IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 782/2006 proposto da Albertini Bruna, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Capria ed Angelo Crisafulli, nello studio dei quali e' elettivamente domiciliata in Milano, via Manzoni n. 41/43; contro il Ministero della giustizia e il Ministero dell'economia e finanza, in persona dei rispettivi Ministri in carica, nonche' la Direzione provinciale del Tesoro di Milano, in persona del direttore pro tempore, rappresentati e difesi dalla Avvocatura distrettuale dello Stato, presso cui sono domiciliati ex lege in Milano, via Freguglia n. 1 per l'accertamento del diritto della ricorrente a vedersi corrispondere l'indennita' giudiziaria di cui all'art. 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 27, nei periodi di astensione obbligatoria e facoltativa previsti dagli artt. 16 e 32 del d.lgs 26 marzo 2001, n. 151; previo annullamento della nota del Ministero della giustizia prot. n. 11.139-11.219-8.185-8.660/MGG/I del 2 gennaio 2006, ricevuta dalla ricorrente in data 2 febbraio 2006, recante «istanza restituzione indennita' giudiziaria durante il periodo di congedo per maternita», nonche' di ogni altro in atto precedente, conseguente e comunque connesso; e per la condanna delle Amministrazioni residenti al pagamento delle relative somme dovute a titolo di indennita' giudiziaria, incrementate dagli interessi legali e rivalutazione monetaria, per il periodo dal 2 ottobre 2000 al 2 marzo 2001; e, conseguentemente, alla rideterminazione delle competenze spettanti alla ricorrente in virtu' del riconoscimento del diritto di cui trattasi; Visto e ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dei Ministeri della giustizia e dell'economia e delle finanze e della Direzione provinciale del Tesoro di Milano; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore alla pubblica udienza del 18 ottobre 2007 il ref. Vincenzo Blanda; Uditi, l'avv. Antonella Capria per la ricorrente ed, ai preliminari di udienza, l'avv. dello Stato Silvana Vanadio per le Amministrazioni residenti; Considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F a t t o La dr.ssa Alberini Bruna e' magistrato ordinario in servizio presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Milano. Il magistrato nel periodo dal 2 ottobre 2000 al 2 marzo 2001 ha fruito di astensione obbligatoria per maternita'. Alla ricorrente, durante l'astensione obbligatoria non e' stata corrisposta l'indennita' giudiziaria prevista dall'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27. Con istanza del 28 novembre 2005 l'interessata ha chiesto al Ministero della giustizia la restituzione delle somme trattenute corrispondenti alla indennita' giudiziaria ex articolo 3, comma 1, della legge n. 27/1981 limitatamente ai periodi trascorsi in assenza dal lavoro per astensione obbligatoria per maternita'. Il Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi, Direzione generale dei magistrati, Ufficio II, del Ministero della giustizia con nota prot. n. 11.139-11.219-8185-8660/MGG/I del 2 gennaio 2006 ha respinto l'istanza della ricorrente, sostenendo che «la modifica apportata dalla citata legge finanziaria attiene al solo congedo di maternita' e si applica a decorrere dall'entrata in vigore della legge stessa e cioe' dal 1° gennaio 2005 (art. 1, comma 572) con riferimento ai periodi di assenza dal servizio per tale causa, usufruiti a decorrere da tale data». L'interessata ha impugnato la suddetta nota svolgendo una breve premessa sullo stato attuale della questione, alla luce del recente intervento legislativo di cui all'art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004 (che ha modificato l'art. 3, comma 1, della legge 27/1981, prevedendo l'attribuzione della indennita' giudiziaria in relazione ai periodi di astensione obbligatoria per maternita) e alla ordinanza 13 gennaio 2006, n. 10 della Corte costituzionale che ha disposto la restituzione degli atti al Consiglio di Stato affinche' valuti l'applicabilita', sotto il profilo dello ius superveniens, della disposizione in esame ai giudizi pendenti innanzi a quel consesso (e per i quali era stata sollevata questione di legittimita' costituzionale con le ordinanze nn. 172, 173, 174, 175 e 176 del 2005). A sostegno del gravame l'interessata ha dedotto i seguenti motivi. 1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 come modificata dall'art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004. Violazione e falsa dell'art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004. Eccesso di potere per erronea interpretazione dei presupposti di fatto e di diritto, ingiustizia manifesta ed illogicita'; violazione dell'art. 3 della Costituzione; eccesso di potere per disparita' di trattamento. L'art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004 rivestirebbe valore di norma interpretativa con l'intento di risolvere gli adombrati dubbi di legittimita' costituzionale in ordine al diniego di attribuzione delle indennita' giudiziaria durante i periodi di astensione obbligatoria per maternita'. Sebbene nella norma della legge finanziaria non si preveda una esplicita applicazione retroattiva, tale efficacia potrebbe essere ricavata dalla ratio della disposizione. Nell'ipotesi in cui l'indennita' giudiziaria venisse corrisposta alle donne magistrato per i periodi di astensione obbligatoria fruiti soltanto dopo il 1 gennaio 2005 (negandolo a quelle che ne hanno goduto in passato), si verrebbe a determinare una ingiustificata disparita' di trattamento tra soggetti che si trovano nella medesima posizione giuridica soggettiva. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art.3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 nel suo testo previgente rispetto alle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004. Violazione e falsa dell'art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta ed illogicita'; violazione dell'art. 3 della Costituzione; eccesso di potere per disparita' di trattamento. Il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo anche qualora lo ius superveniens non dovesse essere considerando applicabile alle fattispecie di astensione obbligatoria realizzatesi prima del 1 gennaio 2005. Nell'ipotesi in cui si dovesse persistere nel disconoscimento di tale indennita' alle donne magistrato, queste ultime continuerebbero a subire un trattamento diverso e deteriore rispetto alle dipendenti amministrative. Queste ultime, alle quali l'indennita' in parola (istituita in favore del personale di magistratura di sesso femminile con la legge n. 27/1981) era stata estesa con la legge 22 giugno 1988, n. 221, fruirebbero, infatti, di tale emolumento anche in caso di astensione obbligatoria, al contrario di quanto invece avviene per il personale della magistratura. Paradossalmente, quindi, mentre i magistrati ordinari, per i quali era stata inizialmente fissata l'indennita', non percepirebbero tale emolumento in caso di mancato effettivo svolgimento delle mansioni, le restanti dipendenti statali non sarebbero soggetti alla limitazione retribuitiva. 3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 sia in relazione al suo testo previdente rispetto alle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004, sia in relazione al testo attualmente in vigore; eccesso di potere per ingiustizia manifesta ed illogicita'; violazione dell'art. 3 della Costituzione; eccesso di potere per disparita' di trattamento. L'art. 3 della legge n. 27/1981 non impedirebbe, in virtu' di una interpretazione sistematica della normativa e di quanto previsto dalla contrattazione collettiva, il riconoscimento della indennita' giudiziaria nelle ipotesi di astensione facoltativa. Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio contestando la fondatezza delle censure dedotte e concludendo per il rigetto del ricorso. In vista dell'udienza di merito la ricorrente ha depositato memoria, nella quale, ribadisce la richiesta di condanna dell'Amministrazione al pagamento dell'indennita' giudiziaria per il periodo di astensione obbligatoria. Alla udienza pubblica del 18 ottobre 2007, il difensore della ricorrente ha insistito per l'accoglimento del ricorso ed, in subordine, perche' questo tribunale investa nuovamente della questione di legittimita' delle norme in argomento la Corte costituzionale; la causa e' stata quindi trattenuta in decisione. D i r i t t o Con l'atto introduttivo del giudizio, la ricorrente, quale magistrato ordinario in servizio presso al Procura della Repubblica del Tribunale di Milano, ha chiesto che fosse accertato il suo diritto alla corresponsione della indennita' giudiziaria cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, in relazione al periodo di astensione usufruito ai sensi del d.lgs. n. 151/1001. L'interessata a sostegno della propria istanza richiama la disciplina contenuta nella legge 22 giugno 1988, n. 221, che ha riconosciuto al personale amministrativo dipendente dal Ministero della giustizia la corresponsione di un'analoga indennita' anche per i periodi di astensione obbligatoria ed invoca l'applicazione, quale ius superveniens, dell'art.3 , comma 1, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 nel testo novellato dall'art. 1, comma 325, della legge finanziaria 30 dicembre 2004, n. 311, che estende al personale di magistratura il diritto a percepire la predetta indennita' nei periodi di astensione obbligatoria per maternita'. 2. - In via subordinata, sostiene la perdurante rilevanza della questione di legittimita' costituzionale oggetto dell'ordinanza 13 gennaio 2006, n. 10 con cui la Corte costituzionale, nel pronunciarsi sull'incidente di costituzionalita' dell'art. 3, comma 1, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nella parte in cui si esclude(va) la corresponsione (durante i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternita) della speciale indennita' dallo stesso istituita, ha ordinato la restituzione degli atti al Consiglio di Stato quale giudice a quo, affinche' riesamini la perdurante rilevanza della questione alla luce della sopravvenuta modificazione del quadro normativo di riferimento e proceda, altresi', alla preliminare valutazione in ordine alla applicabilita' dello ius superveniens alle fattispecie sottoposte all'esame del giudice amministrativo. 2.1. - L'esponente, con memoria depositata in vista dell'udienza di merito, ha insistito per l'accoglimento del ricorso richiamando il precedente di questa sezione di cui alla sentenza 31 gennaio 2007, n. 161, ed ha prospettato, nell'ipotesi in cui questo Collegio non dovesse ritenere applicabile al caso di specie lo ius superveniens, l'opportunita' di una nuova remissione della questione alla Corte costituzionale sulla base di quanto gia' rilevato da questa sezione nella ordinanza 24 ottobre 2005, n. 160 e di quanto osservato dal Consiglio di Stato nella piu' recente ordinanza n. 2280/2007. 3. - Premesso quanto sopra, occorre verificare se nel caso di specie il Collegio possa confermare l'orientamento assunto nella sentenza 31 gennaio 2007, n. 161, in modo da poter riaffermare il diritto della ricorrente alla corresponsione della indennita' giudiziaria per il periodo di astensione obbligatoria sulla base della nuova disciplina introdotta dall'art 1,comma 325, della legge finanziaria 30 dicembre 2004, n. 311. La questione non puo' essere risolta in senso favorevole all'istante. 3.1. - Sebbene la previsione normativa sopravvenuta (che ha eliminato dal novero delle ipotesi di non corresponsione dell'emolumento stesso i periodi di astensione obbligatoria anzidetti) appaia in astratto favorevole all'odierna ricorrente, in quanto e' stato rimosso l'ostacolo positivo al riconoscimento della pretesa dell'interessata, tuttavia tale nuova disciplina, ad avviso della sezione, non appare applicabile alle situazioni, come quella in cui versa l'esponente, che si sono esaurite prima del 1 gennaio 2005, data di entrata in vigore della norma che contiene la nuova disciplina. 3.2. - Al riguardo il Collegio deve, infatti, rilevare che non sussistono i presupposti pacificamente riconosciuti in giurisprudenza per l'applicazione retroattiva del nuovo regime. Invero, come osservato di recente dal Consiglio di Stato nella ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale n. 2287/2007, la novella, di cui all'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, potrebbe essere interpretata come «una sorta di intervento correttivo, destinato ad uniformare il sistema di erogazione dell'indennita' in questione e ad attenuare le stridenti differenze tra i destinatari dello stesso», evidenziate nella precedente ordinanza di rimessione di questa sezione n. 160/2005; con la conseguenza che la ratio adeguatrice ai principi costituzionali, cosi attribuibile al predetto art. 1 della legge n. 311/2005; giustificherebbe il carattere retroattivo del medesimo. Ma un tale carattere poteva essere attribuito alla norma solo dal legislatore, il quale avesse ritenuto l'originaria versione dell'art. 3 della legge n. 27/1981, in contrasto con i principi costituzionali e, come tale, quindi da eliminare dall'ordinamento in occasione del primo intervento correttivo. 3.3. - Atteso, pero', che tale logica adeguatrice non e' stata resa esplicita dagli stessi conditores legis con l'attribuzione alla disposizione correttiva dell'efficacia retroattiva, ad una simile conclusione non puo' pervenire questo giudice attraverso una mera attivita' ermeneutica, la quale, pur garantendo la conformita', messa in dubbio dalle sopra menzionate ordinanze di rimessione, ai principi costituzionali della normativa precedente alla novella finirebbe pero', per sostituirsi allo stesso legislatore, al quale soltanto spetta l'adozione di disposizioni di interpretazione autentica, sia di norme innovative con efficacia retroattiva, idonee a disciplinare con efficacia retroattiva situazioni pregresse, in deroga al principio, secondo cui la legge dispone per l'avvenire. 4. - In proposito la ricorrente sostiene che, in mancanza di una esplicita disposizione che statuisca la retroattivita' della norma in parola, la modifica intervenuta con la legge finanziaria possa essere considerata come norma di interpretazione autentica e, quindi, con efficacia retroattiva. La tesi non convince. Infatti, su un piano strettamente logico e tecnico, deve affermarsi che, in assenza di una espressa disposizione di retroattivita' della legge, l'interprete, dato il carattere eccezionale di tale efficacia, possa ricavare la mens legis rivolta ad attuarla, solo sulla base della locuzione testuale della norma, vale a dire soltanto se il significato letterale non sia compatibile con la normale destinazione della legge a disporre esclusivamente per il future. In altri termini l'eventuale deroga deve potersi desumere in modo non equivoco da elementi obiettivi della norma. Quando, invece, tale compatibilita' sussite, l'interprete e' tenuto a ritenere osservati e ad osservare egli stesso i principi generali sulla legge, orientando l'interpretazione al rispetto di tali principi. 4.1. - Nella specie, tuttavia non si ravvisano elementi precisi e concordanti dai quali poter ricavare una deroga tacita al principio di irretroattivita' della legge di cui all'art. 11 delle preleggi; posto che il legislatore si e' limitato a sostituira l'inciso «assenza obbligatoria o facoltativa prevista negli articoli 4 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204» con il seguente: «astensione facoltativa prevista dagli artt. 23 e 47, commi 1 e 2, del testo unico di cui al d.lgs. 16 marzo 2001, n. 151». 4.2. - Inoltre come osservato dal Consiglio di Stato nella ripetuta ordinanza n. 2287/2007, il carattere di norma di intepretazione autentica deve essere riconosciuto soltanto alle norme dirette a chiarire il senso di quelle preesistenti, ovvero ad escludere o ad enucleare uno dei sensi tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle norme interpretate. (Cons. St., ad. plen., 24 marzo 2006, n. 3); «mentre, nel caso di specie la nuova formulazione dell'art. 3 della legge n. 27 del 1981 non rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale, escludendo espressamente la degenza dell'emolumento nei periodi di assenza obbligatoria per maternita' e puerperio». 5. - Ad ogni modo, proprio l'impossibilita' nel caso di specie di estendere i benefici introdotti dalla novella in favore della ricorrente, induce il Collegio a confermare i dubbi di legittimita' costituzionale gia' espressi nella ordinanza di rimessione n. 160/2005 (in cui la questione di legittimita' costituzionale ritenuta non manifestamente infondata da questo giudice ha funzione strumentale per la decisone della controversia, quale mezzo ai fini del riconoscimento del diritto invocato dall'interessata) che, nel riportare di seguito, il Collegio fa integralmente propri. 6. - Quanto alla proponibilita' della questione: «Invero il Collegio ritiene, alla stregua delle considerazioni appresso esposte, che anche la normativa di natura contrattuale possa assurgere a tertium comparationis nel sindacato di costituzionalita' ai sensi dell'art. 3 della Costituzione. La differente regolamentazione del rapporto di lavoro tra le due categorie considerate - magistrati e personale dirigente delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie (contrattualizza la prima, ma non la seconda) - non consente di escludere la configurabilita' della prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione e, quindi, della denunciata disparita' di trattamento. La diversa natura delle fonti normative che disciplinano il rapporto di lavoro non impedisce il sindacato costituzionale circa la compatibilita' delle differenze riscontrate nelle condizioni stabilite dalla legge e dal contratto collettivo con il principio della Carta fondamentale che impone (alla legge) di garantire il medesimo trattamento a situazioni sostanziali identiche. Del resto, qualora si volesse pervenire ad opposta conclusione si impedirebbe, irrazionalmente, il controllo di costituzionalita' su una disposizione di legge che esclude il riconoscimento di un diritto, viceversa riconosciuto, a parita' di situazioni , ad un'altra categoria di dipendenti da un'altra fonte del diritto addirittura di grado inferiore (perche' contenuta in un contratto collettivo o in un regolamento) - consentendo una palese ingiustizia, effetto di una diversa disciplina di situazione sostanziali identiche. Anche qualora si volesse negare la configurabilita' di una disparita' di trattamento tra legge e contratto, non potrebbe, ad ogni modo, negarsi che, per effetto dell'attribuzione (con il contratto collettivo) al personale femminile delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie del diritto all'indennita' giudiziaria anche nei periodi di astensione obbligatoria per maternita' e puerperio, si e' venuto a configurare un diverso assetto del trattamento economico delle lavoratrici madri alla predetta categoria di dipendenti, rispetto al quale l'art. 3, comma 1, della menzionata legge n. 27/1981 conserva, per le donne magistrato, un regime giuridico che appare ormai ingiustificatamente difforme e, pertanto, in contrasto con le norme costituzionali». 7. - Verificata la proponibilita' della questione di costituzionalita' dell'art. 3 legge n. 27/1981 per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nei termini appena illustrati occorre verificare se l'eccezione nella specie formulata, per come prospettata, sia gia' stata esaminata dalla Corte. «Il Giudice delle leggi e' stato gia' chiamato a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 3 legge n. 27/1981, sotto tre distinti profili. Con una prima sentenza (n. 238 dell'8 maggio 1990) ha escluso la sussistenza della denunciata disparita' di trattamento delle donne magistrato rispetto alla generalita' delle dipendenti statali; con una seconda pronuncia (n. 407 del 24 dicembre 1996) e' stata esclusa la prospettata disparita' di trattamento delle donne magistrato obbligatoriamente assenti per maternita' rispetto ai magistrati in servizio ed e' stata, altresi', riconosciuta la compatibilita' dell'art. 3 legge n. 27/1981 con il precetto costituzionale che impone un'adeguata protezione della lavoratrice madre (art. 37 della Costituzione); con un'altra decisione (n. 106 del 18 aprile 1997) e' stata, infine, esclusa la sussistenza della disparita' di trattamento tra magistrati donne e magistrati uomini e della prospettata violazione delle norme costituzionali che prescrivono la tutela della famiglia, della maternita' e dell'infanzia (artt. 30 e 31 della Costituzione». Non risulta che la Corte abbia mai esaminato la questione; nei termini in cui e' stata sopra esposta; della sussistenza di una disparita' di trattamento tra le donne magistrato e le dipendenti del Ministero della giustizia addette alle cancellerie ed alle segreterie giudiziarie. Il Collegio ritiene, pertanto, che sussitano i presupposti per la deliberazione della non manifesta infondatezza della predetta questione di legittimita', che, per come e' stata prospettata, non risulta essere mai stata affrontata e risolta dai richiamati precedenti della Corte. 8. - Per quanto concerne, infine, la valutazione della non manifesta infondatezza della questione: «In punto di fatto occorre osservare che con l'art. 1 della legge n. 221/1988 e' stata estesa al personale dirigente delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie l'indennita' di cui all'art. 3, legge n. 27/1981 e che con l'art. 21, d.P.R. 17 gennaio 1190, n. 44 (di ricevimento dell'accordo relativo al personale di comparto Ministeri) e' stata prevista l'attribuzione alle lavoratrici madre in astensione obbligatoria ai sensi dell'art. 4 della legge n. 1204/1971 delle «... quote di salario accessorio fisse e ricorrenti alla professionalita' ed alla produttivita». L'art. 21 del citato d.P.R. n. 44/1990 e' stata interpretato ed applicato dal Ministero della giustizia in modo da consentire la elargizione dell'indennita' giudiziaria, a favore delle proprie dipendenti addette alle cancellerie ed alle segreterie, anche nei periodi di assenza obbligatoria per maternita' e puerperio; tale previsione e' stata ribadita nei contratti collettivi nazionali successivi del personale del comparto Ministeri, per cui risulta che l'emolumento controverso attualmente venga regolarmente corrisposto alla suddetta categoria di personale nei periodi considerati. Per effetto, quindi, delle sopra richiamate previsioni dei contratti collettivi (per come interpretate ed attuate dall'amministrazione della giustizia), le dipendenti del Ministero della giustizia addette alle cancellerie ed alle segreterie giudiziarie percepiscono l'indennita' di cui all'art. 3, legge n. 27/1981 anche nei periodi di astensione obbligatoria per maternita' e puerperio, mentre le donne magistrato, che si trovano nella medesima situazione, non ricevono tal emolumento. Lo stato giuridico delle diverse categorie di lavoratrici considerate non presenta differenza tali da giustificare l'attribuzione ad una sola del diritto all'indennita' di giudiziaria nei periodi di astensione obbligatoria del lavoro per maternita' e puerperio; viceversa, l'identita' della ratio dell'attribuzione ad entrambe del medesimo emolumento (riconducibile all'esigenza di compensare con un'ulteriore voce «retributiva» la gravosita' dell'impegno connesso all'esercizio dell'attivita' giudiziaria, cui concorre anche il personale dirigente delle cancellerie e delle segreterie) conduce ad escludere la compatibilita' di una diversa disciplina dei relativi diritti tra categorie dipendenti omologhe, in ordine alla attribuzione dell'indennita giudiziaria, con la disposizione costituzionale (art.3) che esige la parita' la parita' di trattamento di situazioni uguali. 9. - Non va poi sottaciuto che la normativa sopravvenuta ha determinato una ulteriore forma di discriminazione all'interno della stessa categoria delle donne magistrato, che possono godere dell'indennita' giudiziaria solo se la maternita' si e' verificata in data successiva rispetto all'entrata in vigore della norma stessa. 10. - Quanto permesso induce, pertanto, a ritenere fondato il giudizio di persistente rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione della illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, della legge n. 27/1981, nella versione antecedente alle modifiche ad esso apportate dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nella parte in cui esclude la corresponsione, durante i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi dell'art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1024, della speciale indennita' dallo stesso istituita, per la violazione dell'art. 3 della Costituzione, in relazione all'art. 21 del d.P.R. n. 44/1990 (da considerare quale tertium comparationis, unitamente alla uniforme contrattazione collettiva successiva) ed in relazione, altresi', alla nuova disciplina recata dall'art. 3 medesimo nella versione sopravvenuta. Ne consegue che della risoluzione dell'anzidetta questione va investita la Corte costituzionale, con conseguente sospensione del presente procedimento.