LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 14103/06, depositato l'11 dicembre 2006: avverso silenzio rifiuto istanza rimb. Irpeg 1982, contro Agenzia Entrate - Ufficio Milano 1, proposto dal ricorrente: Lagarina S.r.l., via della Signora n. 2/a - 20122 Milano, difeso da: prof. dr. Marco Piazza, dr. Guido Luigi Elefante, avv. Patrizia Castellano, Studio associato Piazza, Galleria Passerella n. 1 - 20122 Milano; avverso silenzio rifiuto istanza rimb. Irpeg 1985, contro Agenzia Entrate - Ufficio Milano 1, proposto dal ricorrente Lagarina S.r.l., via della Signora n. 2/A - 20122 Milano, difesa da prof. dr. Marco Piazza, dr. Guido Luigi Elefante, avv. Patrizia Castellano, Studio associato Piazza, galleria Passerella n. 1 - 20122 Milano. Svolgimento del processo Con il ricorso indicato in epigrafe la societa' Lagarina S.r.l. impugna il silenzio rifiuto dell'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Milano n. 1, in relazione all'istanza di rimborso di crediti IRPEG relativi agli anni 1982 e 1985, spedita a mezzo di raccomandata il 22 luglio 2005. La ricorrente afferma che nella dichiarazione dei redditi del 29 dicembre 1982, relativa al periodo d'imposta 1981, aveva chiesto il rimborso dell'IRPEG risultante a credito per lire 35.553.000; anche nella dichiarazione del 28 febbraio 1986, relativa al periodo di imposta 1984-1985 (esercizio a cavallo delle due annate) era risultato un credito di IRPEG di lire 70.834.000 del quale aveva chiesto contestualmente il rimborso. Rilevata l'inottemperanza dell'Amministrazione Finanziaria, il 25 novembre 2004 aveva chiesto informazioni e aveva sollecitato l'esecuzione dei rimborsi. Non avendo ricevuto risposta, la ricorrente aveva inviato altra raccomandata in data 22 luglio 2005 con nuova richiesta di informazioni e sollecito di pagamento, raccomandata a cui l'amministrazione non aveva dato alcuna risposta. Considerato che i crediti di cui si chiedeva il rimborso non erano stati mai contestati e pertanto erano diventati certi, e che nonostante i solleciti inviati dalla ricorrente l'Amministrazione finanziaria, contravvenendo all'obbligo di dare informazioni (previsto dagli articoli 5 e 8 della legge n. 241/1990) e di restituire le somme versate in eccedenza (previsto dall'articolo 38 del D.P.R. n. 602/1973) non ha ancora provveduto ai rimborsi, la ricorrente chiede che l'Agenzia delle entrate sia condannata al pagamento di Euro 15.779,31 (pari a lire 30.533.000) per Irpeg del 1981 e di Euro 36.582,71 (pari a lire 70.834.000) per Irpeg del 1985, oltre gli interessi dovuti per legge sulle predette somme. Si e' costituito in giudizio l'Ufficio di Milano dell'Agenzia delle Entrate, il quale in via preliminare eccepisce l'inammissibilita' del ricorso per inesistenza del provvedimento impugnato e violazione degli articoli 18 e 19 del decreto legislativo n. 546/1992. L'ufficio fa rilevare che il citato articolo 19 elenca in maniera tassativa gli atti avverso i quali puo' proporsi legittimamente il ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale. In modo improprio la ricorrente ha ritenuto che il silenzio dell'Amministrazione Finanziaria sulla sua «istanza di rimborso» possa rientrare al punto g) dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 546/1992. L'istanza di controparte, con cui si chiede il pagamento del suo credito, non e', giuridicamente, un'istanza di rimborso ex articolo 37 e 38 del D.P.R. n. 602/1973. Infatti l'articolo 37 disciplina i casi di rimborso delle ritenute dirette, mentre l'articolo 38 regola i casi di rimborso di versamenti diretti. In entrambi i casi il presupposto giuridico per il rimborso e' l'essere il contribuente caduto in «errore materiale, duplicazione o inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento». Nella fattispecie in esame la ricorrente chiede il rimborso del credito risultante dalla propria dichiarazione e, quindi, non di un versamento effettuato per errore. Dunque non sono applicabili gli articoli 37 e 38 del citato d.P.R. n. 602/1973. Le istanze inoltrate nel 2004 e nel 2005 non sono altro che atti stragiudiziali diretti alla interruzione del termine di prescrizione e non gia' atti prodromici diretti al fine di un provvedimento amministrativo «autonomamente impugnabile», ai sensi dell'art. 19 d.lgs. n. 546/1992. Per mero tuziorismo l'Ufficio segnala che l'unico caso per il quale, nell'ipotesi di credito risultante dalla dichiarazione, e' ammessa l'istanza di rimborso (in senso tecnico), sulla quale l'Amministrazione Finanziaria deve pronunciarsi, e' quello previsto dall'articolo 4, comma 4, del d.P.R. n. 42/1988 che riguarda il credito da riporto poi non utilizzato. Anche la giurisprudenza e' costante nell'affermare che la procedura prevista dall'articolo 38, d.P.R. n. 602/1973 e' applicabile soltanto alle ipotesi di errore nella dichiarazione che ha determinato un versamento in eccesso (in alternativa alla dichiarazione integrativa quando i termini per la sua presentazione fossero gia' scaduti); giammai per ottenere il rimborso di un credito esposto in dichiarazione e non ancora erogato. A questo riguardo l'Ufficio richiama la sentenza n. 3718 in data 14 gennaio 2005 della Corte di cassazione (sezione tributaria) e quella numero 11830 del 12 marzo 2002 della stessa sezione. Inoltre, se si considerasse applicabile ai crediti risultanti dalla dichiarazione, la procedura del silenzio rifiuto, il contribuente potrebbe ottenere un titolo di condanna esecutivo che costringerebbe l'Amministrazione ad adempiere pur in presenza di crediti non esigibili. Infatti la procedura amministrativa di liquidazione dei rimborsi subordina l'erogazione ad una serie di ulteriori condizioni che il giudice non e' tenuto a verificare, come quelle previste dalla circolare n. 45/2004 (conformita' della liquidazione ex art. 36-bis, d.P.R. n. 600/1973, inesistenza di altri crediti erariali, assenza di accertamenti per l'annualita', assenza di provvedimenti di fermo amministrativo, esistenza di eventuali cessioni del credito, ecc.). Infine la validazione e l'erogazione dei rimborsi si svolge in ordine cronologico, ordine che verrebbe sconvolto dalla esistenza di una sentenza di condanna, creando una sorta di corsia preferenziale a danno di altri contribuenti che fossero in attesa di rimborsi per annualita' precedenti. Nel merito l'Ufficio, senza rinuncia alle eccezioni preliminari, afferma che «dalle liquidazioni ex articolo 36-bis, d.P.R. n. 600/1973 delle dichiarazioni dei redditi non e' stato riconosciuto alcun rimborso». Afferma inoltre di non poter riconoscere alla documentazione allegata al ricorso (ovvero alle fotocopie delle ricevute di presentazione delle dichiarazioni e alle copie di uno stralcio delle dichiarazioni in questione) «una forza probatoria tale da dimostrare l'avvenuta presentazione delle dichiarazioni e in particolare la loro presentazione in conformita' dei dati contenuti nell'asserita fotoriproduzione». «Il mancato riscontro, con canoni di assoluta certezza, della veridicita' dei fatti, sostenuta dalla ricorrente, potrebbe comportare il rischio di un indebito riconoscimento del credito di imposta con evidente danno per l'Erario». Nella ripetizione dell'indebito opera il normale principio dell'onere della prova a carico del creditore. Nel caso in esame spetta alla ricorrente dimostrare l'esistenza dell'intero importo del credito. «Diventa necessaria l'esibizione da parte della societa' degli originali delle dichiarazioni con i relativi allegati, copia del bilancio e l'esibizione di prove idonee a documentare il preteso rimborso, anche in considerazione del fatto che per gli anni in questione tale documentazione doveva essere allegata alla dichiarazione. In particolare si doveva allegare documentazione giustificativa delle ritenute d'acconto subite e credito d'imposta sui dividendi». Pertanto l'ufficio chiede il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali. Con memoria di replica depositata il giorno 11 dicembre 2006 la societa' ricorrente fa rilevare che non spetta a lei provare l'esistenza dei crediti d'imposta poiche' essi emergono dalle dichiarazioni presentate a suo tempo all'amministrazione finanziaria, crediti dei quali aveva chiesto contestualmente il rimborso, e per i quali successivamente aveva inviato altre istanze di rimborso ex articolo 38, d.P.R. n. 602/1973 (documenti allegati al ricorso sub 1-4). L'ufficio non ha mai contestato i suddetti crediti. L'organo a suo tempo competente (il Centro di Servizio) avrebbe dovuto controllare, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, attraverso la procedura di liquidazione delle dichiarazioni, i crediti di imposta spettanti ed effettuare i rimborsi. «Il fatto che l'ufficio non abbia mai effettuato il rimborso non e' la dimostrazione dell'inesistenza dei crediti, ma anzi e' proprio il fatto di non avere mai messo in discussione la loro spettanza, nonostante i numerosi solleciti della contribuente, che ne attesta l'esistenza». A questo riguardo si richiama il principio giurisprudenziale enunciato dalla sentenza n. 1183/2002 della Corte di cassazione. Infine la ricorrente fa rilevare che «i crediti ai quali si fa riferimento risalgono a ben venti anni fa, cosicche' sarebbe contrario alle norme civilistiche (art. 2220 c.c.) e fiscali (art. 22 del d.P.R. n. 600/1973) richiedere alla ricorrente detta documentazione. Peraltro trattasi di documentazione a disposizione dell'amministrazione finanziaria e prodotta a suo tempo con la presentazione delle dichiarazioni». Pur ritenendo di avere gia' maturato il diritto al rimborso dei crediti richiesti con le dichiarazioni (crediti mai contestati, ne' rettificati, ne' compensati, ne' ceduti a terzi), tuttavia, per scrupolo difensivo la ricorrente produce copia delle dichiarazioni dei redditi, dei bilanci, dei certificati della societa' partecipata Sidas S.r.l. concernenti il versamento dei dividendi e le ritenute d'acconto (da cui derivano in buona parte i crediti di imposta), e copia delle raccomandate inviate al Centro di Servizio in risposta alle richieste di documenti ex articolo 36-bis, d.P.R. n. 600/1973. Motivi della decisione Preliminarmente va precisato che non e' fondata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso, sollevata dall'ufficio. La questione e' stata esaminata dalla Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 11830 del 12 marzo 2002, che ha enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di imposte sui redditi, qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d'imposta, non occorre, da parte sua, al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento (quale, in particolare, l'istanza ex articolo 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, estranea alla fattispecie anzidetta), ma deve solo attendere che l'amministrazione finanziaria eserciti, sui dati in dichiarazione, il potere - dovere di controllo, secondo la procedura di liquidazione delle imposte prevista dall'art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione. Una volta che il credito si sia consolidato - attraverso un riconoscimento esplicito in sede di liquidazione, ovvero per effetto di un riconoscimento implicito derivante dal mancato esercizio nei termini del potere di rettifica -, l'amministrazione e' tenuta ad eseguire il rimborso e il relativo credito del contribuente e' soggetto alla ordinaria prescrizione decennale, decorrente dal riconoscimento del credito stesso». Questo orientamento e' stato confermato da altra sentenza della stessa sezione della Corte di cassazione, numero 3718 in data 14 gennaio 2005. Entrambe sono menzionate anche dall'ufficio nell'atto di costituzione in giudizio, sebbene esse siano contrarie alla eccezione di inammissibilita'. Nella motivazione della prima sentenza e' detto chiaramente che l'articolo 38 del d.P.R. n. 602/1973 non e' applicabile all'ipotesi di credito di imposta risultante dalla dichiarazione dei redditi, perche' essa riguarda situazioni di fatto totalmente differenti, e «cioe' quando si sono verificati fatti che impongono al contribuente di attivarsi entro un determinato termine per fare conoscere all'amministrazione sia la fonte del preteso diritto al rimborso che la volonta' di ottenere il rimborso. Tali fatti, per previsione espressa e tassativa dell'articolo 38, d.P.R. n. 602/1973 (che sancendo una decadenza e' norma di stretta interpretazione) sono l'errore materiale, la duplicazione, l'inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento. Nessuno di questi fatti si e' verificato nel caso sottoposto ad esame, sicche' la norma invocata risulta totalmente estranea ed indifferente». Dunque non e' necessaria l'istanza di rimborso per determinare il silenzio rifiuto della amministrazione quando siano decorsi i termini per la liquidazione, ex articolo 36-bis, d.P.R. n. 600/1973, e quello per l'accertamento ex articolo 43 del medesimo decreto. Questo non significa pero' che il contribuente non possa proporre il ricorso previsto dagli articoli 18 e 19 del decreto legislativo n. 546/1992, al fine di ottenere il rimborso del credito indicato nella dichiarazione. Se si fosse di contrario avviso si dovrebbe ravvisare un conflitto di tali norme con l'articolo 113 della Costituzione, che garantisce la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi della giustizia ordinaria o amministrativa. Dunque, il fatto che il credito risultante dalla dichiarazione dei redditi non possa rientrare nelle ipotesi di silenzio-rifiuto previste dall'articolo 38, primo e secondo comma del d.P.R. n. 602/1973, non significa affatto che il silenzio-rifiuto non possa risultare in altro modo ed in particolare, dalla mancata liquidazione del credito di imposta nei termini previsti dall'articolo 36-bis del d.P.R. n. 600/1973. Infatti l'articolo 19, lettera g) del decreto legislativo n. 546/1992 considera impugnabile «il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti», concetto ben ampio e non strettamente correlato al procedimento descritto nell'articolo 38 del d.P.R. n. 602/1973 che, peraltro, assoggetta l'istanza di rimborso a termini di decadenza non suscettibili di estensione all'ipotesi di rimborso di credito risultante dalla dichiarazione. Infatti in questo caso l'istanza di rimborso viene formulata con la stessa dichiarazione dei redditi da cui risulta il credito d'imposta. Va da se che, come precisato nelle medesime sentenze della Corte di cassazione, il credito risultante dalla dichiarazione e' soggetto alla ordinaria prescrizione decennale, decorrente dal riconoscimento anche implicito del credito stesso, ovvero dalla scadenza dei termini per la comunicazione di una liquidazione della dichiarazione con esito diverso da quello prospettato dal contribuente o, in mancanza di questa, dalla scadenza del termine per la notifica dell'avviso di accertamento. Dunque il ricorso e' ammissibile. Tuttavia resta aperta la questione preliminare della eventuale prescrizione del diritto al rimborso che, nel caso in esame, si e' verificata perche', sia dalla scadenza del termine fissato per la liquidazione ex 36-bis, d.P.R. n. 600/1973, sia da quella per l'accertamento ex articolo 43 del medesimo decreto, (per la dichiarazione del 1986 detto termine scadeva, secondo la legislazione allora vigente, il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello della dichiarazione stessa, ovvero il 31 dicembre del 1991) sono trascorsi piu' di dieci anni prima della presentazione del ricorso. E' pur vero che la ricorrente aveva inviato in precedenza ben due richieste di chiarimenti e sollecitato la liquidazione e il rimborso di quanto dovuto, ma entrambe queste richieste (astrattamente idonee ad interrompere il corso della prescrizione), sono intervenute il 25 novembre 2004 e il 21 luglio 2005, ovvero quando erano gia' trascorsi (alla data del 1° gennaio 2002) piu' di dieci anni dall'inizio del termine di prescrizione sopra indicato. L'eventuale estinzione del diritto per prescrizione e' rilevante nel presente giudizio perche', a causa del tempo trascorso dal periodo di imposta in questione l'ufficio non e' piu' in grado di verificare l'esito delle attivita' di liquidazione, posto che all'epoca none era stata ancora introdotto il sistema informatico dell'amministrazione tributaria; solo in alcuni casi e' in grado di rilevare l'esistenza di rimborsi effettuati molti anni dopo, ma non ha la impossibilita' di stabilire con certezza che altri crediti non siano stati rimborsati; in ogni caso non e' in grado di verificare e riferire l'esito delle attivita' di liquidazione perche' si tratta di pratiche amministrative i cui fascicoli sono stati gia' destinati al macero. Peraltro l'obbligo della la pubblica amministrazione, di custodire la documentazione delle pratiche fiscali, fuori dai casi della esistenza di controversie in corso, non puo' certo essere prolungato oltre il termine ordinario di prescrizione, cosi' come e' stabilito per i privati dall'articolo 2220 del codice civile, con la deroga prevista dall'articolo 22, secondo comma del d.P.R. n. 600/1973. Dunque questa oggettiva impossibilita', per l'amministrazione finanziaria, di contrastare nel merito la pretesa del ricorrente dovrebbe comportare, qualora non fosse eccepita la prescrizione, l'accoglimento del ricorso e la condanna dell'Agenzia al rimborso delle cospicue somme risultanti, come crediti di imposta, dalle copie delle dichiarazioni prodotte dalla ricorrente. Copie che sono indubbiamente utilizzabili come prova, salvo che non ne sia esplicitamente contestata la conformita' agli originali (art. 2719 del codice civile). Questa contestazione non e' stata prospettata dall'ufficio (che deduce soltanto la loro inutilizzabilita' come mezzo di prova) e non potrebbe in alcun modo essere dedotta proprio perche' manca la disponibilita' degli originali (presentati a suo tempo al Centro di servizio) e la possibilita' di un confronto. Dunque la questione relativa alla prescrizione del diritto e' di importanza risolutiva per la definizione del giudizio. L'estinzione del diritto per prescrizione non puo' essere rilevata di ufficio dal giudice (art. 2938 del codice civile), ma e' necessario che sia eccepita dalla parte che vi ha interesse. L'ufficio si e' astenuto dal sollevare l'eccezione di prescrizione, in ossequio al disposto contenuto nell'articolo 3, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilanci annuale e pluriennale dello Stato) che cosi' dispone: «Nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte, l'Agenzia delle entrate provvede alla erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, senza far valere la eventuale prescrizione del diritto dei contribuenti». Questa norma e' palesemente contraria a principi costituzionali di uguaglianza, di ragionevolezza, di tutela giurisdizionale e di organizzazione dei pubblici uffici secondo criteri di buon andamento, di imparzialita' e di efficienza della pubblica amministrazione (articoli 3, 113 e 97 della Costituzione). E' contraria al principio di eguaglianza perche' discrimina tra le parti del processo e tra diverse categorie di contribuenti. Certamente non trova altro esempio in tutta la legislazione vigente il caso di una norma (come quella in esame) che vieta solo ad una delle parti il potere di dedurre ed eccepire fatti e circostanze rilevanti ai fini della decisione. La struttura della norma e' singolare e irragionevole perche', pur incidendo sui diritti soggettivi ed in particolare sull'obbligo della p.a. di eseguire un rimborso, perviene a questo risultato non modificando le norme di diritto sostanziale sulla prescrizione (eventualmente prolungando la durata del termine), ma alterando i poteri processuali di una delle parti in causa. L'anomalia e' ancora piu' evidente ove si consideri che essa non modifica la disciplina del processo in modo indifferente per le parti ma si rivolge soltanto ad un organo interno della pubblica amministrazione vietandogli di esercitare una facolta' prevista in generale dall'ordinamento processuale, che resta in apparenza inalterato. Con questo singolare meccanismo normativo si incide sostanzialmente sull'istituto della prescrizione con efficacia retroattiva e in violazione dei principi generali, sanciti dall'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), il quale stabilisce che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo e che i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d'imposta non possono essere prorogati. La norma e' in contrasto con il secondo comma dell'articolo 113 della Costituzione perche' esclude la tutela giurisdizionale della stessa pubblica amministrazione per determinate categorie di atti. Infatti essa vieta all'Agenzia delle Entrate di far valere la prescrizione soltanto per «le eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997». La norma e' contraria al principio di ragionevolezza perche' estendendo il divieto ai rapporti derivanti da tutte le dichiarazioni anteriori al 30 giugno 1997 senza alcun limite iniziale, offre ai contribuenti la possibilita' di riaprire ad libitum rapporti giuridici di credito anche risalenti al passato remoto. E' contraria al principio di ragionevolezza anche perche' l'espressione, «Nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti», e' priva di senso e di contenuto precettivo, e si presenta come una giustificazione incongrua della speciale deroga alla generale applicazione delle norme sulla prescrizione. Infatti l'espressione suddetta non puo' che fare riferimento o a rapporti sub iudice, e quindi non suscettibili di prescrizione (giacche' il termine di prescrizione resta sospeso durante tutto il corso della lite e fino alla conclusione definitiva del processo, articolo 2945 secondo comma del codice civile), oppure a rapporti tributari per i quali siano ancora aperti i termini di accertamento, per i quali ovviamente non puo' essersi verificata alcuna prescrizione. Ugualmente privo di senso e' l'inciso, «Nel quadro delle iniziative ... di rimborso delle imposte», perche' l'espressione «iniziative di rimborso delle imposte» non puo' fare riferimento che al rimborso di ufficio, previsto dall'articolo 42-bis del d.P.R. n. 602/1973, e, in virtu' del rinvio contenuto nella suddetta norma, al potere dovere dell'ufficio di procedere alla liquidazione delle dichiarazioni dei redditi ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973. Ma, nel senso suddetto, il riferimento all'iniziativa dell'ufficio non ha alcun significato normativo, anche perche' la liquidazione deve avvenire entro un termine piu' breve e percio' non puo' mai essersi verificata una prescrizione del diritto del ricorrente. Se poi, per assurdo, si volesse estendere la classe delle «iniziative», a tutte le richieste di rimborso provenienti dai contribuenti, la norma dovrebbe significare che di fronte a qualunque rivendicazione tardiva e remota, l'Agenzia delle Entrate non potrebbe piu' opporre alcuna difesa. Questo confermerebbe la censura di totale irragionevolezza. Dunque il divieto rivolto agli uffici, di far valere la prescrizione, puo' fare riferimento soltanto al rimborso delle imposte il cui diritto sia stato gia' definitivamente riconosciuto dalla amministrazione in uno dei modi sopra specificati dalle citate sentenze della Corte di cassazione. Ma sotto questo profilo non si comprende quale possa essere la ragione di politica legislativa per cui lo Stato abbia voluto rinunciare ad una eccezione fondata sulle norme di diritto comune (valevoli per tutte le situazioni di prolungata inerzia dell'avente diritto), peraltro favorendo soltanto alcune categorie di contribuenti a discapito di altri, a cominciare da quelli le cui dichiarazioni fossero state presentate dopo il 30 giugno 1997. Ed e' questo il secondo profilo della violazione del principio di uguaglianza, sancito dall'articolo 3 della Costituzione. Inoltre la norma rivela la sua assoluta irragionevolezza e il contrasto inconciliabile con l'articolo 97 della Costituzione ove si considerino gli effetti perversi che essa produce, perche' da' adito a vere e proprie frodi in danno dell'erario. Infatti occorre tenere presente che la liquidazione della dichiarazione, prevista dall'articolo 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, non prevedeva e non prevede tuttora che il disconoscimento del credito di imposta, esposto nella dichiarazione dei redditi, debba essere formalmente comunicato al dichiarante. Infatti, mentre il primo comma stabilisce che all'esito della liquidazione l'ufficio deve provvedere ad effettuare i rimborsi eventualmente spettanti in base alle dichiarazioni, il comma terzo stabilisce soltanto che, «ai fini delle correzioni, esclusioni e riduzioni previste dal comma secondo», l'ufficio deve invitare il contribuente, «anche a mezzo telefono o a mezzo posta, a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad esibire o trasmettere ricevute di versamento e altri documenti indicati nella dichiarazione ma ad essa non allegati o difformi dai dati forniti da terzi». Vero e' che la legge n. 212/2000 (statuto dei diritti del contribuente) all'articolo 6, comma 2, stabilisce: «L'amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito». Anche questa norma pero' non prevede l'emanazione, dopo la richiesta di chiarimenti e della esibizione di documenti, di un vero e proprio provvedimento di rigetto della richiesta di rimborso. Ma quand'anche si volesse affermare che da essa scaturisce l'obbligo dell'amministrazione di comunicare il rifiuto del rimborso del credito esposto nella dichiarazione, si deve rilevare che essa non puo' esplicare effetti sul passato e sui procedimenti definiti prima dell'entrata in vigore della citata legge n. 212/2000. Dunque, in precedenza, e specificamente all'epoca in cui si procedeva alla liquidazione delle dichiarazioni presentate negli anni 1982 e 1986, il dichiarante poteva essere informato del disconoscimento del credito solo indirettamente, quando riceveva un rimborso inferiore alla somma da lui esposta nella dichiarazione oppure quando la liquidazione metteva in evidenza non un credito ma un debito di imposta. Viceversa, quando l'ufficio, anche dopo avere chiesto chiarimenti e documenti, si limitava a disconoscere il credito di imposta, non era tenuto ad eseguire alcuna comunicazione al dichiarante. Si tratta certamente di una carenza normativa, a cui tuttavia non e' possibile porre rimedio con la legge n. 212 entrata in vigore nel 2000. Questa deficienza va poi messa in relazione con la situazione determinatasi con il riordino degli uffici dell'amministrazione finanziaria e con la soppressione dei centri di servizio, che in passato erano deputati alle attivita' di liquidazione delle dichiarazioni dei redditi e di rimborso e recupero delle imposte liquidate. Ma soprattutto si deve tenere conto delle esigenze di buona organizzazione e di economicita' nel funzionamento degli uffici, esigenze che impongono la eliminazione della documentazione cartacea risalente ad annualita' remote e a rapporti ormai definiti ovvero non fatte oggetto di controversie pendenti. A cio' si aggiunga che anche i dati informatici relativi alle dichiarazioni ultradecennali talvolta non sono stati mai archiviate su supporto informatico, talaltra sono stati eliminati quando si trattava di dichiarazioni non assoggettate ad accertamento e/o a contestazione. Sta di fatto che le interrogazioni al SIAT non consentono di conoscere l'esito di dichiarazioni relative ad annualita' antecedenti al decennio. Queste circostanze hanno determinato la concreta impossibilita' dell'ufficio di risalire agli atti di liquidazione compiuti in anni remoti e di giustificare la non spettanza del rimborso per quelle dichiarazioni risalenti agli anni 80. Infatti in altro caso analogo a quello qui in esame (vedi nota 1) l'ufficio ha semplicemente replicato che «trattandosi di annualita' pregresse, dalle interrogazioni al SIAT non e' possibile verificare ne' i dati delle dichiarazioni dei redditi modello 760, ne' i risultati delle liquidazioni effettuate dal Centro di servizi di Milano». Risulta percio' evidente come taluni contribuenti, malgrado l'inerzia serbata ben oltre il decennio della prescrizione, possano approfittare di questa situazione di impotenza della controparte per rispolverare vecchie dichiarazioni che si chiudevano con un credito di imposta a suo tempo non riconosciuto e, malgrado la consapevolezza dell'insussistenza del diritto, pretendere ora il rimborso, quando l'amministrazione finanziaria non e' piu' in grado di contrastare la pretesa a causa della sicura distruzione delle pratiche cartacee e dell'improvvida preclusione dell'eccezione di prescrizione, imposta dall'articolo 3, comma 58 della legge 24 dicembre 2003, n. 350. Percio', sotto questo aspetto deve ravvisarsi un conflitto della predetta norma con i principi sanciti dall'articolo 97 della Costituzione, secondo cui gli uffici pubblici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. Che l'ipotesi, di una capziosa reviviscenza di crediti di imposta a suo tempo non riconosciuti, non sia del tutto teorica, e' provato dal fatto che in taluni casi, secondo le deduzioni dell'ufficio, dalle interrogazioni al SIAT risulta riconosciuto (e talvolta anche eseguito) il rimborso di una somma inferiore a quella richiesta dal ricorrente, con specifica indicazione della data e del numero dell'ordinativo di pagamento (vedi nota 2) . Cio' nonostante il ricorrente ha chiesto ugualmente il rimborso dell'intero credito risultante dalla dichiarazione. I dati menzionati dall'ufficio resistente risultano soltanto dal sistema informativo, ma il silenzio del ricorrente su queste specifiche deduzioni fa ritenere ammesso l'effettivo rimborso parziale del credito e, dunque, la consapevolezza del disconoscimento del credito residuo e la pregressa tacita accondiscendenza al rifiuto del rimborso per la parte residua. Tuttavia, dopo la promulgazione della legge 24 dicembre 2003, n. 350, che inibisce agli uffici di opporre l'eccezione di prescrizione, questi contribuenti si sono d'improvviso ricordati di questi remoti crediti di imposta derivanti da dichiarazioni non piu' soggette ad accertamento (e dunque del tutto estranee a qualsivoglia contenzioso), per rivendicare dalla Stato somme che a suo tempo erano state disconosciute, secondo gli ordinari canoni di liquidazione delle dichiarazioni. L'inerzia serbata per oltre dieci anni prima della novella del dicembre 2003 dimostra che essi si erano rassegnati a non esigere piu' il rimborso essendo consapevoli della insussistenza del credito residuo. Dunque, l'improvvido divieto di eccepire la prescrizione, rivolto soltanto agli uffici finanziari e contenuto nel citato articolo 2, comma 58, della legge n. 350/2003, da un lato non ha una ragionevole spiegazione normativa, dall'altro finisce soltanto con il favorire la soddisfazione di ingiuste richieste di rimborso. Pertanto e' necessario sollevare di ufficio questione di legittimita' costituzionale della predetta norma, in relazione agli articoli 3, 97 e 113 secondo comma della Costituzione, posto che la norma impedisce all'Agenzia delle Entrate di eccepire la prescrizione. (1) Si veda il ricorso n. 14104/06, ricorrente Lambro S.r.l., per il quale e' stata sollevata la stessa questione di illegittimita' costituzionale. (2) La predetta circostanza non e' in contrasto con quanto prima specificato circa la cancellazione dei dati informatici pluridecennali, perche' i database relativi ai rimborsi, ovvero alle erogazioni di denaro da parte dell'Erario, seguono regole diverse da quelle sui dati generali attinenti alle dichiarazioni dei redditi.