LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di lavoro iscritta al n. 988/2007 R. G. L. promossa da Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - INPS, con sede in Roma, in persona del suo Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Teresa Caratozzoli e dall'avv. Patrizia Regaldo per procura generale alle liti in data 7 ottobre 1993, per atto a rogito dott. Franco Lupo notaio in Roma, elettivamente domiciliato in Torino, via Arcivescovado n. 2, presso l'Ufficio legale della Sede provinciale, appellante; Contro Franco Evelina, residente in Torino ed ivi elettivamente domiciliato in via Stefano Clemente n. 6, presso lo studio Stramandinoli e Surace - avvocati associati - in persona dell'avvocato Giuseppe Stramandinoli che la rappresenta e difende giusta procura speciale alle liti apposta a margine del ricorso in primo grado, appellata. Oggetto: maggiorazione trattamento pensionistico. L'originaria ricorrente, titolare di pensione con decorrenza dall'agosto 1989, ha evocato in giudizio l'INPS per sentir affermare il suo diritto a percepire la maggiorazione sociale prevista dall'art. 6, legge 15 aprile 1985 n. 140 in favore delle categorie di cui alla legge 24 maggio 1970 n. 336, e successive modifiche (ex combattenti ed assimilati), maggiorazione originariamente fissata nell'importo di L. 30.000, nella misura determinata in applicazione del meccanismo di perequazione automatica non a decorrere dalla data di liquidazione della medesima, come viceversa attuato dall'INPS, ma dall'entrata in vigore della norma dell'art. 6, cit., ossia dal 1° novembre 1985. Dopo la sentenza del tribunale di Torino che, in ossequio ad un orientamento interpretativo univoco della Corte di Cassazione, cui si e' sempre adeguata anche questa corte d'appello, ha accolto la domanda del pensionato, e' intervenuto l'art. 2, comma 505 della legge n. 244/2007, in base al quale l'art. 6 comma 3 della legge 15 aprile 1985, n. 140 (che appunto prevede l'automatica perequazione della maggiorazione sociale) «si interpreta nel senso che la maggiorazione prevista dal comma i del medesimo articolo si perequa a partire dal momento della concessione della maggiorazione medesima agli aventi diritto». La parte originariamente ricorrente, oggi appellata, dubita della legittimita' costituzionale di tale nonna, in quanto la stessa introdurrebbe evidenti e ingiustificate disparita' di trattamento tra i pensionati per quel che riguarda l'importo della maggiorazione in godimento nello stesso periodo, a seconda della data di liquidazione della rispettiva pensione. Chiede pertanto che la corte voglia sollevare incidente di costituzionalita' del citato art. 2, comma 505 della legge n. 244/2007, in relazione agli articoli 3 e 38, 2 comma della Costituzione. La questione appare sicuramente rilevante ai fini della decisione portata all'attenzione di questa Corte. Nessuno dubita infatti che l'applicazione del meccanismo perequativo sull'importo originario della maggiorazione pari ad euro 15,49) a decorrere dal 1° gennaio 1985, ne determinerebbe un ammontare maggiore rispetto a quello riconosciuto dall'INPS a seguito dell'applicazione dello stesso criterio di liquidazione fatto proprio dalla norma interpretativa dell'art. 2, comma 505. Ai fini dell'esame del requisito della rilevanza, deve essere incidentalmente affrontata inoltre l'eccezione di intervenuta decadenza formulata dalla difesa dell'Istituto gia' nella memoria di costituzione di primo grado ai sensi dell'art. 47, secondo comma del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, come modificato dall'art. 4, comma 2 della legge n. 438/1992. Secondo questa corte, deve innanzitutto escludersi che la decadenza precluda la domanda di accertamento della corretta misura della pensione (comprensiva della maggiorazione ex art. 6, legge n. 140/85) anche per il periodo successivo alla proposizione della domanda giudiziaria. Tale tesi estrema (che pare sostenuta dall'Inps quantomeno in prima battuta) e' certamente errata, stante l'imprescrittibilita' del diritto a pensione (sia nell'an che nel quantum) e la prescrittibilita' solo dei ratei. La distinzione tra imprescrittibilita' della pensione e prescrittibilita' dei ratei e' sempre stata affermata sia in dottrina che in giurisprudenza ed ha trovato conferma nell'art. 6 comma 1 seconda proposizione d.l. n. 103/1991: «La decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale». In base a detti principi, pertanto, la sollevata eccezione di decadenza non puo' assorbire in toto l'oggetto della domanda originariamente formulata, potendo al piu' comportare la limitazione della pretesa ad un certo ambito temporale precedente la domanda medesima. La questione prospettata non appare nemmeno manifestamente infondata, in ispecie per quel che riguarda la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione. Ritiene peraltro questa corte di dover far richiamo a quanto sul punto specifico affermato, seppur in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma interpretativa che si denuncia come incostituzionale, dalla Corte di cassazione, con una pronuncia che espressamente affrontava le due opzioni interpretative contrapposte, giungendo a superare quella sposata dall'INPS proprio sul rilievo della sua evidente contrarieta' al principio costituzionale di eguaglianza. Sostiene infatti la S.C. (Sez. lav. 7 luglio 2005, n. 14285) che «l'interpretazione proposta dall'istituto assicuratore condurrebbe a risultati irrazionali e manifestamente lesivi del principio di uguaglianza di cui all'art 3 Cost., poiche' la maggiorazione pensionistica sarebbe corrisposta nello stesso anno in misura diversa ai vari pensionati a seconda dell'anno di pensionamento», per precisare poi che «tale differenziazione non troverebbe giustificazione neanche nel fenomeno - che puo' rendere costituzionalmente legittimi trattamenti differenziati a seconda dell'epoca del pensionamento di situazioni per il resto omogenee - della evoluzione nel tempo. migliorativa o peggiorativa, della disciplina normativa». Invero, nell'esaminare la formulazione dell'art. 6 cit., la Cassazione ha rinvenuto anche elementi decisivi sul piano dell'interpretazione letterale dal momento che «E' vero che di norma la disciplina della perequazione automatica riguarda le pensioni in godimento, ma il suo richiamo a proposito della maggiorazione di L. 30.000 in questione consente di ritenere l'applicabilita' del meccanismo rivalutativo alla cifra in questione in se stessa, e anzi questa interpretazione e' la piu' consona sia al tenore della disposizione, sia alla circostanza che e' nel successivo comma 7 che, invece, e' contenuta la disciplina dell'inserimento della maggiorazione nel trattamento pensionistico». Le argomentazioni addotte dalla S.C. a favore della tesi nel senso voluto dai pensionati, ossia della decorrenza della perequazione automatica della maggiorazione sociale di cui all'art. 6 legge n. 140/1985 a partire dalla data di entrata in vigore della norma, e non da quella eventualmente successiva della liquidazione del trattamento pensionistico, piu' volte riprese anche da questa stessa corte territoriale, paiono ora decisive ai fini del giudizio di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 505, legge n. 244/2007, in relazione all'art. 3 Cost. A diversa conclusione si giunge invece per cio' che concerne il diverso profilo di cui al secondo comma, dell'art. 38 Cost., in quanto nel caso di specie non si verte in ipotesi di congelamento od annullamento del meccanismo in questione, ma di una sua applicazione posposta nel tempo. Tra l'alto, la controversia riguarda solo una maggiorazione, di importo sicuramente modesto, quando e' fuori discussione che al trattamento pensionistico si applica l'ordinaria perequazione automatica, con conseguente esclusione nei fatti della dedotta violazione dell'art. 38, secondo comma Cost.