IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 782/2006
proposto  da  Albertini  Bruna, rappresentata e difesa dagli avvocati
Antonella  Capria  ed  Angelo  Crisafulli,  nello studio dei quali e'
elettivamente  domiciliata in Milano, via Manzoni n. 41/43; contro il
Ministero  della giustizia e il Ministero dell'economia e finanza, in
persona  dei  rispettivi  Ministri  in  carica,  nonche' la Direzione
provinciale  del  Tesoro  di  Milano,  in  persona  del direttore pro
tempore,  rappresentati  e difesi dalla Avvocatura distrettuale dello
Stato,  presso  cui sono domiciliati ex lege in Milano, via Freguglia
n. 1  per  l'accertamento  del  diritto  della  ricorrente  a vedersi
corrispondere  l'indennita' giudiziaria di cui all'art. 3 della legge
19  febbraio  1991,  n. 27,  nei periodi di astensione obbligatoria e
facoltativa  previsti  dagli  artt.  16 e 32 del d.lgs 26 marzo 2001,
n. 151;  previo annullamento della nota del Ministero della giustizia
prot. n. 11.139-11.219-8.185-8.660/MGG/I del 2 gennaio 2006, ricevuta
dalla   ricorrente   in   data  2  febbraio  2006,  recante  «istanza
restituzione indennita' giudiziaria durante il periodo di congedo per
maternita»,  nonche'  di ogni altro in atto precedente, conseguente e
comunque  connesso; e per la condanna delle Amministrazioni residenti
al  pagamento  delle  relative  somme  dovute  a titolo di indennita'
giudiziaria,  incrementate  dagli  interessi  legali  e rivalutazione
monetaria,  per  il  periodo  dal  2 ottobre 2000 al 2 marzo 2001; e,
conseguentemente,  alla  rideterminazione  delle competenze spettanti
alla  ricorrente  in  virtu'  del  riconoscimento  del diritto di cui
trattasi;
   Visto e ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dei Ministeri della
giustizia   e   dell'economia  e  delle  finanze  e  della  Direzione
provinciale del Tesoro di Milano;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Nominato  relatore  alla  pubblica  udienza del 18 ottobre 2007 il
ref. Vincenzo Blanda;
   Uditi,   l'avv.   Antonella   Capria  per  la  ricorrente  ed,  ai
preliminari  di  udienza,  l'avv.  dello Stato Silvana Vanadio per le
Amministrazioni residenti;
   Considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                              F a t t o
   La  dr.ssa  Alberini  Bruna  e'  magistrato  ordinario in servizio
presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Milano.
   Il  magistrato  nel  periodo dal 2 ottobre 2000 al 2 marzo 2001 ha
fruito di astensione obbligatoria per maternita'.
   Alla  ricorrente,  durante  l'astensione obbligatoria non e' stata
corrisposta  l'indennita'  giudiziaria prevista dall'articolo 3 della
legge 19 febbraio 1981, n. 27.
   Con  istanza  del  28  novembre  2005  l'interessata ha chiesto al
Ministero  della  giustizia  la  restituzione  delle somme trattenute
corrispondenti  alla  indennita'  giudiziaria ex articolo 3, comma 1,
della  legge n. 27/1981 limitatamente ai periodi trascorsi in assenza
dal lavoro per astensione obbligatoria per maternita'.
   Il  Dipartimento  dell'organizzazione  giudiziaria del personale e
dei  servizi,  Direzione  generale  dei  magistrati,  Ufficio II, del
Ministero       della       giustizia       con       nota      prot.
n. 11.139-11.219-8185-8660/MGG/I  del  2  gennaio  2006  ha  respinto
l'istanza  della  ricorrente,  sostenendo  che «la modifica apportata
dalla  citata legge finanziaria attiene al solo congedo di maternita'
e  si applica a decorrere dall'entrata in vigore della legge stessa e
cioe'  dal  1°  gennaio  2005  (art. 1, comma 572) con riferimento ai
periodi di assenza dal servizio per tale causa, usufruiti a decorrere
da tale data».
   L'interessata  ha  impugnato  la suddetta nota svolgendo una breve
premessa  sullo  stato attuale della questione, alla luce del recente
intervento  legislativo  di  cui  all'art.  1, comma 325, della legge
n. 311/2004  (che  ha  modificato  l'art.  3,  comma  1,  della legge
27/1981,  prevedendo  l'attribuzione  della indennita' giudiziaria in
relazione ai periodi di astensione obbligatoria per maternita) e alla
ordinanza  13  gennaio  2006, n. 10 della Corte costituzionale che ha
disposto  la  restituzione degli atti al Consiglio di Stato affinche'
valuti  l'applicabilita',  sotto  il  profilo dello ius superveniens,
della  disposizione  in  esame  ai  giudizi  pendenti  innanzi a quel
consesso (e per i quali era stata sollevata questione di legittimita'
costituzionale  con  le  ordinanze  nn.  172, 173, 174, 175 e 176 del
2005).
   A sostegno del gravame l'interessata ha dedotto i seguenti motivi.
   1)  Violazione  e  falsa  applicazione  dell'art. 3 della legge 19
febbraio  1981,  n. 27  come modificata dall'art. 1, comma 325, della
legge  n. 311/2004.  Violazione e falsa dell'art. 1, comma 325, della
legge  n. 311/2004. Eccesso di potere per erronea interpretazione dei
presupposti   di   fatto  e  di  diritto,  ingiustizia  manifesta  ed
illogicita';  violazione  dell'art.  3 della Costituzione; eccesso di
potere per disparita' di trattamento.
   L'art.  1,  comma 325, della legge n. 311/2004 rivestirebbe valore
di  norma  interpretativa  con  l'intento  di risolvere gli adombrati
dubbi   di  legittimita'  costituzionale  in  ordine  al  diniego  di
attribuzione  delle  indennita'  giudiziaria  durante  i  periodi  di
astensione obbligatoria per maternita'.
   Sebbene  nella  norma  della  legge finanziaria non si preveda una
esplicita  applicazione  retroattiva,  tale efficacia potrebbe essere
ricavata dalla ratio della disposizione.
   Nell'ipotesi  in  cui l'indennita' giudiziaria venisse corrisposta
alle donne magistrato per i periodi di astensione obbligatoria fruiti
soltanto  dopo  il  1  gennaio  2005 (negandolo a quelle che ne hanno
goduto  in  passato),  si  verrebbe  a determinare una ingiustificata
disparita'  di trattamento tra soggetti che si trovano nella medesima
posizione giuridica soggettiva.
   2)  Violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.3  della legge 19
febbraio 1981, n. 27 nel suo testo previgente rispetto alle modifiche
introdotte   dall'art.   1,   comma  325,  della  legge  n. 311/2004.
Violazione  e  falsa dell'art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004.
Eccesso   di   potere   per  ingiustizia  manifesta  ed  illogicita';
violazione  dell'art.  3  della  Costituzione;  eccesso di potere per
disparita' di trattamento.
   Il  provvedimento  impugnato  sarebbe illegittimo anche qualora lo
ius  superveniens  non  dovesse  essere considerando applicabile alle
fattispecie  di  astensione  obbligatoria  realizzatesi  prima  del 1
gennaio 2005.
   Nell'ipotesi  in  cui si dovesse persistere nel disconoscimento di
tale  indennita' alle donne magistrato, queste ultime continuerebbero
a  subire un trattamento diverso e deteriore rispetto alle dipendenti
amministrative.
   Queste  ultime,  alle  quali  l'indennita' in parola (istituita in
favore  del personale di magistratura di sesso femminile con la legge
n. 27/1981)  era  stata  estesa  con la legge 22 giugno 1988, n. 221,
fruirebbero,  infatti, di tale emolumento anche in caso di astensione
obbligatoria,  al contrario di quanto invece avviene per il personale
della magistratura.
   Paradossalmente, quindi, mentre i magistrati ordinari, per i quali
era  stata inizialmente fissata l'indennita', non percepirebbero tale
emolumento  in  caso di mancato effettivo svolgimento delle mansioni,
le   restanti   dipendenti   statali   non  sarebbero  soggetti  alla
limitazione retribuitiva.
   3)  Violazione  e  falsa  applicazione  dell'art. 3 della legge 19
febbraio  1981,  n. 27  sia  in  relazione  al  suo  testo previdente
rispetto  alle  modifiche  introdotte  dall'art.  1, comma 325, della
legge  n. 311/2004,  sia in relazione al testo attualmente in vigore;
eccesso   di   potere   per  ingiustizia  manifesta  ed  illogicita';
violazione  dell'art.  3  della  Costituzione;  eccesso di potere per
disparita' di trattamento.
   L'art.  3 della legge n. 27/1981 non impedirebbe, in virtu' di una
interpretazione  sistematica  della  normativa  e  di quanto previsto
dalla  contrattazione  collettiva, il riconoscimento della indennita'
giudiziaria nelle ipotesi di astensione facoltativa.
   Le   Amministrazioni  intimate  si  sono  costituite  in  giudizio
contestando  la fondatezza delle censure dedotte e concludendo per il
rigetto del ricorso.
   In  vista  dell'udienza  di  merito  la  ricorrente  ha depositato
memoria,   nella   quale,   ribadisce   la   richiesta   di  condanna
dell'Amministrazione  al pagamento dell'indennita' giudiziaria per il
periodo di astensione obbligatoria.
   Alla  udienza  pubblica  del  18  ottobre 2007, il difensore della
ricorrente  ha  insistito  per  l'accoglimento  del  ricorso  ed,  in
subordine,   perche'   questo   tribunale  investa  nuovamente  della
questione   di   legittimita'  delle  norme  in  argomento  la  Corte
costituzionale; la causa e' stata quindi trattenuta in decisione.
                            D i r i t t o
   Con   l'atto  introduttivo  del  giudizio,  la  ricorrente,  quale
magistrato  ordinario  in servizio presso al Procura della Repubblica
del  Tribunale  di  Milano,  ha  chiesto  che  fosse accertato il suo
diritto   alla   corresponsione   della  indennita'  giudiziaria  cui
all'articolo  3  della legge 19 febbraio 1981, n. 27, in relazione al
periodo di astensione usufruito ai sensi del d.lgs. n. 151/1001.
   L'interessata   a  sostegno  della  propria  istanza  richiama  la
disciplina  contenuta  nella  legge  22  giugno  1988, n. 221, che ha
riconosciuto  al  personale  amministrativo  dipendente dal Ministero
della  giustizia la corresponsione di un'analoga indennita' anche per
i  periodi di astensione obbligatoria ed invoca l'applicazione, quale
ius superveniens, dell'art.3 , comma 1, della legge 19 febbraio 1981,
n. 27   nel   testo   novellato   dall'art.   1,   comma  325,  della
legge finanziaria  30 dicembre 2004, n. 311, che estende al personale
di  magistratura  il  diritto  a percepire la predetta indennita' nei
periodi di astensione obbligatoria per maternita'.
   2.  -  In  via subordinata, sostiene la perdurante rilevanza della
questione  di  legittimita'  costituzionale oggetto dell'ordinanza 13
gennaio 2006, n. 10 con cui la Corte costituzionale, nel pronunciarsi
sull'incidente di costituzionalita' dell'art. 3, comma 1, della legge
19  febbraio  1981,  n. 27,  nella  parte  in  cui  si esclude(va) la
corresponsione  (durante  i  periodi  di  astensione obbligatoria dal
lavoro   per   maternita)  della  speciale  indennita'  dallo  stesso
istituita,  ha  ordinato  la  restituzione degli atti al Consiglio di
Stato   quale  giudice  a  quo,  affinche'  riesamini  la  perdurante
rilevanza  della questione alla luce della sopravvenuta modificazione
del  quadro  normativo  di  riferimento  e  proceda,  altresi',  alla
preliminare  valutazione  in  ordine  alla  applicabilita'  dello ius
superveniens   alle  fattispecie  sottoposte  all'esame  del  giudice
amministrativo.
   2.1.  -  L'esponente, con memoria depositata in vista dell'udienza
di merito, ha insistito per l'accoglimento del ricorso richiamando il
precedente  di  questa  sezione di cui alla sentenza 31 gennaio 2007,
n. 161,  ed  ha  prospettato, nell'ipotesi in cui questo Collegio non
dovesse  ritenere  applicabile al caso di specie lo ius superveniens,
l'opportunita'  di  una  nuova  remissione della questione alla Corte
costituzionale  sulla  base di quanto gia' rilevato da questa sezione
nella  ordinanza  24  ottobre  2005, n. 160 e di quanto osservato dal
Consiglio di Stato nella piu' recente ordinanza n. 2280/2007.
   3.  -  Premesso  quanto  sopra,  occorre verificare se nel caso di
specie  il  Collegio  possa  confermare  l'orientamento assunto nella
sentenza  31  gennaio  2007,  n. 161, in modo da poter riaffermare il
diritto   della   ricorrente  alla  corresponsione  della  indennita'
giudiziaria  per  il  periodo  di  astensione obbligatoria sulla base
della  nuova  disciplina introdotta dall'art 1,comma 325, della legge
finanziaria 30 dicembre 2004, n. 311.
   La   questione   non  puo'  essere  risolta  in  senso  favorevole
all'istante.
   3.1.  -  Sebbene  la  previsione  normativa  sopravvenuta  (che ha
eliminato   dal   novero   delle   ipotesi   di   non  corresponsione
dell'emolumento   stesso   i   periodi   di  astensione  obbligatoria
anzidetti)  appaia  in astratto favorevole all'odierna ricorrente, in
quanto  e'  stato rimosso l'ostacolo positivo al riconoscimento della
pretesa  dell'interessata,  tuttavia tale nuova disciplina, ad avviso
della sezione, non appare applicabile alle situazioni, come quella in
cui versa l'esponente, che si sono esaurite prima del 1 gennaio 2005,
data  di  entrata  in  vigore  della  norma  che  contiene  la  nuova
disciplina.
   3.2.  -  Al  riguardo  il Collegio deve, infatti, rilevare che non
sussistono i presupposti pacificamente riconosciuti in giurisprudenza
per l'applicazione retroattiva del nuovo regime.
   Invero,  come  osservato  di  recente dal Consiglio di Stato nella
ordinanza  di  rimessione  alla Corte costituzionale n. 2287/2007, la
novella,  di cui all'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004,
n. 311,  potrebbe  essere  interpretata come «una sorta di intervento
correttivo,   destinato   ad  uniformare  il  sistema  di  erogazione
dell'indennita'  in  questione e ad attenuare le stridenti differenze
tra   i  destinatari  dello  stesso»,  evidenziate  nella  precedente
ordinanza  di  rimessione  di  questa  sezione  n. 160/2005;  con  la
conseguenza che la ratio adeguatrice ai principi costituzionali, cosi
attribuibile   al   predetto   art.   1   della   legge  n. 311/2005;
giustificherebbe il carattere retroattivo del medesimo.
   Ma  un tale carattere poteva essere attribuito alla norma solo dal
legislatore, il quale avesse ritenuto l'originaria versione dell'art.
3  della legge n. 27/1981, in contrasto con i principi costituzionali
e,  come  tale, quindi da eliminare dall'ordinamento in occasione del
primo intervento correttivo.
   3.3.  -  Atteso,  pero',  che tale logica adeguatrice non e' stata
resa  esplicita dagli stessi conditores legis con l'attribuzione alla
disposizione  correttiva  dell'efficacia  retroattiva,  ad una simile
conclusione  non  puo'  pervenire  questo giudice attraverso una mera
attivita' ermeneutica, la quale, pur garantendo la conformita', messa
in dubbio dalle sopra menzionate ordinanze di rimessione, ai principi
costituzionali  della  normativa  precedente  alla  novella finirebbe
pero',  per  sostituirsi  allo  stesso legislatore, al quale soltanto
spetta  l'adozione  di disposizioni di interpretazione autentica, sia
di  norme innovative con efficacia retroattiva, idonee a disciplinare
con   efficacia   retroattiva  situazioni  pregresse,  in  deroga  al
principio, secondo cui la legge dispone per l'avvenire.
   4.  -  In proposito la ricorrente sostiene che, in mancanza di una
esplicita disposizione che statuisca la retroattivita' della norma in
parola, la modifica intervenuta con la legge finanziaria possa essere
considerata  come  norma  di interpretazione autentica e, quindi, con
efficacia retroattiva.
   La tesi non convince.
   Infatti,   su   un  piano  strettamente  logico  e  tecnico,  deve
affermarsi   che,   in   assenza  di  una  espressa  disposizione  di
retroattivita'   della   legge,   l'interprete,   dato  il  carattere
eccezionale  di  tale efficacia, possa ricavare la mens legis rivolta
ad  attuarla,  solo  sulla base della locuzione testuale della norma,
vale  a dire soltanto se il significato letterale non sia compatibile
con la normale destinazione della legge a disporre esclusivamente per
il  future. In altri termini l'eventuale deroga deve potersi desumere
in modo non equivoco da elementi obiettivi della norma.
   Quando,  invece,  tale  compatibilita'  sussite,  l'interprete  e'
tenuto  a  ritenere  osservati  e ad osservare egli stesso i principi
generali  sulla  legge,  orientando  l'interpretazione al rispetto di
tali principi.
   4.1.  - Nella specie, tuttavia non si ravvisano elementi precisi e
concordanti  dai  quali poter ricavare una deroga tacita al principio
di  irretroattivita'  della  legge di cui all'art. 11 delle preleggi;
posto  che  il  legislatore  si  e'  limitato  a  sostituira l'inciso
«assenza  obbligatoria  o  facoltativa  prevista negli articoli 4 e 7
della  legge  30 dicembre 1971, n. 1204» con il seguente: «astensione
facoltativa  prevista  dagli  artt.  23  e 47, commi 1 e 2, del testo
unico di cui al d.lgs. 16 marzo 2001, n. 151».
   4.2.  -  Inoltre  come  osservato  dal  Consiglio  di  Stato nella
ripetuta   ordinanza   n. 2287/2007,   il   carattere   di  norma  di
intepretazione autentica deve essere riconosciuto soltanto alle norme
dirette  a  chiarire  il  senso  di  quelle  preesistenti,  ovvero ad
escludere  o  ad  enucleare  uno dei sensi tra quelli ragionevolmente
ascrivibili  alle norme interpretate. (Cons. St., ad. plen., 24 marzo
2006,  n. 3);  «mentre,  nel  caso  di  specie  la nuova formulazione
dell'art.  3  della legge n. 27 del 1981 non rientra in nessuna delle
varianti  di  senso  compatibili  con il tenore letterale, escludendo
espressamente  la  degenza  dell'emolumento  nei  periodi  di assenza
obbligatoria per maternita' e puerperio».
   5.  - Ad ogni modo, proprio l'impossibilita' nel caso di specie di
estendere  i  benefici  introdotti  dalla  novella  in  favore  della
ricorrente,  induce  il Collegio a confermare i dubbi di legittimita'
costituzionale   gia'   espressi   nella   ordinanza   di  rimessione
n. 160/2005  (in  cui  la  questione  di  legittimita' costituzionale
ritenuta  non  manifestamente infondata da questo giudice ha funzione
strumentale  per  la decisone della controversia, quale mezzo ai fini
del  riconoscimento  del  diritto invocato dall'interessata) che, nel
riportare di seguito, il Collegio fa integralmente propri.
   6. - Quanto alla proponibilita' della questione:
   «Invero  il  Collegio  ritiene,  alla stregua delle considerazioni
appresso esposte, che anche la normativa di natura contrattuale possa
assurgere  a tertium comparationis nel sindacato di costituzionalita'
ai sensi dell'art. 3 della Costituzione.
   La  differente  regolamentazione del rapporto di lavoro tra le due
categorie  considerate  -  magistrati  e  personale  dirigente  delle
cancellerie e delle segreterie giudiziarie (contrattualizza la prima,
ma  non  la  seconda) - non consente di escludere la configurabilita'
della  prospettata  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione  e,
quindi, della denunciata disparita' di trattamento.
   La  diversa  natura  delle  fonti  normative  che  disciplinano il
rapporto di lavoro non impedisce il sindacato costituzionale circa la
compatibilita'   delle   differenze   riscontrate   nelle  condizioni
stabilite  dalla  legge  e  dal contratto collettivo con il principio
della  Carta  fondamentale  che  impone  (alla legge) di garantire il
medesimo trattamento a situazioni sostanziali identiche.
   Del  resto, qualora si volesse pervenire ad opposta conclusione si
impedirebbe,  irrazionalmente,  il  controllo di costituzionalita' su
una  disposizione  di  legge  che  esclude  il  riconoscimento  di un
diritto,  viceversa  riconosciuto,  a  parita'  di  situazioni  ,  ad
un'altra  categoria  di  dipendenti  da  un'altra  fonte  del diritto
addirittura  di  grado  inferiore  (perche' contenuta in un contratto
collettivo o in un regolamento) - consentendo una palese ingiustizia,
effetto   di   una   diversa  disciplina  di  situazione  sostanziali
identiche.
   Anche  qualora  si  volesse  negare  la  configurabilita'  di  una
disparita'  di  trattamento  tra  legge e contratto, non potrebbe, ad
ogni  modo,  negarsi  che,  per  effetto  dell'attribuzione  (con  il
contratto  collettivo)  al  personale  femminile  delle cancellerie e
delle  segreterie  giudiziarie del diritto all'indennita' giudiziaria
anche  nei  periodi  di  astensione  obbligatoria  per  maternita'  e
puerperio,  si  e'  venuto  a  configurare  un  diverso  assetto  del
trattamento economico delle lavoratrici madri alla predetta categoria
di  dipendenti, rispetto al quale l'art. 3, comma 1, della menzionata
legge  n. 27/1981  conserva,  per  le  donne  magistrato,  un  regime
giuridico  che appare ormai ingiustificatamente difforme e, pertanto,
in contrasto con le norme costituzionali».
   7.   -   Verificata   la   proponibilita'   della   questione   di
costituzionalita'   dell'art.   3  legge  n. 27/1981  per  violazione
dell'art. 3 della Costituzione, nei termini appena illustrati occorre
verificare   se   l'eccezione   nella   specie  formulata,  per  come
prospettata, sia gia' stata esaminata dalla Corte.
   «Il  Giudice  delle  leggi  e'  stato gia' chiamato a pronunciarsi
sulla legittimita' costituzionale dell'art. 3 legge n. 27/1981, sotto
tre distinti profili.
   Con  una  prima sentenza (n. 238 dell'8 maggio 1990) ha escluso la
sussistenza  della  denunciata  disparita' di trattamento delle donne
magistrato  rispetto  alla  generalita' delle dipendenti statali; con
una  seconda pronuncia (n. 407 del 24 dicembre 1996) e' stata esclusa
la  prospettata  disparita'  di  trattamento  delle  donne magistrato
obbligatoriamente  assenti  per  maternita' rispetto ai magistrati in
servizio  ed  e'  stata,  altresi',  riconosciuta  la  compatibilita'
dell'art.  3  legge  n. 27/1981  con  il  precetto costituzionale che
impone  un'adeguata protezione della lavoratrice madre (art. 37 della
Costituzione);  con un'altra decisione (n. 106 del 18 aprile 1997) e'
stata, infine, esclusa la sussistenza della disparita' di trattamento
tra   magistrati  donne  e  magistrati  uomini  e  della  prospettata
violazione delle norme costituzionali che prescrivono la tutela della
famiglia,  della  maternita'  e  dell'infanzia  (artt.  30 e 31 della
Costituzione».
   Non  risulta  che  la  Corte abbia mai esaminato la questione; nei
termini  in  cui  e'  stata  sopra  esposta; della sussistenza di una
disparita' di trattamento tra le donne magistrato e le dipendenti del
Ministero della giustizia addette alle cancellerie ed alle segreterie
giudiziarie.
   Il  Collegio ritiene, pertanto, che sussitano i presupposti per la
deliberazione   della   non  manifesta  infondatezza  della  predetta
questione  di  legittimita',  che, per come e' stata prospettata, non
risulta   essere  mai  stata  affrontata  e  risolta  dai  richiamati
precedenti della Corte.
   8.  -  Per  quanto  concerne,  infine,  la  valutazione  della non
manifesta infondatezza della questione:
     «In  punto  di  fatto  occorre  osservare che con l'art. 1 della
legge  n. 221/1988  e'  stata  estesa  al  personale  dirigente delle
cancellerie  e  delle  segreterie  giudiziarie  l'indennita'  di  cui
all'art.  3,  legge n. 27/1981 e che con l'art. 21, d.P.R. 17 gennaio
1190,  n. 44  (di  ricevimento  dell'accordo relativo al personale di
comparto Ministeri) e' stata prevista l'attribuzione alle lavoratrici
madre  in  astensione  obbligatoria  ai sensi dell'art. 4 della legge
n. 1204/1971   delle   «...  quote  di  salario  accessorio  fisse  e
ricorrenti alla professionalita' ed alla produttivita».
   L'art.  21  del  citato d.P.R. n. 44/1990 e' stata interpretato ed
applicato  dal  Ministero  della  giustizia  in modo da consentire la
elargizione  dell'indennita'  giudiziaria,  a  favore  delle  proprie
dipendenti  addette  alle  cancellerie  ed alle segreterie, anche nei
periodi  di  assenza  obbligatoria  per  maternita' e puerperio; tale
previsione  e'  stata  ribadita  nei  contratti  collettivi nazionali
successivi  del personale del comparto Ministeri, per cui risulta che
l'emolumento  controverso  attualmente venga regolarmente corrisposto
alla suddetta categoria di personale nei periodi considerati.
   Per   effetto,  quindi,  delle  sopra  richiamate  previsioni  dei
contratti    collettivi    (per    come   interpretate   ed   attuate
dall'amministrazione  della  giustizia),  le dipendenti del Ministero
della   giustizia   addette   alle  cancellerie  ed  alle  segreterie
giudiziarie  percepiscono  l'indennita'  di  cui  all'art.  3,  legge
n. 27/1981   anche   nei   periodi  di  astensione  obbligatoria  per
maternita'  e  puerperio,  mentre le donne magistrato, che si trovano
nella medesima situazione, non ricevono tal emolumento.
   Lo   stato   giuridico  delle  diverse  categorie  di  lavoratrici
considerate    non   presenta   differenza   tali   da   giustificare
l'attribuzione  ad una sola del diritto all'indennita' di giudiziaria
nei  periodi  di  astensione obbligatoria del lavoro per maternita' e
puerperio;  viceversa,  l'identita'  della ratio dell'attribuzione ad
entrambe  del  medesimo  emolumento  (riconducibile  all'esigenza  di
compensare   con   un'ulteriore   voce  «retributiva»  la  gravosita'
dell'impegno  connesso  all'esercizio dell'attivita' giudiziaria, cui
concorre  anche  il  personale  dirigente  delle  cancellerie e delle
segreterie)  conduce  ad  escludere  la compatibilita' di una diversa
disciplina dei relativi diritti tra categorie dipendenti omologhe, in
ordine   alla   attribuzione   dell'indennita   giudiziaria,  con  la
disposizione  costituzionale  (art.3) che esige la parita' la parita'
di trattamento di situazioni uguali.
   9.  -  Non  va  poi  sottaciuto  che  la normativa sopravvenuta ha
determinato  una ulteriore forma di discriminazione all'interno della
stessa   categoria   delle   donne  magistrato,  che  possono  godere
dell'indennita' giudiziaria solo se la maternita' si e' verificata in
data successiva rispetto all'entrata in vigore della norma stessa.
   10.  -  Quanto  permesso  induce,  pertanto, a ritenere fondato il
giudizio  di  persistente  rilevanza  e di non manifesta infondatezza
della  questione  della  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 3,
comma  1,  della  legge  n. 27/1981,  nella versione antecedente alle
modifiche  ad  esso  apportate dall'art. 1, comma 325, della legge 30
dicembre  2004, n. 311, nella parte in cui esclude la corresponsione,
durante  i  periodi  di  astensione  obbligatoria dal lavoro ai sensi
dell'art.  4  della  legge  30 dicembre 1971, n. 1024, della speciale
indennita'  dallo  stesso  istituita,  per  la violazione dell'art. 3
della  Costituzione,  in  relazione all'art. 21 del d.P.R. n. 44/1990
(da considerare quale tertium comparationis, unitamente alla uniforme
contrattazione collettiva successiva) ed in relazione, altresi', alla
nuova   disciplina   recata   dall'art.  3  medesimo  nella  versione
sopravvenuta.
   Ne  consegue  che  della  risoluzione  dell'anzidetta questione va
investita  la  Corte  costituzionale, con conseguente sospensione del
presente procedimento.