IL TRIBUNALE All'udienza del 7 febbraio 2008 ha pronunziato, dandone lettura, la seguente ordinanza. Premesso che l'odierno imputato, Confortola Glauco, veniva citato a giudizio innanzi al giudice di pace di Tirano per rispondere del reato di cui all'art. 187, commi 1 e 7, c.d.s., perche' si poneva alla guida dell'autoveicolo Volkswagen tg. SO 191593 in condizioni di alterazione fisica e psichica correlata con l'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope (cannabinoidi). Commesso in Livigno il 10 gennaio 2006; che all'esito del giudizio di primo grado il prevenuto era assolto per insussistenza del fatto; che con atto depositato in data 9 luglio 2007 proponeva rituale impugnazione il pubblico ministero, chiedendo la condanna del prevenuto e lamentando che lo stato di alterazione psico-fisica del Confortola, conducente della vettura indicata in imputazione, era desumibile sia dagli indici sintomatici esterni rilevati dalla p.g. operante (occhi arrossati e lucidi) sia dalla presenza di tracce di sostanza stupefacente nei liquidi fisiologici dell'imputato, come emerso a seguito dell'accertamento diagnostico effettuato nella immediatezza del fatto; che l'art. 9, comma 2, legge 20 febbraio 2006, n. 46, ha disposto la soppressione delle parole «e contro le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa» riportate nell'art. 36, comma 1, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, cosi' sottraendo al pubblico ministero il potere di appellare le indicate sentenze pronunziate dal giudice di pace. Ritenuto che va sollevata, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2, legge 20 febbraio 2006, n. 46, per violazione dell'art. 111, secondo comma, Costituzione; che, quanto alla rilevanza della questione, il sottoscritto giudice d'appello dovrebbe dichiarare, in ossequio alla disposizione sopra indicata, l'improponibilita' del gravame e, ex artt. 568, quinto comma, c.p.p. e 36, comma 2, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, qualificata l'impugnazione ricorso per cassazione, trasmettere gli atti al giudice competente; che l'eventuale accoglimento della censura di legittimita' costituzionale della norma impugnata consentirebbe, viceversa, di esaminare nel merito il proposto gravame, vertendosi in tema di reato punito con pena alternativa; che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, l'art. 37, comma 1, legge 28 agosto 2000, n. 274, consente all'imputato di proporre appello contro condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria, nonche' contro quelle che applicano la pena pecuniaria, se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno; che, pertanto, il sistema normativo vigente, a fronte di un riconosciuto potere di appello, sia pur circoscritto, in capo all'imputato contro le sentenze di condanna pronunziate dal giudice di pace, nega radicalmente al pubblico ministero il correlativo potere di appello contro le sentenze di proscioglimento pronunziate dal predetto giudice onorario; che la Corte costituzionale ha gia' dichiarato l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 111, secondo comma, Cost., degli artt. 1 e 2, legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui escludevano che il pubblico ministero potesse appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse dal giudice ordinario togato a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato (cfr. Corte costituzionale 6 febbraio 2007, n. 26 e 20 luglio 2007, n. 320); che in quella sede la Corte costituzionale affermava che «anche per quanto attiene alla disciplina delle impugnazioni, parita' delle parti non significa, nel processo penale, necessaria omologazione di poteri e facolta»; che «cio' non toglie, tuttavia, che le eventuali menomazioni del potere di impugnazione della pubblica accusa, nel confronto con lo speculare potere dell'imputato, debbano comunque rappresentare - ai fini del rispetto del principio di parita' - soluzioni normative sorrette da una ragionevole giustificazione, nei termini di adeguatezza e proporzionalita' dianzi lumeggiati: non potendosi ritenere, anche su questo versante - se non a prezzo di svuotare di significato l'enunciazione di detto principio con riferimento al processo penale - che l'evidenziata maggiore "flessibilita'" della disciplina del potere di impugnazione del pubblico ministero legittimi qualsiasi squilibrio di posizioni, sottraendo di fatto, in radice, le soluzioni normative in subiecta materia allo scrutinio di costituzionalita»; che la Corte costituzionale ravvisava nelle norme allora oggetto di scrutinio una dissimmetria radicale, riscontrabile anche con riferimento a quella in esame. Rilevava, invero, la Corte che «a differenza dell'imputato, infatti, il pubblico ministero viene privato del potere di proporre doglianze di merito avverso la sentenza che lo veda totalmente soccombente, negando per integrum la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere con l'azione intrapresa, in rapporto a qualsiasi categoria di reati»; che, ora come allora, «la rimozione del potere di appello del pubblico ministero si presenta, per altro verso, generalizzata e "unilaterale". E' generalizzata, perche' non e' riferita a talune categorie di reati, ma e' estesa indistintamente a tutti i processi. E' "unilaterale", perche' non trova alcuna specifica "contropartita" in particolari modalita' di svolgimento del processo - come invece nell'ipotesi gia' scrutinata dalla Corte in relazione al rito abbreviato, caratterizzata da una contrapposta rinuncia dell'imputato all'esercizio di proprie facolta', atta a comprimere i tempi processuali - essendo sancita in rapporto al giudizio ordinario, nel quale l'accertamento e' compiuto nel contraddittorio delle parti, secondo le generali cadenze prefigurate dal codice di rito»; che, infine, anche in relazione alla norma de qua, sembrano pertinenti le argomentazioni gia' esposte dalla Corte costituzionale nelle citate sentenze, a tenore delle quali «la menomazione recata dalla disciplina impugnata ai poteri della parte pubblica, nel confronto con quelli speculari dell'imputato, eccede il limite di tollerabilita' costituzionale, in quanto non sorretta da una ratio adeguata in rapporto al carattere radicale, generale e "unilaterale" della menomazione stessa: oltre a risultare - per quanto dianzi osservato - intrinsecamente contraddittoria rispetto al mantenimento del potere di appello del pubblico ministero contro le sentenze di condanna» (cfr. art. 36, comma 1, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274).