IL GIUDICE DI PACE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa promossa, ex
artt.  22  e  ss.  della  legge  24  novembre 1981, n. 689, da Farina
Briamonte  Luana,  rappresentata  e  difesa giusta procura speciale a
margine  del ricorso dagli avv. Caterina Fusco e Antonietta Vigliotta
ed elettivamente domiciliata in Milano, in via Giovanni Cantoni n. 3,
c/o Farina/Iaselli;
   Contro  Comune  di  Milano,  in  persona  del sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso giusta procura speciale da funzionari delegati
del Corpo di Polizia municipale - Settore affari generali;
                              F a t t o
   Farina   Briamonte   Luana   proponeva   ricorso  -  pervenuto  in
cancelleria in data 7 marzo 2007, ma inviato a mezzo posta in data 28
febbraio  2007  -  contro il processo verbale n. 1008650/2006/1/1/1 -
notificatole  in  data  3  gennaio  2007  - con il quale il Comune di
Milano  aveva accettato a carico del proprietario dell'autovettura tg
DD767PD,  nella  sua  qualita'  di  responsabile, l'infrazione di cui
all'art. 142/8 c.d.s. poiche' in data 28 ottobre 2006, alle ore 2,09,
nella   sopraelevata   Monteceneri  superava  il  limite  massimo  di
velocita'  (velocita'  consentita  km/h  70, velocita' effettiva km/h
85). L'infrazione e' stata accertata mediante utilizzo di impianto di
rilevazione  automatica  (matricola  00015-CV  K53400  Traffiphot III
SR-Photor  &  V  omologazione  D.M.I.T.  n. 4130  del 24 dicembre
2004).
   La   ricorrente   chiedeva,   previa  sospensione,  l'annullamento
dell'atto  impugnato,  adducendo  diversi motivi (tra i quali mancata
dimostrazione  e carenza della corretta funzionalita' del dispositivo
elettronico; mancanza di prova in ordine alla corretta taratura della
strumentazione utilizzata).
   Con vittoria di spese ed onorari, oltre IVA e CPA.
   Il   giudice   negava   la  sospensione  e  fissava  l'udienza  di
comparizione delle parti.
   L'amministrazione opposta (Comune di Milano) si costituiva in data
30 luglio 2007 con comparsa alla quale allegava ampia documentazione,
anche  fotografica,  e  con  la  quale contestava in modo puntuale ed
esauriente ogni motivo addotto dalla ricorrente.
   L'amministrazione  opposta  concludeva  chiedendo  il  rigetto del
ricorso  e  la determinazione delle sanzione pecuniaria in misura non
inferiore alla meta' del massimo previsto dalla legge (pari ad €
286,50),  oltre  alle  spese  di  accertamento e di notifica (pari ad
€ 11,00).
   Con vittoria delle spese processuali, sia pure in misura simbolica
(misura non meglio precisata).
   Alla prima udienza del 25 settembre 2007 partecipava personalmente
la  ricorente  ma  nessuno  partecipava  per  il Comune di Milano. La
ricorrente,   dopo   aver   preso   atto  dell'avvenuta  costituzione
dell'amministrazione  opposta,  chiedeva  un breve rinvio per l'esame
della comparsa avversaria.
   Alla  successiva  udienza del 30 ottobre 2007 partecipava soltanto
la ricorrente la quale insisteva sulle sue domande.
                            D i r i t t o
   L'opposizione  e' infondata e va rigettata. Questo giudice, per le
considerazioni  che  seguono, ritiene pero' che la sentenza non possa
essere  emessa  senza  la  preventiva  soluzione  di una questione di
legittimita'   costituzionale  concernente  la  condanna  alle  spese
processuali   della   parte   soccombente   -  espressamente  chiesta
dall'amministrazione  opposta  -  e  la cui pronuncia non puo' essere
oggetto di un separato e distinto provvedimento giurisdizionale.
   Nel  caso  in esame l'autorita' che ha emesso l'impugnato processo
verbale (Comune di Milano) si e' costituita in giudizio avvalendosi -
ex  art.  23,  comma 4, legge n. 689/1981 - di un proprio funzionario
appositamente delegato, il quale pero' non ha partecipato all'udienza
di discussione.
   Questo  giudice,  in base al disposto di cui all'art 23, comma 11,
della   legge   n. 689/1981,   rigettando   l'opposizione,   dovrebbe
condannare l'opponente al pagamento delle «spese del procedimento» il
cui  importo,  secondo  la giurisprudenza dominante, e' limitato alle
«spese   vive»,   cioe'   effettivamente   sostenute   e  debitamente
documentate.  Nel caso di specie, pero', l'aministrazione resistente,
oltre  alle  spese  di  accertamento  e  di  notifica (pari ad €
11,00),  ha  chiesto anche il riconoscimento delle spese processuali,
sia pure senza determinarne l'importo.
   Questa  ulteriore  domanda dell'amministrazione resistente, pero',
non  ha  fondamento  nella  vigente  legislazione ordinaria ma la sua
assenza deve indurre a qualche riflessione e non puo' non far sorgere
seri dubbi di legittimita' costituzionale.
   Questa carenza normativa anche se non giustifica, di certo spiega,
le scelte processuali delle pubbliche amministrazioni, in particolare
dei  comuni,  che  nei processi in materia di sanzioni amministrative
regolati  dalla  legge 24 novembre 1981, n. 689, di solito - come nel
caso  oggetto  d'esame  -  non partecipano alle udienze e non di rado
ignorano  anche  l'ordine  del giudice di «depositare in cancelleria,
dieci  giorni  prima dell'udienza fissata, copia del rapporto con gli
atti   relativi   all'accertamento,   nonche'  alla  contestazione  o
notificazione della violazione».
   Se e quando la pubblica amministrazione non partecipa all'udienza,
anche  nel  caso  in  cui  si costituisca, il contradddittorio non si
svolge,  non  puo'  svolgersi,  «ad  armi  pari»  ed  il giudice, che
dovrebbe  essere  ed  apparire  obiettivo ed imparziale, al cittadino
appare invece come la sua vera controparte.
   L'assenza  della  pubblica amministrazione nei processi in materia
di  sanzioni  amministrative  nuoce  e  non  poco al buon andamento e
all'imparzialita'  dell'amministrazione in generale e della giustizia
in particolare.
   La  citata  normativa  in  quanto  prevede  che  il giudice con la
sentenza  con  la  quale  rigetta  l'opposizione  puo' o deve porre a
carico  dell'opponente  anche  le  «spese del procedimento» (art. 23,
comma   11,  legge  n. 689/1981)  e  cioe'  soltanto  le  spese  vive
effettivamente sostenute e documentate dalla pubblica amministrazione
e'  quanto meno anacronistica e di dubbia legittimita' costituzionale
in  relazione  al  principio di eguaglianza (o di ragionevolezza), in
considerazione  della  diversa  normativa  vigente  davanti  ad altri
organi  giurisdizionali anche quando l'ente locale e' rappresentato o
assistito (non da avvocati), ma - come nel caso di specie - da propri
funzionari.
   La  disposizione  di  cui  all'art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. 31
dicembre  1992, n. 546, concernente il processo che si svolge davanti
alle   Commissioni   tributarie,   stabilisce   infatti   che  «Nella
liquidazione  delle spese ... a favore dell'ente locale, se assistito
da  propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati
e  procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di
avvocato ivi previsti».
   Non  vi  e'  alcuna  razionale giustificazione, a parere di questo
giudice,  per  non estendere anche ai processi in materia di sanzioni
amministrative  -  che,  peraltro  si  svolgono  davanti  al  giudice
ordinario - l'applicazione della citata norma.
   A  meno  che  non  si ritenga preferibile perpetuare la situazione
attuale  in  cui  il ricorrente non viene mai condannato al pagamento
delle spese processuali, neanche quando presenta ricorsi immotivati o
ictu  oculi  infondati,  mentre la pubblica amministrazione, in molti
dei  casi  in  cui  il  ricorrente e' assistito da un avvocato, puo'.
essere  condannata e - in alcuni casi - viene condannata al pagamento
delle spese processuali.
   Trattasi   di  una  situazione,  di  fatto  e  di  diritto,  forse
incompatibile anche con il principio di parita' delle parti, previsto
dall'art.  111,  secondo  comma,  Cost.  «Ogni processo si svolge nel
contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita'...».
   Potrebbe  peraltro  sostenersi che la citata norma (art. 15, comma
2-bis,  del  d.lgs.  n. 546/1992),  sia  pure  in via analogica e con
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata, possa gia' trovare
applicazione  in  tutti i processi in cui la pubblica amministrazione
e' rappresentata o assistita da propri funzionari, ma questo giudice,
considerata  anche  la  rilevanza  «politica»  della  questione e pur
consapevole  che  un  mutamento  dello  status  quo  possa nuocergli,
ritiene  che  la  soluzione  debba  passare attraverso un giudizio di
legittimita' costituzionale.
   Pertanto  la  norma  di  cui  al comma 11 dell'art. 23 della legge
n. 689/1981,  nella  parte in cui non prevede che «Nella liquidazione
delle  spese  ...  a  favore dell'ente locale, se assistito da propri
dipendenti,  si  applica  la  tariffa  vigente  per  gli  avvocati  e
procuratori,  con  la  riduzione del venti per cento degli onorari di
avvocato    ivi   previsti»,   potrebbe   essere   costituzionalmente
illegittima  in relazione all'art. 3 (ragionevolezza) e all'art. 111,
secondo comma, della Costituzione.
   Trattasi  di  questione  «non  manifestamente  infondata» ed anche
«rilevante»  ai  fini della decisione della presente causa perche' se
la citata norma, per quanto in motivazione, fosse illegittima, questo
giudice   non  potrebbe  rigettare  la  domanda  dell'amministrazione
opposta  e dovrebbe liquidare le spese processuali a favore dell'ente
locale  applicando  la tariffa vigente per gli avvocati, sia pure con
la riduzione del venti per cento degli onorari.