ORDINANZA
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18, primo
comma, lettera e), della legge 22 aprile 2005 n. 69 (Disposizioni per
conformare  il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del
Consiglio,  del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo
e  alle  procedure  di  consegna  tra  Stati  membri),  promosso  con
ordinanza  del  25  ottobre 2006 dalla Corte d'appello di Venezia nel
procedimento  penale  a  carico  di  D.L.M.,  iscritta  al  n. 78 del
registro  ordinanze  2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2007;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  12 marzo 2008 il Giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
   Ritenuto  che,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe, la Corte
d'appello  di  Venezia  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 11
(non   richiamato   in  dispositivo,  ma  espressamente  indicato  in
motivazione)  e  117,  primo  comma, della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera e), della
legge  22  aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto
interno  alla  decisione  quadro  2002/584/GAI  del Consiglio, del 13
giugno  2002,  relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure
di  consegna  tra Stati membri), nella parte in cui pone, quale causa
ostativa  alla  consegna  del  soggetto  nei  cui confronti sia stato
emesso  mandato  di  arresto  europeo,  la  mancata previsione, nella
legislazione  dello  Stato  membro  di  emissione, di «limiti massimi
della carcerazione preventiva»;
     che   la   Corte  rimettente  -  investita  della  richiesta  di
applicazione  della  misura  cautelare avanzata, ai sensi dell'art. 9
della  legge  n. 69 del 2005, dal Procuratore generale in relazione a
un mandato di arresto europeo emesso dall'autorita' giudiziaria della
Repubblica  federale  tedesca  -  rileva  che  il sistema processuale
penale  di  tale  Paese  prevede,  per  la custodia cautelare, limiti
temporali determinati solo fino alla sentenza di primo grado;
     che  il  giudice a quo, richiamando una pronuncia della Corte di
cassazione,  assume,  altresi', che - sebbene la giurisprudenza della
Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  abbia ritenuto conformi alle
garanzie  prescritte  dall'art.  5,  terzo  comma,  della Convenzione
europea  dei  diritti  dell'uomo,  i  sistemi  processuali basati sul
«controllo  periodico ravvicinato» della custodia cautelare, anche in
assenza   di   previsioni  legislative  di  limiti  temporali  -  una
«interpretazione  sistematica  e  razionalizzatrice», ispirata a tale
orientamento, non sarebbe applicabile alla norma censurata;
     che,  infatti, l'art. 18, comma 1, lettera e), impone il rifiuto
della  consegna  e,  quindi,  la  reiezione della richiesta di misura
cautelare  propedeutica,  nel caso in cui la legislazione dello Stato
richiedente  non preveda «limiti massimi di carcerazione preventiva»;
ne'  sarebbe  possibile elidere tale condizione ostativa in forza del
principio  di  "interpretazione  conforme"  al  diritto  comunitario,
giacche' quest'ultimo non potrebbe comunque «servire da fondamento ad
un'interpretazione  contra legem del diritto nazionale»: e cio' tanto
piu'  ove  si  consideri,  nella specie, «l'obiettiva conformita' del
principio  contenuto in questa causa di esclusione della consegna con
quello previsto nell'ultimo comma dell'art. 13 della Costituzione»;
     che,  alla  luce  di  queste  premesse  e nell'impossibilita' di
disapplicare  la  norma, la Corte d'appello rimettente ritiene che la
richiesta di misura cautelare debba essere rigettata, proprio perche'
nell'ordinamento   tedesco  non  sono  previsti  termini  massimi  di
custodia   cautelare;   con  conseguente  rilevanza  della  questione
sollevata;
     che  -  prosegue  ancora  il  giudice  a  quo  - la «conformita'
letterale»  della norma censurata all'ultimo comma dell'art. 13 Cost.
impone  «di  apprezzare  prima  [...]  la  conformita' della causa di
esclusione  della  consegna  alla nostra Costituzione, in particolare
verificando  se  si  tratti  di  norma  rispondente  ad  un principio
generale  indefettibile dell'ordinamento giuridico interno, come tale
idoneo  a  superare eventuali principi e norme comunitarie di diverso
contenuto»;
     che,  ad  avviso  della  medesima  Corte,  la norma impugnata si
porrebbe  tuttavia  in  contrasto  con  gli  artt. 3, 11 e 117, primo
comma, Cost.
     che,  infatti,  introducendo  il  requisito della previsione dei
limiti  massimi  di  custodia  cautelare,  il  legislatore  nazionale
avrebbe   inserito,   quale  causa  impeditiva  della  consegna,  una
condizione  non  prevista nella decisione quadro: condizione che - in
ragione delle diverse modalita' con cui i sistemi nazionali risolvono
il   problema   della   verifica  della  permanente  legittimita'  ed
opportunita'  della custodia cautelare, in ossequio all'obbligo posto
dall'art.   5   CEDU  -  verrebbe  a  risolversi,  di  fatto,  in  un
insormontabile  ostacolo  alla  consegna per le richieste provenienti
dalla  maggior  parte  degli  Stati  dell'Unione  europea,  anche  di
consolidata  tradizione  giuridica;  «con  cio' vanificando la stessa
adesione  formale  dello  Stato  italiano  al  sistema del mandato di
arresto europeo»;
     che, pertanto, risulterebbe violato l'art. 3 della Costituzione,
per l'irragionevolezza del considerare «la nostra soluzione nazionale
dei  limiti  massimi  come  parametro non solo interno, ma da imporre
agli  Stati  esteri»;  e  cio' pur in un contesto in cui quegli Stati
hanno  consapevolmente disciplinato la verifica sulla legittimita' ed
opportunita'  del  protrarsi  della  custodia cautelare, ricorrendo a
soluzioni  valutate  dalla  Corte  europea dei diritti dell'uomo come
maggiormente adeguate della nostra;
     che  sarebbero lesi anche gli artt. 11 e 117, primo comma, della
Carta  fondamentale,  poiche'  la negazione della consegna a Stati la
cui  disciplina  cautelare - pur diversa da quella vigente nel nostro
ordinamento  - appare in realta' non solo compatibile, ma addirittura
piu'  coerente  con  i principi giuridici europei, si risolverebbe in
una «sostanziale vanificazione della disciplina europea»;
     che,  inoltre,  secondo  la  Corte d'appello rimettente, rientra
nella   competenza   della   Corte   costituzionale,  «anche  per  la
delicatezza  istituzionale  delle implicazioni connesse, la soluzione
interpretativa del problema del rapporto tra l'art. 13, ultimo comma,
della  Costituzione  (che l'art. 18, lettera e, della legge n. 69 del
2005  richiama) e i principi e le norme europee»; cosi' da devolvere,
in  particolare,  a  questa Corte «la risposta al quesito se la norma
contenuta  nell'articolo  13  debba  essere  considerata di rilevanza
sistematica  tale da non consentire il riconoscimento delle diverse e
pur  efficaci  soluzioni  sul  punto  date  da  diversi  Stati  della
comunita' europea»;
     che  ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato,   concludendo   per   l'inammissibilita'   o,   comunque,  per
l'infondatezza della questione;
     che  la  difesa  erariale  prospetta  un'analitica ricostruzione
tanto della "storia" dell'ordinamento comunitario, quanto del sistema
normativo  nei  quali  si  viene  a  collocare  il mandato di arresto
europeo  ed  esamina  il  rapporto  tra la norma censurata e l'ultimo
comma  dell'art.  13  Cost.;  sulla  base  di cio', evidenzia come la
previsione di un limite massimo al protrarsi della custodia cautelare
-  rispondendo  al  piu'  generale  principio  "europeo" della durata
ragionevole   della   custodia   medesima   -  renda  irrilevante  la
circostanza  che  il sistema processuale italiano preveda dei termini
di  fase e dei termini massimi, a differenza di altre legislazioni le
quali,  invece, fondano la ragionevolezza della durata della custodia
cautelare  esclusivamente  su  controlli  di  ufficio  dell'autorita'
giudiziaria, obbligatori e periodici;
     che  la  piena  rispondenza  di  questi  ultimi alle esigenze di
garanzia di cui all'art. 5, paragrafo 3, della Convenzione europea e'
stata  peraltro  certificata dal costante orientamento della Corte di
Strasburgo,  la  quale,  anzi,  e'  giunta «in un caso a censurare la
legislazione  di  quegli Stati, come l'Italia, nei quali il controllo
sulla carcerazione preventiva e' rimesso ad una disposizione di legge
generale ed astratta»;
     che,  quanto  al  sistema  processuale tedesco, il giudice a quo
avrebbe omesso, inoltre, di considerare che - accanto alla previsione
di  un  limite  temporale  predeterminato  della  custodia, fino alla
sentenza  di  primo  grado  -  una  serie  di  norme  evocano, con la
possibilita'  di  proroga  di  tale  termine,  un  sistema di criteri
connessi alla proporzionalita' e ragionevolezza della stessa proroga,
peraltro  eccezionale;  talche' ne risulta un sistema che si conforma
pienamente  tanto  all'art.  5 della Convenzione europea, quanto alla
interpretazione di essa fornita dalla Corte di Strasburgo;
     che,  dunque, se si considera che l'obbligo del giudice italiano
e'  nel senso di garantire l'effettivita' del diritto comunitario, ne
deriva che l'art. 18, lettera e), della legge n. 69 del 2005 potrebbe
essere  interpretato secondo canoni di razionalizzazione sistematica:
vale  a  dire,  nel senso che il mandato di arresto europeo non possa
essere  rifiutato dall'Italia, quando lo Stato estero richiedente «ha
una  disciplina  della custodia cautelare ispirata al principio della
durata ragionevole della medesima custodia»;
     che,   infine,   l'Avvocatura   dello  Stato,  a  riprova  della
praticabilita'   della   interpretazione  adeguatrice  sostenuta,  fa
rilevare  che  e'  stata  rimessa alla Sezioni unite della Cassazione
proprio  la questione «se la disposizione di cui all'art. 18, lettera
e),  legge  22  aprile  2005,  n. 69 debba essere valutata in termini
restrittivi,  oppure  possa essere valutata in concreto, verificando,
di  volta  in  volta,  se il sistema cautelare straniero fornisca una
garanzia   equivalente  a  quella  offerta  nel  nostro  ordinamento,
attraverso  il  regime  dei  limiti massimi di custodia, prendendo in
considerazione  anche  istituti  diversi,  comunque  funzionali ad un
effettivo controllo e limitazione della ‘carcerazione preventiva».
   Considerato  che  la  Corte  d'appello  di  Venezia  dubita  della
legittimita'  costituzionale,  in riferimento agli artt. 3, 11 e 117,
primo  comma,  della Costituzione, dell'art. 18, comma 1, lettera e),
della  legge  22  aprile  2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il
diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del
13  giugno  2002,  relativa  al  mandato  d'arresto  europeo  e  alle
procedure   di  consegna  tra  Stati  membri),  nella  parte  in  cui
configura,  come  causa  ostativa  alla consegna del soggetto nei cui
confronti  sia  stato  emesso  mandato di arresto europeo, la mancata
previsione,  nella  legislazione  dello Stato membro di emissione, di
«limiti massimi della carcerazione preventiva»;
     che,  ad  avviso  della  Corte  rimettente,  la  norma impugnata
risulterebbe  lesiva  del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.);
essa,  infatti,  verrebbe  ad "imporre" la soluzione dell'ordinamento
italiano,  in  tema  di  previsione di limiti massimi di carcerazione
preventiva,  anche  a  Stati  esteri  che - come nel caso di specie -
prevedono  periodici  controlli  sulla  legittimita'  ed opportunita'
della  protrazione della custodia cautelare: soluzione, quest'ultima,
giudicata  maggiormente  "garantista"  della prima dalla stessa Corte
europea dei diritti dell'uomo;
     che  sarebbero  compromessi, altresi', gli artt. 11 e 117, primo
comma,  Cost.,  giacche'  l'effetto  della norma censurata - ossia il
rifiuto  di  consegna  del soggetto destinatario di mandato d'arresto
europeo  a  Stati la cui disciplina della custodia cautelare, sebbene
diversa  da  quella  italiana,  risulta  non  solo  non contraria, ma
addirittura  maggiormente coerente ai «principi giuridici europei», e
segnatamente  all'art.  5, paragrafo 3, della Convenzione europea dei
diritti   dell'uomo   -   si   risolverebbe   in   una   «sostanziale
vanificazione»  degli  obiettivi  della  decisione quadro che pure la
legge n. 69 del 2005 era diretta ad attuare;
     che  il  rimettente  esclude che la norma impugnata si presti ad
una  interpretazione "adeguatrice", sulla scorta del mero richiamo ad
una  pronuncia  della Corte di cassazione, senza peraltro esplicitare
le  ragioni della sua condivisione e della conseguente impossibilita'
di  una  diversa  soluzione  ermeneutica:  soluzione  successivamente
adottata,  peraltro,  dalle  Sezioni  unite  della  stessa  Corte  di
cassazione (sentenza 30 gennaio 2007, n. 46114);
     che   -  a  prescindere  da  ogni  rilievo  circa  tale  assunto
preliminare  -  il  giudice  a  quo,  nel  formulare  il  quesito  di
costituzionalita',  omette  totalmente  di  esprimersi sul problema -
condizionante,  per  sua  stessa  affermazione,  la fondatezza o meno
della questione - se la regola della previsione di termini massimi di
carcerazione  preventiva, che la norma denunciata mutua dall'art. 13,
ultimo  comma,  Cost., sia o meno "cedevole" di fronte all'obbligo di
rispetto  dei vincoli scaturenti dall'ordinamento comunitario e dalle
convenzioni   internazionali,   sancito   a  carico  del  legislatore
nazionale dall'art. 117 Cost.;
     che,  al  riguardo,  il  giudice  rimettente  -  limitandosi  ad
affermare  che spetta a questa Corte «la soluzione interpretativa del
problema  del  rapporto  tra  l'art. 13, ultimo comma, Cost.», che la
norma  impugnata  «richiama», «ed i principi e le norme europee» - si
astiene  dichiaratamente  dall'effettuare il doveroso scrutinio circa
l'effettiva  consistenza del dubbio di costituzionalita': giacche' e'
proprio  lo  scioglimento di tale alternativa ermeneutica irrisolta a
costituire   la  base  logica  della  valutazione  di  non  manifesta
infondatezza, che spetta al giudice a quo compiere prima di sollevare
la questione di costituzionalita';
     che    la    questione   deve   essere   dichiarata,   pertanto,
manifestamente inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.