IL TRIBUNALE
   Rilevato  che  con  ricorso  depositato in data 13 ottobre 2006 la
sig.ra  Mirella  Rossi,  premesso  di essere stata esposta ad amianto
durante  l'attivita' lavorativa prestata come operaia alle dipendenze
del  Tubettificio  Ligure  S.p.A.  (poi divenuto Tubettificio Europeo
S.p.A.  e  poi  ancora Aluplast s.c.a.r.l.) dal 22 gennaio 1962 al 13
gennaio   1992,   conveniva   in  giudizio  l'I.N.P.S.  per  sentirlo
condannare  alla  rivalutazione  del periodo lavorativo nel quale era
stata  esposta  ad amianto mediante applicazione del coefficiente 1,5
ed alla conseguente ricostituzione della pensione;
   Rilevato  che  l'I.N.P.S.  si  costituiva  in giudizio con memoria
depositata  in data 18 dicembre 2006, contestando la fondatezza delle
domande e chiedendone pertanto la reiezione;
   Rilevato  infine che, istruita la causa con l'escussione dei testi
e l'espletamento di CTU ambientale, le parti hanno discusso in ordine
alla   disciplina   applicabile  alla  fattispecie  alla  luce  delle
modifiche  legislative  introdotte  dall'art.  47  d.l. n. 269/2003 e
successive modifiche.
                            O s s e r v a
   Deve innanzitutto rilevarsi che sulla base della documentazione in
atti  la sig. Mirella Rossi risulta aver lavorato alle dipendenze del
Tubettificio  Ligure  S.p.A.  dal 22 gennaio 1962 al 20 agosto 1974 e
poi  alle  dipendenze  di  Aluplast s.c.a.r.l. (diversa denominazione
sociale della medesima impresa) dal 9 marzo 1987 al 13 gennaio 1992.
   L'attivita'  lavorativa  della ricorrente nel periodo in questione
risulta  comunque provata dal libretto di lavoro, dalle dichiarazioni
dei  testi  escussi  e - quanto alla durata del rapporto di lavoro ed
alla   continuita'  dell'attivita'  lavorativa  all'interno  dei  due
periodi - dall'estratto contributivo in atti.
   Non  e'  in  contestazione  tra le parti che le lavorazioni cui la
ricorrente  era  addetta  e  per  le  quali ha richiesto il beneficio
contributivo   fossero  assoggettate  all'assicurazione  obbligatoria
gestita dall' INAIL.
   Secondo  le  dichiarazioni testimoniali acquisite tutti gli operai
lavoravano  all'interno  di  un  unico  ed  indiviso  capannone  e la
ricorrente lavorava un po' su tutte le linee di produzione.
   Espletata  CTU  ai  fini  di  accertare  la  quantita' di fibre di
amianto  cui  e'  stata  esposta  la  ricorrente  durante la sua vita
lavorativa,  il  consulente  ha  concluso  che l'attivita' lavorativa
esaminata esponeva ad amianto in misura superiore a quella consentita
dagli  artt.  24  e  31,  d.lgs.  15  agosto  1991, n. 277, dalla sua
assunzione fino al 31 dicembre 1992.
   Tali  conclusioni  meritano di essere condivise, in quanto fondate
su   accurate  valutazioni  e  sorrette  da  corretta  ed  esauriente
motivazione, che deve intendersi qui integralmente trascritta.
   Si   tratta  di  accertamento  basato  su  specifiche  e  motivate
presunzioni  che  consentono  di  ritenere  dimostrata,  sia  pure in
termini  di  probabilita'  (ma  probabilita'  comunque  qualificata e
dunque   idonea   a  consentire  raggiunta  la  certezza  giudiziale)
l'esposizione ad amianto.
   Risulta  dunque  dimostrata  l'esposizione  lavorativa  ad amianto
della ricorrente per oltre 10 anni e precisamente dal 22 gennaio 1962
al  20  agosto  1974  e  poi  dal  9  marzo  1987 al 31 dicembre 1988
(dovendosi  invece escludere l'ultimo periodo del rapporto di lavoro,
in  cui,  come emerge dall'estratto contributivo in atti, a decorrere
dal  1°  gennaio  1989  la  ricorrente  e'  rimasta ininterrottamente
sospesa in cassa integrazione).
   Anche  detraendo  i  tre  periodi  di  assenza per maternita' pure
risultanti  dall'estratto  contributivo  in atti (14 settimane tra il
1967  e  il  1968, 9 settimane nell'anno 1973 e 9 settimane nell'anno
1974),   il   periodo   di  esposizione  ad  amianto  risulta  dunque
ultradecennale.
   Deve  poi  osservarsi  l'infondatezza  delle  eccezioni  sollevate
dall'I.N.P.S.  nella  propria  memoria  di costituzione (eccezioni da
qualificarsi  come difese di diritto e dunque da esaminarsi comunque,
nonostante  che  la  memoria  di costituzione del convenuto sia stata
depositata in cancelleria soltanto il giorno prima dell'udienza).
   E'  innanzitutto  evidente  la sussistenza dell'interesse ad agire
della  ricorrente, posto che, come documentato dal mod. TE08 in atti,
la stessa e' titolare di pensione di vecchiaia a decorrere dal giugno
2005,  a  seguito  del  compimento  del  60°  anno  di eta', e dunque
l'accoglimento  della  domanda ha un' immediata ricaduta sulla misura
del trattamento pensionistico.
   Per quanto riguarda la legittimazione passiva, deve richiamarsi il
pacifico  orientamento  della Corte di cassazione, per cui «allorche'
il  lavoratore  chieda  in  giudizio  l'accertamento del diritto alla
rivalutazione  del  periodo  lavorativo  nel  quale  e' stato esposto
all'amianto,  ai sensi dell'art. 13, ottavo comma, della legge n. 257
del  1992  (come modificato dall'art. 1, primo comma, del d.l. n. 169
del  1993, convertito con modificazioni nella legge n. 271 del 1993),
l'unico   soggetto   legittimato   a  stare  in  giudizio  e'  l'ente
previdenziale,   che  e'  il  solo  soggetto  tenuto  ad  operare  la
rivalutazione,   atteso  che  la  disposizione  citata  finalizza  il
beneficio  dell'accredito  figurativo ad una piu' rapida acquisizione
dei   requisiti   contributivi  utili  per  ottenere  le  prestazioni
pensionistiche   dell'assicurazione   generale  obbligatoria  (e  non
all'attribuzione   delle   diverse  prestazioni  oggetto  del  regime
assicurativo  a  carico dell'I.N.A.I.L.) e che, d'altronde, la stessa
disposizione  diversamente  da quella contenuta nel settimo comma del
medesimo  art.  13  relativa  ai  lavoratori  che  abbiano  contratto
malattie  professionali  -  non  prescrive  l'assolvimento  di  alcun
incombente   da  parte  dell'I.N.A.I.L.  (quale  la  «documentazione»
dell'avvenuta  esposizione all'amianto); pertanto, se pure l'Istituto
assicurativo  sia  intervenuto  nel  procedimento  amministrativo (od
anche  in  quello  contenzioso)  -  nell'ambito di una domanda intesa
all'attribuzione del predetto accredito contributivo - per attestare,
quale soggetto fornito di specifica competenza tecnica, l'esposizione
a  rischio  del  lavoratore  -  cio'  non  comporta  che  il relativo
accertamento  (rilevante  ai  soli  fini  probatori) assuma carattere
pregiudiziale  e  vincolante  e  valga  a  far  assumere  allo stesso
Istituto  la  veste di soggetto passivo della domanda del lavoratore,
non  avendo  la  richiamata  disciplina  apportato alcuna innovazione
rispetto  al  principio  generale  secondo cui la legittimazione alla
causa  e' connessa alla titolarita' del rapporto sostanziale» (Cass.,
19  giugno  2002,  n. 8937;  nonche'  Cass., 28 giugno 2001, n. 8859;
Cass.,  25  febbraio  2002, n. 2677; Cass., 11 luglio 2002, n. 10114;
Cass.,  9  dicembre  2002,  n. 17528; Cass., 23 gennaio 2003, n. 997;
Cass., 29 ottobre 2003, n. 16256).
   Non  vi  e'  dubbio,  dunque, che legittimato passivo nel presente
giudizio sia unicamente l'I.N.P.S.
   Anche  per  quanto  riguarda il preteso necessario requisito della
perdita   del   posto   di   lavoro  per  effetto  della  dismissione
dell'amianto,  deve richiamarsi l'univoco orientamento della Corte di
cassazione,  per cui «in tema di benefici per i lavoratori esposti al
rischio di asbestosi, come desumibile anche da quanto affermato dalla
Corte  costituzionale  nella  sentenza n. 5 del 2000, destinatari del
beneficio previsto dall'art. 13, comma ottavo, della legge n. 257 del
1992,  sostituito  dall'art.  1  del d.l. n. 169 del 1993, convertito
nella  legge  n. 271  del  1993,  non  sono soltanto i lavoratori che
abbiano  perso  o  siano  esposti  al  rischio di perdere il posto di
lavoro   in   conseguenza   della   soppressione   delle  lavorazioni
dell'amianto,  ma  anche i lavoratori che - quale che sia l'attivita'
produttiva  della  impresa  datrice  di  lavoro  - abbiano subito una
esposizione «qualificata» all'amianto per essere stati addetti per un
periodo  ultradecennale  a  lavorazioni  aventi valori di rischio per
esposizione  a polveri di amianto superiori a quelli consentiti dagli
artt.  24 e 31 del d.lgs. n. 277 del 1991. La legge, infatti, intende
assicurare  anche  a  questi  soggetti la possibilita' di abbandonare
anticipatamente  il  lavoro attribuendo loro un trattamento di favore
analogo  a  quello  accordato  ai  lavoratori  di cave e miniere e ai
lavoratori   gia'   riscontrati   affetti  da  tecnopatia  imputabile
all'amianto,  secondo quanto rispettivamente previsto nei commi sesto
e  settimo del citato art. 13 della legge n. 257 del 1992» (Cass., 27
febbraio 2002, n. 2926; Cass., 23 gennaio 2003, n. 997).
   Ne  consegue  che  l'accoglimento  della domanda non postula quale
requisito   essenziale   l'essere   stati  dipendenti  di  un'azienda
coinvolta  in una crisi aziendale quale conseguenza dell'eliminazione
dell'amianto.
   Resta  dunque  da  esaminare  se  la  disciplina  applicabile alla
fattispecie  sia  quella  stabilita  dall'art.  13,  comma  8,  legge
n. 257/1992,  come sostituito dall'art. 1, comma 1, d.l. n. 169/1993,
convertito  in  legge n. 271/1993 (cosi come richiesto dal ricorrente
in  via  principale)  oppure  quella successiva - e meno favorevole -
introdotta  dall'art. 47, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito,
con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326.
   Dispone,  infatti,  l'art.  47,  d.l.  30  settembre 2003, n. 269,
convertito,  con  modificazioni,  in  legge  24 novembre 2003, n. 326
(entrato  in vigore il giorno 2 ottobre 2003) che «a decorrere dal 1°
ottobre  2003,  il  coefficiente stabilito dall'articolo 13, comma 8,
della  legge  27 marzo 1992, n. 257, e' ridotto da 1,5 a 1,25. Con la
stessa decorrenza, il predetto coefficiente moltiplicatore si applica
ai  soli  fini  della  determinazione  dell'importo delle prestazioni
pensionistiche  e  non  della maturazione del diritto di accesso alle
medesime».
   La   nuova   normativa   introduce   dunque  una  disciplina  meno
vantaggiosa  per  gli  assicurati  sotto  due  distinti e concorrenti
profili  e  cioe' sia perche' riduce da 1,5 a 1,25 il coefficiente di
rivalutazione   dei   contributi   maturati  durante  il  periodo  di
esposizione  ad  amianto,  sia  perche'  attribuisce  rilevanza  alla
rivalutazione dei contributi ai soli fini dell'importo della pensione
e non anche della maturazione del diritto a pensione.
   Ne  consegue  l'evidente  rilevanza  in  causa  della questione di
legittimita'  della  norma  che,  come  meglio si argomentera' infra,
esclude l'applicabilita' alla posizione contributiva della ricorrente
della  disciplina stabilita dall'art. 13, comma 8, legge n. 257/1992,
come  sostituito dall'art. 1, comma 1, d.l n. 169/1993, convertito in
legge n. 271/1993.
   Prosegue  infatti l'art. 47, d.l. n. 269/2003, convertito in legge
n. 326/2003 stabilendo che:
     «1.  A  decorrere dal 1° ottobre 2003, il coefficiente stabilito
dall'articolo  13,  comma  8,  della  legge 27 marzo 1992, n. 257, e'
ridotto  da  1,5  a  1,25.  Con  la  stessa  decorrenza,  il predetto
coefficiente   moltiplicatore   si   applica   ai   soli  fini  della
determinazione  dell'importo  delle  prestazioni pensionistiche e non
della maturazione del diritto di accesso alle medesime.
     2.  Le  disposizioni  di  cui  al  comma 1 si applicano anche ai
lavoratori   a   cui   sono   state   rilasciate  dall'I.N.A.I.L.  le
certificazioni  relative all'esposizione all'amianto sulla base degli
atti  d'indirizzo  emanati  sulla  materia dal Ministero del lavoro e
delle  politiche  sociali  antecedentemente  alla  data di entrata in
vigore del presente decreto.
     3.  Con  la stessa decorrenza prevista al comma 1, i benefici di
cui  al  comma 1, sono concessi esclusivamente ai lavoratori che, per
un periodo non inferiore a dieci anni, sono stati esposti all'amianto
in  concentrazione  media  annua non inferiore a 100 fibre/litro come
valore  medio  su  otto  ore  al  giorno.  I  predetti  limiti non si
applicano  ai lavoratori per i quali sia stata accertata una malattia
professionale  a  causa  dell'esposizione  all'amianto,  ai sensi del
testo  unico  delle  disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria
contro  gli  infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui
al  punto  decreto  del  Presidente  della Repubblica 30 giugno 1965,
n. 1124.
     4.  La  sussistenza  e la durata dell'esposizione all'amianto di
cui al comma 3 sono accertate e certificate dall'I.N.A.I.L.
     5.  I  lavoratori  che  intendano ottenere il riconoscimento dei
benefici di cui al comma 1, compresi quelli a cui e' stata rilasciata
certificazione  dall'I.N.A.I.L.  prima  del  1°  ottobre 2003, devono
presentare domanda alla sede I.N.A.I.L. di residenza entro 180 giorni
dalla  data  di  pubblicazione  nella  Gazzetta Ufficiale del decreto
interministeriale  di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto
agli stessi benefici.
     6.  Le  modalita'  di  attuazione  del  presente  articolo  sono
stabilite  con  decreto  del  Ministro  del  lavoro e delle politiche
sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da
emanare  entro  sessanta  giorni  dalla data di entrata in vigore del
presente decreto.
     6-bis.  Sono comunque fatte salve le previgenti disposizioni per
i  lavoratori  che  abbiano  gia'  maturato,  alla data di entrata in
vigore  del presente decreto, il diritto di trattamento pensionistico
anche in base ai benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma
8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, nonche' coloro che alla data di
entrata  in vigore del presente decreto, fruiscono dei trattamenti di
mobilita', ovvero che abbiano definito la risoluzione del rapporto di
lavoro in relazione alla domanda di pensionamento».
   Il  successivo  art.  3, comma 132, legge 27 dicembre 2003, n. 299
(legge  finanziaria  per  l'anno  2004) ha peraltro stabilito che «in
favore  dei  lavoratori  che  abbiano  gia' maturato, alla data del 3
ottobre  2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali
di  cui  all'art.  13,  comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e
successive modificazioni, sono fatte salve le disposizioni previgenti
alla  medesima  data  del  2  ottobre 2003. La disposizione di cui al
primo periodo si applica anche a coloro che hanno avanzato domanda di
riconoscimento all'I.N.A.I.L. o che ottengono sentenze favorevoli per
cause  avviate  entro  la stessa data. Restano salve le certficazioni
gia' rilasciate dall'I.N.A.I.L. ...».
   L'art.   3,  comma  132,  legge  27  dicembre  2003,  n. 299,  pur
presupponendo  e  richiamando  la disciplina introdotta dall'art. 47,
d.l.  n. 269/2003,  conv.  in  legge  n. 326/2003,  e' intervenuto ad
escludere   l'applicabilita'   della   nuova   disciplina  introdotta
dall'art.  47,  d.l. n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003, ad
alcune ulteriori categorie di assicurati e precisamente:
     coloro  che  alla  data  del 2 ottobre 2003 avessero maturato il
diritto a pensione (ai sensi dell'art. 47, comma 6-bis, eventualmente
anche  in  forza  della rivalutazione contributiva prevista dall'art.
13, comma 8, legge n. 257/1992);
     coloro  che  alla  stessa  data  avessero  presentato domanda di
riconoscimento  del  beneficio  derivante dall'esposizione ad amianto
all'I.N.A.I.L.   (o,   secondo   l'interpretazione   della  Corte  di
cassazione, anche all'I.N.P.S.);
     coloro   che  a  tale  data  avessero  comunque  introdotto  una
controversia  giudiziale  poi  conclusasi  con sentenza favorevole al
lavoratore.
   Tali categorie di assicurati vengono ad aggiungersi alle categorie
gia'  escluse  dall'art.  47  (ovvero  a  coloro  che alla data del 2
ottobre  2003 fruissero dei trattamenti di mobilita' e a coloro che a
tale  data  avessero  gia'  definito  la  risoluzione del rapporto di
lavoro in relazione alla domanda di pensionamento).
   La  lettura  della  norma  nel senso sopra indicato e' imposta dal
tenore testuale della disposizione e dall'interpretazione sistematica
alla luce della normativa precedente.
   Non  puo'  quindi  condividersi  l'interpretazione  secondo cui il
fatto  costitutivo  del diritto del lavoratore di ottenere i benefici
per  cui  e' causa sarebbe l'esposizione ad amianto e dunque le norme
citate  avrebbero  inteso  fare salva l'applicazione della disciplina
previgente  indistintamente  a tutti coloro che fossero stati esposti
ad amianto prima del 2 ottobre 2003.
   Si  tratta  di una lettura sostanzialmente abrogante della riforma
sia  poiche' sembra ben difficile, per non dire impossibile, che dopo
l'ottobre 2003 possa ancora verificarsi un'esposizione ultradecennale
ad  amianto,  con  le  caratteristiche  di intensita' richieste dalla
legge,   sia  perche'  se  il  legislatore  avesse  realmente  inteso
mantenere  ferma  la disciplina previgente per tutti coloro che erano
stati esposti ad amianto prima del 2 ottobre 2003 si sarebbe espresso
esattamente  e semplicemente in questi termini, senza identificare (e
poi   ulteriormente   precisare)   alcune   specifiche  categorie  di
lavoratori escluse dalla nuova disciplina.
   In  ogni caso l'interpretazione qui accolta rappresenta il diritto
vivente, essendo stata piu' volte ribadita dalla Corte di cassazione.
   Secondo   la   suprema   Corte,  infatti,  «in  tema  di  benefici
previdenziali in favore dei lavoratori esposti all'amianto, l'art. 3,
comma centotrentadue, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, che - con
riferimento  alla  nuova  disciplina  introdotta  dall'art. 47, comma
primo,  del  decreto-legge  30 settembre 2003, n. 269 (convertito con
modificazioni  nella legge 24 novembre 2003, n. 326) - ha fatto salva
l'applicabilita'  della  precedente  disciplina,  di  cui all'art. 13
della legge 27 marzo 1992, n. 257, per i lavoratori che alla data del
2   ottobre  2003  abbiano  gia'  maturato  il  diritto  ai  benefici
previdenziali  in base a tale ultima disposizione, o abbiano avanzato
domanda   di   riconoscimento  all'I.N.A.I.L.  od  ottenuto  sentenze
favorevoli  per cause avviate entro la medesima data, va interpretato
nel  senso  che:  a)  per  maturazione del diritto deve intendersi la
maturazione  del  diritto  a  pensione;  b)  tra coloro che non hanno
ancora   maturato   il  diritto  a  pensione,  la  salvezza  concerne
esclusivamente  gli  assicurati  che,  alla  data  indicata,  abbiano
avviato    un   procedimento   amministrativo   o   giudiziario   per
l'accertamento  del  diritto alla rivalutazione contributiva» (Cass.,
18  novembre  2004, n. 21862; Cass., 15 luglio 2005, n. 15008; Cass.,
11 luglio 2006, n. 15679).
   Afferma  la  Corte  di  cassazione  che  «le  ragioni dell'opzione
interpretativa  poggiano fondamentalmente sulle considerazioni che la
rivalutazione    contributiva   non   rappresenta   una   prestazione
previdenziale  autonoma,  ma  determina  i contenuti del diritto alla
pensione;  che,  nel  regime precedente, non era prevista una domanda
amministrativa  per  far  accertare il diritto alla rivalutazione dei
contributi  previdenziali per effetto di esposizione all'amianto; che
il   legislatore  ha  espresso  l'intento,  ricostruito  secondo  una
interpretazione    orientata    dal   principio   costituzionale   di
ragionevolezza,  di  escludere  l'applicazione della nuova disciplina
«anche»  per  coloro che comunque avessero gia' avviato una procedura
amministrativa  per  l'accertamento dell'esposizione all'amianto (non
solo  mediante  domande  rivolte  all'Inail,  ma  anche e soprattutto
all'Inps   quale   parte   del  rapporto  previdenziale),  ovvero  un
procedimento  giudiziale,  restando pero' esclusi, tra questi ultimi,
quelli  per  i  quali  il  giudizio sia stato definito con il rigetto
della  domanda,  potendo  costoro  eventualmente giovarsi della nuova
disciplina  nella  parte  in  cui  «estende» il beneficio (vedi comma
6-bis   dell'art.  47  cit.),  come,  del  resto,  tale  facolta'  e'
riconosciuta  anche  ai  soggetti per i quali opera la salvezza della
precedente  normativa,  atteso  che  tale  salvezza e' stata disposta
esclusivamente in loro «favore» (Cass., 18 novembre 2004, n. 21862).
   In questo contesto viene ad inserirsi il decreto interministeriale
del  27  ottobre  2004,  emanato  in attuazione del sesto comma dello
stesso art. 47.
   Tale decreto non si limita peraltro a disciplinare le modalita' di
esecuzione  della legge, ma introduce norme ulteriormente restrittive
della   platea   di   lavoratori   ancora   assoggettati   al  regime
riconducibile alla legge n 257/1992.
   Il  d.m. 27 ottobre 2004 prevede, infatti, all'articolo 1, comma 2
che  «ai  lavoratori  che  sono stati esposti all'amianto per periodi
lavorativi   soggetti   all'assicurazione   obbligatoria  contro  gli
infortuni   sul   lavoro   e   le   malattie  professionali,  gestita
dall'I.N.A.I.L.,  che  abbiano gia' maturato, alla data del 2 ottobre
2003,  il  diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui
all'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive
modificazioni,  si  applica  la  disciplina  previgente alla medesima
data,  fermo restando, qualora non abbiano gia' provveduto, l'obbligo
di  presentazione della domanda di cui all'art. 3 entro il termine di
180  giorni, a pena di decadenza, dalla data di entrata in vigore del
presente decreto».
   Anche l'I.N.P.S., con propria circolare del 15 aprile 2005, n. 58,
include  tra  i  destinatari  della  disciplina  di  cui  alla  legge
n. 257/1992   tutti   i   lavoratori  che  abbiano  svolto  attivita'
lavorativa  con  esposizione  ultradecennale  all'amianto prima del 2
ottobre  2003,  alla  sola  condizione  che  gli  stessi  abbiano poi
provveduto  a  presentare  domanda  di  certificazione all'I.N.A.I.L.
entro il 15 giugno 2005.
   Nello stesso senso si era gia' espresso l'I.N.A.I.L. con circolare
del 29 dicembre 2004, n. 90.
   Si tratta di disposizioni che si pongono in netto contrasto con la
disciplina   di   legge,  cosi'  come  interpretata  dalla  Corte  di
cassazione,   e   dunque  con  una  fonte  di  legge  gerarchicamente
sovraordinata.
   Il  d.m.  27 ottobre 2004, in quanto in contrasto sul punto con la
disciplina di legge, deve dunque essere disapplicato.
   In  realta'  il  decreto ministeriale, cosi' come le circolari dei
due  istituti  previdenziali,  si fanno carico, pur non essendo, come
detto,  a cio' autorizzati, di porre rimedio a quella che - ad avviso
del   giudicante  -  pare  essere  una  irragionevole  disparita'  di
trattamento.
   E' pur vero che la Corte costituzionale ha piu' volte affermato il
principio  per cui «l'art. 38 Cost. non esclude la possibilita' di un
intervento   legislativo   che,  per  una  inderogabile  esigenza  di
contenimento  della  spesa  pubblica, riduca in maniera definitiva un
trattamento  pensionistico  in  precedenza  spettante»  (Corte  cost.
n. 822/1988; 243/1993; 240/1994; 361/1996; ord. n. 227/2002).
   E' anche vero che «il divieto di retro attivita' della legge - pur
costituendo  fondamentale  valore  di  civilta' giuridica e principio
generale  dell'ordinamento,  cui  il  legislatore  deve,  in linea di
principio,   attenersi   -   non   e'   stato   elevato   e  dignita'
costituzionale,  salva la previsione dell'art. 25 Cost. relativo alla
materia penale.
   Ne  consegue  che  il  legislatore ordinario, nel rispetto di tale
limite,  puo' emanare norme retroattive purche' esse trovino adeguata
giustificazione  sul  piano  della ragionevolezza e non si pongano in
contrasto  con  altri  valori e interessi costituzionalmente protetti
cosi'  da incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste
in essere da leggi precedenti» (Corte cost., 9 ottobre 2000, n. 419).
   Nella  specie,  peraltro, la perdurante del piu' favorevole regime
previgente  e'  condizionata  o alla maturazione, prima del 2 ottobre
2003,  del  diritto  a  pensione (ed in questo caso l'elemento cui e'
ancorato  il diverso trattamento sembra del tutto ragionevole) o alla
presentazione,  prima  della  medesima data, di una qualsiasi domanda
amministrativa per il riconoscimento del beneficio in questione.
   Come  peraltro gia' evidenziato in precedenza, secondo la pacifica
giurisprudenza  della suprema Corte la rivalutazione contributiva per
cui  e' causa non rappresenta una prestazione previdenziale autonoma,
ma  determina  i  contenuti  del  diritto  alla  pensione. Nel regime
precedente  non era conseguentemente prevista la necessita' di alcuna
domanda   amministrativa   per   far   accertare   il   diritto  alla
rivalutazione    dei    contributi    previdenziali    per    effetto
dell'esposizione  all'amianto  (Cass.,  18  novembre  2004, n. 21862;
Cass., 15 luglio 2005, n. 15008).
   Proprio  per  questo  motivo  l'Istituto  previdenziale, una volta
accertata   l'esposizione   ad   amianto   del  lavoratore,  provvede
pacificamente alla ricostituzione della pensione fin dalla originaria
decorrenza del beneficio.
   Sembra dunque fondatamente potersi dubitare della ragionevolezza e
della giustificatezza della disparita' di trattamento stabilita dalla
legge  in  ragione  di un atto - la presentazione della domanda - che
non  soltanto  non rientra in alcun modo tra gli elementi costitutivi
del   beneficio   disciplinato,   ma   neppure   ne   condiziona   il
riconoscimento.
   Si  aggiunga  che,  non  essendo  richiesta  in  precedenza alcuna
domanda  amministrativa,  collegare  l'applicazione  della nuova meno
favorevole  disciplina  alla omessa presentazione di una domanda, che
l'interessato  non  aveva  alcun onere di presentare (e tanto meno di
presentare   con   molto  anticipo  sulla  data  di  maturazione  del
trattamento  pensionistico)  significa di fatto introdurre un termine
di decadenza con effetto retroattivo.
   Nella  specie la ricorrente alla data del 2 ottobre 2003 non aveva
certamente  maturato  il  diritto a pensione (essendo ben lontana dal
raggiungimento  dei 35 anni di contributi ed avendo poi avuto accesso
al pensionamento di vecchiaia, in ragione dell'eta).
   La  ricorrente ha poi presentato domanda per il riconoscimento dei
benefici   di   cui   alla  legge  n. 271/1993  per  la  prima  volta
all'I.N.A.I.L. in data 15 giugno 2005.
   Quindi,  sulla  base della interpretazione della legge, quale resa
necessaria dall'interpretazione letterale e sistematica e comunque da
considerarsi  diritto  vivente  alla  luce della giurisprudenza della
Corte  di  cassazione,  alla  ricorrente  si  applica  la  disciplina
introdotta  dall'art.  47,  d.l.  n. 269/  2003,  convertito in legge
n. 326/2003.
   A  fronte  di  una  collega con pari esposizione ad amianto e pari
anzianita'  contributiva  (ovvero  in  identica situazione per quanto
riguarda  gli  elementi  rilevanti  ai  fini  della  maturazione  del
beneficio  e  della  tutela  previdenziale  da accordarsi), ma che in
ipotesi  abbia  presentato domanda all'I.N.A.I.L. prima del 2 ottobre
2003,  la  ricorrente  - per il solo fatto di non aver presentato una
domanda  che non era tenuta a presentare - si vede dunque riconoscere
una  minore  rivalutazione  del  medesimo  periodo  di esposizione ad
amianto.
   Di qui la rilevanza della questione.
   Ritiene pertanto il giudicante che, attesi i motivi sopra esposti,
debba  ravvisarsi  la  non  manifesta infondatezza della questione di
legittimita'  costituzionale  - in riferimento all'art. 3 Cost. - del
combinato  disposto  dell'art.  3, comma 132, legge 27 dicembre 2003,
n. 299  e  dell'art.  47, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito,
con  modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in
cui   dette   norme   escludono  dall'applicazione  della  disciplina
previgente  a  quella  introdotta  dall'art. 47, comma 1, del decreto
legge  30  settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni nella
legge  24  novembre 2003, n. 326, coloro che prima del 2 ottobre 2003
non  abbiano  presentato domanda amministrativa di riconoscimento dei
benefici  previsti  dall'art.  13,  comma  8, legge n. 257/1992, come
sostituito  dall'art.  1,  comma  1,  d.l. n. 169/1993, convertito in
legge  n. 271/1993  pur  avendo  poi  presentato  domanda nel termine
decadenziale previsto dal citato art. 47.