Sentenza
nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 777,
della  legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2007),  promosso  con  ordinanza  del  5  marzo  2007  dalla Corte di
cassazione  nel  procedimento civile vertente tra Valerio Morettini e
l'INPS  iscritta  al  n. 507 del registro ordinanze 2007 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 27, 1ª serie speciale,
dell'anno 2007.
   Visti   l'atto   di   costituzione  dell'INPS  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 6 maggio 2008 il giudice relatore
Luigi Mazzella;
   Uditi  l'avvocato  Nicola  Valente  per  l'INPS e l'avvocato dello
Stato   Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un giudizio civile promosso da Valerio Morettini
contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), la Corte
di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma,
35,  quarto comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 777, della legge 27
dicembre  2006,  n. 296  (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007).
   La  rimettente  premette che il Morettini, titolare di pensione di
anzianita'   liquidata  sulla  base  sia  di  contributi  versati  in
Svizzera,  sia  di  contributi versati in Italia, ha proposto ricorso
per  cassazione  contro  la  sentenza  d'appello  che  ha respinto la
domanda  di  accertamento del suo diritto al ricalcolo della pensione
tenendo conto della retribuzione effettivamente percepita in Svizzera
negli  ultimi  cinque  anni  di lavoro ed ha statuito (accogliendo la
tesi   sostenuta   dall'INPS)   che  tale  retribuzione  deve  essere
riparametrata    secondo    le    aliquote    contributive    vigenti
nell'assicurazione generale obbligatoria.
   Il  giudice  a  quo  aggiunge  che,  nelle  more  del  giudizio di
cassazione,  e'  sopravvenuta  la  legge  n. 296  del 2006, la quale,
all'art.  1, comma 777, prevede che «L'articolo 5, secondo comma, del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, e
successive  modificazioni,  si  interpreta  nel senso che, in caso di
trasferimento  presso  l'assicurazione generale obbligatoria italiana
dei  contributi  versati  ad  enti  previdenziali  di Paesi esteri in
conseguenza  di  convenzioni  ed  accordi internazionali di sicurezza
sociale,  la  retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro
svolto  nei  Paesi  esteri e' determinata moltiplicando l'importo dei
contributi   trasferiti  per  cento  e  dividendo  il  risultato  per
l'aliquota  contributiva per l'invalidita', vecchiaia e superstiti in
vigore  nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti salvi
i  trattamenti pensionistici piu' favorevoli gia' liquidati alla data
di entrata in vigore della presente legge».
   Ad   avviso   della   Corte   di  cassazione,  tale  disposizione,
applicabile nel giudizio principale, ancorche' si autoqualifichi come
interpretativa, ha invece carattere innovativo.
   Infatti,  sul  regime  dei  contributi  trasferiti  in forza della
convenzione  italo-svizzera  del 14 dicembre l962, resa esecutiva con
la  legge  31  ottobre  1963,  n. 1781  (Ratifica ed esecuzione della
Convenzione  tra  l'Italia  e  la  Svizzera  relativa  alla sicurezza
sociale col Protocollo finale e Dichiarazioni comuni, conclusa a Roma
il   14   dicembre   1962),   non   sussisteva   alcun  contrasto  di
giurisprudenza,  ma  si era invece affermato un orientamento unico ed
ormai   consolidato,   secondo   il   quale,  ai  sensi  dell'art.  1
dell'accordo  aggiuntivo  alla  predetta  convenzione del 14 dicembre
1962,  concluso a Berna il 4 luglio 1969, reso esecutivo con la legge
18   maggio   1973,   n. 283  (Ratifica  ed  esecuzione  dell'Accordo
aggiuntivo  alla Convenzione tra l'Italia e la Svizzera relativa alla
sicurezza  sociale del 14 dicembre 1962, concluso a Berna il 4 luglio
1969), il lavoratore italiano puo' chiedere il trasferimento all'INPS
dei  contributi  versati  in  Svizzera  in  suo  favore,  al  fine di
conseguire   i   vantaggi   derivanti   dalla  legislazione  italiana
sull'assicurazione invalidita', vecchiaia e superstiti e, tra questi,
quello della determinazione della pensione con il metodo retributivo.
Sicche',   non   essendo  state  adottate  dal  legislatore  italiano
disposizioni particolari per regolare l'effetto del trasferimento dei
contributi,  nella  determinazione  del  trattamento previdenziale in
favore  del  lavoratore doveva farsi riferimento alla retribuzione da
questi  percepita,  a nulla rilevando che i contributi accreditati in
Svizzera  e  trasferiti  in Italia fossero stati calcolati sulla base
dell'aliquota prevista dalla legislazione elvetica.
   Quindi,  prosegue  la rimettente, la norma censurata ha introdotto
un   nuovo  criterio  contabile  non  ricavabile  dalla  disposizione
interpretata,  il  quale,  nei  casi  cui  si  applica  la menzionata
convenzione   italo-svizzera,  e'  peggiorativo  per  il  pensionato,
perche',   essendo   l'aliquota   contributiva  vigente  in  Svizzera
sensibilmente  inferiore  a  quella  vigente  in  Italia  nel periodo
rilevante  per  il  calcolo  della  pensione,  anche  la retribuzione
pensionabile   e'  proporzionalmente  minore  di  quella  computabile
secondo  il diverso criterio affermato dalla citata giurisprudenza di
legittimita'.
   Inoltre,  la  nuova disposizione trova applicazione anche nel caso
in  cui  il  lavoratore  abbia  maturato  il diritto alla pensione di
anzianita'  e  ne abbia gia' chiesto la corresponsione, ancorche' non
abbia  ottenuto  la liquidazione della stessa per aver l'INPS opposto
l'applicabilita'   di   un   criterio  di  calcolo  diverso  (e  meno
favorevole)  rispetto  a  quello  affermato  dalla  giurisprudenza di
legittimita'.  Pertanto,  un  lavoratore  (come quello ricorrente nel
giudizio  principale),  pur  avendo  gia'  maturato  il diritto ad un
trattamento pensionistico calcolato sulle retribuzioni effettivamente
percepite  in  Svizzera  senza  alcuna  riparametrazione in base alle
aliquote    contributive    vigenti    nell'assicurazione    generale
obbligatoria in Italia, si trova a subire ex tunc una decurtazione di
tale trattamento gia' entrato nel suo patrimonio.
   Ad avviso della rimettente, la riduzione ex post di un trattamento
previdenziale  gia' maturato ridonda in lesione dell'art. 38, secondo
comma,  Cost.,  giacche'  priva  il pensionato di mezzi adeguati alle
proprie  esigenze  di  vita.  Inoltre,  e' leso l'affidamento riposto
nella  certezza  dei  rapporti  giuridici  dal pensionato che, avendo
operato  scelte  di  vita collocandosi in quiescenza sulla base della
normativa  all'epoca  vigente, si vede ridimensionato un diritto gia'
maturato   ed  anche  esercitato,  con  conseguente  irragionevolezza
intrinseca  dell'efficacia  retroattiva dell'art. 1, comma 777, della
legge  n. 296 del 2006, in violazione dell'art. 3, primo comma, della
Costituzione.
   La  Corte  di  cassazione  sostiene,  poi,  che la norma censurata
collide anche con il principio costituzionale della tutela del lavoro
all'estero  (art.  35,  quarto comma, Cost. in combinato disposto con
l'art.  3,  primo  comma, Cost.), perche' - a parita' di retribuzione
percepita  in Italia e all'estero - svantaggia il lavoratore emigrato
rispetto  al  lavoratore  rimasto  in  Italia,  in quanto riparametra
retroattivamente  la  retribuzione  pensionabile del primo in termini
ingiustificatamente riduttivi e penalizzanti.
   A  parere  del  giudice a quo, e' violato, infine, il principio di
eguaglianza  enunciato  dall'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  poiche'
l'efficacia  retroattiva  dell'art.  1, comma 777, della legge n. 296
del  2006  si  arresta  di  fronte  all'avvenuta  liquidazione  della
pensione  che  costituisce  una  circostanza  contingente  e casuale,
inidonea di per se' a giustificare un regime differenziato.
   2.  - Nel giudizio si e' costituito l'INPS, il quale chiede che la
questione di illegittimita' costituzionale sia dichiarata infondata.
   Ad  avviso  dell'istituto  previdenziale  non  sussiste violazione
dell'art.  38  della Costituzione, non essendo vulnerato il principio
dell'adeguatezza del trattamento pensionistico.
   Ne'  la  retroattivita' della norma lede l'affidamento nutrito dai
lavoratori  circa  i  criteri  di  computo  della  pensione,  perche'
sussisteva  un'obiettiva  incertezza  in  ordine  alle  modalita'  di
determinazione  della  retribuzione  pensionabile, incertezza causata
dalla  contrapposizione  fra  la  costante  prassi  amministrativa  e
l'orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione.
   L'INPS   sostiene   che   la  questione  e'  infondata  anche  con
riferimento all'art. 35, quarto comma, Cost., perche' l'art. 1, comma
777, della legge n. 296 del 2006 non introduce alcuna discriminazione
a  danno  del  lavoratore  impiegato  all'estero,  ma,  al contrario,
elimina  la  rilevante  disparita'  di  trattamento che si verifica a
danno  dei  lavoratori che non possono avvalersi del trasferimento, i
quali,   applicando   il   criterio   di   calcolo   affermato  dalla
giurisprudenza   di  legittimita',  si  troverebbero,  a  parita'  di
retribuzione   percepita,   ad  usufruire  dello  stesso  trattamento
pensionistico  di  chi ha trasferito all'INPS i contributi versati in
Svizzera,  nonostante  che,  a  causa della rilevantissima differenza
delle   aliquote   vigenti   nei   due  Paesi,  abbiano  versato  una
contribuzione molto maggiore.
   Infine,  a  parere dell'istituto previdenziale, la norma censurata
non  viola  neppure  il  principio  di  eguaglianza laddove individua
nell'avvenuta  liquidazione  del  trattamento pensionistico il limite
alla  sua  efficacia  retroattiva,  poiche'  una  simile  clausola di
salvezza  non  e'  irragionevole,  valendo  solamente ad escludere il
ricalcolo  in  peius  delle  pensioni costituite in forza di sentenze
passate  in giudicato ovvero dei pochissimi trattamenti pensionistici
liquidati  in  conformita'  all'orientamento  espresso dalla Corte di
cassazione  a  seguito dell'accoglimento di ricorsi amministrativi da
parte dei comitati centrali dell'INPS.
   3.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha concluso nel senso dell'infondatezza della questione.
   Ad  avviso  della  difesa erariale, la norma censurata enuncia una
delle  possibili  varianti  di  senso  del  testo  della disposizione
interpretata  e  non  lede  il  principio della tutela dei lavoratori
italiani all'estero, perche' il sistema di calcolo della retribuzione
pensionabile  sulla  base del trasferimento dei contributi versati in
Svizzera,  rimasto  in  vigore fino al 2002, e' comunque maggiormente
favorevole  rispetto  a  quello  in  vigore per i lavoratori italiani
occupati nei Paesi dell'Unione europea.
                       Considerato in diritto
   1.  -  La Corte di cassazione dubita, in riferimento agli artt. 3,
primo   comma,   35,   quarto  comma,  e  38,  secondo  comma,  della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma
777,  della  legge  27  dicembre  2006  n. 296  (Disposizioni  per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2007),  a  norma del quale «L'articolo 5, secondo comma,
del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, e
successive  modificazioni,  si  interpreta  nel senso che, in caso di
trasferimento  presso  l'assicurazione generale obbligatoria italiana
dei  contributi  versati  ad  enti  previdenziali  di Paesi esteri in
conseguenza  di  convenzioni  ed  accordi internazionali di sicurezza
sociale,  la  retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro
svolto  nei  Paesi  esteri e' determinata moltiplicando l'importo dei
contributi   trasferiti  per  cento  e  dividendo  il  risultato  per
l'aliquota  contributiva per l'invalidita', vecchiaia e superstiti in
vigore  nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti salvi
i  trattamenti pensionistici piu' favorevoli gia' liquidati alla data
di entrata in vigore della presente legge».
   Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  tale  disposizione ha carattere
innovativo,  perche',  quanto  al regime dei contributi trasferiti in
Italia  in  forza di convenzioni ed accordi conclusi con la Svizzera,
si    era    gia'   affermato   un   orientamento   giurisprudenziale
incontrastato,  secondo il quale il lavoratore italiano che chiede il
trasferimento  all'INPS  dei  contributi  versati  in Svizzera in suo
favore   ha   diritto   di  conseguire  i  vantaggi  derivanti  dalla
legislazione  previdenziale  italiana,  in  particolare  quello della
determinazione  della  pensione  con il metodo retributivo sulla base
della  retribuzione  effettivamente  percepita  in  Svizzera, a nulla
rilevando  che  i  contributi accreditati in Svizzera e trasferiti in
Italia   siano   stati  versati  secondo  l'aliquota  prevista  dalla
legislazione  elvetica,  di  gran  lunga inferiore a quella stabilita
dalla legislazione italiana.
   La  norma  censurata  avrebbe  quindi introdotto un nuovo criterio
contabile   non   ricavabile  dalla  disposizione  interpretata,  con
conseguente  violazione  dell'art.  3,  primo  comma,  Cost., poiche'
sarebbe  leso  l'affidamento  riposto  nella  certezza  dei  rapporti
giuridici  dai  titolari di pensione, i quali, essendosi collocati in
quiescenza   sulla   base   della  normativa  all'epoca  vigente,  si
vedrebbero   ridimensionati   diritti   gia'   maturati,   e  perche'
l'efficacia retroattiva della norma censurata, arrestandosi di fronte
all'avvenuta   liquidazione   della  pensione  (che  costituisce  una
circostanza   contingente  e  casuale),  lederebbe  il  principio  di
eguaglianza
   Sarebbero  poi  violati  il  principio  della  tutela  del  lavoro
all'estero (enunciato dall'art. 35, quarto comma, Cost.), perche' - a
parita'  di  retribuzione percepita in Italia e all'estero - la norma
censurata  svantaggerebbe  il  lavoratore  emigrato rispetto a quello
rimasto  in  Italia,  e  l'art.  38, secondo comma, Cost., poiche' la
riduzione  ex  post  di  un  trattamento  previdenziale gia' maturato
priverebbe  il  pensionato di mezzi adeguati alle proprie esigenze di
vita.
   2. - La questione non e' fondata.
   In base al sistema «retributivo» di computo delle pensioni erogate
dall'assicurazione  generale  obbligatoria,  introdotto dal d.P.R. 27
aprile  1968,  n. 488  (Aumento  e  nuovo  sistema  di  calcolo delle
pensioni   a  carico  dell'assicurazione  generale  obbligatoria),  e
valevole per l'assicurato attore del giudizio principale, la pensione
si  calcola  applicando  un  coefficiente  (proporzionato  al  numero
complessivo  di  settimane di contribuzione vantate dall'interessato)
alla  retribuzione  annua pensionabile, vale a dire alla retribuzione
annua  media  percepita  dal  lavoratore  durante un certo periodo di
riferimento.
   Interventi  legislativi  succedutisi  nel  tempo hanno definito in
maniera  diversa  i  criteri  di  determinazione  della  retribuzione
pensionabile: si vedano, in particolare, l'art. 5, secondo comma, del
d.P.R.  n. 488 del 1968, l'art. 14 della legge 30 aprile 1969, n. 153
(Revisione  degli  ordinamenti  pensionistici  e  norme in materia di
sicurezza  sociale),  l'art.  3  della  legge  29 maggio 1982, n. 297
(Disciplina  del  trattamento  di  fine  rapporto  e norme in materia
pensionistica),  l'art.  3  del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 503  (Norme  per  il  riordinamento  del sistema previdenziale dei
lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23
ottobre  1992,  n. 421),  l'art.  1 del decreto legislativo 11 agosto
1993,  n. 373  (Attuazione  dell'art.  3,  comma 1, lettera o), della
legge  23  ottobre 1992, n. 421, recante calcolo delle pensioni per i
nuovi assunti).
   Caratteristica  comune di tutte le menzionate norme di definizione
della  retribuzione pensionabile e' che esse si collocano nell'ambito
di  un  sistema  previdenziale  tendente  alla  corrispondenza fra le
risorse  disponibili  e  le  prestazioni  erogate.  E  cio'  anche in
ossequio  al  vincolo  imposto  dall'art.  81,  quarto  comma,  della
Costituzione.    Difatti,    lo   stesso   passaggio   dal   criterio
«contributivo» a quello «retributivo» nel calcolo delle pensioni, non
e'   avvenuto   a   discapito   dell'esigenza   della  sostenibilita'
finanziaria  del  sistema.  Il principio secondo il quale la pensione
deve   essere   calcolata  applicando  alla  retribuzione  mediamente
percepita  dal  lavoratore  in un determinato arco di tempo una certa
percentuale direttamente proporzionale al numero di settimane coperte
da  contribuzione  ha sempre avuto per presupposto la circostanza che
le   aliquote   contributive   vigenti   fossero  tali  da  garantire
l'equilibrio finanziario di un tale sistema.
   Se, dunque, le previsioni espresse dall'art. 5, secondo comma, del
d.P.R.  n. 488  del  1968 e dalle successive disposizioni in materia,
implicano che il rapporto tra la retribuzione pensionabile e la massa
dei   contributi  disponibili  sia  quello  espresso  dalle  aliquote
contributive  previste  in  Italia,  non e' affatto incompatibile con
tali  norme  una loro applicazione, secondo la quale, nei casi in cui
occorra calcolare la retribuzione pensionabile di chi abbia versato i
contributi  secondo sistemi diversi da quello italiano, si proceda ad
una  riparametrazione  della  retribuzione  percepita  all'estero che
consenta  di  rendere  il  rapporto  tra  retribuzione pensionabile e
contributi  versati  omogeneo a quello vigente in Italia nello stesso
periodo  di  tempo.  Ed e' cio' che ha stabilito l'art. 1, comma 777,
della legge n. 296 del 2006, disponendo che la retribuzione percepita
all'estero,   da  porre  a  base  del  calcolo  della  pensione,  sia
riproporzionata  al  fine di stabilire lo stesso rapporto percentuale
previsto  per  i  contributi  versati  nel  nostro Paese nel medesimo
periodo.  In  altri  termini,  la norma ha reso esplicito un precetto
gia'   contenuto   nelle  disposizioni  oggetto  dell'interpretazione
autentica.  Sotto  tale  profilo  essa  non  e'  quindi irragionevole
(sentenze n. 274 e n. 135 del 2006).
   La   norma   censurata,   inoltre,  assegnando  alla  disposizione
interpretata  un  significato  rientrante nelle possibili letture del
testo  originario,  non determina alcuna lesione dell'affidamento del
cittadino  nella  certezza  dell'ordinamento giuridico, anche perche'
nella  fattispecie  l'ente  previdenziale  ha continuato a contestare
l'interpretazione  sostenuta  dalle  controparti private - ed accolta
dalla giurisprudenza - rendendo cosi' reale il dubbio ermeneutico.
   Ne'  sussiste  violazione  del principio di eguaglianza, anch'esso
sancito  dall'art.  3,  primo comma, Cost., perche' la salvezza delle
posizioni dei lavoratori, cui gia' sia stato liquidato il trattamento
pensionistico  secondo  un criterio piu' favorevole, risponde, questo
si',  all'esigenza  di  rispettare il principio dell'affidamento ed i
diritti ormai acquisiti di detti lavoratori.
   Non e' leso neppure l'art. 35, quarto comma, Cost., perche' l'art.
1,  comma  777, della legge n. 296 del 2006 non attribuisce al lavoro
prestato all'estero un trattamento deteriore rispetto a quello svolto
in  Italia,  ma anzi assicura la razionalita' complessiva del sistema
previdenziale,  evitando  che,  a  fronte di una esigua contribuzione
versata  nel Paese estero, si possano ottenere le stesse utilita' che
chi  ha  prestato  attivita' lavorativa esclusivamente in Italia puo'
conseguire solo grazie ad una contribuzione molto piu' gravosa.
   Infine,  non  e'  ravvisabile  un contrasto con l'art. 38, secondo
comma,  Cost.,  perche'  la  norma  censurata  non  determina  alcuna
riduzione   ex   post  del  trattamento  previdenziale  spettante  ai
lavoratori.  Essa,  in definitiva, non fa altro che imporre per legge
un'interpretazione  gia'  desumibile dalle disposizioni interpretate.
Ne'  la  rimettente  offre  elementi  per  far  ritenere che la norma
determini  un  trattamento pensionistico addirittura insufficiente al
soddisfacimento delle esigenze di vita del lavoratore.