione recata dal comma 774 dell'art. 1 della
legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007)».
   Il  rimettente  sostiene,  quindi,  che la norma «introdotta dalla
legge  finanziaria  per  il  2007  appare  pero'  contrastare  con il
principio  di  ragionevolezza previsto dall'art. 3 della Costituzione
nella  misura  in cui a distanza di circa dodici anni dall'entrata in
vigore dell'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, nel pretendere
di  dare  l'interpretazione autentica di tale ultima norma in realta'
reca una disciplina contraria a quella gia' stabilita dal citato art.
15,  comma  5,  della  legge  n. 724/1994»; tanto che il legislatore,
«consapevole  di  cio»,  ha  disposto,  con  il successivo comma 776,
l'abrogazione proprio del citato art. 15, comma 5, della legge n. 724
del 1994.
   Nell'ordinanza  di  rimessione  si  assume che, alla stregua degli
insegnamenti  della  giurisprudenza  costituzionale,  «il  ricorso da
parte  del  legislatore a leggi di interpretazione autentica non puo'
essere  utilizzato  per  mascherare  norme  effettivamente innovative
dotate  di  efficacia  retroattiva,  in quanto cosi' facendo la legge
interpretativa  tradirebbe  la  funzione che le e' propria: quella di
chiarire  il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle
possibili  varianti di senso compatibili col tenore letterale, sia al
fine  di  eliminare  eventuali  incertezze  interpretative,  sia  per
rimediare  ad  interpretazioni  giurisprudenziali  divergenti  con la
linea   politica   del   diritto   voluta   dal   legislatore  (Corte
costituzionale,   sentenza   n. 397   del   1994)».  Cio'  posto,  il
significato  che il comma 774 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006
pretenderebbe  di  dare  all'art. 1, comma 41, della legge n. 335 del
1995  «non risulta minimamente desumibile dal testo letterale di tale
ultima  norma»,  giacche' la disciplina sull'attribuzione dell'I.I.S.
ai titolari di pensioni di reversibilita' successive alla data del 1°
gennaio 1995 «e quindi anche all'entrata in vigore della legge n. 335
del  1995»  e' recata dai commi 4 e 5 dell'art. 15 della legge n. 724
del  1994,  la'  dove  il  comma 5 ha stabilito, segnatamente, che le
disposizioni   relative   alla   corresponsione   dell'I.I.S.,  quale
emolumento   accessorio,   sono  applicabili  alle  pensioni  dirette
liquidate   fino   al   31   dicembre   1994  ed  «alle  pensioni  di
reversibilita' ad esse riferite».
   Secondo    il    giudice    a    quo,   il   legislatore   avrebbe
«irragionevolmente   fatto   ricorso   all'emanazione  di  una  legge
interpretativa  (dagli  effetti  retroattivi)  in quanto il comma 774
dell'art. 1 della legge n. 296/2006 tratta materia che non solo esula
dal  testo  letterale  dell'art.  1, comma 41, della legge n. 335 del
1995  ma  che era stata disciplinata da altre specifiche disposizioni
di  legge». Invero, alla disposizione denunciata dovrebbe attribuirsi
«carattere innovativo e come tale applicarsi per le fattispecie sorte
successivamente  alla  sua entrata in vigore ossia per le pensioni di
reversibilita',  se riferite a pensioni dirette liquidate entro il 13
dicembre 1994, sorte a decorrere dal 1° gennaio 2007».
   Peraltro,  argomenta ancora il rimettente, «la portata retroattiva
del  censurato  comma 774 dell'art. 1 della legge n. 296/2006 appare,
comunque,  contrastare palesemente con il principio di ragionevolezza
imposto dall'art. 3 della Costituzione».
   Posto,  infatti,  che  piu' volte la giurisprudenza costituzionale
(sentenze  n. 416  del  1999  e  n. 211  del  1997) ha valorizzato il
principio  dell'affidamento  legittimamente posto dal cittadino sulla
certezza  e  sicurezza  dell'ordinamento  giuridico,  quale  elemento
essenziale  dello Stato di diritto, che non puo' essere leso da norme
con  effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni
regolate  da  leggi  precedenti, sarebbe «irragionevole la disciplina
introdotta  dalla  censurata  disposizione,  la  quale  e'  venuta  a
determinare, in modo retroattivo, per i trattamenti di reversibilita'
sorti  a decorrere dal 17 agosto 1995, ma riferiti a pensioni dirette
liquidate  fino  al  31  dicembre  1994, una sostanziale decurtazione
dell'ammontare    dell'indennita'   integrativa   speciale   tradendo
l'affidamento   che   i   titolari   delle   suddette   pensioni   di
reversibilita'  avevano  riposto, all'indomani dell'entrata in vigore
del comma 5 dell'art. 15 della legge n. 724 ossia gia' da dodici anni
or  sono,  nella certezza della spettanza dell'indennita' integrativa
speciale  quale  emolumento  accessorio intero e non da conseguire in
misura percentuale».
   In   definitiva,  conclude  il  giudice  a  quo,  la  disposizione
denunciata  contrasterebbe  con  l'art.  3 Cost., sia perche' «appare
costituire  un  ipotesi  di  esercizio  irrazionale  del  potere  del
legislatore  di  emanare  norme  interpretative  sia perche', in ogni
caso,  la  previsione  retroattiva  recata  da tale disposizione, per
quanto sopra rilevato, appare parimenti irragionevole».
   2.2.   -   Anche   nel   presente   giudizio   si   e'  costituito
l'I.N.P.D.A.P.,  resistente  nel procedimento principale, concludendo
per   la   non  fondatezza  della  sollevata  questione  in  base  ad
argomentazioni   identiche   a   quelle   sviluppate   nell'atto   di
costituzione nel giudizio iscritto al r.o. n. 387 del 2007.
   2.3.  -  E'  altresi'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   chiedendo   che   la  proposta  questione  venga  dichiarata
inammissibile o, comunque, non fondata.
   La   difesa   erariale   sostiene,   anzitutto,  che  non  sarebbe
invocabile,  nella  specie,  la  giurisprudenza della Corte dei conti
sull'art.  15,  comma  5,  della  legge n. 724 del 1994, in quanto la
disposizione  e'  stata  abrogata dall'art. 1, comma 776, della legge
n. 296 del 2006, che il rimettente non ha denunciato.
   Inoltre, l'Avvocatura, richiamata la giurisprudenza costituzionale
sul  principio  dell'affidamento  in  presenza  di  leggi retroattive
(sentenze  n. 416, n. 229 e n. 211 del 1999; n. 390 del 1995), assume
che  il  rapporto controverso e' di natura pensionistica e di durata,
«inserito   in  un  processo  di  omogeneizzazione  del  calcolo  dei
trattamenti  pensionistici,  ai  superstiti tra dipendenti pubblici e
privati, contenuto nella legge n. 335 del 1995 e ribadito proprio dal
comma  774 cit., al fine di poter superare un consistente contenzioso
presso  il  giudice  delle  pensioni»,  quale  fattore che renderebbe
evidente   «non  tanto  le  divergenze  sulla  interpretazione  delle
disposizioni» interessate dalla questione, «quanto la circostanza che
l'affidamento  non  trova  radicamento  nella legge, bensi' in un non
condiviso  indirizzo  giurisprudenziale  sul  quale il legislatore e'
intervenuto».
   La  parte  pubblica intervenuta, ravvisata la ragionevolezza della
disposizione   denunciata  nell'obiettivo  del  conseguimento  di  un
equilibrio  tra profili propri del regime pensionistico ai superstiti
ed  esigenze  di  tendenziale  equilibrio  delle  gestioni, sostiene,
quindi,  che  il legislatore avrebbe composto «opposti interessi» con
norma  di interpretazione «di un risalente indirizzo legislativo, che
aveva trovato una non del tutto condivisibile lettura» da parte della
giurisprudenza.
                       Considerato in diritto
   1.  - Con due distinte ordinanze (r.o. nn. 387 e 388 del 2007), la
prima  del Giudice unico delle pensioni della Sezione giurisdizionale
per  la  Regione  Siciliana  della  Corte  dei conti e la seconda del
Giudice  unico  delle  pensioni  della Sezione giurisdizionale per la
Regione  Puglia  della  Corte  dei  conti,  e'  stata  sollevata,  in
riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 1, comma 774, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007).
   Il  comma  774  dell'art.  1  della  legge  n. 296  del 2006 cosi'
dispone:
   «L'estensione  della  disciplina  del  trattamento pensionistico a
favore  dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell'ambito
del  regime dell'assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme
esclusive  e  sostitutive  di  detto regime prevista dall'articolo 1,
comma  41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso
che  per le pensioni di reversibilita' sorte a decorrere dall'entrata
in  vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335, indipendentemente dalla
data  di  decorrenza della pensione diretta, l'indennita' integrativa
speciale gia' in godimento da parte del dante causa, parte integrante
del  complessivo  trattamento  pensionistico percepito, e' attribuita
nella   misura   percentuale   prevista   per   il   trattamento   di
reversibilita'.»
   Entrambi   i   rimettenti   muovono   dalla   premessa  che  dalla
giurisprudenza  della  Corte  dei  conti,  antecedente all'entrata in
vigore  della disposizione denunciata, si desumerebbe un orientamento
del tutto «pacifico» circa il diritto alla pensione di reversibilita'
nel  caso  di decesso di titolare di pensione diretta liquidata entro
il  31  dicembre  1994;  diritto al trattamento di reversibilita' che
deve  essere  liquidato secondo le norme di cui all'art. 15, comma 5,
della  legge  23  dicembre  1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), indipendentemente dalla data della morte del
dante  causa,  atteso  che  l'art.  1, comma 41, della legge 8 agosto
1995,  n. 335  (Riforma  del  sistema  pensionistico  obbligatorio  e
complementare),  non  ha  abrogato il richiamato comma 5 dell'art. 15
della legge n. 724 del 1994.
   1.1.  - Ad avviso dei rimettenti, l'orientamento giurisprudenziale
consolidato  in  materia  sarebbe  stato smentito pero' dal comma 774
della   legge   n. 296   del   2006,  il  quale,  con  una  norma  di
interpretazione autentica, avrebbe imposto «un'esegesi diametralmente
opposta  a  quella sin qui praticata da questa Corte e l'applicazione
di  tale  norma  interpretativa  condurrebbe,  come  conseguenza,  al
rigetto del ricorso».
   Sennonche',  il  comma  774  denunciato  si presterebbe a dubbi di
costituzionalita'.
   Per  la  Sezione  giurisdizionale  della  Regione  Siciliana (r.o.
n. 387  del  2007),  la  norma  censurata  violerebbe  l'art. 3 della
Costituzione,   in   quanto  il  legislatore,  con  un'operazione  di
«inequivoca    irrazionalita»,   ha   utilizzato   «l'interpretazione
autentica, al di la' della funzione che le e' propria».
   Ne sarebbe prova - secondo il rimettente - l'«insanabile contrasto
logico-giuridico  tra  l'asserita  natura  interpretativa  del citato
comma  774  e  la  disposizione  di  cui  al  successivo  comma 776»,
abrogativa  dell'art.  15,  comma  5,  della legge n. 724 del 1994, e
sarebbe evidente «che con il combinato disposto di cui ai commi 774 e
776   dell'art.   l   della   legge  n. 296/2006  il  legislatore  ha
notevolmente  modificato  (in  pejus  per i pensionati) la disciplina
precedente,  illegittimamente  disponendo  peraltro che quello era il
significato della normativa preesistente».
   Nella  specie, il legislatore avrebbe «arbitrariamente distorto la
tipica  funzione  dell'interpretazione  autentica (alla quale si deve
far   ricorso   con   attenta  e  responsabile  moderazione)  con  il
connaturato effetto retroattivo».
   Secondo  il  giudice  a quo, cio' contrasterebbe con l'esigenza di
certezza  dei  rapporti giuridici, considerato che l'irretroattivita'
«rappresenta  pur  sempre  una  regola  essenziale del sistema a cui,
salva un'effettiva e grave causa giustificatrice, il legislatore deve
ragionevolmente  attenersi», soprattutto ove si incida «su situazioni
di  diritto  soggettivo  come  il  trattamento  di quiescenza gia' in
godimento».
   1.2.  -  Anche per la Sezione giurisdizionale della Regione Puglia
(r.o. n. 388 del 2007), la norma denunciata contrasterebbe con l'art.
3   Cost.,  giacche',  «appare  costituire  un'ipotesi  di  esercizio
irrazionale   del   potere   del   legislatore   di   emanare   norme
interpretative»  e,  in  ogni  caso, «la previsione retroattiva [...]
appare   parimenti   irragionevole»  per  la  lesione  del  principio
dell'affidamento, essendo «venuta a determinare, in modo retroattivo,
per  i  trattamenti di reversibilita' sorti a decorrere dal 17 agosto
1995,  ma  riferiti  a pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre
1994,  una  sostanziale  decurtazione  dell'ammontare dell'indennita'
integrativa  speciale  tradendo  l'affidamento  che  i titolari delle
suddette  pensioni  di  reversibilita'  avevano riposto, all'indomani
dell'entrata in vigore del comma 5 dell'art. 15 della legge 724 ossia
gia'   da  dodici  anni  or  sono,  nella  certezza  della  spettanza
dell'indennita'  integrativa  speciale  quale  emolumento  accessorio
intero e non da conseguire in misura percentuale».
   2.  - La denuncia della medesima disposizione, in base ad analoghe
censure,  rende  opportuna  la  riunione dei giudizi, affinche' siano
decisi con un'unica pronuncia.
   3. - In via preliminare, non puo' trovare accoglimento l'eccezione
di  inammissibilita'  avanzata  dall'I.N.P.D.A.P.  in  relazione alla
questione sollevata con l'ordinanza iscritta al r.o. n. 387 del 2007,
sul  presupposto  della  mancata denuncia di entrambi i commi - 774 e
776 -  dell'art.  1 della legge n. 296 del 2006. L'Istituto sostiene,
al riguardo, che, in ipotesi di accoglimento della questione sul solo
comma   774,  si  «determinerebbe  un  vuoto  legislativo,  grave  ed
intollerabile,    in   tema   di   determinazione   del   trattamento
pensionistico    di    reversibilita',   sotto   il   profilo   della
valorizzazione  della indennita' integrativa speciale», non potendosi
piu'  invocare  la  (in  ipotesi)  invalidata  disciplina della legge
n. 335 del 1995, ne' quella dell'art. 15, comma 5, della legge n. 724
del  1994,  in  quanto  abrogata dal comma 776 della legge n. 296 del
2006, non sottoposto a scrutinio di costituzionalita'.
   E'  sufficiente  osservare  che  le  argomentazioni utilizzate dal
rimettente  a  sostegno  della  sollevata  questione non sono tali da
rendere  contraddittoria  la  denuncia  del solo comma 774, su cui si
incentra effettivamente il dubbio di costituzionalita', e la verifica
della  consistenza  di  dette argomentazioni in rapporto alla dedotta
censura  ridonda,  ovviamente,  in  una  delibazione sul merito della
questione.
   4. - Le questioni non sono fondate.
   4.1.  -  Il  problema  che  pongono le due ordinanze di rimessione
concerne  l'individuazione, tramite la disposizione denunciata, della
data   di   decorrenza   dell'estensione  della  disciplina  prevista
dall'assicurazione  generale  obbligatoria  in materia di trattamento
pensionistico  di  reversibilita'  alle  altre discipline esclusive o
sostitutive.
   Occorre  rammentare,  infatti,  che  nel settore privato opera, da
epoca   risalente,   il   principio   di   onnicomprensivita'   della
retribuzione  pensionabile,  essendo  essa  individuata in base ad un
coacervo di elementi che, salvo specifiche eccezioni, entrano, tutti,
a  comporla,  secondo  le  disposizioni  che  recano la disciplina di
riferimento.  E  cosi'  era gia' nella vigenza del regime retributivo
precedente  alla riforma recata dalla legge n. 335 del 1995, in forza
della  regolamentazione  dettata  dall'art. 5, comma 2, del d.P.R. 27
aprile  1968,  n. 488  (Aumento  e  nuovo  sistema  di  calcolo delle
pensioni  a carico dell'assicurazione generale obbligatoria), tramite
il  richiamo all'art. 27 e seguenti del d.P.R. 30 maggio 1995, n. 797
(Approvazione  del  testo unico delle norme sugli assegni familiari),
il  quale,  a  sua  volta,  rinvia  agli  artt. 46 e 48 del d.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui
redditi).
   Diversamente  accadeva per il settore pubblico, in base al sistema
originariamente  delineato  dal  d.P.R.  29  dicembre  1973,  n. 1092
(Approvazione   del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento  di
quiescenza  dei  dipendenti  civili e militari dello Stato), il quale
prevedeva,  infatti,  che  la  pensione del pubblico dipendente fosse
calcolata  su  una  determinata  base  pensionabile  (art.  43  per i
dipendenti  civili;  art. 53 per i militari) e, una volta determinata
la  prestazione,  a  questa  si  aggiungeva  l'indennita' integrativa
speciale,  la quale - come reso palese dall'art. 2 della legge n. 324
del  1959  e  poi  dall'art.  99  del  t.u.  del  1973 - era elemento
accessorio del trattamento pensionistico.
   La  diversita'  di  detti sistemi si ripercuoteva, di conseguenza,
sul calcolo della pensione di reversibilita', spettante al superstite
in misura percentuale rispetto alla pensione diretta del dante causa.
Nel  settore  privato il 60 per cento in favore del coniuge (aliquota
fissata  dall'art.13  del  r.d.l.  14 aprile 1939, n. 636, modificato
anche  dall'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903) era calcolato
sulla  pensione  del  dante causa determinata in base al principio di
onnicomprensivita'  (includente quindi tutti gli elementi retributivi
sui quali operava l'aliquota del 60 per cento); nel settore pubblico,
una  volta  determinata  la pensione diretta e calcolata su questa la
misura  spettante  al  pensionato  di  reversibilita' (al coniuge, in
forza  dell'art.  88  del  t.u.,  il  50  per cento, di regola, della
pensione   del   dante   causa),  si  aggiungeva,  in  misura  piena,
l'indennita' integrativa speciale.
   4.2.  -  Su tale assetto e', dapprima, intervenuto l'art. 15 della
legge  23  dicembre 1994, n. 724, il quale, al comma 3, disponeva che
«In attesa dell'armonizzazione delle basi contributive e pensionabili
previste  dalle  diverse gestioni obbligatorie dei settori pubblico e
privato,  con  decorrenza dal 1° gennaio 1995, per i dipendenti delle
amministrazioni   pubbliche   di   cui  all'articolo  1  del  decreto
legislativo  3  febbraio  1993,  n. 29, e successive modificazioni ed
integrazioni,   iscritti   alle   forme   di   previdenza   esclusive
dell'assicurazione   generale  obbligatoria,  nonche'  per  le  altre
categorie  di  dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza,
la  pensione  spettante  viene  determinata sulla base degli elementi
retributivi  assoggettati  a contribuzione, ivi compresa l'indennita'
integrativa speciale [...]».
   In  forza del successivo comma 4, si prevedeva che «La pensione di
cui  al  comma  3,  e' reversibile con riferimento alle categorie dei
superstiti  aventi  diritto in base all'aliquota in vigore nel regime
dell'assicurazione   generale   obbligatoria  per  l'invalidita',  la
vecchiaia e i superstiti».
   A   sua  volta,  con  una  norma  di  salvaguardia  di  situazioni
pregresse,  il  comma  5 stabiliva che «Le disposizioni relative alla
corresponsione  della indennita' integrativa speciale sui trattamenti
di  pensione  previste  dall'articolo  2  della legge 27 maggio 1959,
n. 324,  e successive modificazioni ed integrazioni, sono applicabili
limitatamente  alle  pensioni  dirette  liquidate fino al 31 dicembre
1994 e alle pensioni di reversibilita' ad esse riferite».
   In definitiva, l'art. 15 della legge n. 724 del 1994 stabiliva che
la  corresponsione  dell'indennita' integrativa speciale nella misura
piena  si  sarebbe  dovuta  fermare  (per  dar  luogo,  poi,  al  suo
conglobamento   nel   trattamento   pensionistico,  con  liquidazione
complessiva di esso nella misura percentuale del 60 per cento secondo
quanto previsto dall'assicurazione speciale obbligatoria), per quanto
riguarda  le pensioni dirette, al 31 dicembre 1994, ed avrebbe potuto
continuare  ad  essere  corrisposta  alle pensioni di reversibilita',
purche' «riferite» alle pensioni dirette liquidate entro detta data.
   Successivamente,  il  legislatore,  con  l'art. 1, comma 41, della
legge  n. 335 del 1995, ha previsto che la disciplina del trattamento
di    reversibilita'   in   essere   nell'ambito   dell'assicurazione
obbligatoria  fosse  esteso  anche al settore pubblico - determinando
cosi'  la  liquidazione  della  pensione  con  il conglobamento della
indennita'  integrativa  speciale  -  dalla data di entrata in vigore
della legge stessa (e cioe' dal 17 agosto 1995).
   Si  pose,  quindi,  il  problema  della implicita abrogazione, per
effetto  della  successione  delle leggi nel tempo, del comma 5 della
legge  n. 724  del 1994, su cui la giurisprudenza maggioritaria della
Corte  dei  conti  si  e'  espressa  in termini negativi, secondo una
posizione  che  e' chiaramente contenuta nella sentenza delle sezioni
riunite  n. 8/2002/QM. Tale pronuncia ritenne, anzitutto, che «nessun
rapporto  di  incompatibilita' puo' sussistere tra la norma di cui al
ripetuto  art.  15 della legge n. 724 del 1994 e quella della seconda
parte  del  comma  41 dell'art. 1 della legge n. 335 del 1995, atteso
che   tale   seconda  parte  tratta  materia  affatto  diversa  dalla
disciplina   dell'indennita'   integrativa»,   sicche'   non  sarebbe
possibile  parlare  di  abrogazione  tacita delle disposizioni di cui
alla  legge n. 724 del 1994. Inoltre, la stessa sentenza affermo' che
«la  norma  transitoria  di  cui all'art. 15, comma 5, avrebbe la sua
ratio  nella  salvaguardia  dei  diritti  quesiti» e che la «norma di
salvaguardia  prevista  dall'ultima  parte  del  comma  41  [...]  si
riferirebbe,   non   all'indennita'  integrativa  speciale,  ma  alla
disciplina del cumulo dei trattamenti pensionistici ai superstiti con
i redditi dei beneficiari».
   4.3.  -  E'  in  siffatto  piu' ampio contesto che le ordinanze di
rimessione  censurano il comma 774 dell'art. 1 della legge n. 296 del
2006,  giacche'  esso,  ponendosi  in  contrasto  con  la  «pacifica»
giurisprudenza  della  Corte  dei  conti, che ritiene esonerate dalla
anzidetta  estensione  le  pensioni  di  reversibilita'  «riferite» a
pensioni  dirette  liquidate  entro il 31 dicembre 1994 e sorte anche
posteriormente a detta data, vulnererebbe l'art. 3 Cost., non potendo
essere   qualificato  come  norma  di  interpretazione  autentica,  e
lederebbe,  comunque,  il  principio dell'affidamento nella sicurezza
giuridica.
   4.4.  -  Questa  Corte  ha  avuto  modo  di  affermare, in piu' di
un'occasione  (da  ultimo,  sentenza  n. 234  del  2007),  che non e'
decisivo   verificare   se   la   norma   censurata  abbia  carattere
effettivamente  interpretativo (e sia percio' retroattiva) ovvero sia
innovativa  con efficacia retroattiva, trattandosi in entrambi i casi
di  accertare se la retroattivita' della legge, il cui divieto non e'
stato  elevato  a  dignita'  costituzionale, salvo che per la materia
penale, trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza
e  non  contrasti  con  altri  valori ed interessi costituzionalmente
protetti. Sicche', la norma censurata, ove considerata espressione di
funzione  di  interpretazione autentica, non puo' considerarsi lesiva
dei  canoni costituzionali di ragionevolezza, e dei principi generali
di  tutela  del  legittimo affidamento e di certezza delle situazioni
giuridiche,  atteso che essa si limita ad assegnare alla disposizione
interpretata  un  significato  riconoscibile come una delle possibili
letture  del  testo  originario (si veda anche la sentenza n. 274 del
2006),   senza,   peraltro,  che  siffatta  operazione  debba  essere
necessariamente  volta  a  comporre  contrasti giurisprudenziali, ben
potendo  il legislatore precisare il significato di norme in presenza
di  indirizzi  omogenei  (sentenze  n. 374 del 2002, n. 29 del 2002 e
n. 525 del 2000).
   4.5   -   Non   puo'   non  rilevarsi  che  la  linea  ispiratrice
dell'intervento  del  legislatore  su  cui  si incentrano i dubbi dei
rimettenti  - intervento che si assume operato proprio in riferimento
alla  ricordata  contrastante  giurisprudenza della Corte dei conti -
emerge   in   tutta  la  sua  chiarezza  dalla  prima  lettura  della
disposizione   denunciata,   la   quale  pone  in  rilievo  due  dati
essenziali:   a)  l'indipendenza  del  trattamento  pensionistico  di
reversibilita'  rispetto  alla  data  di  liquidazione della pensione
diretta  del  dante  causa;  b)  la decorrenza della estensione della
disciplina     della     pensione    di    reversibilita'    prevista
dall'assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive o
sostitutive  di  detto  regime  dalla data di entrata in vigore della
legge n. 335 del 1995.
   In  sostanza,  si  viene  anzitutto  a  riaffermare  il  principio
dell'autonomia  del  diritto  alla  pensione  di  reversibilita' come
diritto originario; principio ribadito da questa Corte nella sentenza
n. 446  del  2002  (con  la  quale  era  stata dichiarata non fondata
proprio  la  questione  di  costituzionalita'  dell'art. 1, comma 41,
della legge 8 agosto 1995, n. 335).
   Inoltre,  quanto  alla  decorrenza della evidenziata estensione di
disciplina, a fronte del ricordato atteggiamento della giurisprudenza
contabile,   sicuramente   maggioritaria,  ma  non  univoca,  essendo
presenti  anche  orientamenti  diversi, il legislatore ha ritenuto di
intervenire con la norma censurata, la quale, interpretando l'art. 1,
comma  41, della legge n. 335 del 1995, ha scelto, in definitiva, uno
dei possibili significati della norma interpretata.
   Nel   contesto   di   siffatta   operazione,  non  puo'  reputarsi
contraddittoria, e dunque irragionevole, l'abrogazione - ad opera del
comma  776  dell'art.  1  della  legge  n. 296 del 2006 - del comma 5
dell'art.  15  citato,  giacche'  essa  risulta  rispondente  ad  una
esigenza  di  ordine  sistematico  imposta  proprio dalle vicende che
hanno segnato la sua applicazione.
   Peraltro,  non  e'  senza  rilievo il fatto che il legislatore, in
sede   di   interpretazione   autentica,  possa  modificare  in  modo
sfavorevole, in vista del raggiungimento di finalita' perequative, la
disciplina   di   determinati   trattamenti   economici   con   esiti
privilegiati  senza  per questo violare l'affidamento nella sicurezza
giuridica  (sent.  n. 6  del 1994 e sent. n. 282 del 2005), la' dove,
ovviamente,  l'intervento  possa  dirsi non irragionevole. E che, nel
caso   oggetto   di   scrutinio,   non   sia   ravvisabile  una  tale
irragionevolezza  si  evince  non  solo  da  quanto  sinora  posto in
evidenza,  ma  anche  dal  fatto  che  l'assetto  recato  dalla norma
denunciata riguarda anche il complessivo riequilibrio delle risorse e
non  puo', pertanto, non essere attenta alle esigenze di bilancio. In
questo contesto, peraltro, il legislatore, con il comma 775 dell'art.
1  della stessa legge n. 296 del 2006, ha salvaguardato i trattamenti
di  miglior  favore  gia'  definiti  in sede di contenzioso, con cio'
garantendo  non  solo  la  sfera del giudicato, ma anche il legittimo
affidamento che su tali trattamenti soltanto poteva dirsi ingenerato.