Letti gli atti del procedimento penale a carico di Taormina Carlo nato a Roma il 16 dicembre 1940 ivi residente, viale Trastevere n. 209, difeso di fiducia dall'avv. Pierpaolo Dell'Anno, Foro Roma indagato per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 595, commi 1 e 3 c.p., 61 n. 10 c.p. e 13, legge 8 febbraio 1948, n. 47, perche', nel corso di due interviste pubblicate, una sul quotidiano «La Stampa» in data 20 luglio 2004 e l'altra sul periodico «Oggi» in data 11 agosto 2004 a commento della sentenza di condanna pronunciata dal G.u.p. del Tribunale di Aosta nei confronti di Anna Maria Franzoni, sua assistita, per l'omicidio del figlio Samuele Lorenzi, offendeva la reputazione della dott.ssa Del Savio Bonaudo Maria e della dott.ssa Cugge Stefania rispettivamente Procuratore capo, Sostituto Procuratore presso la Procura di Cogne e precisamente: rispondendo al giornalista-intervistatore Marco Neirotti che constatava: «Avvocato, l'accusa ha portato degli elementi precisi», testualmente dichiarava «L'accusa, la procura e' fatta da marescialli di paese che hanno anche falsificato le prove»; ed ancora: allo stesso intervistatore che proseguiva rivolgendogli la domanda: «E' un attacco pesante. E' cosi' convinto? E' possibile conoscere un assassino e tacere come state facendo?» rispondeva «abbiamo lasciato molto ad intendere ma non si e' voluto capire. Chi non ha voluto non ha capito».... «Il problema sta nelle indagini, non in cio' che abbiamo detto noi»; rispondendo poi alla giornalista, inviata del settimanale «Oggi», Anna Cecchi che gli indirizzava la seguente domanda: «Avvocato perche' quel nome non l'avete fatto prima?» rispondeva: «Innanzitutto perche' ero certissimo della assoluzione di Annamaria Franzoni e questa avrebbe supportato ulteriormente la nostra denunzia. Poi perche' non ci fidiamo della Procura di Aosta che ha sempre indagato in una sola direzione»; al successivo rilievo della predetta intervistatrice che testualmente si riporta: « ... Ha accusato gente di Cogne, ha scatenato una vera caccia all'assassino» rispondeva: «certo che c'e' stata caccia all'assassino. Visto che la Procura non cercava il colpevole dovevamo pur farlo noi, senno' chi altro?»; ed ancora, quasi alla fine dell'intervista, di fronte all'affermazione: «Lo chiamano lo stile Taormina: accusare, spargere dubbi sulla capacita' ed imparzialita' dei giudici» riprendeva formulando il seguente giudizio: «Io sono un estimatore della magistratura seria... So che ci sono magistrati bravi, altri influenzati dalla politica, altri ancora, ed e' la cosa piu' preoccupante, incapaci. Ed e' il caso dei magistrati che hanno indagato sul caso Cogne», utilizzava frasi idonee ad offendere il decoro e l'onore delle suddette persone offese e a colpirne la dignita' professionale. In Torino e Milano il 20 luglio e l'11 agosto 2004. Parti offese: Del Savio Maria nata l'11 novembre 1946 Condove (TO), elettivamente domiciliata presso il difensore avv. Stefano Bonaudo, Torino, via A. Lamarmora n. 9; Cugge Stefania nata l'11 marzo 1967 San Remo (IM) elettivamente domiciliata presso il difensore avv. Luca Fiore, Ivrea, c.so Cavour n. 6. Rilevato che Maria Del Savio e Stefania Cugge hanno proposto querela nei confronti di Carlo Taormina ritenendo diffamatorie le affermazioni sopra meglio riportate poiche' in esse si farebbe esplicito riferimento ad illecite condotte perpetrate dalla Procura della Repubblica di cui i querelanti risultano essere componenti; in particolare, le parti offese lamentano l'impiego di espressioni lesive della loro reputazione quali l'affermazione secondo cui presso la Procura della Repubblica di Aosta sarebbero arrivati a falsificare elementi in loro possesso e ad omettere atti di indagine cosi' ponendo in essere, in buona sostanza, una vera e propria attivita' persecutoria nei confronti dell'imputata Franzoni; inoltre, lamentano le parti offese la formulazione nei loro confronti di un giudizio di incapacita' quali magistrati che hanno indagato sul caso Cogne; Rilevato che questo giudice, con ordinanza in data 12 gennaio 2007, ha sottoposto alla Camera dei deputati la questione dell'applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, in relazione al procedimento penale di cui in epigrafe; che la Camera dei deputati, nel corso della seduta del 2 agosto 2007, in accoglimento di conforme proposta della Giunta per le autorizzazioni, ha riconosciuto ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione, l'insindacabilita' delle opinioni espresse dall'on. Taormina raccolte negli articoli di stampa oggetto del presente procedimento in quanto espresse nell'esercizio della funzione parlamentare; Considerato che la vicenda in esame attiene a molteplici dichiarazioni svolte con riferimento a un procedimento penale in cui l'on. Taormina rivestiva la funzione di avvocato difensore e in cui lo stesso attribuiva alla Procura della Repubblica di Aosta e ai relativi componenti la volonta' di non ricercare il vero colpevole della morte del piccolo Samuele Lorenzi bensi' di condannare l'imputata Annamaria Franzoni, giungendo a falsificare le prove e ad omettere atti di indagine, suggellando la predette accuse con un giudizio di incapacita' diretto ai magistrati inquirenti; che, allo stato degli atti, non risulta provata la verita' oggettiva delle dichiarazioni oggetto di censura; cio' posto, a fronte del dato letterale delle espressioni formulate dal querelato nelle due interviste pubblicate, e' necessario il vaglio giudiziale al fine di verificare la sussistenza della fattispecie di reato contestata; che la Camera dei deputati ha, di fatto, aderito alle osservazioni espresse in sede di relazione di Giunta che di seguito si riportano: «Il dibattito complesso e articolato, ai cui resoconti qui allegati si rimanda e al quale si e' accennato nel paragrafo precedente, e' venuto a conclusione nella seduta dell'11 luglio 2007, nella quale, con un orientamento maggioritario non contrastato da voti contrari, si e' riconosciuta l'applicabilita' dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione ai casi in esame, e' risultato prevalente, infatti, l'avviso per cui l'interrogazione citata (allegata alla presente relazione) di fatto contenga concetti sostanzialmente analoghi a quelli contestati nei capi d'imputazione. Quando nell'interrogazione stessa si sostiene infatti che non risultano conformi all'etica professionale e alle doti di equilibrio, che dovrebbero caratterizzare il magistrato inquirente, le dichiarazioni rese dai pubblici ministeri a carico della Franzoni e quelle rese a critica di un provvedimento del giudice per le indagini preliminari; che occorre verificare se corrisponda a verita' che gli investigatori non avrebbero, quanto meno per negligenza, adottato le doverose e necessarie cautele per preservare il luogo del delitto e che vi era stata la possibilita' concreta che l'arma del delitto possa essere stata sottratta, in fondo si dice che vi sono state delle insufficienze professionali degli investigatori, tra i quali in primis rientrano i titolari dell'azione penale e cioe' i pubblici ministeri. Del resto, le espressioni «marescialli di paese», «la procura di Aosta ha indagato in una sola direzione», i magistrati che hanno indagato su Cogne sono degli «incapaci», il processo di Cogne e' quello «peggio istruito nella storia della Repubblica» sono tutte critiche non delle persone ma dell'operato istituzionale di queste e dunque non sono affatto il mero argumentum ad hominem che si ritiene non consentito dall'ordinamento (Cassazione, 26 febbraio 2003, Padovani in Dir. e Giust. 2003, n. 20, pag. 95). Ci si trova innanzi, invece, alla legittima critica dell'esercizio di una pubblica funzione, come la giurisprudenza ha affermato in varie occasioni. Quanto all'integrita' del quadro probatorio e ai relativi dubbi espressi dal Taormina, quest'ultimo ha depositato in data 4 luglio 2007 copia di un decreto di archiviazione del G.i.p. di Aosta relativo al procedimento penale n. 637/2003 RGNR - Aosta, a carico degli ufficiali del RIS di Parma. Costoro erano stati denunciati per falso ideologico e calunnia reale dalla famiglia Lorenzi-Franzoni per aver pretesamente alterato i luoghi e gli elementi di prova. Pur archiviata tale accusa, il G.i.p. afferma in effetti che se in data 17 settembre 2002 era stata osservata e fotografata, all'interno del calco di materiale ematico-cerebrale, la presenza di un frammento talvolta definito come osseo, nella documentazione fotografica del successivo 24 ottobre, invece, tale frammento non era piu' visibile. Tale elemento viene definito nel decreto di archiviazione come «circostanza pacifica». A questo, probabilmente, si riferiva il Taormina nelle sue esternazioni circa la falsificazione delle prove. Le riserve che hanno portato all'astensione (ma non al voto contrario) di taluni componenti, motivate dal fatto che a loro avviso Carlo Taormina abbia esercitato con le dichiarazioni contestategli la professione forense e non il mandato parlamentare, sono apparse alla maggioranza superabili in ragione di quanto gia' sostenuto dalla Giunta nella seduta del 19 luglio 2005, nella scorsa legislatura. In tale occasione il relatore Gironda Veraldi, riferendo su una questione sostanzialmente analoga alla presente (il citato doc. IV-quater, n. 117), argomento' che le due funzioni, quando esercitate congiuntamente, sono difficilmente distinguibili. Che tale fenomeno ponga problemi di opportunita' e' stato riconosciuto da diversi componenti, anche tra quelli che hanno votato per l'insindacabilita', ma cio' non ne ha cambiato l'orientamento di fondo. Per completezza, si puo' aggiungere che nel ricorso per conflitto fra poteri del tribunale di Milano contro la delibera attinente al caso trattato nella scorsa legislatura, il tribunale medesimo disconobbe il valore scriminante dell'interrogazione piu' volte menzionata per i rilievi critici mossi al colonnello Garofano, giacche' essa si riferiva ai magistrati procedenti. Sicche', se ne dovrebbe dedurre che per ammissione stessa dell'autorita' giudiziaria essa dovrebbe valere oggi a coprire le dichiarazioni oggetto della presente relazione. Per questi motivi, a maggioranza e con distinte votazioni la Giunta propone all'Assemblea di deliberare che i fatti oggetto dei procedimenti concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni; che, sulla scorta di quanto sopra richiamato, non e' agevole comprendere il nesso fra attivita' politica e dichiarazioni afferenti la consumazione di illeciti a carico di magistrati, che avrebbero dovuto essere denunciati e provati nelle sedi competenti e non gia' oggetto di interrogazione e dibattito di fronte al Parlamento come una tematica di carattere generale; che, inoltre, la conclusione adottata appare in contrasto con la costante giurisprudenza costituzionale; a titolo esemplificativo si richiama quanto affermato nelle sentenze numeri 10 e 11 dell'11 gennaio 2000 (alle quali si sono richiamate, tra le altre, le successive sentenze n. 52 del 27 febbraio 2002; n. 207 del 20 maggio 2002; n. 294 del 19 giugno 2002). «... E' pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea»; che l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'art. 68, primo comma, della Costituzione; che nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attivita' propri delle assemblee rappresentano piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni; che la linea di confine fra la tutela dell'autonomia e della liberta' delle Camere e, a tal fine, della liberta' di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall'espressione di opinioni, dall'altro lato, e' fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. Senza questa delimitazione, l'applicazione della prerogativa la trasformerebbe in un privilegio personale (cfr. sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito e ai limiti della loro liberta' di manifestazione del pensiero: con possibili distorsioni anche del principio di eguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini nella dialettica politica; che la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le seconde; che tanto meno puo' bastare a tal fine la ricorrenza di un contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca. Siffatto tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a conferire carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni che siano oggettivamente ad essa estranee. Sarebbe, oltre tutto, contraddittorio da un lato negare -- come e' inevitabile negare -- che di per se' l'espressione di opinioni nelle piu' diverse sedi pubbliche costituisca esercizio di funzione parlamentare, e dall'altro lato ammettere che essa invece acquisti tale carattere e valore in forza di generici collegamenti contenutistici con attivita' parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere; che in questo senso va precisato il significato del «nesso funzionale» che deve riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare; non come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare; che nel caso di riproduzione all'esterno della sede parlamentare, e' necessario, per ritenere che sussista l'insindacabilita', che si riscontri l'identita' sostanziale di contenuto fra l'opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede esterna; che cio' che si richiede, ovviamente, non e' una puntuale coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti; che nei casi in cui non e' riscontrabile esercizio di funzioni parlamentari, il valore della legalita-giurisdizione non collide certo con quello dell'autonomia delle Camere e cosi' si spiega che la giurisprudenza costituzionale abbia appunto stabilito che l'immunita' non vale per tutte quelle opinioni che «il parlamentare manifesta nel piu' esteso ambito della politica»; che alla luce di tale interpretazione si debbono pertanto ritenere, in linea di principio, sindacabili tutte quelle dichiarazioni che fuoriescono dal campo applicativo del «diritto parlamentare» e che non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari, anche se siano caratterizzate da un asserito «contesto politico» o ritenute, per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo; che questa forma di controllo politico rimessa al singolo parlamentare puo' infatti aver rilievo, nei giudizi in oggetto, soltanto se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti e procedure specificamente previsti dai regolamenti parlamentari; se dunque l'immunita' copre il membro del Parlamento per il contenuto delle proprie dichiarazioni soltanto se concorre il contesto funzionale, il problema specifico, che non appare irrilevante in questo conflitto, della riproduzione all'esterno degli organi parlamentari di dichiarazioni gia' rese nell'esercizio di funzioni parlamentari, si puo' risolvere nel senso dell'insindacabilita' solo ove sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche»; che il conforme orientamento della Corte costituzionale e' stato recentemente ribadito con la sentenza n. 120 del 16 aprile 2004; nel dichiarare infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate con riferimento all'art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140, si e' affermato che: «... Nonostante le evoluzioni subite nel tempo, nella giurisprudenza di questa Corte e' enucleabile un principio che e' possibile oggi individuare come limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita', e con cio' stesso delle virtualita' interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non puo' mai trasformarsi in un privilegio personale, quale sarebbe una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera "qualita''' di parlamentare». Per tale ragione l'itinerario della giurisprudenza della Corte si e' sviluppato attorno alla nozione del cd. «nesso funzionale», che solo consente di discernere le opinioni del parlamentare riconducibili alla libera manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino nei limiti generali della liberta' di espressione, da quelle che riguardano l'esercizio della funzione parlamentare. Certamente rientrano nello sfera dell'insindacabilita' tutte le opinioni manifestate con atti tipici nell'ambito dei lavori parlamentari, mentre per quanto attiene alle attivita' non tipizzate esse si debbono tuttavia considerare «coperte» dalla garanzia di cui all'art. 68, nei casi in cui si esplicano mediante strumenti, atti e procedure, anche «innominati», ma comunque rientranti nel campo di applicazione del diritto parlamentare, che il membro del Parlamento e' in grado di porre in essere e di utilizzare proprio solo e in quanto riveste tale carica (cfr. sentenze n. 56 del 2000, n. 509 del 2002 e n. 219 del 2003). Cio' che rileva, ai fini dell'insindacabilita', e' dunque il collegamento necessario con le «funzioni» del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che in ogni caso deve essere tale da rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere, anche se attuato in forma «innominata» sul piano regolamentare. Sotto questo profilo non c'e' percio' una sorta di automatica equivalenza tra l'atto non previsto dai regolamenti parlamentari e l'atto estraneo alla funzione parlamentare, giacche', come gia' detto, deve essere accertato in concreto se esista un nesso che permetta di identificare l'atto in questione come «espressione di attivita' parlamentare» (cfr. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 379 e n. 219 del 2003). E' in questa prospettiva che va effettuato lo scrutinio della disposizione denunciata. Le attivita' di «ispezione di divulgazione, di critica e di denuncia politica» che appunto il censurato art. 3, comma 1, riferisce all'ambito di applicazione dell'art. 68, primo comma, non rappresentano, di per se', un'ipotesi di indebito allargamento della garanzia dell'insindacabilita' apprestata dalla norma costituzionale, proprio perche' esse, anche se non manifestate in atti «tipizzati», debbono comunque, secondo la previsione legislativa e in conformita' con il dettato costituzionale, risultare in connessione con l'esercizio di funzioni parlamentari. E appunto questo «nesso» il presidio delle prerogative parlamentari e, insieme, del principio di eguaglianza e dei diritti fondamentali dei terzi lesi.». Occorre, altresi', evidenziare che la legge n. 140/2003 non ha natura di legge costituzionale e, pertanto, non e' idonea a stravolgere i limiti delineati dalla Corte in relazione all'applicabilita' dell'art. 68, primo comma della Costituzione. Pertanto, si ritiene che anche il riferimento alle attivita' di «ispezione divulgazione, critica e denuncia politica», espletate fuori dal Parlamento che devono essere connesse alla «funzione di parlamentare» non possa prescindere dall'applicazione dei criteri delineati dalla Corte costituzionale sopra richiamati. La diversa interpretazione, diretta a ricomprendere nella sfera dell'insindacabilita' qualsiasi attivita' politica posta in essere da parlamentare al di fuori dal Parlamento, oltre che porsi in contrasto con lo stesso art. 68 della Costituzione, determinerebbe, di fatto, la compromissione dei diritti all'onore ed alla reputazione, anch'essi costituzionalmente tutelati. che la deliberazione adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 2 agosto 2007 appare in contrasto con i richiamati canoni interpretativi atteso che non contiene alcun elemento concreto da cui poter desumere la sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra i contenuti delle dichiarazioni giornalistiche oggetto della querela e le opinioni gia' espresse dal parlamentare in specifici atti parlamentari, non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche e un generico riferimento alla rilevanza dei fatti pubblici; che, in altre parole, la prerogativa invocata dalla Camera dei deputati non puo' trovare nel caso specifico applicazione poiche' non sussiste alcun collegamento tra le frasi per le quali il Taormina e' imputato per diffamazione e gli atti tipici della funzione parlamentare; che nell'interrogazione parlamentare del 22 aprile 2002 ( v. allegato 2 alla relazione della Giunta presentata alla Presidenza il 12 luglio 2007) il deputato Taormina chiede al Ministro della giustizia di compiere gli accertamenti necessari - se del caso anche attivando i poteri disciplinari - in ordine ad una serie di fatti connessi con l'omicidio consumato a Cogne, censurando la mancata adozione da parte degli investigatori delle dovute cautele per proteggere il luogo del delitto da possibili inquinamenti probatori; che, invece, nelle dichiarazioni oggetto di querela si attribuiscono illeciti di rilevanza penale «hanno anche falsificato le prove» nonche' giudizi di natura personale idonei a gettare discredito sui soggetti destinatari e sulle delicate funzioni dai medesimi espletate; che la mancanza del nesso funzionale e' altresi' resa palese dal fatto che le dichiarazioni asseritamente diffamatorie del parlamentare sono successive di oltre due anni rispetto al citato atto di funzione e trovano indubbio fondamento in una serie di specifiche conoscenze che lo stesso non poteva possedere se non in quanto avvocato difensore nell'ambito del processo per l'omicidio di Cogne, ossia a titolo privato e professionale, senza alcun collegamento col mandato parlamentare; che l'interpretazione prospettata dalla decisione di cui trattasi comporta, pertanto, che l'istituto previsto dalla norma costituzionale si trasformi da «esenzione di responsabilita' legata alla funzione in privilegio personale» (cfr. sent. 11/2000, gia' citata) con la conseguenza che le opinioni e le dichiarazioni manifestate da un parlamentare sarebbero sempre e comunque sottratte alla verifica giurisdizionale; che deve, pertanto, ritenersi che la condotta addebitabile all'avv. Taormina, astrattamente idonea nella sua specificita' ad integrare un illecito, esula dall'esercizio delle funzioni parlamentari, non presentando oggettivamente alcun legame con atti parlamentari neppure nell'accezione piu' ampia e, come tale rientra nella cognizione riservata al sindacato giurisdizionale, non risultando invocabile l'immunita', ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione; che appare di conseguenza necessario sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, conflitto ammissibile sia sotto il profilo soggettivo (questo giudice e' l'organo competente a decidere, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali attribuite, sulla asserita illiceita' della condotta ascritta all'imputato e quindi «a dichiarare la volonta' del potere cui appartiene, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione»: cfr. fra le altre, ordinanze Corte cost. n. 60 del 1999; nn. 469, 407, 261, 254 del 1998 e n. 378 del 2006), sia sotto quello oggettivo, trattandosi della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68, primo comma della Costituzione e della lesione della propria sfera di attribuzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantita, giacche' illegittimamente menomata dalla suindicata deliberazione della Camera dei deputati.