IL TRIBUNALE Rilevato che con ricorso depositato in data 13 ottobre 2006 la sig.ra Mirella Rossi, premesso di essere stata esposta ad amianto durante l'attivita' lavorativa prestata come operaia alle dipendenze del Tubettificio Ligure S.p.A. (poi divenuto Tubettificio Europeo S.p.A. e poi ancora Aluplast s.c.a.r.l.) dal 22 gennaio 1962 al 13 gennaio 1992, conveniva in giudizio l'I.N.P.S. per sentirlo condannare alla rivalutazione del periodo lavorativo nel quale era stata esposta ad amianto mediante applicazione del coefficiente 1,5 ed alla conseguente ricostituzione della pensione; Rilevato che l'I.N.P.S. si costituiva in giudizio con memoria depositata in data 18 dicembre 2006, contestando la fondatezza delle domande e chiedendone pertanto la reiezione; Rilevato infine che, istruita la causa con l'escussione dei testi e l'espletamento di CTU ambientale, le parti hanno discusso in ordine alla disciplina applicabile alla fattispecie alla luce delle modifiche legislative introdotte dall'art. 47 d.l. n. 269/2003 e successive modifiche. O s s e r v a Deve innanzitutto rilevarsi che sulla base della documentazione in atti la sig. Mirella Rossi risulta aver lavorato alle dipendenze del Tubettificio Ligure S.p.A. dal 22 gennaio 1962 al 20 agosto 1974 e poi alle dipendenze di Aluplast s.c.a.r.l. (diversa denominazione sociale della medesima impresa) dal 9 marzo 1987 al 13 gennaio 1992. L'attivita' lavorativa della ricorrente nel periodo in questione risulta comunque provata dal libretto di lavoro, dalle dichiarazioni dei testi escussi e - quanto alla durata del rapporto di lavoro ed alla continuita' dell'attivita' lavorativa all'interno dei due periodi - dall'estratto contributivo in atti. Non e' in contestazione tra le parti che le lavorazioni cui la ricorrente era addetta e per le quali ha richiesto il beneficio contributivo fossero assoggettate all'assicurazione obbligatoria gestita dall' INAIL. Secondo le dichiarazioni testimoniali acquisite tutti gli operai lavoravano all'interno di un unico ed indiviso capannone e la ricorrente lavorava un po' su tutte le linee di produzione. Espletata CTU ai fini di accertare la quantita' di fibre di amianto cui e' stata esposta la ricorrente durante la sua vita lavorativa, il consulente ha concluso che l'attivita' lavorativa esaminata esponeva ad amianto in misura superiore a quella consentita dagli artt. 24 e 31, d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, dalla sua assunzione fino al 31 dicembre 1992. Tali conclusioni meritano di essere condivise, in quanto fondate su accurate valutazioni e sorrette da corretta ed esauriente motivazione, che deve intendersi qui integralmente trascritta. Si tratta di accertamento basato su specifiche e motivate presunzioni che consentono di ritenere dimostrata, sia pure in termini di probabilita' (ma probabilita' comunque qualificata e dunque idonea a consentire raggiunta la certezza giudiziale) l'esposizione ad amianto. Risulta dunque dimostrata l'esposizione lavorativa ad amianto della ricorrente per oltre 10 anni e precisamente dal 22 gennaio 1962 al 20 agosto 1974 e poi dal 9 marzo 1987 al 31 dicembre 1988 (dovendosi invece escludere l'ultimo periodo del rapporto di lavoro, in cui, come emerge dall'estratto contributivo in atti, a decorrere dal 1° gennaio 1989 la ricorrente e' rimasta ininterrottamente sospesa in cassa integrazione). Anche detraendo i tre periodi di assenza per maternita' pure risultanti dall'estratto contributivo in atti (14 settimane tra il 1967 e il 1968, 9 settimane nell'anno 1973 e 9 settimane nell'anno 1974), il periodo di esposizione ad amianto risulta dunque ultradecennale. Deve poi osservarsi l'infondatezza delle eccezioni sollevate dall'I.N.P.S. nella propria memoria di costituzione (eccezioni da qualificarsi come difese di diritto e dunque da esaminarsi comunque, nonostante che la memoria di costituzione del convenuto sia stata depositata in cancelleria soltanto il giorno prima dell'udienza). E' innanzitutto evidente la sussistenza dell'interesse ad agire della ricorrente, posto che, come documentato dal mod. TE08 in atti, la stessa e' titolare di pensione di vecchiaia a decorrere dal giugno 2005, a seguito del compimento del 60° anno di eta', e dunque l'accoglimento della domanda ha un' immediata ricaduta sulla misura del trattamento pensionistico. Per quanto riguarda la legittimazione passiva, deve richiamarsi il pacifico orientamento della Corte di cassazione, per cui «allorche' il lavoratore chieda in giudizio l'accertamento del diritto alla rivalutazione del periodo lavorativo nel quale e' stato esposto all'amianto, ai sensi dell'art. 13, ottavo comma, della legge n. 257 del 1992 (come modificato dall'art. 1, primo comma, del d.l. n. 169 del 1993, convertito con modificazioni nella legge n. 271 del 1993), l'unico soggetto legittimato a stare in giudizio e' l'ente previdenziale, che e' il solo soggetto tenuto ad operare la rivalutazione, atteso che la disposizione citata finalizza il beneficio dell'accredito figurativo ad una piu' rapida acquisizione dei requisiti contributivi utili per ottenere le prestazioni pensionistiche dell'assicurazione generale obbligatoria (e non all'attribuzione delle diverse prestazioni oggetto del regime assicurativo a carico dell'I.N.A.I.L.) e che, d'altronde, la stessa disposizione diversamente da quella contenuta nel settimo comma del medesimo art. 13 relativa ai lavoratori che abbiano contratto malattie professionali - non prescrive l'assolvimento di alcun incombente da parte dell'I.N.A.I.L. (quale la «documentazione» dell'avvenuta esposizione all'amianto); pertanto, se pure l'Istituto assicurativo sia intervenuto nel procedimento amministrativo (od anche in quello contenzioso) - nell'ambito di una domanda intesa all'attribuzione del predetto accredito contributivo - per attestare, quale soggetto fornito di specifica competenza tecnica, l'esposizione a rischio del lavoratore - cio' non comporta che il relativo accertamento (rilevante ai soli fini probatori) assuma carattere pregiudiziale e vincolante e valga a far assumere allo stesso Istituto la veste di soggetto passivo della domanda del lavoratore, non avendo la richiamata disciplina apportato alcuna innovazione rispetto al principio generale secondo cui la legittimazione alla causa e' connessa alla titolarita' del rapporto sostanziale» (Cass., 19 giugno 2002, n. 8937; nonche' Cass., 28 giugno 2001, n. 8859; Cass., 25 febbraio 2002, n. 2677; Cass., 11 luglio 2002, n. 10114; Cass., 9 dicembre 2002, n. 17528; Cass., 23 gennaio 2003, n. 997; Cass., 29 ottobre 2003, n. 16256). Non vi e' dubbio, dunque, che legittimato passivo nel presente giudizio sia unicamente l'I.N.P.S. Anche per quanto riguarda il preteso necessario requisito della perdita del posto di lavoro per effetto della dismissione dell'amianto, deve richiamarsi l'univoco orientamento della Corte di cassazione, per cui «in tema di benefici per i lavoratori esposti al rischio di asbestosi, come desumibile anche da quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 5 del 2000, destinatari del beneficio previsto dall'art. 13, comma ottavo, della legge n. 257 del 1992, sostituito dall'art. 1 del d.l. n. 169 del 1993, convertito nella legge n. 271 del 1993, non sono soltanto i lavoratori che abbiano perso o siano esposti al rischio di perdere il posto di lavoro in conseguenza della soppressione delle lavorazioni dell'amianto, ma anche i lavoratori che - quale che sia l'attivita' produttiva della impresa datrice di lavoro - abbiano subito una esposizione «qualificata» all'amianto per essere stati addetti per un periodo ultradecennale a lavorazioni aventi valori di rischio per esposizione a polveri di amianto superiori a quelli consentiti dagli artt. 24 e 31 del d.lgs. n. 277 del 1991. La legge, infatti, intende assicurare anche a questi soggetti la possibilita' di abbandonare anticipatamente il lavoro attribuendo loro un trattamento di favore analogo a quello accordato ai lavoratori di cave e miniere e ai lavoratori gia' riscontrati affetti da tecnopatia imputabile all'amianto, secondo quanto rispettivamente previsto nei commi sesto e settimo del citato art. 13 della legge n. 257 del 1992» (Cass., 27 febbraio 2002, n. 2926; Cass., 23 gennaio 2003, n. 997). Ne consegue che l'accoglimento della domanda non postula quale requisito essenziale l'essere stati dipendenti di un'azienda coinvolta in una crisi aziendale quale conseguenza dell'eliminazione dell'amianto. Resta dunque da esaminare se la disciplina applicabile alla fattispecie sia quella stabilita dall'art. 13, comma 8, legge n. 257/1992, come sostituito dall'art. 1, comma 1, d.l. n. 169/1993, convertito in legge n. 271/1993 (cosi come richiesto dal ricorrente in via principale) oppure quella successiva - e meno favorevole - introdotta dall'art. 47, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326. Dispone, infatti, l'art. 47, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326 (entrato in vigore il giorno 2 ottobre 2003) che «a decorrere dal 1° ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e' ridotto da 1,5 a 1,25. Con la stessa decorrenza, il predetto coefficiente moltiplicatore si applica ai soli fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime». La nuova normativa introduce dunque una disciplina meno vantaggiosa per gli assicurati sotto due distinti e concorrenti profili e cioe' sia perche' riduce da 1,5 a 1,25 il coefficiente di rivalutazione dei contributi maturati durante il periodo di esposizione ad amianto, sia perche' attribuisce rilevanza alla rivalutazione dei contributi ai soli fini dell'importo della pensione e non anche della maturazione del diritto a pensione. Ne consegue l'evidente rilevanza in causa della questione di legittimita' della norma che, come meglio si argomentera' infra, esclude l'applicabilita' alla posizione contributiva della ricorrente della disciplina stabilita dall'art. 13, comma 8, legge n. 257/1992, come sostituito dall'art. 1, comma 1, d.l n. 169/1993, convertito in legge n. 271/1993. Prosegue infatti l'art. 47, d.l. n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003 stabilendo che: «1. A decorrere dal 1° ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e' ridotto da 1,5 a 1,25. Con la stessa decorrenza, il predetto coefficiente moltiplicatore si applica ai soli fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai lavoratori a cui sono state rilasciate dall'I.N.A.I.L. le certificazioni relative all'esposizione all'amianto sulla base degli atti d'indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 3. Con la stessa decorrenza prevista al comma 1, i benefici di cui al comma 1, sono concessi esclusivamente ai lavoratori che, per un periodo non inferiore a dieci anni, sono stati esposti all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno. I predetti limiti non si applicano ai lavoratori per i quali sia stata accertata una malattia professionale a causa dell'esposizione all'amianto, ai sensi del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al punto decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124. 4. La sussistenza e la durata dell'esposizione all'amianto di cui al comma 3 sono accertate e certificate dall'I.N.A.I.L. 5. I lavoratori che intendano ottenere il riconoscimento dei benefici di cui al comma 1, compresi quelli a cui e' stata rilasciata certificazione dall'I.N.A.I.L. prima del 1° ottobre 2003, devono presentare domanda alla sede I.N.A.I.L. di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto agli stessi benefici. 6. Le modalita' di attuazione del presente articolo sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 6-bis. Sono comunque fatte salve le previgenti disposizioni per i lavoratori che abbiano gia' maturato, alla data di entrata in vigore del presente decreto, il diritto di trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, nonche' coloro che alla data di entrata in vigore del presente decreto, fruiscono dei trattamenti di mobilita', ovvero che abbiano definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento». Il successivo art. 3, comma 132, legge 27 dicembre 2003, n. 299 (legge finanziaria per l'anno 2004) ha peraltro stabilito che «in favore dei lavoratori che abbiano gia' maturato, alla data del 3 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data del 2 ottobre 2003. La disposizione di cui al primo periodo si applica anche a coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all'I.N.A.I.L. o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data. Restano salve le certficazioni gia' rilasciate dall'I.N.A.I.L. ...». L'art. 3, comma 132, legge 27 dicembre 2003, n. 299, pur presupponendo e richiamando la disciplina introdotta dall'art. 47, d.l. n. 269/2003, conv. in legge n. 326/2003, e' intervenuto ad escludere l'applicabilita' della nuova disciplina introdotta dall'art. 47, d.l. n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003, ad alcune ulteriori categorie di assicurati e precisamente: coloro che alla data del 2 ottobre 2003 avessero maturato il diritto a pensione (ai sensi dell'art. 47, comma 6-bis, eventualmente anche in forza della rivalutazione contributiva prevista dall'art. 13, comma 8, legge n. 257/1992); coloro che alla stessa data avessero presentato domanda di riconoscimento del beneficio derivante dall'esposizione ad amianto all'I.N.A.I.L. (o, secondo l'interpretazione della Corte di cassazione, anche all'I.N.P.S.); coloro che a tale data avessero comunque introdotto una controversia giudiziale poi conclusasi con sentenza favorevole al lavoratore. Tali categorie di assicurati vengono ad aggiungersi alle categorie gia' escluse dall'art. 47 (ovvero a coloro che alla data del 2 ottobre 2003 fruissero dei trattamenti di mobilita' e a coloro che a tale data avessero gia' definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento). La lettura della norma nel senso sopra indicato e' imposta dal tenore testuale della disposizione e dall'interpretazione sistematica alla luce della normativa precedente. Non puo' quindi condividersi l'interpretazione secondo cui il fatto costitutivo del diritto del lavoratore di ottenere i benefici per cui e' causa sarebbe l'esposizione ad amianto e dunque le norme citate avrebbero inteso fare salva l'applicazione della disciplina previgente indistintamente a tutti coloro che fossero stati esposti ad amianto prima del 2 ottobre 2003. Si tratta di una lettura sostanzialmente abrogante della riforma sia poiche' sembra ben difficile, per non dire impossibile, che dopo l'ottobre 2003 possa ancora verificarsi un'esposizione ultradecennale ad amianto, con le caratteristiche di intensita' richieste dalla legge, sia perche' se il legislatore avesse realmente inteso mantenere ferma la disciplina previgente per tutti coloro che erano stati esposti ad amianto prima del 2 ottobre 2003 si sarebbe espresso esattamente e semplicemente in questi termini, senza identificare (e poi ulteriormente precisare) alcune specifiche categorie di lavoratori escluse dalla nuova disciplina. In ogni caso l'interpretazione qui accolta rappresenta il diritto vivente, essendo stata piu' volte ribadita dalla Corte di cassazione. Secondo la suprema Corte, infatti, «in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all'amianto, l'art. 3, comma centotrentadue, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, che - con riferimento alla nuova disciplina introdotta dall'art. 47, comma primo, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326) - ha fatto salva l'applicabilita' della precedente disciplina, di cui all'art. 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano gia' maturato il diritto ai benefici previdenziali in base a tale ultima disposizione, o abbiano avanzato domanda di riconoscimento all'I.N.A.I.L. od ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la medesima data, va interpretato nel senso che: a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione; b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l'accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva» (Cass., 18 novembre 2004, n. 21862; Cass., 15 luglio 2005, n. 15008; Cass., 11 luglio 2006, n. 15679). Afferma la Corte di cassazione che «le ragioni dell'opzione interpretativa poggiano fondamentalmente sulle considerazioni che la rivalutazione contributiva non rappresenta una prestazione previdenziale autonoma, ma determina i contenuti del diritto alla pensione; che, nel regime precedente, non era prevista una domanda amministrativa per far accertare il diritto alla rivalutazione dei contributi previdenziali per effetto di esposizione all'amianto; che il legislatore ha espresso l'intento, ricostruito secondo una interpretazione orientata dal principio costituzionale di ragionevolezza, di escludere l'applicazione della nuova disciplina «anche» per coloro che comunque avessero gia' avviato una procedura amministrativa per l'accertamento dell'esposizione all'amianto (non solo mediante domande rivolte all'Inail, ma anche e soprattutto all'Inps quale parte del rapporto previdenziale), ovvero un procedimento giudiziale, restando pero' esclusi, tra questi ultimi, quelli per i quali il giudizio sia stato definito con il rigetto della domanda, potendo costoro eventualmente giovarsi della nuova disciplina nella parte in cui «estende» il beneficio (vedi comma 6-bis dell'art. 47 cit.), come, del resto, tale facolta' e' riconosciuta anche ai soggetti per i quali opera la salvezza della precedente normativa, atteso che tale salvezza e' stata disposta esclusivamente in loro «favore» (Cass., 18 novembre 2004, n. 21862). In questo contesto viene ad inserirsi il decreto interministeriale del 27 ottobre 2004, emanato in attuazione del sesto comma dello stesso art. 47. Tale decreto non si limita peraltro a disciplinare le modalita' di esecuzione della legge, ma introduce norme ulteriormente restrittive della platea di lavoratori ancora assoggettati al regime riconducibile alla legge n 257/1992. Il d.m. 27 ottobre 2004 prevede, infatti, all'articolo 1, comma 2 che «ai lavoratori che sono stati esposti all'amianto per periodi lavorativi soggetti all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, gestita dall'I.N.A.I.L., che abbiano gia' maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, si applica la disciplina previgente alla medesima data, fermo restando, qualora non abbiano gia' provveduto, l'obbligo di presentazione della domanda di cui all'art. 3 entro il termine di 180 giorni, a pena di decadenza, dalla data di entrata in vigore del presente decreto». Anche l'I.N.P.S., con propria circolare del 15 aprile 2005, n. 58, include tra i destinatari della disciplina di cui alla legge n. 257/1992 tutti i lavoratori che abbiano svolto attivita' lavorativa con esposizione ultradecennale all'amianto prima del 2 ottobre 2003, alla sola condizione che gli stessi abbiano poi provveduto a presentare domanda di certificazione all'I.N.A.I.L. entro il 15 giugno 2005. Nello stesso senso si era gia' espresso l'I.N.A.I.L. con circolare del 29 dicembre 2004, n. 90. Si tratta di disposizioni che si pongono in netto contrasto con la disciplina di legge, cosi' come interpretata dalla Corte di cassazione, e dunque con una fonte di legge gerarchicamente sovraordinata. Il d.m. 27 ottobre 2004, in quanto in contrasto sul punto con la disciplina di legge, deve dunque essere disapplicato. In realta' il decreto ministeriale, cosi' come le circolari dei due istituti previdenziali, si fanno carico, pur non essendo, come detto, a cio' autorizzati, di porre rimedio a quella che - ad avviso del giudicante - pare essere una irragionevole disparita' di trattamento. E' pur vero che la Corte costituzionale ha piu' volte affermato il principio per cui «l'art. 38 Cost. non esclude la possibilita' di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante» (Corte cost. n. 822/1988; 243/1993; 240/1994; 361/1996; ord. n. 227/2002). E' anche vero che «il divieto di retro attivita' della legge - pur costituendo fondamentale valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore deve, in linea di principio, attenersi - non e' stato elevato e dignita' costituzionale, salva la previsione dell'art. 25 Cost. relativo alla materia penale. Ne consegue che il legislatore ordinario, nel rispetto di tale limite, puo' emanare norme retroattive purche' esse trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti cosi' da incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti» (Corte cost., 9 ottobre 2000, n. 419). Nella specie, peraltro, la perdurante del piu' favorevole regime previgente e' condizionata o alla maturazione, prima del 2 ottobre 2003, del diritto a pensione (ed in questo caso l'elemento cui e' ancorato il diverso trattamento sembra del tutto ragionevole) o alla presentazione, prima della medesima data, di una qualsiasi domanda amministrativa per il riconoscimento del beneficio in questione. Come peraltro gia' evidenziato in precedenza, secondo la pacifica giurisprudenza della suprema Corte la rivalutazione contributiva per cui e' causa non rappresenta una prestazione previdenziale autonoma, ma determina i contenuti del diritto alla pensione. Nel regime precedente non era conseguentemente prevista la necessita' di alcuna domanda amministrativa per far accertare il diritto alla rivalutazione dei contributi previdenziali per effetto dell'esposizione all'amianto (Cass., 18 novembre 2004, n. 21862; Cass., 15 luglio 2005, n. 15008). Proprio per questo motivo l'Istituto previdenziale, una volta accertata l'esposizione ad amianto del lavoratore, provvede pacificamente alla ricostituzione della pensione fin dalla originaria decorrenza del beneficio. Sembra dunque fondatamente potersi dubitare della ragionevolezza e della giustificatezza della disparita' di trattamento stabilita dalla legge in ragione di un atto - la presentazione della domanda - che non soltanto non rientra in alcun modo tra gli elementi costitutivi del beneficio disciplinato, ma neppure ne condiziona il riconoscimento. Si aggiunga che, non essendo richiesta in precedenza alcuna domanda amministrativa, collegare l'applicazione della nuova meno favorevole disciplina alla omessa presentazione di una domanda, che l'interessato non aveva alcun onere di presentare (e tanto meno di presentare con molto anticipo sulla data di maturazione del trattamento pensionistico) significa di fatto introdurre un termine di decadenza con effetto retroattivo. Nella specie la ricorrente alla data del 2 ottobre 2003 non aveva certamente maturato il diritto a pensione (essendo ben lontana dal raggiungimento dei 35 anni di contributi ed avendo poi avuto accesso al pensionamento di vecchiaia, in ragione dell'eta). La ricorrente ha poi presentato domanda per il riconoscimento dei benefici di cui alla legge n. 271/1993 per la prima volta all'I.N.A.I.L. in data 15 giugno 2005. Quindi, sulla base della interpretazione della legge, quale resa necessaria dall'interpretazione letterale e sistematica e comunque da considerarsi diritto vivente alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione, alla ricorrente si applica la disciplina introdotta dall'art. 47, d.l. n. 269/ 2003, convertito in legge n. 326/2003. A fronte di una collega con pari esposizione ad amianto e pari anzianita' contributiva (ovvero in identica situazione per quanto riguarda gli elementi rilevanti ai fini della maturazione del beneficio e della tutela previdenziale da accordarsi), ma che in ipotesi abbia presentato domanda all'I.N.A.I.L. prima del 2 ottobre 2003, la ricorrente - per il solo fatto di non aver presentato una domanda che non era tenuta a presentare - si vede dunque riconoscere una minore rivalutazione del medesimo periodo di esposizione ad amianto. Di qui la rilevanza della questione. Ritiene pertanto il giudicante che, attesi i motivi sopra esposti, debba ravvisarsi la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale - in riferimento all'art. 3 Cost. - del combinato disposto dell'art. 3, comma 132, legge 27 dicembre 2003, n. 299 e dell'art. 47, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui dette norme escludono dall'applicazione della disciplina previgente a quella introdotta dall'art. 47, comma 1, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, coloro che prima del 2 ottobre 2003 non abbiano presentato domanda amministrativa di riconoscimento dei benefici previsti dall'art. 13, comma 8, legge n. 257/1992, come sostituito dall'art. 1, comma 1, d.l. n. 169/1993, convertito in legge n. 271/1993 pur avendo poi presentato domanda nel termine decadenziale previsto dal citato art. 47.